Matt
Appena fui
certo che si fosse addormentata, con estrema cautela feci scivolare il
mio
braccio da sotto al suo collo e lentamente mi alzai dal letto. Mi
girava un po’
la testa, l’alcol era ancora in circolo e si faceva sentire.
Trovai le scarpe
vicino alla scrivania e, una volta infilate, uscii da camera sua
cercando di
fare il meno rumore possibile, per infine riuscire a sgattaiolare fuori
da
quella casa esattamente come avrebbe fatto un ladro. Sua madre e la sua
insofferenza nei miei confronti fortunatamente non erano ancora
rientrate,
evitai così di incorrere in uno spiacevole incontro.
Percorsi il vialetto ed in
pochi passi arrivai in strada, una trentina di metri più
là c’era la mia Ford
parcheggiata, un silenzio di tomba a farmi compagnia.
Aprii la
portiera, mi sedetti sul sedile e lasciai cadere la testa
all’indietro contro
lo schienale. Inspirai profondamente e mi accorsi che mi tremava una
mano.
Diedi un pugno contro il volante.
Mi sentivo
confuso. Era successo quello che avevo sperato non accadesse, anche se
l’avevo
comunque messo in conto decidendo di presentarmi a casa sua. Quello che
mi
aveva lasciato di stucco, però, era il fatto che non ero
stato io a portarci
dove eravamo arrivati, ma lei. Lei mi aveva provocato e io –
lo sappiamo
benissimo tutti – non so resistere alle provocazioni. Non che
non ci avessi
provato per un po’, ma il mio scarso impegno e la voglia
pazza di assaggiare
quelle labbra rosa avevano sopraffatto il mio buonsenso. Sentivo ancora
il
corpo carico di tensione ripensando a quando mi aveva preso la mano per
appoggiarla
al suo fianco appena scoperto dalla maglietta leggermente arruffata,
sentivo il
desiderio che aveva preso possesso di me e non mi aveva lasciato alcuna
alternativa. L’avevo attirata verso di me, proprio quando lei
aveva vacillato -
forse spaventata quanto lo ero io -, spinto
dall’irrefrenabile voglia di capire
cosa si provasse a baciare Gwen Morrissey, a toccare quelle labbra, a
sfiorarle, a succhiarle via. Ed era stato bello. Assurdamente bello.
Lei si era
lasciata andare, trasportare da quel meraviglioso - quanto strano
– momento,
avevo sentito le sue dita tra i miei capelli, intrecciarsi ad essi e
poi tirare
ogni volta che il bacio si faceva più intenso, mentre la mia
smania di averla
cresceva sempre di più. Si allontanava da me e poi, come se
la mia bocca fosse calamitata,
tornava più prepotente e sicura di prima, ed io impazzivo.
Il mio corpo
impazziva. Ed era stato difficile tenerlo a bada. Ma non successe nulla
di più,
solo tanti, troppi baci, fino quasi allo sfinimento. Fino a quando lei
non mi
disse sottovoce che era così tanto che aspettava quel
momento che pensava non
sarebbe mai arrivato. Mi disse che era felice e io mi sentii come se
qualcuno
mi avesse appena tirato un pugno nello stomaco. La strinsi a me, non le
dissi
nulla, le diedi solo un piccolo bacio sulla fronte per poi chiudermi in
me
stesso in un religioso silenzio, mentre lei si addormentava, su quel
tappeto,
con un piccolo sorriso disegnato sulle labbra.
Ed ero ancora lì, seduto in auto, al buio, spaventato e
confuso. Non capivo. Emozioni
contrastanti popolavano la mia mente e il mio corpo. Da una parte
sapevo che mi
era piaciuto, che avrei voluto rifarlo, che sarei potuto andare oltre,
ma
dall’altra pensavo di aver fatto un errore enorme. Mi aveva
fatto capire che
per lei era stato molto di più di un semplice bacio, che era
da molto tempo che
desiderava accadesse, che, quindi, avrebbe quasi certamente voluto di
più ed io
non sapevo se fossi davvero in grado di poterle dare quello di cui
aveva
bisogno, perché sapevo benissimo che Gwen non era una di
quelle ragazze che si
accontentano di poco. Mi conoscevo troppo bene e sapevo di non essere
capace di
portare avanti una relazione, mentre lei non riusciva a non impegnarsi,
in ogni
cosa che facesse, che fosse per la preparazione di un esame in
università o in
un rapporto, dava sempre tutto, dava sé stessa al cento per
cento e per questo
io non andavo bene per lei. Io non ero così, io non ne ero
capace.
Ero certo di aver provato qualcosa di diverso dal solito,
un’emozione lontana
dalle ordinarie, qualcosa a livello dello stomaco. Un po’
come quando si dice
“avere le farfalle nello stomaco” e senti quella
specie di ansietta che ti
prende proprio lì, ma sai che in fin dei conti è
un’ansia buona perché ti sta
per succedere qualcosa di bello. Ed in effetti era proprio stato
così.
Presi un
respiro e misi in moto la macchina. Con calma, visti i postumi della
sbronza,
mi diressi verso il mio appartamento. Una volta dentro, mi spogliai e
mi buttai
a letto per ripiombare subito in quel fastidioso vortice di pensieri
che sapevo
non mi avrebbe lasciato stare senza farmi dannare per almeno un
po’ di tempo.
Come mi sarei comportato il giorno dopo? Cosa le avrei detto? Avrei
dovuto
mandarle un messaggio con un ipocrita “buongiorno
bellissima”? Io non ero per
quelle cose, almeno che non avessi voglia di scopare. Ed in effetti
prima avevo
avuto voglia di scopare con lei. Volevo soffocarmi con il cuscino pur
di non
continuare a pensare a cosa avrei dovuto fare.
Tutto era
contro a quella stupida debolezza che avevo avuto nei confronti di
Gwen. Era
stata la fidanzata di uno dei miei più cari amici, io ero un
pezzo di merda
complessato con fin troppi problemi, l’avrei fatta soffrire
quasi sicuramente e
– ciliegina sulla torta – l’avrei persa.
Non sapevo cosa fare, se lasciarmi andare e vedere cosa sarebbe
successo o
chiuderla subito lì, sperando intensamente di riuscire a non
rovinare nulla. Ma
pensai a quel bacio – a quei baci – e un brivido mi
percorse la schiena, pensai
alle sue mani su di me e mi resi conto che non sarebbe stato facile
rinunciarci. Contro ogni aspettativa, mi addormentai con quelle
immagini.
Mi svegliai di
soprassalto e mi accorsi che il mio telefono stava suonando,
trapanandomi il
timpano sinistro – il più vicino al comodino, dove
il bastardo vibrava senza
sosta. Diedi un’occhiata veloce alla sveglia. Quasi la una di
pomeriggio, avevo
decisamente recuperato le ore di sonno perdute durante la vacanza al
mare. Mi
sporsi verso il telefono e lo afferrai. La faccia di Dominic
lampeggiava insistentemente
sullo schermo.
«Ciao.» Dissi,
con la voce ancora impastata di sonno, cercando di trattenere uno
sbadiglio.
«Sì, ciao ciao
anche a te.» Fece. «Sono due ore che ti mando
messaggi.»
«Stavo
dormendo.» Mi lamentai. «Faccio il turno serale,
oggi.»
«Già.» Si
ricordò lui. «Comunque ho saputo cose.»
«Cose.»
Ripetei. «Cose di che tipo?»
«Del tipo che
ieri sera ti sei fatto Gwen. Ripeto. Gwen.
E poi sei scappato.» Mi spiegò, con un risolino
tra il divertito e
l’accusatorio.
Fantastico. Fare
la figura dello stronzo potevo toglierlo dalle cose della lista da fare.
«Non sono
scappato.» Mi difesi. «Poi tu come fai
già a saperlo?»
«Gwen l’ha
detto a Lola, Lola l’ha detto a me. Facile.»
«Oh,
vaffanculo. Tu e quell’impicciona di Lola.» Lui
rise ed io mi alzai dal letto
per dirigermi in cucina.
«Gran colpo da
maestro.» Mi prese in giro.
«Senti, i sensi
di colpa me li sono già fatti venire da solo, non metterci
del tuo.»
Presi una tazza dalla credenza e accesi la macchinetta del
caffè.
«Poi non me la
sono mica scopata.» Aggiunsi.
«Che volgare
che sei a parlare così della tua migliore amica.»
Continuò, con quel tono da
presa per il culo.
«Hai voglia di
prenderle?» Domandai e lui rise di nuovo.
«Fai il bravo,
che Lola ha già intenzione di spaccarti la faccia.»
Questa volta
risi io, poi bevvi un sorso di caffè fumante.
«Credo che voi
due dobbiate iniziare a farvi gli affari vostri.» Dissi, poi.
«E ma non
sarebbe più divertente…» Fece lui,
divertito.
Ci fu un attimo
di silenzio in cui, probabilmente, entrambi decidemmo di far diventare
quella
telefonata qualcosa di più serio di quattro insulti tra una
risata e l’altra.
«Senti, non so
cosa ti sia saltato in mente, ma non so se è stata proprio
una buona idea.»
Disse Dom.
«Lo so, cazzo.»
«Cioè, dipende
da quello che hai intenzione di fare adesso. Perché il fatto
che tu te ne sia
andato subito dopo il fattaccio non fa iniziare bene le cose. Sempre
che tu le
voglia far iniziare, poi…»
«Io-» Mi
bloccai e guardai verso l’alto, una macchia di muffa mi
salutò. «Io non lo so
cosa ho intenzione di fare, Dom.» Continuai, questa volta
tornando a fissare la
tazzina di caffè che tenevo in mano.
Silenzio. Un
silenzio in cui mi vennero alla mente le emozioni della sera prima.
«Gwen mi
piace.» Dissi, poi.
«Come amica.»
Mi suggerì lui.
«Non ne sono
più sicuro.»
«Questo
significa che potrebbe esserci la possibilità che tu voglia
qualcosa di più di
una semplice scopata?»
«Sì.»
Sussurrai, quasi avessi paura a dirlo.
Lui gridò al
miracolo dall’altra parte della cornetta.
«Così andiamo
bene, amico, così andiamo bene.» Mi disse poi,
sollevato.
«È stato
diverso dalle altre volte.» Cercai di spiegare.
«In effetti,
già solo il fatto che tu ti sia fermato ad un semplice
bacio, senza sentire il
bisogno di sbattertela in camera sua è sì diverso
dal solito.» Ridacchiò.
«Coglione.»
«A parte gli
scherzi, non fare lo stronzo con lei. Chiamala, okay?»
«Lo farò.»
Promisi, più a me stesso che a lui. «È
che sono un po’ confuso. Ieri sera è
stato tutto così strano.»
«Lo so, lo so.
Matthew Bellamy non è abituato a certe cose.»
«Le vuoi
prendere, ormai è appurato.»
Ridemmo
entrambi.
«Stasera magari
passo al pub a trovarti.» Disse.
«Sempre che tu
non abbia di meglio da fare.» Gli risposi, alludendo a lui e
Lola.
«Ovviamente.»
«Quindi
sicuramente no, perché non te la darà
mai.» Ridacchiai.
«Ciao,
stronzo.» Mi salutò lui.
«Ciao,
carissimo.» Terminai così quella telefonata.
Finii poi di
bere il caffè appoggiato al bancone della cucina e andai in
bagno per farmi un
doccia e cercare di schiarirmi un po’ le idee. Sotto
l’acqua ricordai di averla
sognata, quella notte. Ricordai che c’erano il mare e le
stelle e lei che
veniva verso di me con quel vestito bianco e aderente al suo corpo
perfetto,
mentre io la guardavo incantato. E, proprio come quella sera in
vacanza, la
trovavo bellissima e sentivo un’irrefrenabile voglia di
toccarla.
Mentre mi
lavavo i capelli pensai a cosa avrei dovuto dirle più tardi.
Di certo ci era
rimasta male per non avermi trovato lì al suo risveglio,
forse era anche per
quello che non avevo trovato chiamate o messaggi da parte sua, ma avrei
cercato
di rimediare e di farmi perdonare, anche se non era il mio forte.
Decisi che
sarei andato da lei per provare a chiarire la situazione.
Senza
avvisarla, mi presentai a casa sua verso le cinque, un paio
d’ore prima
dell’inizio del turno al pub. Sapevo che sua madre non
sarebbe stata a casa
perché, a quanto mi aveva detto Gwen, da quando Nina si era
trasferita in città
per lavoro, il venerdì andava da lei per cenare insieme.
Così andai piuttosto
sul sicuro per quanto riguardava la questione “madri
iperprotettive e
rompicoglioni.” Se dovevo essere sincero, un po’ mi
dispiaceva che tra me e
Diane non ci fosse più quella specie di rapporto
madre-figlio che ci aveva
legato per molti anni, ma dall’altra parte non capivo nemmeno
il perché di un
cambiamento così radicale. Nonostante tutti i miei problemi,
tutte le stronzate
che avevo fatto – e che avrei continuato a fare –,
nonostante spesso avevo
sentito il bisogno di qualcuno che mi stesse vicino, che mi aiutasse,
non avevo
mai e poi mai messo in mezzo sua figlia. C’era stata per me,
certo, ma per
determinate cose no perché non avevo voluto. Ero un cazzone,
ma su certe cose non
transigevo e non mi sarei mai permesso di creare problemi ad altre
persone,
soprattutto se quelle persone erano ragazzine ingenue e troppo buone
per dire
di no e lasciar correre. Avrebbe fatto di tutto per me, se solo avesse
saputo.
Citofonai ed
attesi con un nodo alla gola che sembrava soffocarmi, mentre
giocherellavo con
i bottoni della camicia. Dopo un minuto buono sentii dei rumori al di
là della
porta, le chiavi girarono nella toppa ed ecco che mi trovai di fronte
due
bellissimi occhi azzurri incorniciati da un paio di occhiali da vista.
Aveva i
capelli raccolti in uno chignon tenuto insieme da una matita e addosso
una tuta
nera che metteva in risalto le forme del suo corpo. Tipica tenuta da
studio
intenso.
Le sorrisi cercando
di apparire il più dispiaciuto possibile e le porsi un
sacchettino. Mi guardò
storto senza ricambiare, ma poi lo afferrò e, quando lo
aprì, vidi l’angolo
della sua bocca distendersi in qualcosa che doveva assomigliare ad un
sorriso. Ero
passato in quel negozio di dolci in fondo alla strada per prenderle un
po’
delle sue caramelle preferite.
«Immagino tu
stia studiando, quelle sono per premio.» Dissi, dolcemente.
Lei finalmente
alzò lo sguardo.
«Beh, grazie?»
Rispose, cercando di mantenere un certo contegno.
«Sei
arrabbiata?» Chiesi, appoggiandomi allo stipite della porta
con l’avambraccio.
«Non sono
arrabbiata, solo che pensavo che dopo quello che ti ho detto ieri sera
non te
ne saresti andato così.» Mi spiegò,
finendo per mordersi il labbro inferiore.
«Sei delusa e
lo capisco.» Mormorai, facendo un piccolo movimento verso di
lei. «Giuro che
non l’ho fatto con cattiveria.»
Lei prese un
respiro e fece roteare gli occhi verso l’alto, poi
accennò un mezzo sorriso.
«È che sei il
solito stronzo e mi dimentico sempre di metterlo in conto.»
Disse, dandomi una
leggera spinta che mi fece dondolare sulla mia postazione.
«Però sono qui.»
Le dissi, subito dopo.
«Però sei qui.»
Mi guardò negli occhi, mordendosi un’unghia.
«E questo mi
rende un po’ meno stronzo.»
«Un pochino, ma
hai comunque il primato.»
«Mi fai
entrare?»
«Solo perché
hai portato le caramelle.» Rispose, afferrandomi il braccio
per trascinarmi
dentro.
Così mi lasciò
oltrepassare la soglia di casa e mi condusse in cucina, dove vidi la
penisola
completamente ricoperta di libri e fogli pieni di appunti. Fece un
po’ di ordine
e ci si sedette sopra per poi farmi segno di entrare.
«Accomodati
pure.» Disse poi, indicandomi una sedia.
Mi ci sedetti.
«Era tanto che
non ti vedevo con gli occhiali.» Commentai, lanciandole
un’occhiata.
«Li metto solo
quando studio tanto e ho bisogno di riposare gli occhi.»
Spiegò.
«Ti donano molto.»
Mi sfuggì, mentre le sorridevo.
Lei arrossì di
colpo e mi guardò male.
«Smettila di
fare il carino, non ti si addice.» Mi fece notare, con quel
suo musetto
imbronciato.
«E tu smettila
di stare sulle tue.» Dissi. «Sono qui e ho voglia
di parlare con te.»
Mi alzai e mi
posizionai di fronte a lei, ancora seduta sul tavolo.
«Parliamo
allora.» Rispose, come se mi stesse sfidando.
Perfetto. Forse
avrei preferito che mi tirasse uno schiaffone, perché non
avevo ancora la
minima idea di cosa avrei potuto dirle, in realtà speravo
fosse lei ad
iniziare. Rimasi, perciò, un attimo in silenzio per cercare
di mettere insieme
un discorso di senso compiuto.
«Cominciamo
bene, Matthew.» Mi disse, tagliente, qualche secondo dopo.
E tutto quel sarcasmo da dove era uscito? Doveva essere davvero offesa.
Io le feci un mezzo sorriso e mi decisi a parlare.
«Mi dispiace
essermene andato così, è che ero confuso,
Gwen.» Cominciai, ma venni subito
interrotto.
«Quindi sei qui
per dirmi di far finta che non sia successo nulla, perché
eravamo ubriachi e
bla bla bla?» Domandò, con cattiveria, ma anche
con una nota di delusione nella
voce.
«Ma sei capace
di tacere?» Dissi, aprendo le braccia in segno di disappunto
e lei mi rivolse
un’occhiata glaciale, ma rimase comunque in silenzio.
«Non sono qui
per questo.» Ripresi e la vidi farsi più
interessata a quello che stavo
dicendo.
Mi avvicinai di più a lei, facendomi spazio tra le sue gambe
leggermente
divaricate, mentre lei andò indietro col busto per cercare
di mantenere una
certa distanza di sicurezza.
«Mi sono
torturato il cervello per ore, Gwen. Per te. Per questa storia che
nella mia
testa ancora un senso non ce l’ha, ma sono comunque giunto
alla conclusione
che-» Mi bloccai, lei pendeva dalle mie labbra, si vedeva
benissimo, perciò la
lasciai lì così per qualche secondo.
«Che?» Chiese,
senza riuscire più ad aspettare.
«Che mi è
piaciuto da morire e che potrei fare un’eccezione alla
regola, solo per te.» Finii
di dire, avvicinandomi sempre di più, finché le
mie gambe non toccarono il
bordo del tavolo.
Vidi i suoi
occhi illuminarsi e le sue labbra allargarsi in un sorriso.
«Sarei la tua
eccezione?» Chiese, con speranza.
Non sapevo bene se quello che stavo facendo fosse giusto o meno, ma ci
avevo
riflettuto a lungo e, bene o male, qualsiasi cosa avessi deciso di fare
il
rapporto non sarebbe mai tornato quello di prima. Perciò
avevo optato per
provare qualcosa di nuovo, qualcosa che – speravo –
mi avrebbe dato di più
rispetto a quello che avevo avuto fino a quel momento. In quel caso,
però, dire
che provare non costava nulla non era vero, c’era solo
bisogno di coraggio e io
ne avevo da vendere.
Mi sporsi verso
il suo viso, sentivo il suo fiato caldo sul mio.
«Sì, lo
saresti.» Le dissi, poi, prima di posare un bacio dolcissimo
sulle sue labbra,
ritrovandomi così piacevolmente stupito di non essere solo
capace di dare baci
irruenti ed istintivi.
La sentii
sorridere nella mia bocca e stringere le braccia attorno al mio collo.
Ero felice.
Al tutto il resto
avrei pensato dopo. Solo strada facendo avrei capito cosa volevo
davvero, non
c’era altro modo per farlo.
Ehilà, eccomi qui di
nuovo. In questi giorni ho avuto un po' più di tempo quindi
ho aggiornato presto.
Matt finalmente si è fatto coraggio e ha deciso di mettersi
in
gioco, proprio come sperava Gwen, e renderla l'unica eccezione alle sue
ferree regole sulle relazioni. Ovviamente, però,
non
portà essere tutto sempre rose e fiori per la coppia
più
complessata della storia XD
Ho visto che i lettori sono aumentati e questo mi fa davvero molto
piacere. Non siate timidi, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ne approfitto per ringraziare Ashwini e OnlyHappyWhenItRains per la
loro fedeltà a questa storia e perché mi dedicano
sempre
un po' del loro tempo <3 (50shadesofLOTS_always spero tu ci sia
ancora tra i lettori ^^ )
Grazie a tutti, al prossimo capitolo.