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Autore: Airesis    17/09/2016    0 recensioni
2167 d.C., un Collegio in Inghilterra che raccoglie le ragazze più intelligenti fra le orfane di tutta Unione Europea e una strana atmosfera di mistero che avvolge lo sperduto castello britannico...
Genere: Mistero, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrivai a Everspring Hill una sera d'inverno. 
Ho letto che un tempo l'inverno era un periodo molto freddo e che a volte dal cielo al posto della pioggia cadevano fiocchi di ghiaccio che coprivano tutto con un manto bianco. Quella sera però lo schermo sul cruscotto mostrava una temperatura di 15 gradi centigradi.
Isabel, che si era occupata di me durante il viaggio, continuava a parlarmi con fare rassicurante, ma io non l'ascoltavo: non riuscivo a pensare a nulla a causa della terribile ansia di trovarmi lì.
Sapevo già di non essere come le altre ragazze: loro erano emerse tra centinaia di loro coetanee, facendosi strada con le unghie per guadagnarsi quel posto, mentre io avevo scavalcato il sistema e mi trovavo davanti a quel portone senza nessun merito.
Espirai lentamente sentendo il mezzo rallentare.
Forse dovrei fare un passo indietro.
Il 28 gennaio 2167 arrivai a Everspring Hill dopo aver attraversato lo stretto lembo di mare che separa l'Irlanda dalla Gran Bretagna.
Solo un anno e tre mesi prima i miei genitori erano morti nel crollo della basa militare di Armagh e io avevo passato i successivi cinque mesi in un letto di ospedale a riprendermi dal trauma fisico. Da quello emotivo nn ero mai guarita.
Da quel letto avevo sentito parlare il generale O'Neil del mio futuro con il primario di neurologia. Fino alla fine avevo sperato di essere rimandata alla città blindata di Cardiff. Quando avevo 8 anni vi avevamo passato qualche mese durante un periodo di tensione tra il comando militare e mio padre, non mi disse mai cosa fosse accaduto, ma so che era in disaccordo su qualche decisione, il reparto scientifico e quello operativo erano spesso in conflitto.
Mi piaceva Cardiff, mi piaceva passare del tempo con bambini della mia età, ma mia madre piangeva ogni giorno e alla fine siamo tornati ad Armagh.
Alla fine il generale O'Neil mandò Isabell a parlarmi: lei mi disse che in virtù del mio QI e dell'egregio lavoro che i miei genitori avevano svolto per il governo, sarei stata accettata al Collegio di Everspring Hill, nonostante i miei sedici anni e il fatto che il semestre fosse già iniziato.
Ecco perché quella sera d'inverno varcai la soglia del silenzioso collegio accompagnata da Isabel. Avrei voluto voltarmi indietro e scappare, ma non lo feci, come mossa da una forza invisibile.
Non avevo nulla con me, sapevo che qualsiasi cosa avessi portato mi sarebbe stata tolta.
Dal momento in cui incontrai la preside ogni cosa attorno a me rallentò e la mia mente si fece confusa e annebbiata.
Ricordo  vagamente aghi e mani e voci distante a cui obbedii automaticamente fino a che, senza sapere come, mi ritrovai seduta al tavolo della mensa in mezzo a un centinaio di ragazze vestite uguale a me.
Non so cosa si ruppe a quel punto nella mia teste e mi accorsi che stavo piangendo. Le lacrime scorrevano silenziose e irrefrenabili lungo le mie guance. Cercai di fare qualcosa per frenarle, ma ogni tentativo non fece che peggiorare la situazione: pian piano comincia a singhiozzare sempre più forte, fino che a malapena riuscivo a respirare tra i sussulti.
Quando finalmente svenni fu solo un sollievo.

Mi risvegliai nel silenzio dell'infermeria.
Qualcuno mi aveva adagiato su un lettino e mi aveva messo addosso un coperta leggera. Fu un immenso sollievo trovarmi in quel luogo tranquillo e solitario, lontano da cento facce mute che respiravano all'unisono.
Mi portai una manca alla fronte: sentivo la testa girare e pulsare fastidiosamente.
- Sei la ragazza nuova, vero?- 
Mi voltai sentendo qualcuno parlare.
Nel letto vicino al mio era seduta una ragazza pallida, con la schiena poggiata alla testiera e il Pad in mano. Anche da quella posizione capivo che doveva esser piuttosto alta, dal metro e settanta in su, decisamente esile e con meravigliosi capelli neri lunghissimi. Nel suo volto intravidi dei lineamenti inusuali, qualcosa di orientale nel taglio dei suoi occhi e delle sue labbra.
Rimasi a fissarla incantata, incapace di proferire parola. 
Lei spense il Pad e lo poggiò sul comodino, poi si voltò verso di me.
- Sei la ragazza nuova?- mi chiese di nuovo.
Annuii.
- Capisco.- disse, mettendosi a sedere sull'orlo del materasso - Ho sentito raccontare delle storie su di te, dicono che vieni dall'Irlanda e che hai perso i genitori da poco, è vero?-
Annuii di nuovo.
Lei si alzò e solo allora mi accorsi che aveva la flebo attaccata al braccio. Afferrò il palo con attaccata la sacca e lo trascinò vicino al mio letto.
- È ferro. - disse sedendosi ai miei piedi - Il mio intestino non lo assorbe, provocandomi un certo grado di anemia.-
- Parlava in tono monotono e pacato, senza che alcuna espressione apparisse sul suo volto.
- Che nome ti hanno dato?- mi chiese ancora.
- Iris.- sussurrai.
Lei annuì piano.
- È un nome grazioso, ma non è il tuo, lo so. Come ti chiamavi prima?-
- Agnes.- risposi in un mormorio.
- E sai come sei riuscita a entrare qui, Agnes, nonostante tu abbia 16 anni e il semestre sia già iniziato?-
- Ho un QI di 187...- sussurrai esitante.
- Questo è un bene. - constatò lei - così capirai quello che ti sto per dire: tu non sei come noi, non sei abituata a una vita priva di affetti e piena di sacrifici. Le ragazze saranno cattive con te, come lo sono fra di loro; non puoi fidarti di quello che ti dicono e nn puoi contare sul loro aiuto, tutto quello a cui tengono è distinguersi per ottenere una raccomandazione speciale dalle insegnanti e soprattutto il fiocco rosso.-
Nel pronunciare quelle parole si toccò il nastro scarlatto che spuntava da sotto il colletto.
- So che così sembra terribile.- continuò - Ma imparerai. Devi tenere duro per 21 giorni: da qualche parte ho letto che dopo 21 giorni che si fa una cosa, questa diventa un'abitudine. La rigida rutine ti aiuterà, te lo assicuro.-
Non trovai le parole per rispondere, sentii solo salire di nuovo le lacrime.
- No, non devi piangere, se vedono che sei debole faranno di tutto per spezzarti.-
Si mise una mano in tasca e prese un sacchetto di caramelle. Con delicatezza lo aprì e prese una caramella dura, verde e tonda della dimensione di una moneta da 20 centesimi e me la porse.
- Attieniti alle regole, Agnes.- mi disse - Adattati, conformate a tutte le altre, ma non scordarti il tuo nome, da dove vieni, la tua storia. Un giorno te ne andrai da qui e allora potrai tornare a essere Agnes.-
Rimise a posto le caramelle, poi si alzò e tornò al suo letto.
Io rimasi ferma, con la caramella in mano e gli occhi fissi su di lei.
- Sono caramelle alla frutta.- disse, sdraiandosi - Io non ho mai mangiato della frutta vera, tranne una mela una volta. Quelle verdi sono alla mela.-
La guardai, poi guardai la caramella e me la misi in bocca: era vero, sapeva di mela.
- Ora dormi, Iris.- riprese lei riaccendendo il Pad - Questa notte potrai restare qui in infermeria, ma da domani dovrai stare nel dormitorio con le altre. Buonanotte.-
- Buonanotte.- mormorai.
Le palpebre si fecero pesanti sui miei occhi e, ancor prima che me ne accorgessi, scivolai nel sonno.

La mattina successiva, quando mi sveglia al suono degli altoparlanti, la ragazza dai capelli scuri era scomparsa.
Feci un respiro profondo: 21 giorni aveva detto e razionalmente pensai che non avesse molto senso, ma decisi di crederci. Dovevo crederci, per sopravvivere. 
Andai a lavarmi e vestirmi e mi unii allo sciame dei ragazze uguali a me per la colazione.
La lezione mi entusiasmò subito, ma mi resi conto subito di essere più avanti delle altre e compresi in un attimo che a loro questo non piaceva.
Non ci misero molto tuttavia a rifarsi: durante l'ora di ginnasta caddi così tante volte da riempirmi di lividi e al ventesimo minuto svenni.
Quello fu il mio primo giorno, prima che il tempo cominciasse a susseguirsi senza tregua né respiro: la sveglia, la colazione, le lezioni, il pranzo, l'attività fisica, il riposo, la cena, lo studio, la notte e poi di nuovo da capo.
Provai a conoscere le altre ragazze, a stringere un qualsiasi tipo di legame, ma fu tutto inutile: mi isolarono e cominciarono una sorta di battaglia psicologica per spezzarmi. Era una guerra di sguardi, parole apparentemente innoque buttate lì al momento giusto e un terribile isolamento.
Nel tentativo di restare a galla per quei maledetti 21 giorni comincia a passare il mio tempo libero esplorando il castello; tra il personale e le studentesse non arrivavamo a duecento anime, eppure quella struttura era immensa, avrebbe potuto accogliere tranquillamente un migliaio di soldati con tutta l'attrezzatura da campo. Molte ale erano chiuse o abbandonate, dandogli un che di sinistro e angosciante: mi metteva una terribile soggezione.
Ogni tanto la ragazza dai capelli neri mi passava accanto, silenziosa e solitaria nella sua elegante bellezza. Lei era la perfezione, il modello da raggiungere e in un certo senso temevo che se fossi caduta l'avrei delusa e non volevo farlo.
Poi purtroppo arrivò il diciottesimo giorno: era dall'ora della colazione che sentivo gli occhi della capoclasse su di me. L'avevo vista rivolgere complici sorrisi alla ragazze della sua cerchia, ma cercai di non farci caso, ero abituato a quella violenza silenziosa.
Solo quando arrivò l'ora delle docce capii cosa stesse tramando.
Ero sotto l'acqua corrente quando aprì di scatto la tenda e mi trascinò fuori, nuda e bagnata. Provai a coprirmi e strillare ma lei mi tenne per le braccia, ignorando i miei lamenti.
- Vedete.- disse, mentre le altre ridevano - Vedete i lividi, le sbucciature? Ora sono per la sua incapacità, ma presto se li farà da sola e, se siamo fortunate, ci farà il favore di ammazzarsi.-
Poi mi tirò di nuovo sotto la doccia e mi lanciò un sorriso storto.
- Adesso non hai nulla da dire maestrina? Ora che non c'è nessuna insegnate a proteggerti hai paura?-
Tremavo nell'angolo della doccia, cercando di coprirmi e di trattenere le lacrime, che tuttavia mi scorrevano copiose lungo le guance.
Sei sola.- mi disse - Ed è solo questione di tempo prima che crolli.-
Rimasi immobile in quel cantuccio per una buona mezz'ora prima di trovare la forza di alzarmi.

Rimasi a lungo sdraiata sull'erba del parco del castello quel pomeriggio: mi piaceva il calore dei raggi del sole invernali, emanavano il giusto tepore per riscaldare le ossa e non bruciavano la pelle.
Dentro di me mi ero arresa: aveva compreso che non sopravvissuta al collegio di Everspring Hill. Isabel era stata carina con me cercando di rassicurarmi con le sue menzogne, ma ora sapevo che non sarei mai tornata alla base militare di Amargh. Non sana di mente almeno.
Senti un fruscio accanto a me un rumore leggero come della dell'erba che si piega.
La ragazza dai capelli scuri si sedette accanto a me e per la prima volta da quella notte in infermeria mi parlò con quel suo tono pacato e inespressivo.
- Mi spiace. Temo di non avere buoni consigli da darti.- disse.
Mi girai sul fianco per poterla guardare.
- Perché sei gentile con me?- domandai sull'orlo delle lacrime - Io non posso fare nulla per me, figurati per te...-
Lei si strinse appena nelle spalle.
- Mi trovavo in infermeria quel giorno e mi è sembrato giusto essere gentile con te. Tutto qui. Siamo esseri umani, non bestie come ci vogliono far credere in questo posto.-
Siamo solo numeri.- risposi scoraggiata - Ci danno dei nomi piuttosto che delle cifre, ma alla fine siamo solo numeri per loro.
Lei mi guardò e per una frazione di secondo un'ombra di malinconia passò sul suo volto.
Lo so.- disse - È per questo che dobbiamo ricordarci che non lo siamo.-
Non so perché ma quel velo di tristezza nei suoi occhi mosse qualcosa in me: fu come se in un istante di chiarezza riuscissi a vedere il dolore che celava dentro di sé.
Mi misi in ginocchio di scatto.
- Ascolta.- dissi, prendendole la mano - Tu sei sempre sola, ti ho visto in giro...e anche io lo sono. Forse...forse non è tanto, ma potremmo ricordarci insieme che siamo persone...potresti insegnarmi a stare qui e io...io...
Cosa potevo fare per lei che non potesse far da sola? E così dissi l'unica cosa che mi venne in mente e probabilmente la più stupida.
- Io posso dirti a che gusto sono le caramelle!
Lei mi guardò stupita, come si guarda una cosa bizzarra e del tutto inaspettata.
Ma i suoi occhiali continuavano a cadere sulla mia mano che teneva la sua, come fosse qualcosa di assolutamente assurdo.
- Io...credo di poterlo fare...- sussurrò come inebetita.
Per la prima volta da quando ero a Everspring Hill provai una sensazione di leggerezza nel petto. Senza pensarci le gettai le braccia al collo e l'abbracciai. 
- Grazie.- sussurrai.
Lentamente le sue braccia si strinsero attorno a me in modo un po' goffo e incerto.
- Oh.- esclamai d'un tratto, lasciandola andare - Aspetta, come ti chiami? non me lo hai detto.-
- È vero.- rispose lei, tornando alla sua composta serietà - Mi chiamo Cecilia, ma qui mi chiamano Constance.-
   
 
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