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Autore: SagaFrirry    23/09/2016    0 recensioni
Hope è una ragazza apparentemente normale. Venuta a sapere del malessere dello zio, decide di tentare l'impossibile: riunire la famiglia. Essa è a dir poco originale, piena di dissapori e soggetti pittoreschi. Riuscirà la Speranza a far trovare un accordo alla "famiglia più importante del Mondo"?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XV

 

Indonesia, Isola di Kai.

 

Numero Tre fissava la porta, senza parlare. Al suo fianco, Andres era visibilmente imbarazzato. Congiungeva gli indici, lanciando rapide occhiate a colui che lo aveva portato in volo fino a lì. Il padre di Hope si accorse di quegli sguardi e, riuscendo ed intercettarne uno, rispose con un mezzo sorriso. Quel povero umano mortale doveva essere in preda al panico e, probabilmente, non capiva qual’era il suo scopo in tutto quella storia. Nemmeno Numero Tre lo capiva, ma doveva far parte del “gran disegno macchinoso” di suo fratello. Doveva esserlo per forza, se lo sentiva. Allungò la mano verso la porta, per bussare, ma si fermò.

“Fallo tu” mormorò.

“Come?” balbettò Andres, non avendo capito bene quello che gli era stato detto.

“Fallo tu. Bussa” ripeté il padre di Hope.

“Perché?”.

“Fallo e basta!”.

Il ragazzo obbedì e colpì la porta in legno un paio di volte, con poca energia. Questa si aprì, dopo qualche momento, e dall’interno si intravidero un paio di occhi verdi, che si spalancarono vedendo chi aveva bussato e si affrettò a far spazio ai due nuovi arrivati. Entrambi titubarono sull’ingresso, prima di fare un passo, dopo un lungo sospiro, ed entrare.

“Ben arrivato, zio” salutò Umy, colei che aveva aperto la porta.

Lui non rispose, per nulla felice e convinto di ciò che stava facendo.

“E questo ragazzo chi è?” domandò la ragazza, indicando Andres.

“Mi chiamo Andres, piacere” si presentò lui, stringendole la mano.

“È uno delle pedine di mio fratello e un amico di Hope” tagliò corto Numero Tre “Lei è qui?”.

“Hope? Sì, è appena arrivata. Si sta sistemando in stanza”.

“E mio figlio?”.

“Hantay è sul tetto, non so a far cosa. Da quando è arrivato non si è mosso da lì”.

Il padre di Hope annuì. Era lieto che fossero effettivamente arrivati entrambi. Lui, doveva ammetterlo, aveva fatto un giro panoramico per ritardare il più possibile l’arrivo.

“Accomodatevi. Toglietevi quei cappotti” invitò Umy,  notando che entrambi vestivano in modo da coprirsi dall’inverno che non accennava ad andarsene dall’Italia.

Numero Uno, in piedi nel salotto subito alla sinistra dell’ingresso, rimase serio.

“Vedo che lo hai portato” si limitò a dire, fissando Andres.

Il fratello non gli rispose. Una volta tolto il cappotto e la camicia nera, salì le scale che, dritte davanti alla porta, conducevano alle camere.

Andres rimase lì, immobile, senza sapere cosa fare o dire.

“Non avere paura” lo rassicurò Umy “Vieni, ti offro qualcosa da bere”.

Il padre di Hope salì le scale, lentamente, e si incamminò lungo il corridoio, fino a giungere alla camera dove suo fratello, Numero Due, riposava. Era chiusa. Non fece in tempo a bussare che una voce all’interno lo chiamò.

“Fratello, sei tu?” si sentì chiedere “Ma si che sei tu, riconoscerei la tua aurea ovunque! Entra”.

Numero Tre entrò. Nella penombra, Anfitrite sedeva accanto al letto dove il marito stava steso. Gli teneva la mano e si sorridevano. Stavano chiacchierando. Il padre di Hope provò una punta d’invidia per quei suoi due fratelli che ora vedeva tanto uniti ma poi si ricordò che Numero Due stava male, e lo si vedeva chiaramente. Bastava guardarlo in viso, per accorgersi di rughe e segni che fino a non molto tempo fa non aveva. Tolse gli occhiali da sole, mostrando che pure lui qualche ruga l’aveva, accompagnata da due occhiaie spaventose, e salutò i padroni di casa. Anfitrite si alzò, dandogli un breve abbraccio.

“Ciao, sorellina” la salutò lui.

Poi incrociò le braccia e sorrise al fratello.

“Cosa mi combini?” domandò, fingendo allegria.

“Io? E tu? Mi son giunte all’orecchio parecchie storielle divertenti sul tuo conto, tipo che sei impazzito o cose del genere”.

“Io sono nato pazzo, non te lo ricordi?”.

“Sinceramente, no”.

I due fratelli si guardarono in silenzio, senza sapere esattamente come continuare la conversazione.

“Vi lascio da soli” interruppe il silenzio Anfitrite, uscendo lentamente con un gran frusciare di vesti color del mare.

“E così…” riprese Numero Due, dopo un sospiro “…a quanto pare, sarò io il primo a lasciarci le penne a questo mondo”.

“Ma che dici?! Quelli come noi non muoiono” lo zittì il padre di Hope.

“Sai bene che non è così”.

“Sei solo debole. Basterà capirne il motivo e porvi rimedio. Saremo ancora in grado di fare qualcosa noi fratelli, no? E con l’aiuto dei ragazzi vedrai che andrà tutto a posto”.

“Non lo credi davvero, neanche un po’. Lo capisco al volo quando menti”.

“Va bene. Vuoi la sincerità? Eccoti la sincerità! Nei tuoi occhi rivedo quelli di Sophia quando mi ha lasciato, con alle spalle voialtri fratelli che stavate a braccia incrociate a guardare. Ed è quello che succederà pure a te. Ti spegnerai, con tua moglie che ti stringe la mano e ti supplica di non lasciarla e noi fermi, senza far niente”.

“Tu non mi aiuteresti?”.

“Non saprei come fare. Non credere che io mi trovi tanto distante alla condizione in cui sei tu ora. L’unica differenza è che non ho nessuno che mi obbliga a stare a letto e si preoccupa per me”.

“Hope è molto preoccupata per te”.

“Hope farebbe meglio a pensare a se stessa. Vero che la Speranza è l’ultima a morire, ma prima o poi muore anche lei”.

“Dici che siamo tutti condannati?”.

“No. Numero Uno sono certo che troverà il modo di salvarsi il culo, come l’ultima volta”.

“Ti riferisci alla faccenda di suo figlio Kriss?”.

“L’unico mezzo mortale della famiglia, figlio di un’umana, generato e sacrificato più volte per ridare forza e credo al padre, relegando l’ultima volta a me il ruolo del capro espiatorio di ogni disgrazia e ignorando te, come se i nostri ruoli di Ade e Poseidone per secoli non avesse contato nulla. Ora, con questo monoteismo, lui è il buono ed io il cattivo. Ma io e te siamo solo figure marginali nel suo grande disegno attuale. Forse è meglio così…”.

“Sei contento di essere colui che viene incolpato di tutti i mali del mondo?!”.

“No. Sono contento che tutto questo finisca. Sinceramente, sono molto stanco. Vorrei proprio dormire un po’, ma quelli come noi non dormono”.

“Tu potresti essere molto potente. Gli umani hanno molto più a che fare con te che non con Numero Uno, mi sembra. Solo che non vuoi. Avete passato miliardi di anni a farvi la guerra e poi, ad un tratto, hai perso ogni entusiasmo ed interesse”.

“Da quando mia moglie se ne è andata, non ha avuto per me più senso litigare per degli esseri che qualsiasi cosa facessi continuavano, e continuano, ad interpretarmi a piacimento di Numero Uno”.

“Hai abbandonato il tuo ruolo”.

“Ti sbagli. E ti invidio”.

“Perché sono costretto a letto?!”.

“Perché hai una moglie che si prende cura di te e perché hai due figli magnifici, li ho visti. Non litigano mai, si vogliono bene”.

“Anche i tuoi figli si vogliono molto bene!”.

“Talmente bene che tentano di uccidersi”.

“Sai che non lo farebbero…”.

“Era la loro madre che li fermava. Io non ho voce in capitolo e loro mi odiano per la faccenda di Liberay, Noxia e Kareru”.

“Libertà, Colpa e Morte? Dove sono, a proposito?”.

“Non lo so, ma arriveranno presto. Noxia in particolare, non si allontana mai troppo da me”.

“Tutti i tuoi figli sono meravigliosi, al pari dei miei. Ti basta pensare che è stata di Hope l’idea di riunire la famiglia. È speciale, come lo sono tutti gli altri”.

“Però nessuno di loro, né dei miei né dei tuoi, è in grado di prendere il nostro posto”.

Nella camera calò il silenzio. Era vero. Non erano ancora pronti ad un’eventualità del genere.

“Ora ti lascio riposare” concluse Numero Tre, non sapendo che altro dire.

Si allontanò e si diresse verso la porta.

“È stato bello rivederti. Sono tanto felice che siate tutti qui” gli disse Numero Due.

“Guarda che anch’io capisco quando menti!”.

“Sono felice davvero. Mi preoccupa solo l’eventualità che tu e Numero Uno vi mettiate a litigare”.

“Sai che è inevitabile”.

“Allora vedete di non fare troppa confusione”.

Numero Tre uscì dalla camera. Si chiedeva quali strane idee avesse Hope per la testa. A che scopo ci teneva tanto a riunirli tutti lì? Pensava davvero di poter cambiare l’inevitabile? La vita di esseri come loro era legata da tempo a ciò che credevano le creature che avevano creato e Numero Due era quello che si era trovato più svantaggiato, dopo la scomparsa di determinate religioni antiche. Il padre di Hope era talmente perso nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno che la sua bambina lo stava chiamando. Passò accanto a Kriss, che indietreggiò, leggermente spaventato dallo zio. Kriss era sempre piuttosto intimorito, anche se il membro della famiglia con cui aveva più problemi era Hantay. Con quell’essere, così alto e così inquietante, aveva sempre litigato e si aspettava di vederselo davanti da un momento all’altro, con il suo solito modo di fare minaccioso e cattivo. Quando Anfitrite chiamò l’intera compagnia in sala da pranzo per mangiare, il suo primo pensiero fu che sarebbe stato allo stesso tavolo con la sua nemesi. Sospirò e scese le scale, seguendo con gli occhi Hope e la sua capigliatura rossa.

“Accomodatevi. Il pranzo è pronto” sorrise Umy, indicando il lungo tavolo imbandito.

Già sedute, una accanto all’altra, stavano tre donne.

“Ciao, papà” salutarono, fissando Numero Tre. Erano le sue figliastre, creature che lui aveva generato da solo: Libertà, Colpa e Morte.

“A quanto pare ci siamo tutti..” sorrise Hope, leggermente infastidita dalla presenza delle sorelle “Possiamo incominciare”.

   
 
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