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Autore: Kiki S    19/09/2016    0 recensioni
Rachel è una ragazzina di quattordici anni.
Rachel ha ancora paura del buio.
Dopo quell'episodio notturno durante l'ultima gita scoltastica è diventata lo zimbello dell'intero istituto: le prese in giro e gli scherzi crudeli, ormai, sono all'ordine del giorno.
Rachel decide che non può far altro che giocare la sua ultima carta per riprendersi almeno la propria dignità.
Questa carta ha un nome: Zoe Collins.
Genere: Dark, Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III
 
L’uomo muore di freddo, non di oscurità
 
Nella stanza erano accese le candele.
Soltanto quelle.
Ma Rachel non aveva avuto paura, almeno non troppa. E poi si era impegnata per non darlo a vedere. Anche perché essere insieme a Zoe era sempre così eccitante.
Aveva atteso quel momento con trepidazione per tutto il giorno, era stato il suo chiodo fisso.
Ed era strana la casa di Zoe: dal di fuori era un’abitazione comune, ma l’interno sembrava provenire direttamente da un film dell’orrore. Le stanze erano buie, c’era la grande scala che portava al piano di sopra che pareva estendersi verso un abisso oscuro e annullante, vecchie fotografie ingiallite alle pareti e persino qualche ragnatela negli angoli del soffitto.
Anche se, a dirla tutta, Rachel non si sarebbe stupita se Zoe avesse tenuto gli amabili ragnetti come bestioline domestiche. Sarebbe stato da lei.
Sua madre non c’era quel pomeriggio; Zoe aveva sostenuto che si trovasse al lavoro e che non sarebbe rientrata prima delle otto. Rachel era curiosa, le sarebbe piaciuto vederla.
Se la immaginava un po’ tetra come la figlia, vestita di nero, pallida e con le unghie troppo lunghe; sì insomma, una sosia di Morticia Addams.
Ma poi dovette ricredersi quando notò quell’istantanea appesa alla parete, proprio vicina alle scale; si era addirittura fermata a guardarla.
Si era sorpresa, forse persino sbigottita, nel rendersi conto che la madre di Zoe aveva i capelli rossi e un bel sorriso radioso. Doveva ammettere che la sua elasticità mentale faceva davvero cilecca.
In quella foto c’era anche il padre defunto della sua nuova amica, un uomo che dalla riproduzione su carta lucida appariva alto, slanciato; ed era lui ad avere i capelli neri. Zoe doveva averli ereditati da lui. Come la scala? Suggerì una voce nella sua testa.
-Ehi, colombina. Non hai mai sentito dire la frase fatti gli affari tuoi?- la redarguì subito Zoe mentre la prendeva per un braccio e cominciava a trascinarla su per gli scalini.
-È la tua famiglia quella?- domandò Rachel incuriosita, mentre le sembrava di star salendo i gradini a velocità non rilevabile. Quasi era certa di sentire il vento sferzarle il volto.
-No, Rach. Sono i vicini, teniamo una loro foto così quando ci gira la usiamo per fare le macumbe- fece l’altra sarcastica.
A quelle parole Rachel sarebbe voluta sprofondare. Effettivamente la sua era stata una domanda stupida; no, forse stupida suonava come un complimento. Ma come le era saltata in mente? Era ovvio che l’uomo e la donna presenti nella fotografia fossero i suoi genitori.
Restando in silenzio si morse la lingua; appariva già come una povera mocciosa agli occhi dell’intero istituto, le costava molto evitare di risultare una scema totale anche davanti a Zoe? Anche perché voleva che lei le fosse amica, che la vedesse diversamente. Solo che quello non poteva certo definirsi un ottimo primo passo. Ma lo era davvero? Il primo vero passo non era forse stato quello della notte prima? Quella sì che era stata un’esperienza spettacolare, ancora rabbrividiva al pensiero della mano di Zoe stretta nella sua mentre la pioggia scivolava loro addosso e sentivano le onde infrangersi a poca distanza dai loro corpi.
Quello era il ricordo più bello della sua vita.
Quella mattina poi era anche riuscita a nascondere a sua madre i vestiti bagnati e con la sabbia attaccata sopra: li aveva infilati in fretta e furia dentro la lavatrice già caricata mentre l’altra non guardava, poi questa si era voltata di nuovo, aveva chiuso l’oblò, aggiunto il detersivo e azionato la macchina.
Le prove erano state occultate, e per giunta senza fatica. In quell’istante si era detta che avrebbe anche potuto farlo di nuovo, si sentiva già pronta a ripetere le sue azioni.
Ma quel che contava di più, in quel momento, era trovarsi a casa di Zoe.
La dark al principio aveva acceso la luce in camera sua e Rachel si era sentita subito più tranquilla, poi era stata invitata a sedersi sul tappeto posto ai piedi del letto.
Zoe le aveva detto di attenderla qualche minuto, che sarebbe tornata subito, così Rachel era rimasta lì dentro da sola per circa una decina di minuti; si era concessa di osservare la stanza.
Tutto sommato era normale, non esisteva niente che la mettesse in relazione con film horror o cose del genere. Solo alle pareti erano stati affissi disegni strani: non erano spaventosi, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, ma i loro contenuti erano sempre di colore nero.
C’era il cavallo nero. Il gatto nero. La donna vestita di nero. La rosa nera. L’albero nero. L’anello nero. E i cocci di quella che poteva essere stata un’anfora nera che lasciava cadere a terra il suo contenuto, anch’esso nero. Però non si capiva che cosa fosse.
Rachel si guardò bene dal domandarglielo quando Zoe tornò; non aveva intenzione di fare un’altra figuraccia. Volle soltanto sapere se per caso fosse lei l’artista in questione.
-Ebbene sì- rispose la dark con scarso interesse, mentre posizionava un po’ ovunque le candele nere che aveva portato con sé -un buon talento sprecato nell’infantile arte del disegno con le matite colorate- proseguì.
Rachel avrebbe parlato al singolare in quella frase, vista la monocromia dei disegni, ma scelse di non aprire bocca. Restò invece incantata a guardarla mentre si prodigava nella sua attenta attività.
Sembrava che non stesse lasciando nulla al caso; Rachel fu certa che sapesse esattamente che cosa stava facendo. Era così bello essere lì con lei, anche se sembrava non esserci traccia della ragazza che si sentiva troppo sola della sera precedente. Zoe aveva ripreso la sua espressione serafica, altezzosa e noncurante. Eppure Rachel la adorava anche così.
Quando ebbe finito, Zoe accese una per una le dieci candele sistemate con precisione alla stessa distanza l’una dall’altra con dei fiammiferi che teneva in un cassetto, dopodiché spense la luce, infine andò a sedersi sul tappeto di fronte all’altra ragazza.
Rachel aveva deglutito a vuoto quando l’amica aveva abbassato l’interruttore; aveva respirato a fondo, ma si era anche resa conto di non essere poi così terrorizzata. Provava un po’ di timore, un po’ di angoscia, ma c’era anche l’euforia ad attenuare le sensazioni negative.
-Bene, Rach, da oggi si comincia- iniziò Zoe con tono solenne. Il suo viso appariva ancora più cereo alla luce aranciata delle candele. Ma anche più misterioso e più bello.
-Ti spiego come funziona: ora ho messo dieci candele a illuminare la stanza; ogni volta che te la sentirai ne spegnerò una, fino a quando non ci saranno problemi a restarcene qui a parlare al buio totale-. Rachel spalancò gli occhi turbata ed esterrefatta a quelle parole; gesto che Zoe colse e che la fece sorridere.
-Dopodiché sarai pronta per la prova finale, che sancirà il superamento completo della tua paura- aggiunse decisa.
-Pro-prova finale?- domandò Rachel colta alla sprovvista -di che si tratta?- e a dire il vero si sentiva anche un po’ preoccupata.
-Niente che ti riguardi al momento, colombina mia. A suo tempo. Ora siamo ancora al primo stadio- si imputò Zoe e dal suo tono di voce fu subito chiaro che non ammetteva repliche.
-D’accordo- si arrese Rachel, non del tutto convinta. L’idea era spiazzante, soprattutto perché non le era concesso di saperne di più, ma in fondo si fidava di Zoe, e questo era ciò che contava.
-Ora devi dirmi per quale motivo hai paura del buio. Devo capire il senso di quello che provi- riprese la dark, attenta e interessata come se si trattasse di un’esperta in materia. E lo era davvero.
-Il senso? Zoe, la mia paura non ha senso, ho quattordici anni. C’è qualcosa che non va in me- proruppe Rachel cominciando ad agitarsi.
-Altroché se esiste un senso. Rach, tutto ha un senso. Bisogna scavare a fondo nella tua paura, solo così sarà possibile estirparla-.
Rachel tornò a tranquillizzarsi a quelle parole. Forse Zoe aveva davvero ragione. Era l’unica che la pensasse così, riusciva a vederci anche più a fondo di lei, che come le altre compagne di classe si fermava alla superficie. Con l’unica differenza che Rachel non amava prendersi in giro da sola, né era particolarmente incline a ricevere umiliazioni.
Zoe sapeva scavare sotto la superficie, era questo a renderla tanto affine alle tenebre; e forse era il motivo per cui era anche così sola.
Come una rosa nera in un prato solitario. Si disse di nuovo Rachel. Una rosa nera alla quale lei, insulsa margherita mancante di qualche petalo, voleva restare accanto.
Una rosa nera come quella del disegno appeso alla parete.
-Allora?- la incoraggiò, eppure il suo tono era freddo, quasi scocciato.
Una rosa nera dalle mille facce. Eppure a Rachel piaceva così.
-Credo che la mia paura nasca dal fatto di non vedere niente- iniziò dunque un po’ imbarazzata; però il gelo negli occhi di Zoe si stava sciogliendo, trasformandosi in un fuoco avvolgente e benevolo, così continuò più decisa. -È perché il buio sembra nascondere qualcosa di mostruoso. Qualcosa che non conosco e che potrebbe essere orribile-.
Zoe annuì.
-E poi c’è … il silenzio- e quell’ultima parola sembrò quasi rimbombare nella stanza.
-Il silenzio?- le domandò Zoe corrugando la fronte senza capire. -Sì, c’è quel silenzio … è spettrale, agghiacciante. Anche in questo sembra nascondersi qualcosa. Poi delle volte, al buio, mi è sembrato di sentire qualcosa, come della mani gelide che mi toccavano, ed è stato orribile- spiegò. -Sì, ho capito. Quella è la suggestione-. Questa volta fu Rachel ad annuire, conscia della veridicità dell’affermazione dell’amica. Lei capiva tutto al volo.
-Il fatto è questo: tu hai paura del buio solo perché non lo conosci, perché non hai mai familiarizzato con lui. L’oscurità è amica del pensiero, della pace, non ha nulla a che fare con l’orrore o con i mostri. Il buio è solo … silenzio. Ma è silenzio positivo, tu devi capire questo- espose la dark guardandola negli occhi alla luce delle candele. E i suoi occhi verdi sembravano quasi scintillare, come avviene per quelli dei gatti quando sono raggiunti da un debole fascio di luce nell’oscurità.
-E dici che ce la posso fare?-
-Certo, Rach. È più semplice di quanto credi. Devi solo conoscere il buio, abituarti a lui. Poi vedrai che la tua paura sparirà, non ti ricorderai nemmeno di come facevi a provarla- e detto questo, Zoe le concesse un largo sorriso che cancellò del tutto il gelo che le aveva riservato poco prima. Anche Rachel le sorrise.
-Ricordati: l’uomo muore di freddo, non di oscurità. Non c’è nulla da temere nel buio, certe cose accadono solo nei film. Impara a lasciarti avvolgere dal buio-. Zoe allungò la mano verso Rachel e con lo sguardo la incitò a stringergliela, dopodiché le si mise accanto, e insieme si distesero supine sul tappeto.
-Vedi. Ti senti già meglio, vero?- fece Zoe con un tono di voce tanto pacato da sembrare quasi dolce. –Sì- ammise Rachel -ma non penso che sarei così tranquilla se non ci fossero le candele accese- aggiunse imbarazzata. -Beh, è normale. Siamo solo all’inizio- la rincuorò l’altra.
Poi per qualche minuto calò il silenzio. Rachel iniziò a cercare di abituarsi a quel buio spezzato dal bagliore delle fiammelle. Forse erano quelle a non far scoppiare l’atrocità del suo panico, ma la presenza di Zoe la aiutava di certo. Quel momento le ricordò quello vissuto la sera prima sulla spiaggia. Era magico starle sdraiata accanto, le ispirava sentimenti che non aveva mai provato prima. Non fosse stata certa delle proprie tendenze, avrebbe cominciato a credere di essere attratta da lei. Ma Rachel sapeva che non si trattava di quello: non era amore, non di quel genere almeno. Era un attaccamento profondo, un’ammirazione senza pari, un legame che sentiva consolidarsi con la sua sola vicinanza. La margherita si protendeva fino ad arrotolare il suo gambo esile attorno a quello spinoso della rosa nera. E lì si sentiva a casa, non provava nemmeno dolore. Anche perché il fiore più grande non voleva provocarglielo.
-Rach, ma fammi capire. È vero che te la sei fatta sotto quella notte famosa?- riprese Zoe d’improvviso. Rachel si sentì sprofondare e sperimentò un tuffo al cuore. Ricordare era atroce e per di più non voleva farlo proprio accanto a Zoe.
-Sì- ammise costernata -ma credevo che considerassi maiali e oche tutti quelli che mi prendono in giro- aggiunse quasi piagnucolante. In effetti, quando si sentì parlare, Rachel avrebbe voluto riavvolgere il nastro ed evitarsi quell’altra bambinata.
-Infatti. Volevo soltanto sapere se era vero oppure se si trattava solo di una malignità detta per farti stare peggio. Ne sarebbero stati capaci- spiegò serena e tranquilla la dark, senza minimamente preoccuparsi di essere stata fraintesa.
-Quindi a te non importa?- domandò Rachel speranzosa. -Ma va’. Idiozie. Tutti quelli che ti sfottono lo fanno solo perché sono intelligenti quanto un feltrino e sensibili quanto un paio di ciabatte. Lasciali stare, tutti quanti. Fai bene a voler superare la tua paura, ma devi farlo per te stessa, non per loro. Non dovresti nemmeno starli a sentire-.
Rachel sorrise tra sé e sé e le strinse la mano. -Grazie, Zoe- le disse commossa. -Di che? Ci si aiuta e consiglia tra amiche, no?-.
Amiche. Rachel sentì in quel momento che avrebbe dato la vita pur di restare per sempre amica di Zoe, la sua rosa nera che non la affliggeva con le sue spine che invece riservava senza pietà agli altri. Si sentiva una privilegiata. Ma forse era perché era riuscita a capirla.
-Ora basta parlare. Concentrati sul buio. Impara a riconoscerlo- le suggerì infine a bassa voce.
-L’uomo muore di freddo, non di oscurità- recitò Rachel sussurrando a propria volta.
-Brava, colombina. Impari in fretta- scherzò Zoe. E la fece sorridere.
 
**
Erano andate avanti così per sei mesi interi, ormai era maggio, la scuola sarebbe finita di lì a poco. Le prese in giro continuavano e di certo non accennavano a diminuire, ma ormai non le importava più molto. Come le aveva suggerito Zoe, Rachel aveva intenzione di superare la sua paura per il suo stesso bene, per sentirsi finalmente in pace con se stessa.
Ormai soprassedeva quando si sentiva chiamare piscialletto, e questo accadeva tutti i giorni.
Stava spesso insieme a Zoe, anche durante l’intervallo e ai cambi d’ora, ogni volta che le fosse possibile; ciò che più le faceva piacere era il fatto che tante volte fosse proprio la sua amica dark ad andarla a cercare. Lei era meravigliosa. Era fantastico starle accanto, anche se cominciava a non avvertire più tutta quell’eccitazione al riguardo. Si stava trasformando in una cosa normale.
Un po’ come valeva per il buio. Ci era voluto molto, ma alla fine, un paio di settimane prima, era riuscita a restare nella camera di Zoe con tutte le candele spente senza provare più alcun tipo di paura, senza avvertire più quel silenzio agghiacciante e senza più percepirsi addosso le mani gelide che creava la sua suggestione.
Negli ultimi giorni Zoe l’aveva anche lasciata da sola nella sua stanza per un’ora intera ogni volta, per assicurarsi che non fosse la sua compagnia a tranquillizzarla. Ma no, Rachel non aveva avuto paura comunque, si era sentita serena. Si rendeva conto che Zoe aveva avuto ragione fin dal principio: lei doveva soltanto conoscere il buio, familiarizzare con lui, niente di più, niente di complesso. Era stato quasi gratificante rendersene conto e costatare i progressi che faceva di volta in volta. Era riuscita a comprendere il buio, a capire che in esso non esisteva nulla da temere.
Quando ne aveva avuto paura il problema risiedeva nella sua testa, aveva solo dovuto estirparlo con le buone maniere, mettendosi di fronte alle sue debolezze per gradi, senza forzature, e alla fine aveva raggiunto il suo traguardo tanto agognato.
Era persino diventata di famiglia in casa di Zoe; ormai conosceva sua madre, e spesso restava da loro a cena. Con loro si sentiva quasi a casa.
Aveva anche accennato ai suoi genitori di questa nuova amicizia, certo senza mai scendere nel dettaglio, e loro erano stati contenti di vederla finalmente serena e di sapere che a scuola c’era qualcuno in grado di capirla e di starle vicino.
Insomma, le cose non sarebbero potute andare meglio di così.
Zoe le aveva anche detto che ormai era pronta.
   
 
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