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Autore: Nausicaa Di Stelle    17/09/2016    7 recensioni
"Non so da dove cominciare! Mi sento così in colpa... e non so se esiste un modo per rimediare al guaio che ho combinato. No, non io in verità... Tutto è iniziato a causa di Tadashi e della sua imprudenza, ma chi ci ha rimesso più di tutti è stato il capitano. Non ho ancora avuto il coraggio di andare a trovarlo in infermeria per vedere come sta! Del resto, le ultime notizie non sono confortanti."
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO A TRE VOCI




Dalle memorie segrete di Raflesia

Dalla capsula non proveniva più alcun suono. Tutti i monitor erano spenti. Era tutto finito. Finalmente, lui riposava.


Sul volto erano ancora visibili i segni lasciati dalla sofferenza che aveva appena attraversato, le tracce della nuova trasformazione, durata oltre dodici ore.
Ho aspettato che se ne andassero tutti per avvicinarmi a mia volta alla capsula. Ognuno di loro aveva sostato a lungo presso il corpo di Harlock come davanti ad un feretro, prima di lasciare la stanza. Dopo essere stato quasi in criogenesi, era necessario che si svegliasse lentamente, in modo naturale, e noi pure avevamo bisogno di riposare dopo la lunga veglia.
Ero certa comunque che non sarebbe stata una lunga attesa: non era da Harlock far aspettare qualcuno. Perciò sapevo di non avere molto tempo.
Ad uscire per ultima è stata la giovane ufficiale di plancia, Yuki Kei. Credevo non volesse più andarsene e non sapevo cos’altro inventarmi per fingermi un’infermiera molto occupata in qualche genere di attività post-intervento. Così ho però avuto modo di osservarla mentre accarezzava, a lungo e dolcemente, il vetro della capsula, proprio come se fosse stato il viso di Harlock. Gli parlava sottovoce, ma ho capito ugualmente cosa diceva.
- Continuerò ad amarti anche così, - prometteva, con quell’assoluta certezza che hanno solo le ragazze innamorate. - E non m’importa quanti anni hai, né quanto tempo dovrò aspettare.
Ero certa di aver colto nel segno con lei fin dal momento in cui l’avevo vista entrare nella sala operatoria, così trepidante per l’intervento al quale Harlock aveva accettato di sottoporsi, e in quel momento le sue parole non mi stupirono affatto.
Harlock possedeva il potere, pericoloso e gestito con negligenza, di affascinare chiunque. Non faceva nulla di straordinario per ottenere questo risultato. Era semplicemente se stesso. Chissà quante delle donne che avevano incrociato la sua strada aveva lasciato dietro di sé, con il cuore spezzato? Di certo Yuki Kei era una di loro.
E io?
No, non avevo il cuore spezzato, perché non c’era più un cuore da spezzare.
Ero passata quasi indenne attraverso l’incontro con lui, e quando tutto fosse finito ne avrei serbato il ricordo come si fa con il più grande dei nemici.
Amarlo sarebbe stato impossibile, qualunque fossero state le condizioni nelle quali ci fosse capitato di conoscerci. Se anche non avessi accettato di diventare la regina spietata che sono ora, comunque non avremmo mai potuto stabilire un legame, noi due, su nessun piano. Un pirata reietto e vagabondo non avrebbe avuto niente a che spartire con una nobile sovrana. Per noi non ci sarebbe stato nulla da condividere, se non una notte d’amore clandestina.
Eppure in quel momento sentivo che proprio quella notte mi sarebbe mancata per sempre.
Yuki aveva lasciato la stanza e finalmente potevo avvicinarmi alla capsula. Presto il vetro si sarebbe aperto da solo (questo lei non poteva saperlo) e il corpo di lui sarebbe tornato lentamente alla normale temperatura.
Sono rimasta a contemplarlo in silenzio per lunghissimi istanti. Era di nuovo l’uomo che conoscevo. Il mio nobile, implacabile nemico che stava nudo e inerme davanti a me, e non c’era su di lui nemmeno una delle vecchie cicatrici. La sua pelle ancora una volta era un universo inesplorato. Ognuna delle cellule era mutata e sotto ai miei occhi stava un uomo nuovo.
Fino a che punto la trasformazione fosse scesa in profondità, fino a dove fosse riuscita a cambiarlo, lo avremmo saputo solo una volta che avesse ripreso conoscenza.
Per ora Harlock dormiva un sonno pallido e freddo.
Infine il vetro si era aperto e io avevo allungato una mano verso il suo viso, scostando una ciocca di capelli. Anche l’occhio destro era di nuovo integro, la palpebra incurvata sopra il bulbo, con le lunghe ciglia che disegnavano un arco scuro. Desideravo poterlo guardare presto in quegli occhi che, raddoppiando la potenza del suo sguardo, già sapevo mi avrebbero penetrata a fondo, in un modo che a lui in quanto uomo non sarebbe mai stato concesso.
Nonostante restasse una piccola ruga in cima al naso, traccia della lunga sofferenza che aveva appena patito, in quel momento pareva riposare sereno, ignaro di avermi al suo fianco.
Affondai di più la destra nella chioma scomposta e con l’altra mano gli sollevai appena il viso. La sua coscienza era ancora troppo lontana dalla superficie del presente per poter reagire. Navigava, forse, in qualche sogno lontano, fra ricordi veri e fosche inquietudini. Sebbene in quel momento Harlock fosse del tutto inconsapevole di se stesso, riuscivo però a percepire la sua personalità, forte e risoluta, e provavo una strana emozione a stargli accanto. In particolare era il contatto con la sua pelle, quel contatto così a lungo paventato e atteso, a farmi fremere dalla testa ai piedi, quasi che tutto il gelo necessario alla semi-criogenesi si fosse riversato all’esterno, in quella piccola stanza.
Forse si trattava soltanto del piacere delle conquista, della consapevolezza, che mi scuoteva il sangue, di tenerlo finalmente in mio potere.
Eppure non volli dare ascolto a nessuna di quelle voci. Ancora oggi fatico a confessare a me stessa che l’emozione più potente che provai in quel momento non fu la gioia impetuosa del trionfo, ma un sentimento di una natura così diversa che credevo di non poterlo più nemmeno riconoscere, oltre che possederlo.
Così sono tornata ad accarezzare il viso di Harlock, in silenzio, dalla guancia alla mandibola serrata. Era ancora così gelido da sembrare morto. Allora mi sono chinata su di lui e l’ho baciato sulla bocca fredda. E sono stata felice... felice che non fosse vero.





Dai file del tablet di Tadashi

Finalmente ogni cosa è di nuovo al suo posto. Forse anche troppo. Per la verità è come se non fosse mai successo niente.
La vita sull’Arcadia ha ripreso a scorrere con il ritmo consueto, scontri con le mazoniane compresi, e ognuno è esattamente ciò che è sempre stato. O finge di esserlo.


In questi giorni ho osservato a lungo il capitano e Yuki, cercando di capire dai loro gesti se ciò che era accaduto, quello che si erano detti, aveva cambiato qualcosa tra loro. Ma non si sono mai rivolti una parola né uno sguardo di troppo. O meglio, il capitano non lo ha fatto, trattando tutti con il consueto, imparziale distacco. Ma io mi sono accorto di come Yuki restava a fissarlo un secondo di troppo, di come cercava d’incrociare direttamente i suoi occhi, mentre lui impartiva gli ordini o assegnava mansioni.
Già, i suoi occhi. Come se ci fosse bisogno che li riavesse tutti e due per completare l’opera di seduzione. Così, tutto tirato a nuovo, sembrava quasi un ufficiale che ha appena stracciato l’uniforme per indossare la divisa da pirata, e anche se i suoi modi tradivano l’esperienza di anni da fuorilegge, con questo aspetto un po’ mutato esercitava un fascino inusuale. Non credo fosse quello di cui Yuki aveva bisogno. Di sicuro non ne aveva bisogno il nostro rapporto. Anche per questo alla fine mi sono deciso a parlarle più chiaramente.
Ho approfittato di un giorno in cui ci siamo incrociati al simulatore di volo.
Negli ultimi tempi mi pareva che non facesse altro che cercare di tenersi occupata, e il simulatoro o il tiro a segno erano solo alcuni dei diversivi ai quali ricorreva.
Tuttavia c’è da dire che, nonostante l’indifferenza di Harlock nei suoi confronti, fin dal principio Yuki non mi era parsa troppo abbattuta. E’ stato il nostro dialogo a svelarmi il perché.
Anche se lei non è stata molto chiara al riguardo, credo che il capitano le avesse accennato qualcosa prima di subire la seconda mutazione. Intendo qualcosa di ciò che provavo per lei, perché, quando le ho parlato, non ha mostrato molta sorpresa. Anzi, non ne ha mostrata affatto.
Mi ha ascoltato con grande tranquillità, solo un’espressione vagamente triste negli occhi.
- Sai quanto sia difficile per me parlare di queste cose, – ho balbettato, tentando di spiegarmi come meglio potevo. - Beh, forse non lo sai... ma è proprio perché il nostro rapporto è così importante per me che ho esitato per tanto tempo. Però ultimamente sono successe delle cose che mi hanno fatto capire che... insomma, forse dovevo essere più chiaro, con te, più sincero. E dovevo esserlo anche con me stesso.
Yuki mi fissava in silenzio, in viso quella stessa espressione un po’ triste. Sapeva cosa le stavo per dire prima ancora che parlassi, ma non ha fatto niente per impedirmelo. Forse voleva che mi togliessi quel peso, come si fa con un sasso dentro lo stivale.
- Vedi, io... - ho continuato. - Tu... sei molto importante per me. Tutti sull’Arcadia sono importanti, siete stati la mia nuova famiglia. Ma tu lo sei in un modo speciale, sei molto più di una semplice sorella o di un’amica. Con te è sempre stato tutto molto naturale, come se ci conoscessimo da una vita. E’ solo da un po’ di tempo che ho iniziato a riflettere su questo, a fare caso alla nostra famigliarità. Non lo so, forse tu te ne eri già resa conto... di quanto il nostro rapporto fosse naturale, intendo. Io ero troppo preso dal mio rancore per le mazoniane per accorgermene, o forse ero semplicemente troppo giovane. So che ora, con le mie parole, potrei cambiare tutto, ma preferisco correre il rischio e fare queto salto. Un salto nel buio, ma verso di te.
Per il resto del discorso, io e Yuki non eravamo riusciti a guardarci direttamente negli occhi. Yuki dopo un po’ aveva preferito soffermarsi sul buio spazio oltre la finestra. In quel modo però io potevo vedere il suo riflesso. Era così pensosa, ma le mie parole... le mie parole non parevano averla emozionata.
- Tadashi... ti ringrazio per la gentilezza dei tuoi sentimenti e per avermene voluto parlare. Capisco benissimo che nons ia stato facile. Non è facile nemmeno per me. Confessare ciò che proviamo per una persona è complicato e preferiremmo che se ne accorgesse da sola e che piano piano iniziasse a ricambiare il nostro affetto. Ma non è quasi mai così che succede.
Mentre parlava, mi resi conto che Yuki non si stava riferendo a me. Pensava a se stessa. Pensava ad un altro uomo.
- Vorrei semplicemente poter accettare ciò che mi offri, davvero, - ha aggiunto. - Ma io... io sto ancora aspettando. E non voglio arrendermi, non ancora. Non finché lui è qui. Capisci, vero?
Era la risposta che temevo, quella che sempre si era aspettato da lei. Eppure non mi fece male come credevo, forse perché c’ero preparato, o forse perché ero più forte di quel che immaginavo. E neppure la mia reazione fu quella che tante volte mi ero figurato.
Non battei in ritirata, né rimasi muto a fissarla come uno stoccafisso. Capivo benissimo di chi parlava e sapevo che tra me e lui non c’era confronto. Non ancora. Ma non per questo mi sarei arreso.
- Anch’io continuo ad aspettare, - dissi soltanto. - Non mi sono ancora stancato di aspettare.
La guardai: mi sorrideva. Sperai con tutto me stesso che un giorno quel sorriso sarebbe diventato un sì.





Dal diario di bordo del capitano

Ogni cosa sembrava essere tornata al suo posto, alla più banale normalità, ma non era così. Una volta che si è provocato un cambiamento, nulla può ritornare come prima. Soprattutto quando il cambiamento avviene in noi. E di cambiamenti ce n’erano stati tanti, accuratamente mascherati dietro le più salde apparenze.
In questo di certo ero il più abile io. Sapevo da molto tempo come si porta un manto di oscura freddezza e sapevo anche quanto pesa. In questo, lo riconosco, io e Raflesia eravamo simili.
Raflesia. In quei giorni il pensiero di lei perseguitava i miei sogni ed ero in sua compagnia più spesso di quanto avrei voluto.
L’ultima trasformazione mi aveva lasciato spossato in un modo che né io né il dottor Zero avevamo previsto. I primi tempi restavo a lungo nella mia cabina e dormivo più del solito. Il dottore diceva che non poteva farmi che bene e che il riposo avrebbe aiutato il mio corpo a rigenerarsi. In realtà mi sembrava piuttosto di perdere le forze, perché nei miei brevi sogni agitati continuavo ad incontrare lei. E avevo anzi l’impressione che si trattasse di ben più che semplici sogni.
Forse davvero veniva a farmi visita mentre dormivo, quando persino Mime lasciava la stanza? Erano reali le mani che qualche volta mi sfioravano, riuscendo ad infilarsi fin sotto le coperte, facendomi svegliare di soprassalto?
O forse si trattava soltanto di un’allucinazione, il frutto del turbamento lasciato da quel bacio (reale o immaginario) che era riuscita a prendersi poco prima che mi svegliassi, là dentro quella capsula? Perchè, per quanto fossero annebbiati i miei sensi, io sono certo di averla vista chinata su di me, i lunghi capelli come rampicanti scuri che scendevano sul mio corpo nudo quasi a volerlo rivestire.
Da allora lei ha perseguitato indisturbata molte delle miei notti, spezzando il sonno e lasciandomi talvolta ad ansimare nel letto, gli occhi aperti nel buio, senza voler raccontare a nessuno cosa mi accadeva quando cercavo di dormire. Non ne ho parlato mai neppure con Mime. E il perché è semplice, anche se forse non tutti possono comprenderlo. Ma era una cosa tra me e la mia nemica. Il nostro conto in sospeso che pagavo un poco alla volta. Il prezzo per aver accettato il suo aiuto.
E’ stato durante una di queste notti che Yuki è venuta a farmi visita, molto più reale del fantasma di Raflesia.
Era da poco passata la mezzanotte. Lo ricordo bene perché, uscendo dalla doccia dopo uno dei consueti incubi, avevo guardato la pendola sul fondo della stanza. Poco dopo qualcuno aveva bussato. Credevo fosse Mime e avevo pensato di farla entrare senza lasciarla ad attendere sulla porta, anche se addosso avevo soltanto l’accappatoio.
L’ho riconosciuta dopo, dalla voce.
- Oggi compio diciotto anni, - ha detto Yuki, avvicinandosi un poco. Trasalendo, mi sono voltato verso di lei. Indossava un abito lungo e reggeva fra le mani una bottiglia di rosso dall’etichetta ricercata, qualcosa di pregiato tenuto in serbo per le occasioni speciali.
- Posso festeggiarlo con te, il mio compleanno? - aveva posato la bottiglia sul tavolino di fianco al letto e si era avvicinata. - Soltanto un brindisi.
Il suo compleanno, Yuki non l’aveva mai veramente celebrato. Una volta Masu-san, credendo di farle piacere, le aveva preparato una replica scipita della torta che cucinava sua madre, mentre l’anno scorso proprio Tadashi le aveva organizzato una piccola sorpresa, in sala mensa, appendendo un grande striscione con la scritta “Happy Birthday” sopra la tavola. Per cena c’era solo minestra, ma anche in quel caso mi hanno riferito che Yuki ne era stata ugualmente felice. Me l’hanno detto, sì, perché io non c’ero né la prima né la seconda volta.
Adesso invece voleva festeggiare solo con me.
Diciotto anni non si compiono tutti i giorni, ma forse non era soltanto questo che le interessava. Un pretesto? Ci avevo pensato, per un istante, ma ugualmente non l’ho mandata via. Avrei dovuto farlo, come capitano. La verità è che avevo piacere che lei fosse lì con me, e non per via degli incubi causati da Raflesia.
Avevo piacere di fare quel brindisi, e di vederla. Era bella come una nuova stella e profumava più del vino. E non l’ho mandata via. Mi rendevo sempre più conto che, dopo la nuova trasformazione, nulla era cambiato nei sentimenti che provavo per lei. Tutto ciò che i miei quindici anni avevano risvegliato era ancora lì dentro di me, vigile e pronto come una tigre rimasta troppo a lungo sedata. E la tigre, in quel momento, faceva le fusa.
Quello che è successo dopo non può essere scritto, e quello che accadrà da qui in avanti nessuno di noi può ancora saperlo. Tutto in apparenza scorre come prima, ma siamo su strade aperte ancora da percorre, Yuki, Tadashi ed io. E anche Raflesia. Ognuno sta su di un sentiero che ogni tanto si biforca verso direzioni impreviste, ma cosa ci sia alla fine nessuno riesce ancora a vederlo. Però questa volta non voglio pormi troppe domande.
Resterò su questa strada e farò come ho sempre fatto: cercherò di godermi il viaggio.
   
 
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