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Autore: Lady Of The Flowers    20/09/2016    3 recensioni
Un gruppo di amici in vacanza insieme al mare e un amore (quasi) impossibile.
Matthew Bellamy è il tipico ragazzo che non ama legarsi, cinico e orgoglioso; Gwen Morrissey, la sua migliore amica da una vita. Qualcosa presto cambierà il loro rapporto.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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SI

Matt

Appena fui certo che si fosse addormentata, con estrema cautela feci scivolare il mio braccio da sotto al suo collo e lentamente mi alzai dal letto. Mi girava un po’ la testa, l’alcol era ancora in circolo e si faceva sentire. Trovai le scarpe vicino alla scrivania e, una volta infilate, uscii da camera sua cercando di fare il meno rumore possibile, per infine riuscire a sgattaiolare fuori da quella casa esattamente come avrebbe fatto un ladro. Sua madre e la sua insofferenza nei miei confronti fortunatamente non erano ancora rientrate, evitai così di incorrere in uno spiacevole incontro. Percorsi il vialetto ed in pochi passi arrivai in strada, una trentina di metri più là c’era la mia Ford parcheggiata, un silenzio di tomba a farmi compagnia.
Aprii la portiera, mi sedetti sul sedile e lasciai cadere la testa all’indietro contro lo schienale. Inspirai profondamente e mi accorsi che mi tremava una mano. Diedi un pugno contro il volante.
Mi sentivo confuso. Era successo quello che avevo sperato non accadesse, anche se l’avevo comunque messo in conto decidendo di presentarmi a casa sua. Quello che mi aveva lasciato di stucco, però, era il fatto che non ero stato io a portarci dove eravamo arrivati, ma lei. Lei mi aveva provocato e io – lo sappiamo benissimo tutti – non so resistere alle provocazioni. Non che non ci avessi provato per un po’, ma il mio scarso impegno e la voglia pazza di assaggiare quelle labbra rosa avevano sopraffatto il mio buonsenso. Sentivo ancora il corpo carico di tensione ripensando a quando mi aveva preso la mano per appoggiarla al suo fianco appena scoperto dalla maglietta leggermente arruffata, sentivo il desiderio che aveva preso possesso di me e non mi aveva lasciato alcuna alternativa. L’avevo attirata verso di me, proprio quando lei aveva vacillato - forse spaventata quanto lo ero io -, spinto dall’irrefrenabile voglia di capire cosa si provasse a baciare Gwen Morrissey, a toccare quelle labbra, a sfiorarle, a succhiarle via. Ed era stato bello. Assurdamente bello. Lei si era lasciata andare, trasportare da quel meraviglioso - quanto strano – momento, avevo sentito le sue dita tra i miei capelli, intrecciarsi ad essi e poi tirare ogni volta che il bacio si faceva più intenso, mentre la mia smania di averla cresceva sempre di più. Si allontanava da me e poi, come se la mia bocca fosse calamitata, tornava più prepotente e sicura di prima, ed io impazzivo. Il mio corpo impazziva. Ed era stato difficile tenerlo a bada. Ma non successe nulla di più, solo tanti, troppi baci, fino quasi allo sfinimento. Fino a quando lei non mi disse sottovoce che era così tanto che aspettava quel momento che pensava non sarebbe mai arrivato. Mi disse che era felice e io mi sentii come se qualcuno mi avesse appena tirato un pugno nello stomaco. La strinsi a me, non le dissi nulla, le diedi solo un piccolo bacio sulla fronte per poi chiudermi in me stesso in un religioso silenzio, mentre lei si addormentava, su quel tappeto, con un piccolo sorriso disegnato sulle labbra.
Ed ero ancora lì, seduto in auto, al buio, spaventato e confuso. Non capivo. Emozioni contrastanti popolavano la mia mente e il mio corpo. Da una parte sapevo che mi era piaciuto, che avrei voluto rifarlo, che sarei potuto andare oltre, ma dall’altra pensavo di aver fatto un errore enorme. Mi aveva fatto capire che per lei era stato molto di più di un semplice bacio, che era da molto tempo che desiderava accadesse, che, quindi, avrebbe quasi certamente voluto di più ed io non sapevo se fossi davvero in grado di poterle dare quello di cui aveva bisogno, perché sapevo benissimo che Gwen non era una di quelle ragazze che si accontentano di poco. Mi conoscevo troppo bene e sapevo di non essere capace di portare avanti una relazione, mentre lei non riusciva a non impegnarsi, in ogni cosa che facesse, che fosse per la preparazione di un esame in università o in un rapporto, dava sempre tutto, dava sé stessa al cento per cento e per questo io non andavo bene per lei. Io non ero così, io non ne ero capace.
Ero certo di aver provato qualcosa di diverso dal solito, un’emozione lontana dalle ordinarie, qualcosa a livello dello stomaco. Un po’ come quando si dice “avere le farfalle nello stomaco” e senti quella specie di ansietta che ti prende proprio lì, ma sai che in fin dei conti è un’ansia buona perché ti sta per succedere qualcosa di bello. Ed in effetti era proprio stato così.
Presi un respiro e misi in moto la macchina. Con calma, visti i postumi della sbronza, mi diressi verso il mio appartamento. Una volta dentro, mi spogliai e mi buttai a letto per ripiombare subito in quel fastidioso vortice di pensieri che sapevo non mi avrebbe lasciato stare senza farmi dannare per almeno un po’ di tempo.
Come mi sarei comportato il giorno dopo? Cosa le avrei detto? Avrei dovuto mandarle un messaggio con un ipocrita “buongiorno bellissima”? Io non ero per quelle cose, almeno che non avessi voglia di scopare. Ed in effetti prima avevo avuto voglia di scopare con lei. Volevo soffocarmi con il cuscino pur di non continuare a pensare a cosa avrei dovuto fare.
Tutto era contro a quella stupida debolezza che avevo avuto nei confronti di Gwen. Era stata la fidanzata di uno dei miei più cari amici, io ero un pezzo di merda complessato con fin troppi problemi, l’avrei fatta soffrire quasi sicuramente e – ciliegina sulla torta – l’avrei persa.
Non sapevo cosa fare, se lasciarmi andare e vedere cosa sarebbe successo o chiuderla subito lì, sperando intensamente di riuscire a non rovinare nulla. Ma pensai a quel bacio – a quei baci – e un brivido mi percorse la schiena, pensai alle sue mani su di me e mi resi conto che non sarebbe stato facile rinunciarci. Contro ogni aspettativa, mi addormentai con quelle immagini. 

 

Mi svegliai di soprassalto e mi accorsi che il mio telefono stava suonando, trapanandomi il timpano sinistro – il più vicino al comodino, dove il bastardo vibrava senza sosta. Diedi un’occhiata veloce alla sveglia. Quasi la una di pomeriggio, avevo decisamente recuperato le ore di sonno perdute durante la vacanza al mare. Mi sporsi verso il telefono e lo afferrai. La faccia di Dominic lampeggiava insistentemente sullo schermo.
«Ciao.» Dissi, con la voce ancora impastata di sonno, cercando di trattenere uno sbadiglio.
«Sì, ciao ciao anche a te.» Fece. «Sono due ore che ti mando messaggi.»
«Stavo dormendo.» Mi lamentai. «Faccio il turno serale, oggi.»
«Già.» Si ricordò lui. «Comunque ho saputo cose.»
«Cose.» Ripetei. «Cose di che tipo?»
«Del tipo che ieri sera ti sei fatto Gwen. Ripeto. Gwen. E poi sei scappato.» Mi spiegò, con un risolino tra il divertito e l’accusatorio.
Fantastico. Fare la figura dello stronzo potevo toglierlo dalle cose della lista da fare.
«Non sono scappato.» Mi difesi. «Poi tu come fai già a saperlo?»
«Gwen l’ha detto a Lola, Lola l’ha detto a me. Facile.»
«Oh, vaffanculo. Tu e quell’impicciona di Lola.» Lui rise ed io mi alzai dal letto per dirigermi in cucina.
«Gran colpo da maestro.» Mi prese in giro.
«Senti, i sensi di colpa me li sono già fatti venire da solo, non metterci del tuo.»
Presi una tazza dalla credenza e accesi la macchinetta del caffè.
«Poi non me la sono mica scopata.» Aggiunsi.
«Che volgare che sei a parlare così della tua migliore amica.» Continuò, con quel tono da presa per il culo.
«Hai voglia di prenderle?» Domandai e lui rise di nuovo.
«Fai il bravo, che Lola ha già intenzione di spaccarti la faccia.»
Questa volta risi io, poi bevvi un sorso di caffè fumante.
«Credo che voi due dobbiate iniziare a farvi gli affari vostri.» Dissi, poi.
«E ma non sarebbe più divertente…» Fece lui, divertito.
Ci fu un attimo di silenzio in cui, probabilmente, entrambi decidemmo di far diventare quella telefonata qualcosa di più serio di quattro insulti tra una risata e l’altra.
«Senti, non so cosa ti sia saltato in mente, ma non so se è stata proprio una buona idea.» Disse Dom.
«Lo so, cazzo.»
«Cioè, dipende da quello che hai intenzione di fare adesso. Perché il fatto che tu te ne sia andato subito dopo il fattaccio non fa iniziare bene le cose. Sempre che tu le voglia far iniziare, poi…»
«Io-» Mi bloccai e guardai verso l’alto, una macchia di muffa mi salutò. «Io non lo so cosa ho intenzione di fare, Dom.» Continuai, questa volta tornando a fissare la tazzina di caffè che tenevo in mano.
Silenzio. Un silenzio in cui mi vennero alla mente le emozioni della sera prima.
«Gwen mi piace.» Dissi, poi.
«Come amica.» Mi suggerì lui.
«Non ne sono più sicuro.»
«Questo significa che potrebbe esserci la possibilità che tu voglia qualcosa di più di una semplice scopata?»
«Sì.» Sussurrai, quasi avessi paura a dirlo.
Lui gridò al miracolo dall’altra parte della cornetta.
«Così andiamo bene, amico, così andiamo bene.» Mi disse poi, sollevato.
«È stato diverso dalle altre volte.» Cercai di spiegare.
«In effetti, già solo il fatto che tu ti sia fermato ad un semplice bacio, senza sentire il bisogno di sbattertela in camera sua è sì diverso dal solito.» Ridacchiò.
«Coglione.»
«A parte gli scherzi, non fare lo stronzo con lei. Chiamala, okay?»
«Lo farò.» Promisi, più a me stesso che a lui. «È che sono un po’ confuso. Ieri sera è stato tutto così strano.»
«Lo so, lo so. Matthew Bellamy non è abituato a certe cose.»
«Le vuoi prendere, ormai è appurato.»
Ridemmo entrambi.
«Stasera magari passo al pub a trovarti.» Disse.
«Sempre che tu non abbia di meglio da fare.» Gli risposi, alludendo a lui e Lola.
«Ovviamente.»
«Quindi sicuramente no, perché non te la darà mai.» Ridacchiai.
«Ciao, stronzo.» Mi salutò lui.
«Ciao, carissimo.» Terminai così quella telefonata.
Finii poi di bere il caffè appoggiato al bancone della cucina e andai in bagno per farmi un doccia e cercare di schiarirmi un po’ le idee. Sotto l’acqua ricordai di averla sognata, quella notte. Ricordai che c’erano il mare e le stelle e lei che veniva verso di me con quel vestito bianco e aderente al suo corpo perfetto, mentre io la guardavo incantato. E, proprio come quella sera in vacanza, la trovavo bellissima e sentivo un’irrefrenabile voglia di toccarla.
Mentre mi lavavo i capelli pensai a cosa avrei dovuto dirle più tardi. Di certo ci era rimasta male per non avermi trovato lì al suo risveglio, forse era anche per quello che non avevo trovato chiamate o messaggi da parte sua, ma avrei cercato di rimediare e di farmi perdonare, anche se non era il mio forte. Decisi che sarei andato da lei per provare a chiarire la situazione.

 

Senza avvisarla, mi presentai a casa sua verso le cinque, un paio d’ore prima dell’inizio del turno al pub. Sapevo che sua madre non sarebbe stata a casa perché, a quanto mi aveva detto Gwen, da quando Nina si era trasferita in città per lavoro, il venerdì andava da lei per cenare insieme. Così andai piuttosto sul sicuro per quanto riguardava la questione “madri iperprotettive e rompicoglioni.” Se dovevo essere sincero, un po’ mi dispiaceva che tra me e Diane non ci fosse più quella specie di rapporto madre-figlio che ci aveva legato per molti anni, ma dall’altra parte non capivo nemmeno il perché di un cambiamento così radicale. Nonostante tutti i miei problemi, tutte le stronzate che avevo fatto – e che avrei continuato a fare –, nonostante spesso avevo sentito il bisogno di qualcuno che mi stesse vicino, che mi aiutasse, non avevo mai e poi mai messo in mezzo sua figlia. C’era stata per me, certo, ma per determinate cose no perché non avevo voluto. Ero un cazzone, ma su certe cose non transigevo e non mi sarei mai permesso di creare problemi ad altre persone, soprattutto se quelle persone erano ragazzine ingenue e troppo buone per dire di no e lasciar correre. Avrebbe fatto di tutto per me, se solo avesse saputo.
Citofonai ed attesi con un nodo alla gola che sembrava soffocarmi, mentre giocherellavo con i bottoni della camicia. Dopo un minuto buono sentii dei rumori al di là della porta, le chiavi girarono nella toppa ed ecco che mi trovai di fronte due bellissimi occhi azzurri incorniciati da un paio di occhiali da vista. Aveva i capelli raccolti in uno chignon tenuto insieme da una matita e addosso una tuta nera che metteva in risalto le forme del suo corpo. Tipica tenuta da studio intenso.
Le sorrisi cercando di apparire il più dispiaciuto possibile e le porsi un sacchettino. Mi guardò storto senza ricambiare, ma poi lo afferrò e, quando lo aprì, vidi l’angolo della sua bocca distendersi in qualcosa che doveva assomigliare ad un sorriso. Ero passato in quel negozio di dolci in fondo alla strada per prenderle un po’ delle sue caramelle preferite.
«Immagino tu stia studiando, quelle sono per premio.» Dissi, dolcemente.
Lei finalmente alzò lo sguardo.
«Beh, grazie?» Rispose, cercando di mantenere un certo contegno.
«Sei arrabbiata?» Chiesi, appoggiandomi allo stipite della porta con l’avambraccio.
«Non sono arrabbiata, solo che pensavo che dopo quello che ti ho detto ieri sera non te ne saresti andato così.» Mi spiegò, finendo per mordersi il labbro inferiore.
«Sei delusa e lo capisco.» Mormorai, facendo un piccolo movimento verso di lei. «Giuro che non l’ho fatto con cattiveria.»
Lei prese un respiro e fece roteare gli occhi verso l’alto, poi accennò un mezzo sorriso.
«È che sei il solito stronzo e mi dimentico sempre di metterlo in conto.» Disse, dandomi una leggera spinta che mi fece dondolare sulla mia postazione.
«Però sono qui.» Le dissi, subito dopo.
«Però sei qui.» Mi guardò negli occhi, mordendosi un’unghia.
«E questo mi rende un po’ meno stronzo.»
«Un pochino, ma hai comunque il primato.»
«Mi fai entrare?»
«Solo perché hai portato le caramelle.» Rispose, afferrandomi il braccio per trascinarmi dentro.
Così mi lasciò oltrepassare la soglia di casa e mi condusse in cucina, dove vidi la penisola completamente ricoperta di libri e fogli pieni di appunti. Fece un po’ di ordine e ci si sedette sopra per poi farmi segno di entrare.
«Accomodati pure.» Disse poi, indicandomi una sedia.
Mi ci sedetti.
«Era tanto che non ti vedevo con gli occhiali.» Commentai, lanciandole un’occhiata.
«Li metto solo quando studio tanto e ho bisogno di riposare gli occhi.» Spiegò.
«Ti donano molto.» Mi sfuggì, mentre le sorridevo.
Lei arrossì di colpo e mi guardò male.
«Smettila di fare il carino, non ti si addice.» Mi fece notare, con quel suo musetto imbronciato.
«E tu smettila di stare sulle tue.» Dissi. «Sono qui e ho voglia di parlare con te.»
Mi alzai e mi posizionai di fronte a lei, ancora seduta sul tavolo.
«Parliamo allora.» Rispose, come se mi stesse sfidando.
Perfetto. Forse avrei preferito che mi tirasse uno schiaffone, perché non avevo ancora la minima idea di cosa avrei potuto dirle, in realtà speravo fosse lei ad iniziare. Rimasi, perciò, un attimo in silenzio per cercare di mettere insieme un discorso di senso compiuto.
«Cominciamo bene, Matthew.» Mi disse, tagliente, qualche secondo dopo.
E tutto quel sarcasmo da dove era uscito? Doveva essere davvero offesa.
Io le feci un mezzo sorriso e mi decisi a parlare.
«Mi dispiace essermene andato così, è che ero confuso, Gwen.» Cominciai, ma venni subito interrotto.
«Quindi sei qui per dirmi di far finta che non sia successo nulla, perché eravamo ubriachi e bla bla bla?» Domandò, con cattiveria, ma anche con una nota di delusione nella voce.
«Ma sei capace di tacere?» Dissi, aprendo le braccia in segno di disappunto e lei mi rivolse un’occhiata glaciale, ma rimase comunque in silenzio.
«Non sono qui per questo.» Ripresi e la vidi farsi più interessata a quello che stavo dicendo.
Mi avvicinai di più a lei, facendomi spazio tra le sue gambe leggermente divaricate, mentre lei andò indietro col busto per cercare di mantenere una certa distanza di sicurezza.
«Mi sono torturato il cervello per ore, Gwen. Per te. Per questa storia che nella mia testa ancora un senso non ce l’ha, ma sono comunque giunto alla conclusione che-» Mi bloccai, lei pendeva dalle mie labbra, si vedeva benissimo, perciò la lasciai lì così per qualche secondo.
«Che?» Chiese, senza riuscire più ad aspettare.
«Che mi è piaciuto da morire e che potrei fare un’eccezione alla regola, solo per te.» Finii di dire, avvicinandomi sempre di più, finché le mie gambe non toccarono il bordo del tavolo.
Vidi i suoi occhi illuminarsi e le sue labbra allargarsi in un sorriso.
«Sarei la tua eccezione?» Chiese, con speranza.
Non sapevo bene se quello che stavo facendo fosse giusto o meno, ma ci avevo riflettuto a lungo e, bene o male, qualsiasi cosa avessi deciso di fare il rapporto non sarebbe mai tornato quello di prima. Perciò avevo optato per provare qualcosa di nuovo, qualcosa che – speravo – mi avrebbe dato di più rispetto a quello che avevo avuto fino a quel momento. In quel caso, però, dire che provare non costava nulla non era vero, c’era solo bisogno di coraggio e io ne avevo da vendere.
Mi sporsi verso il suo viso, sentivo il suo fiato caldo sul mio.
«Sì, lo saresti.» Le dissi, poi, prima di posare un bacio dolcissimo sulle sue labbra, ritrovandomi così piacevolmente stupito di non essere solo capace di dare baci irruenti ed istintivi.
La sentii sorridere nella mia bocca e stringere le braccia attorno al mio collo.
Ero felice.
Al tutto il resto avrei pensato dopo. Solo strada facendo avrei capito cosa volevo davvero, non c’era altro modo per farlo.






Ehilà, eccomi qui di nuovo. In questi giorni ho avuto un po' più di tempo quindi ho aggiornato presto.
Matt finalmente si è fatto coraggio e ha deciso di mettersi in gioco, proprio come sperava Gwen, e renderla l'unica eccezione alle sue ferree regole sulle relazioni.  Ovviamente, però, non portà essere tutto sempre rose e fiori per la coppia più complessata della storia XD

Ho visto che i lettori sono aumentati e questo mi fa davvero molto piacere. Non siate timidi, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ne approfitto per ringraziare Ashwini e OnlyHappyWhenItRains per la loro fedeltà a questa storia e perché mi dedicano sempre un po' del loro tempo <3 (50shadesofLOTS_always spero tu ci sia ancora tra i lettori ^^ ) 

Grazie a tutti, al prossimo capitolo.

   
 
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