3. Ambush
Tutto
ciò non lo convinceva per niente.
Da
tre giorni erano partiti alla volta del Nord per unirsi all'esercito
di Murmandamus, ma Elwar non riusciva a scacciare la sensazione che
ci fosse qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato: il suo naturale
scetticismo non voleva saperne di star tranquillo.
Fin
dall'inizio le incognite erano state molte, lui era sempre stato un
tipo particolarmente diffidente per uno della sua stirpe e quella
storia di Murmandamus non s'era dimostrata un'eccezione. I punti
oscuri erano troppi perché nel suo animo si votasse ad una causa
talmente megalomane quanto rischiosa quale era quella del Signore
Oscuro. Tuttavia, non era certo lui il capoclan, né poteva far
qualcosa riguardo l'opinione dei suoi compagni, pertanto non gli
rimaneva altra scelta se non obbedire e fare il suo dovere.
Per
non dire che sarebbe stata una follia mettersi contro Murmandamus,
soprattutto per un infimo sentimento di miscredenza.
Stavano
attraversando il letto di un torrente per mezzo di un tronco quando,
con aria terribilmente concitata, un esploratore tornò di corsa da
loro, fermandosi a parlare a mezza voce col capoclan.
–
Accidenti.. non ci voleva! – borbottò questi digrignando i denti,
per poi rivolgersi a tutti gli altri – Nani stanno pattugliando il
sentiero a poca distanza dalla nostra posizione: dobbiamo trovare un
nuovo passo fra le rocce. E in fretta.
Nessuno
fece domande o si sorprese per la novità e subito due esploratori
tornarono indietro, lungo il sentiero, per trovare un'altra strada ed
aggirare quel nuovo problema seguiti dai compagni a cavallo.
A
quella notizia Elwar si incupì in volto.
Nani...
phua!
Sputò
nell'acqua cristallina per togliersi il sapore amaro che gli era
salito in bocca; detestava i nani ed al solo pensiero gli si chiudeva
la bocca dello stomaco per ore. Nel bel mezzo di quella piccola
considerazione tuttavia, fu assalito da una nuova ed inquietante
sensazione, e guardandosi intorno all'improvviso si rese conto di
quanto fosse silenziosa la montagna. Era come se la terra stessa
stesse trattenendo il respiro.
Due
pareti di roccia nuda e segnata dalle intemperie svettavano ai lati
del sentiero e gettavano lunghe ombre lungo il percorso, tali da
fargli nscere un pensiero nella mente: È il posto ideale per
un'imboscata.
Quell'idea
ebbe il potere di smorzargli il respiro ed il sospetto nacque e si
ingigantì nella sua anima, facendogli tendere ogni muscolo. Rimase
in ascolto e notò come nessuno dei suoni della natura raggiungeva
più le sue orecchie: né un richiamo lontano o il più piccolo
cinguettio sovrastavano il cadenzato scalpitio di zoccoli.
Inoltrandosi
dietro ai suoi compagni in quella sorta di basso crepaccio, Elwar
avvertì l'inquietudine serrargli in una morsa la bocca dello
stomaco, ma si sforzò di mantenere calma e sangue freddo: non era
l'unico moredhel presente e nemmeno poteva dirsi il più abile fra i
suoi confratelli, sebbene non si contassero ché sulle dita di una
mano coloro che avrebbero potuto vantare la loro supremazia in uno
scontro. Sicuramente ognuno di loro era in allerta ed il loro
capoclan più di tutti doveva esser sicuro della strada intrapresa.
Scoccando un'occhiata di sottecchi agli altri, non si sorprese quindi
della tensione che scorse sui loro lineamenti.
Tuttavia
continuarono ad avanzare senza intoppi né il più piccolo segno di
pericolo, uscendo uno ad uno da quella stretta gola in un tratto di
sentiero più ampio e meno soffocante, il silenzio interrotto solo
dal rumore degli zoccoli dei loro cavalli riecheggiante sulle rocce.
Elwar, dopo aver adocchiato la pendenza quasi a picco del versante
alla loro destra, era ormai pronto a tirare un sospiro di sollievo
quando le sue più nere aspettative vennero esaudite: schiocchi ed un
sibilo di ghiaia smossa lo fecero sussultare e sollevar lo sguardo
appena in tempo per vedere la frana riversarsi nella gola appena
superata.
Il
grido di allarme riecheggiò in contemporanea a quello d'attacco dei
nani, che balzarono fuori dai loro nascondigli lungo la parete
rocciosa, riversandosi giù dal versante con le armi spianate a
reclamare il loro sangue.
Elwar,
senza più indugiare, si affrettò a sguainare la propria spada,
pronto ad affrontare quella minaccia incombente, ma un secco comando
del loro capo li indusse a cercare di fuggire. Il moro non fu il
primo a tentare di seguirne l'esempio ma chi lo anticipò non fece
molta strada.
Grida
echeggiarono per il passo tutt'intorno a lui e gli fecero capire che
ogni via di fuga, avanti come dietro di loro, era ormai bloccata.
Digrignando i denti in una smorfia di furore, Elwar serrò la presa
sull'impugnatura della propria lama e lasciò divampare dentro di sé
l'odio verso il loro nemico, traendone intimo rinvigorimento ed una
muta determinazione. Anche in superiorità numerica, ogni nano di
quella stramaledetta montagna avrebbe pagato cara la decisione di
mettersi contro di loro.
Con
furore abbatté il primo assalitore ed a colpi di spada tentò di
aprirsi un varco in quello che ormai era divenuto il caos più
completo. Sangue scarlatto andò presto ad impregnare la polvere
sotto stivali e zoccoli, e nitriti di dolore si mescolarono alle
grida di elfi e nani. Forse fu la situazione disperata a spronarlo,
oppure l'ebrezza dello scontro e del sangue versato, ma Elwar per una
manciata di istanti riuscì nel suo intento e, cogliendo l'attimo,
spronò il proprio cavallo a far un balzo in avanti.
Tuttavia
non fu abbastanza rapido: l'animale nitrì di dolore a un passo dalla
salvezza e cadde, abbattuto dal filo di un'azza nanica.
Elwar
venne sbalzato in avanti finendo a rotolare nella polvere ed evitando
per miracolo un fendente nemico diretto al suo collo. Quando l'attimo
dopo balzò nuovamente in piedi, si ritrovò di fronte un nuovo
nemico e non esitò a scagliarcisi contro. Le armi cozzarono ancora
in un clangore metallico che si mescolò alla cacofonia
dell'ambiente circostante ed il disprezzo aleggiò a pari merito sui
volti di entrambi i nemici. Elwar, dopo una fase di stallo, riuscì
ad avere la meglio ed abbatté rapidamente il suo avversario, ma
l'attimo seguente, il fiato corto ed i muscoli doloranti per la botta
col terreno, sentì ogni speranza di vittoria svanire quando ebbe
modo di lanciare uno sguardo alla situazione: i suoi compagni,
nonostante l'accanimento, stavano venendo decimati.
Comprese
con agghiacciante nitidezza di non avere alcuna possibilità, eppure
nel riprendere a combattere non sottrasse potenza ai propri colpi, né
la sua fermezza vacillò, e continuò a battersi come una furia, non
permettendo a sé stesso nemmeno per un secondo d'arrendersi.
Se
così doveva finire, se ne sarebbe andato con l'orgoglio di aver
lottato sino al suo ultimo respiro.
Incalzato
dal nemico fu costretto ad indietreggiare, finché ad un certo punto
il suo tallone poggiò nel vuoto, sbilanciandolo. Totalmente
spiazzato, fece appena in tempo a scoccare un'occhiata alle proprie
spalle prima che la scarpata sulla sommità della quale era finito lo
reclamasse con sottili dita d'acciaio.
Il
respiro gli si smorzò in gola ed un attimo dopo il mondo intorno a
lui si capovolse: iniziò a rotolare giù, incapace di trovare un
appiglio a cui aggrapparsi per frenare la caduta e quando infine
raggiunse il fondo le acque fredde e tumultuose di un torrente di
montagna si richiusero su di lui. Le rapide lo trascinarono via e gli
fecero perdere la presa sulla propria spada, così Elwar venne
sballottato dalla corrente per un buon tratto prima di riuscire a
risalire in superficie e riempire i polmoni in fiamme. Fu un breve
momento di sollievo perché subito dopo i frangenti lo riportarono
sotto, costringendolo a lottare con tutte le proprie forze per non
farsi dominare dai turbinii della corrente. Con il rombo del fiume a
riempirgli le orecchie ed i polmoni a reclamare aria sempre più
disperatamente venne trascinato verso valle, riuscendo sporadicamente
a prendere una o due boccate d'aria prima di venir di nuovo sommerso.
Il
moredhel lottò strenuamente per la propria vita contro le forze
della natura e quando l'andamento delle rapide si attenuò,
permettendogli di restare finalmente a galla, avvertì il panico che
gli aveva torto le viscere sino a quel momento attenuarsi in favore
di una punta di sollievo. Nonostante l'acqua lo accecasse ancora e
fosse a malapena in grado di tenersi a galla, il peggio sembrava
passato.
Non
fece nemmeno in tempo a pensarlo che alle orecchie gli giunse, al di
sotto del fragore delle onde, un rumore più cupo e diffuso che con
il trascorrere del tempo si fece sempre più forte, mutandosi ben
presto in un rombo sempre più distinto ed apparentemente proveniente
dalle fondamenta della terra stessa.
Non
gli ci volle molto per intuirne la natura e nel momento in cui la
risposta gli balenò alla mente, la paura tornò a minacciare di
soffocarlo e gli immobilizzò ogni muscolo, cosicché finì per
tornare con la testa sott'acqua per una manciata di secondi.
Una
cascata!
Riemergendo
e tossendo, riuscì finalmente a scorgerne il bordo davanti a lui di
poche decine di metri ed il terrore puro lo assalì per la prima
volta in vita sua, più micidiale di qualsiasi altra emozione di
timore provata sino a quel momento e seppe d'istinto di essere
spacciato.
Così
se ne sarebbe andato: senza la gloria di una morte avvenuta in
battaglia.
Quando
giunse il momento del salto nel vuoto, il fragore della cascata coprì
l'urlo che gli sgorgò dal fondo della gola ed Elwar chiuse
strettamente gli occhi di fronte al mondo che gli andava incontro ad
velocità vertiginosa.
Poi
gelo e buio lo inghiottirono.
***
–
Che effetto fa essere un moredhel?
La
domanda di Aredhel per Lorren fu talmente inattesa da fargli perdere
l'equilibrio e l'eledhel cadde rovinosamente sul terreno fitto di
cespugli di quella parte di sottobosco. Lei lo raggiunse un attimo
dopo, trafelata.
–
Stai bene? – gli chiese, aiutandolo ad alzarsi, mortificata – Mi
dispiace molto.
–
No... non fa nulla. Non preoccuparti – ribatté lui tirandosi in
piedi e rivolgendole un sorriso di rassicurazione – È che... be',
non me l'aspettavo – affermò solo, portandosi la mano destra a
sfregarsi il collo.
Era
trascorso un po' di tempo dal Ritorno di Lorren e lui ed Aredhel
avevano finito per fare coppia fissa in molti degli incarichi
assegnati. Il tempo trascorso insieme aveva permesso loro di
conoscersi meglio ed il legame che ne era nato aveva ben presto preso
forma in quella che s'era rivelata una solida e spensierata amicizia.
Quel
giorno entrambi erano stati inviati da Varsel in avanscoperta lungo i
confini di Elvandar, con il compito di appurare se davvero vi fosse
stato un cambiamento della situazione nei territori contesi con i
pochi clan di Fratelli Oscuri che popolavano il territorio.
Ormai
s'erano avventurati per un buon tratto nel sottobosco comunemente
definito “terra di nessuno” e si erano persino imbattuti
nei resti di un accampamento apparentemente abbandonato. Lorren non
aveva detto molto se non che il clan che l'aveva allestito doveva
essersi spostato altrove, presumibilmente verso le montagne, ma
Aredhel aveva scacciato la sensazione di incompletezza che le aveva
dato il fare del compagno di ronda: se c'erano abitudini abbastanza
radicate in lui da metterlo in difficoltà sul divulgare certe
informazioni, gli avrebbe dato tutto il tempo che gli serviva per
venire a patti con sé stesso e la propria natura.
Avevano
pertanto continuato la perlustrazione, procedendo per lo più
d'albero in albero finché la foresta lo aveva permesso. Era da poco
più di mezz'ora che avevano preso a spostarsi via terra.
–
Se non vuoi parlarne non intendo insistere: non era importante –
riprese Aredhel, tentando di toglierlo d'imbarazzo.
–
No, no – egli scosse la testa in segno di diniego senza apparirle
turbato, nonostante la sua reazione iniziale – Non è un male il
desiderio di conoscere. Dimmi pure cosa vuoi sapere.
Entrambi
gli elfi si fermarono e scelsero di fare una pausa, sedendosi ai
piedi d'una grossa quercia secolare. I grandi rami sopra le loro
teste proiettavano una vasta ombra sul sottobosco e le foglie
stormirono gentilmente, mosse dalla brezza di un'estate che sembrava
restia a concludersi; era un vento tiepido che staccò qualche foglia
e che tuttavia portò con sé l'odore tipico delle piogge autunnali.
Aredhel
rimase inizialmente in silenzio, prendendosi il tempo necessario per
formulare correttamente la prima domanda.
–
Che.. cosa c'è di diverso fra eledhel e moredhel? – chiese infine,
per poi correggersi inevitabilmente ed aggiungere – Cioè.. quali
differenze hai notato tu, come esperienza personale?
Lorren
si concesse un secondo di riflessione – Per prima cosa, – esordì
– l'ordine.
Aredhel
sorrise, un po' incredula ma divertita da quell'affermazione.
–
Sì, te lo assicuro – ribatté, anch'egli ridacchiando, notando la
sua espressione – In un villaggio moredhel la locazione delle
capanne è disposta secondo logica ma mai ordinata, non nel vero
senso della parola, e per la verità anche il loro comportamento
rispecchia perfettamente questo stile di vita – sembrava venirgli
incredibilmente facile riferirsi a coloro che un tempo doveva aver
chiamato compagni come estranei, ma ella ebbe l'accortezza di
tener quel pensiero per sé, ascoltandone le parole a seguire – I
moredhel sono un popolo principalmente migratore, non si fermano
quasi mai nello stesso luogo per più di una stagione, anche a causa
delle rivalità fra clan. Una cosa che mi ha fatto riflettere è la
sincronia dei movimenti dei soldati che mi hanno scortato sino ad
Elvandar – rivolse alla ragazza con espressione interrogativa –
Sono tutti così?
Aredhel,
che fino a poco prima lo osservava attenta a ogni sua parola, dovette
frenare una risata nell'annuire, seppur faticando a comprenderne la
domanda – Sì, credo di sì.
Per
lei era una cosa del tutto normale e non aveva avuto altri termini di
paragone, perciò non aveva idea di come fossero coordinazione e
disciplina militare al di fuori di Elvandar. Eppure, rammentò,
c'erano state delle volte in cui una parte di lei aveva pensato,
vedendo un drappello di soldati attraversarle la strada, a quanto
somigliassero ad una sola entità talmente erano compatti ed in
sincronia fra loro e la natura circostante. E sempre quella parte di
lei aveva provato una punta di estraneità che solo la sua
cocciutaggine aveva soppresso.
Lorren le fece cenno di procedere con un movimento del capo, così
Aredhel diede voce alla seconda domanda.
–
C'è una cosa che mi sono sempre chiesta – esordì con una certa
esitazione che non sfuggì al suo interlocutore – Se davvero il
Sentiero Oscuro li porta a disprezzare e rifiutare tutti gli altri,
fra di loro come sono i rapporti? Sono in grado di provare altri..
sentimenti? Ad esempio fra maschio e femmina.
Quella
domanda lasciò interdetto l'elfo, che rimase a guardarla per alcuni
secondi con espressione perplessa.
–
Come mai ti interessa?
Aredhel
esitò un istante, prima di accennare ad una breve alzata di spalle.
–
È che gli Anziani hanno sempre detto che a causa dell'influsso del
Sentiero Oscuro, i moredhel non riescono a provare e comprendere cosa
siano l'amore ed il rispetto per la vita, ma forse... forse non è
così. Insomma, magari sono in grado di provare qualsiasi tipo di
sentimento ma hanno un modo diverso di dimostrarlo.
–
Be'... la società moredhel è basata sul rispetto reciproco e sul
riconoscimento del valore individuale ed i sentimenti benevoli per lo
più vengono considerati una debolezza, ma non sono impossibilitati a
provarli. Chi non svolge delle mansioni, non aiuta la comunità e si
rivela un incapace anche a combattere, alla fine viene allontanato.
Non vi sono grosse distinzioni fra maschi o femmine in questo caso e
non vi è magnanimità verso i più deboli. Quando i bambini sono
abbastanza grandi da poter impugnare una spada corta si inizia ad
istruirli all'uso delle armi.
–
Anche le femmine? – lo interruppe lei.
Lorren
scosse il capo – Non nel clan in cui sono cresciuto. Alle femmine
moredhel vengono riservati altri compiti come cacciare, cucinare,
badare ai bambini e altre cose di natura più ordinaria. Per lo più
restano tutte all'insediamento e il più delle volte non viene loro
permesso nemmeno di accompagnare i guerrieri nelle loro spedizioni
più lunghe, ma anche se così non sembra hanno un'importanza
fondamentale nel loro contributo alla collettività che ogni moredhel
non può non riconoscere loro.
A
quelle parole seguì un breve periodo di silenzio, prima che Aredhel
dopo aver riflettuto su quelle informazioni lo interrompesse un'altra
volta.
–
Possono scegliersi il proprio compagno?
–
Sì. Ognuna ha il diritto di accettare la corte di un uomo o di
rifiutarla secondo i suoi desideri, ma credo che alcune si concedano
con troppa facilità ed in genere i maschi sono soggetti estremamente
possessivi ed orgogliosi per ammettere di non avere l'ultima parola
in merito. Quando un moredhel però sceglie la sua compagna è per
la vita e se ella si concede ad un altro è legittimo per il compagno
tradito lavare l'onta col sangue di entrambi. Non esiste il perdono
per nessun tipo di tradimento e perdonare un torto è già di per sé
considerato come un segno di debolezza.
Aredhel
inarcò un sopracciglio a quelle parole, serrando le labbra in una
linea piatta e tesa, mentre le implicazioni di quelle affermazioni le
inondarono la mente. Lei stessa non tollerava molto bene azioni quali
il tradimento, ma il pensiero d'una tale reazione sanguinaria le fece
salire un brivido freddo lungo la spina dorsale.
Fu
sul punto di aprire di nuovo bocca ed aggiungere qualcos'altro quando
tuttavia si bloccò sul nascere, risvegliata all'ambiente circostante
da un fioco rumore giuntole alle orecchie a punta. Si mise
meccanicamente in ascolto, le orecchie tese a captare il più piccolo
suono, ed al pari di lei anche Lorren si irrigidì, guardandosi
attorno con espressione tesa.
Il
silenzio calato intorno a loro venne nuovamente infranto da un altro
rumore sommesso, simile ad un fruscio, ed entrambi a quel messaggio
implicito si alzarono immediatamente in piedi mettendo mano alle armi
e ponendosi schiena contro schiena, sondando la selva intorno a loro.
I
minuti si susseguirono lenti in quell'immobilità, ogni muscolo
rigido per la tensione del momento ed ogni senso volto a cogliere il
minimo accenno di cambiamento nella situazione in cui erano piombati.
Dopo una decina di minuti, lentamente, la tensione nei loro muscoli
prese a calare ed i due si scambiarono uno sguardo interrogativo.
–
Sarà stato un leprotto... – ipotizzò Aredhel, ma era palese il
fatto che non ne fosse per niente convinta perché nessun animale si
sarebbe avvicinato tanto a loro, ed anche Lorren doveva esserne
consapevole.
Poi
un'ombra si mosse nel sottobosco, seguita da un altro rumore che
l'elfa questa volta identificò come lo schiocco di un rametto che si
spezza. A quel punto l'evidenza della situazione le fu chiara e,
puntando nuovamente gli occhi nel sottobosco di fronte a sé
impallidì.
Siamo
circondati!
Quel
pensiero le attraversò la mente come una scarica elettrica e di
scatto girò il capo alla ricerca dello sguardo dell'amico, solo per
leggere in esso una conferma ai suoi più tetri timori. S'erano
distratti, erano stati incauti, ed ora erano nei guai.
Dal
folto si fece avanti il primo dei loro assalitori, un Fratello Oscuro
dai lunghi capelli neri raccolti in una treccia e l'espressione
tronfia di chi ha messo in trappola una ghiotta preda. Incrociandone
gli occhi scuri, Aredhel si sentì alla stregua di un cervo e dovette
deglutire per far sparire il nodo che le si era legato in fondo alla
gola quando altri moredhel seguirono l'esempio del primo e si
disposero tutt'intorno a loro.
–
Corvi – mormorò Lorren con una nota di astio nella voce.
Aredhel
gli scoccò un'occhiata confusa da sopra la spalla, in tempo per
notarne l'espressione tesa e corrucciata, quasi rabbiosa seppur
contenuta, prova di un'avversità radicata nel tempo.
–
Cosa?
–
Un clan in conflitto con quello al quale appartenevo – spiegò
allora lui, senza smettere di tenere d'occhio i nemici – ..una cosa
positiva è che fanno prigioniere le donne.
–
E di te che ne sarà? – lo incalzò allora, allarmata.
In
risposta lui le sorrise appena – Non temere... mi batterò fino
all'ultimo.
E
poi, come a suggellare l'ineluttabilità di quelle parole, lo scontro
ebbe inizio.
Aredhel,
già in posizione di difesa, affrontò il suo primo avversario in un
cozzar di lame e il mondo intorno a lei ridusse drasticamente la sua
prospettiva. L'adrenalina in circolo le alterò le percezioni come
non le era mai accaduto prima, alimentata dalla paura istintiva
dovuta al suo primo scontro con un Fratello Oscuro. Incrociando gli
occhi carichi di disprezzo del suo nemico, per ella fu come se
improvvisamente tutto il resto perdesse nitidezza in favore dello
scontro in atto e fu come se non vi fosse più nient'altro, soltanto
loro, eledhel e moredhel, faccia a faccia.
Solo
un attimo e la ragazza, grazie al duro allenamento a cui l'avevano
sottoposta in quegli anni suo padre e suo fratello, trovò una
breccia nella difesa avversaria e vi affondò con la lama,
trapassando l'elfo da parte a parte, ma non ebbe che un istante di
respiro prima che questi venisse subito rimpiazzato da un compagno.
Il
risultato si ripeté immutato ed anche il secondo in poco tempo finì
per ricadere a terra, gravemente ferito, ma a quel punto la
ragazza-elfa si ritrovò ad affrontare due avversari
contemporaneamente. Questi la presero dai due lati ed iniziarono ad
incalzarla con attacchi sincroni, costringendola a parare ed
indietreggiare, senza riuscire a contrattaccare in alcun modo. Non le
concessero alcuna tregua ma, ancor prima che iniziasse ad accusare la
stanchezza un terzo avversario si intromise, assalendola alle spalle.
Aredhel
venne ferita di striscio al fianco destro e si ritrovò a digrignare
i denti in una smorfia di dolore, ma con la forza della disperazione
tentò un contrattacco, invano. Le spade cozzarono ed il suo
disperato tentativo di avere la meglio fu parato con successo.
–
Aredhel! – la voce di Lorren la raggiunse, sopra il clangore del
metallo.
–
Vattene Lorren! Va' via! – gli gridò lei alla cieca, schivando
l'ennesimo assalto.
–
Ma non posso lasciarti qui!
La
ragazza si spostò leggermente, in modo da poterlo vedere senza
abbassare la guardia e riuscì a scorgerlo oltre le spalle dei tre
elfi che l'avevano stretta all'angolo, accerchiandola.
–
Devi! Lo hai detto tu che non mi uccideranno. Se resterai, morirai
per nulla e nessuno potrà avvertire gli altri di ciò che è
accaduto!
–
Ma... – tentò un'ultima volta lui; i loro occhi si incrociarono e
ogni sua obiezione gli morì in gola. Lo vide distogliere lo sguardo
dal suo e l'afflizione che gli lesse in volto era quasi tangibile –
D'accordo. Ma tornerò per liberarti! – esclamò alla fine questi,
respingendo un altro attacco del suo avversario e retrocedendo verso
il bosco.
Aredhel
non riuscì più a seguirne le movenze, riportata con l'attenzione al
proprio scontro da un movimento simultaneo dei tre moredhel. Ne parò
i tre colpi incrociati che, fendendo l'aria, sibilarono minacciosi
sino a fermarsi ad un palmo dal suo stesso capo. La forza
dell'attacco la costrinse in ginocchio e lei si lasciò sfuggire un
gemito a causa di una fitta proveniente dal fianco ferito.
Fu a
quel punto che uno di quelli scavalcò la sua difesa e le sferrò un
pugno dritto nello stomaco. L'eledhel boccheggiò alla ricerca d'aria
e si piegò in avanti, annaspando per reagire in qualche modo, ma i
moredhel furono più rapidi di lei. Il forte dolore alla nuca che
seguì le fece perdere la cognizione di sé stessa e l'oscurità calò
su di lei.
Perse
i sensi ancor prima di toccare terra.
continua...
Ciao a tutti!
Ok, i primi due capitoli erano un po' un unico prologo, gli eventi iniziano a muoversi solo da questo capitolo in poi, quindi posso capire come mai fin'ora le cose siano risultate un po' piatte.. ma comunque vi assicuro che da qui in avanti si farà tutto più interessante! *-* restate con me!!
Volevo ringraziare chi ha inserito questa storia fra le seguite <3 e vi invito a lasciarmi un parere quando volete.
Nel mentre vi saluto!!
Kaiy-chan