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Autore: Eibhlin Rei    20/09/2016    4 recensioni
[...] “Se durante un bombardamento non temi più per la tua vita, vuol dire che ti sei abituata alla guerra”.
E a Cecilia Tallis era successo proprio questo.
Ormai, i boati delle bombe non la spaventavano più. Era stanca, talmente tanto che avrebbe potuto mettersi a dormire senza prestarvi la minima attenzione. Eppure c’era qualcosa che glielo impediva. Nemmeno il suono proveniente dall’armonica del ragazzo vicino a lei era capace di scacciare questa sensazione. Non riusciva a capire cosa fosse o da cosa fosse causata. Semplicemente, sentiva di non poter chiudere gli occhi e riposare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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15 Ottobre 1940
Stazione della metropolitana di Balham
 
In momenti come quelli, si ritrovava sempre a pensare alla “vecchia Delrose”, come la chiamavano le sue compagne. Corpulenta, arcigna e scorbutica, era stata lei a prenderla sotto la sua ala durante il suo tirocinio da infermiera.
I primi tempi non erano stati affatto facili, con il suo “Tallis!”, urlato sempre come un rimprovero, che ogni volta le faceva venire i brividi, ma nei confronti di quella donna, che aveva operato anche durante la Grande Guerra ed era stata persino inviata al fronte, aveva sempre provato un rispetto quasi religioso. E, piano piano aveva imparato a trovarsi a suo agio con i suoi modi bruschi e diretti. Anzi, ci si era quasi affezionata.
Più nello specifico, le tornava sempre alla mente una cosa che le aveva detto: “Se durante un bombardamento non temi più per la tua vita, vuol dire che ti sei abituata alla guerra”.
E a Cecilia Tallis era successo proprio questo.
Ormai, i boati delle bombe non la spaventavano più. Era stanca, talmente tanto che avrebbe potuto mettersi a dormire senza prestarvi la minima attenzione. Eppure c’era qualcosa che glielo impediva. Nemmeno il suono proveniente dall’armonica del ragazzo vicino a lei era capace di scacciare questa sensazione. Non riusciva a capire cosa fosse o da cosa fosse causata. Semplicemente, sentiva di non poter chiudere gli occhi e riposare.
Inspirò profondamente e si sollevò leggermente col busto per guardarsi attorno, cercando di non muoversi troppo. Al bambino che dormiva abbracciato a lei, con la testa posata sulla sua coscia, c’erano volute più di due ore per addormentarsi.
Grazie a Dio, lui alla guerra non ci si era abituato e Cecilia si augurava che quel conflitto finisse abbastanza presto da dargli modo di non farlo. Era convinta che un bimbo così piccolo non avrebbe neanche dovuto sapere che tipo di rumore potesse provocare l’esplosione di una bomba.
Lo aveva stretto, gli aveva accarezzato i capelli e aveva asciugato le sue lacrime, come era solita fare con Briony quando aveva un incubo. “Torna”, le diceva sempre. “Torna da me.”
Briony… erano anni che non la vedeva.
L’ultimo ricordo che aveva di lei risaliva al giorno in cui se n’era andata via di casa, poco tempo dopo l’arresto di Robbie. Nella sua mente, sua sorella era rimasta così, come congelata in quell’attimo, con gli occhi rossi e il viso rigato dalle lacrime, mentre lei le voltava le spalle e si incamminava lungo il viale, portando con sé solo una piccola valigia e ignorando il suo richiamo.
Ogni tanto le capitava di chiedersi che cos’avrebbe fatto se se la fosse ritrovata davanti. L’avrebbe riconosciuta? Chissà se la Briony diciottenne portava ancora il caschetto o se si era lasciata crescere i capelli? Le avrebbe fatto uno strano effetto vedere anche lei – l’aspirante scrittrice! – con indosso la divisa bianca da infermiera?
In ogni caso, qualunque fosse stato il suo aspetto, Cecilia era piuttosto sicura che il suo primo istinto sarebbe stato quello di prenderla a schiaffi, afferrarla per i capelli e trascinarla davanti al giudice per costringerla a confessare la sua colpa e ad ammettere di non essere altro che una piccola bugiarda.
Ma a cosa sarebbe servito, ormai? Dopo cinque anni nessuno – né il giudice, né i loro genitori, né Leon, né Lola, né i suoi fratelli – avrebbe dato loro ascolto, né avrebbe mai creduto a Briony, convinti quanto lo era lei che la sua menzogna fosse una verità indiscutibile.
Che dire? Quel giorno aveva fallito nell’intento di inscenare la sua commedia Le Disavventure di Arabella, ma era riuscita ad incastrare lei e Robbie mettendone su un’altra che, ancora oggi, nessuno degli attori si era stancato di interpretare.
Così disgustosamente ottusi nel loro borghese senso di superiorità, i suoi genitori avevano avuto l’occasione per togliersi di torno il figlio, scomodamente troppo intelligente e colto, di una domestica e l’avevano presa al volo.
Sospirò. Probabilmente si sarebbe limitata a fissare Briony in silenzio, rispondendo in modo secco e laconico ad ogni domanda e troncando sul nascere ogni suo tentativo di fare conversazione. Non l’aveva ancora perdonata. Forse, non l’avrebbe fatto mai. O almeno, non avrebbe perdonato quella Briony.
Per Cecilia, sua sorella si era come divisa in due persone separate a partire da quella maledetta sera. Magari avrebbe perdonato la Briony bambina, quella che non aveva rovinato tutto, che le mancava e a cui ancora voleva bene.
La Briony di adesso, invece, quella che continuava a scriverle lettere in cui parlava della sua vita da infermiera tirocinante come di una sorta di “cammino verso la redenzione” o di “espiazione della sua colpa”, non le pareva altro che un’estranea: nei suoi confronti non riusciva a provare niente che non fosse risentimento o rabbia.
Rimetterle insieme, concentrando su una persona unica quell’affetto e quel rancore, sarebbe stato impossibile. Avrebbe rischiato di farla impazzire. Era più facile tenerle separate: amarla nel passato ed odiarla nel presente.
Rendendosi conto di starsi guardando attorno senza nemmeno avere idea di cosa stesse cercando, Cecilia tornò a sdraiarsi completamente.
Tutte le volte che provava ad immaginarsi cosa sarebbe potuto succedere, l’unica conclusione che riusciva a raggiungere era che Robbie dovesse tornare da lei.
Ritornò col pensiero a quel momento, quando era riuscita a raggiungerlo prima che lo portassero via. “Ti amo”, gli aveva detto. “Torna. Torna da me.”
Lui l’avrebbe ritrovata, ne era convinta. Allora, tutto sarebbe andato bene. Non avrebbe più dovuto aggrapparsi alle sue lettere per sapere come stava e per avere con sé qualcosa di suo. Non ce ne sarebbe stato alcun bisogno perché, finalmente, l’avrebbe avuto accanto.
Ti amo.
Sarebbero andati a vivere in quel cottage sulla costa di cui gli aveva parlato. Sarebbe stato il loro paradiso. Cecilia avrebbe asciugato le sue lacrime, l’avrebbe ascoltato e rassicurato ogni qualvolta gli orrori della guerra si fossero ripresentati. Lei sarebbe stata lì a sostenerlo e a confortarlo. Avrebbero ricominciato a vivere, insieme.
Ti aspetto.
Avrebbero nuotato nel mare, passeggiato sulla spiaggia, guardato l’alba e il tramonto stretti l’uno all’altra, si sarebbero sposati e avrebbero fatto l’amore senza più aver paura di essere scoperti. Magari avrebbero anche avuto dei bambini. Lanciò un’occhiata al piccolo che dormiva beatamente e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. Riusciva già a vedere Robbie come un padre. Chissà se qualcuno dei loro figli avrebbe ereditato i suoi occhi blu?
Torna.
Tutto sarebbe stato come doveva essere. Laggiù, la menzogna di Briony sarebbe stata priva di ogni potere e non sarebbe più riuscita a separarli e a distruggere la loro felicità.
Torna da me.
L’improvvisa stretta dell’abbraccio del bambino la distolse da quei pensieri. Una bomba doveva essere caduta vicino alla stazione, causando un boato più forte degli altri che doveva averlo svegliato.
Subito dopo, qualcos’altro catturò la sua attenzione: la lampada, posta proprio sopra di lei, pareva non funzionare bene e per diversi secondi la luce andò via e tornò. In realtà, non le sembrava ci potesse essere alcuna importanza in una cosa del genere – magari la lampadina doveva solo essere sistemata o sostituita –, eppure, per qualche strano motivo non riusciva a smettere di fissarla.
Ci fu un’altra esplosione, ancora più forte, ancora più vicina, seguita da quello che sembrava il trambusto di un crollo. Il ragazzino si strinse ancora di più a lei, terrorizzato. Cecilia si tirò su col busto, fissando l’uscita del tunnel con gli occhi sbarrati, mentre un pensiero orribile si faceva strada nella sua mente.
No…
Ma fu ciò che venne dopo, quello che le sembrava il rumore di una cascata, a farle gelare il sangue nelle vene. Non era stata l’unica ad accorgersene: il panico si stava rapidamente diffondendo a macchia d’olio attorno a lei.
Oddio, no.
La luce saltò, questa volta definitivamente. In preda al terrore, Cecilia strinse a sé il bambino e cercò di mettersi in piedi, ma non fu facile. Anche gli altri si erano alzati e stavano cercando di scappare e in molti non si fecero scrupoli a spingerla di nuovo a terra, purché lei non passasse loro avanti. In poco tempo, la folla sonnolenta che riempiva il tunnel si era trasformata in una fiumana di anime disperate.
Finalmente riuscì ad alzarsi e prese in braccio il bambino, che nascose il viso contro la sua spalla. Erano riusciti a fare appena qualche metro – un grande traguardo, visto il caos che si era scatenato – quando arrivarono le urla.
Un attimo dopo, l’ondata la travolse. L’impatto fu dolorosissimo, come ricevere una pioggia di mattoni sulla schiena e sulla nuca. Il bambino le fu strappato dalle braccia. Cecilia cercò di riafferrarlo, ma non ci riuscì.
Qualcosa la colpì alla testa – forse una gamba – e qualcuno la afferrò per i capelli, come se fossero stati un appiglio sicuro per evitare di essere trascinato via. Gli affondò le unghie nella mano, riuscendo a liberarsi dalla sua presa, e cercò di capire da che parte potesse trovarsi l’uscita adesso.
Devo uscire. Non posso morire qui! Non posso morire adesso!
Una bracciata, un’altra e un’altra ancora. Cecilia si dimenava con disperazione, nuotando e cercando di opporsi alla forza che la spingeva indietro, ma sembrava tutto inutile. L’acqua le bruciava la gola e le riempiva i polmoni. I suoi movimenti erano sempre più deboli, la vista sempre più appannata, l’uscita sempre troppo lontana. Con orrore, si rese conto che non sarebbe mai riuscita a raggiungerla prima di perdere i sensi.
Robbie!
Ma in quel momento, mentre la corrente scaraventava il suo corpo ovunque, mentre i sensi la stavano abbandonando, la verità, che per il troppo dolore aveva cancellato e sostituito con vane ed infantili speranze, si ripresentò. E Cecilia capì, anzi, ricordò che quelle speranze non si sarebbero mai avverate.
Le lettere e la foto del cottage che le erano state recapitate a metà giugno con tanto di condoglianze, il fatto che da mesi non si stessero scrivendo più… Robbie non sarebbe mai tornato da lei.
Robbie era morto a Bray Dunes.
E lei era stata una bugiarda. Come Briony, anzi, peggio di lei: era stata così brava da essere riuscita a mentire anche a sé stessa.
Robbie…
Per un istante, le sembrò di vedere il suo viso. Poi, il buio la inghiottì.
 
Qualcuno le passò un braccio attorno alla vita e Cecilia si sentì trascinare verso l’alto. Chiunque fosse, lo lasciò fare, troppo stanca per reagire e impossibilitata a chiedergli di lasciarla lì ad annegare. Quando riemersero, il suo salvatore iniziò subito a colpirla ripetutamente sulla schiena.
Non sapeva cosa fosse più doloroso, se quelle percosse o l’acqua che le raschiava la gola come una lima arrugginita. Avrebbe voluto pregarlo di smetterla, ma lui continuò finché non fu certo che la ragazza non avesse più acqua nei polmoni.
Finalmente libera di respirare di nuovo, ma spossata, Cecilia si sentì quasi svenire e crollò con la testa sulla sua spalla, incapace persino di aprire gli occhi. Sentì che avevano iniziato a muoversi, sicuramente la stava portando fuori dalla stazione.
“Lasciami qui”, avrebbe voluto dirgli. “Robbie non tornerà, lasciami morire.” Ma non ci riuscì e rimase inerte tra le sue braccia, mentre l’aria le riempiva i polmoni. Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma le sembrava che l’aria di Londra non avesse mai avuto un profumo tanto meraviglioso.
Il livello dell’acqua si faceva sempre più basso e, quando si fermarono, Cecilia avvertì i suoi piedi nudi – l’ondata che si era abbattuta su di lei doveva averle fatto perdere le scarpe – strusciare contro qualcosa che decisamente non aveva la consistenza delle mattonelle di cui era fatto il pavimento della stazione. Era più morbido, quasi polveroso, con quei granelli che le si infilavano tra le dita… e non era l’unica cosa strana: sentiva l’odore del mare e il rumore delle onde e sarebbe stata pronta a giurare di aver udito in lontananza il garrito di un gabbiano.
«Cee, mi senti?», chiese con tono allarmato la persona che l’aveva salvata, battendole leggermente la mano sulla guancia.
Fu come se una scossa elettrica avesse attraversato tutto il suo corpo. Quella voce.
Non è possibile.
Spalancò gli occhi, incredula, e per poco non perse di nuovo conoscenza. Era lui. La teneva stretta come a volersi assicurare che le onde non gliela portassero via.
Cecilia si diede una rapida occhiata attorno. Il mare, il cielo, la costa, i gabbiani… il cottage. Il suo sguardo si soffermò su quell’ultimo particolare. Le assi bianche, le finestre blu… Infine tornò a guardare il ragazzo. Non riusciva a capire come potesse essere possibile.
Boccheggiò. «Robbie», riuscì a dire con un filo di voce. «Oddio, non… t-tu… tu sei…», ma non riuscì a dire altro, troppo sconvolta anche solo per provarci.
Era davvero lui. Aveva i capelli bagnati, appiccicati alla fronte, le labbra livide per il freddo dell’acqua e un’espressione che oscillava tra il preoccupato ed il confuso. Ed era vivo. «Cee, che cos’hai?»
«Sei… sei tu…»
Nonostante la perplessità, il ragazzo riuscì a ribattere con un sorrisetto: «Chi altro dovrei essere?».
Lei rimase di nuovo senza fiato. Non poteva crederci.
«Sei vivo…»
«Ma certo che sono vivo… guarda che sei tu quella che ha rischiato di annega–» Fu costretto a interrompersi: Cecilia gli aveva gettato le braccia al collo e aveva premuto le labbra contro le sue.
Dapprima sorpreso, Robbie la avvicinò ancora di più a sé e rispose a quel bacio così bisognoso e disperato.
Robbie era vivo. Il suo Robbie era vivo. Dio, quanto le era mancato.
Quasi senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere di gioia. Lo strinse, gli accarezzò il volto, gli passò le dita tra i capelli. Era vivo ed era lì con lei.
Non si separò da lui finché non iniziò a mancarle l’aria. Era frastornata, le girava la testa, ma aveva una gran voglia di ridere e di baciarlo di nuovo.
«Non ci… non ci credo…», ansimò, prendendogli il viso tra le mani. «Robbie…»
Anche lui era rimasto senza fiato. «Devo ricordarmi di salvarti la vita più spesso, se questa è la ricompensa.» Sorrise. «O era solo un modo per consolarmi del fatto che stasera è il mio turno?»
Cecilia lo guardò senza capire. «… turno?»
«Sì, in cucina… ma se anche oggi vuoi farlo tu non mi offendo.»
«Anche oggi?», ripeté lei, sempre più confusa.
Robbie aggrottò le sopracciglia e la preoccupazione si riaffacciò sul suo volto. «Cee, ti senti bene?» Le sfiorò una guancia. «Stai piangendo… hai di nuovo avuto quell’incubo mentre eri svenuta?»
«Incubo? Di che parli?»
Il suo sguardo si rabbuiò. «La metropolitana allagata… io che morivo in Francia…»
Cecilia trattenne il fiato per qualche istante dopo aver sentito quelle parole. «Un incubo…», riuscì ad articolare alla fine. «Era… era solo un incubo?» Eppure le era sembrato così reale…
Robbie annuì e le sorrise con fare rassicurante, avvicinando di nuovo il viso al suo. «Sono qui, Cee. E ti amo.»
La vista le si appannò a causa delle lacrime, ma Cecilia non avrebbe potuto essere più felice. «Ti amo anch’io.»
Le loro labbra si unirono di nuovo, stavolta con più passione. «Sei tornato», sussurrò lei tra un bacio e l’altro. «Sei tornato da me.»


«Dio mio, che disastro... una vera catastrofe.»
«Questa ragazza...»
«La conosci?
»
«Sì, si chiamava Cecilia Tallis... faceva l’infermiera.»
«Sai se ci sono dei parenti da avvisare?»
«Non ne sono sicuro, ma... credo che avesse un marito o un fidanzato nell'esercito. Pare che sia tra quelli che non ce l’hanno fatta.»
«Poveri ragazzi... e non aveva nessun’altro?»
«So che aveva interrotto i contatti con i genitori. Ma ci dovrebbe essere una sorella, anche lei è uninfermiera. Dovrebbe chiamarsi Briony...»
 
 
   
 
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