Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Raflesia Harlock    25/09/2016    7 recensioni
E se Maya e Masumi non fossero mai saliti sull’Astoria? Come sarebbero riusciti a superare anni di fraintendimenti e segnali distorti, e a mostrarsi l’un l’altro per quello che sono, mettendo in gioco veramente loro stessi e il loro legame? Può forse Maya illudersi di conoscere Masumi avendone sempre visto due facce, quella nascosta del donatore di rose, protettiva e rassicurante, e quella irriverente e cinica dello spietato affarista della Daito? O può forse Masumi credere di conoscere Maya, o persino se stesso, abituato a portare una maschera dall’età di 10 anni e cresciuto in condizioni di deprivazione affettiva che bloccano i suoi passi e non gli consentono di riconoscere facilmente né i propri sentimenti né quelli degli altri? In questa fanfiction ho sviluppato una ipotesi, cui il titolo allude. Ne deriverà un percorso insolito che metterà i due a dura prova, rendendoli infine più consapevoli, che spero vi piacerà.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa

 

E se Maya e Masumi non fossero mai saliti sull’Astoria? Se non ci fossero stati né l’interpretazione di Akoya né un’alba mozzafiato a facilitare il disvelamento della verità, cosa avrebbero fatto in nostri beniamini una volta abbattuto il muro di menzogne eretto da Shiori ? Come sarebbero riusciti a superare anni di fraintendimenti  e segnali distorti, e a mostrarsi l’un l’altro per quello che sono, mettendo in gioco veramente loro stessi e il loro legame? Può forse Maya illudersi di conoscere Masumi avendone sempre visto due facce, quella nascosta del donatore di rose, protettiva e rassicurante,  e quella irriverente e cinica dello spietato affarista della Daito? E quanto l’ambivalenza di lui può aver contribuito a minare la sua fragile autostima? Può forse Masumi credere di conoscere Maya, o persino se stesso, abituato a portare una maschera dall’età di 10 anni e cresciuto in condizioni di deprivazione affettiva che bloccano i suoi passi e non gli consentono di riconoscere facilmente né i propri sentimenti né quelli degli altri?  In questa fanfiction ho sviluppato una ipotesi, cui il titolo allude, una delle tante possibili. Ne deriverà un percorso insolito che si dipanerà in 11 capitoli e che li metterà  a dura prova, rendendoli infine più consapevoli, che spero vi piacerà.

 

 * * *

 “Doppio legame”  si riferisce al rapporto che Maya ha con le due maschere di Masumi ma è anche un concetto psicologico. Indica “una situazione in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente rilevante, presenta una incongruenza tra il livello del discorso verbale (quello che viene detto a parole) e un altro livello non verbale (gesti, atteggiamenti, tono di voce ecc.), e la situazione sia tale per cui il ricevente del messaggio non abbia la possibilità di decidere quale dei due livelli sia valido (dal momento che si contraddicono) e nemmeno di far notare l'incongruenza” (Wikipedia).

 

 

 

CAPITOLO I

 

 

Non si rese neanche conto che era entrata e lo stava guardando. Immobile, seduto di fianco alla sua scrivania, teneva in mano il cellulare e sembrava contemplare un punto indeterminato della parete laterale, forse il quadro, una marina. Un sorriso appena accennato sulle sue labbra.

“Signor Masumi… mi scusi, non mi ha ancora detto come desidera procedere nella riunione di domani…”

“Eh?” pronunciò con voce roca, girandosi repentinamente verso la sua segretaria e guardandola come se non avesse capito bene cosa gli avesse detto, o perché si trovasse lì. “Sì certo, stavo facendo altro” tossicchiò “Mi dia cinque minuti. La richiamo io”.

Quanto era rimasto perso nei suoi pensieri? Guardò l’orologio e poi ancora una volta il cellulare. Alla fine non era riuscito a trovare nessuna scusa plausibile, ma in un attimo decise di farlo lo stesso. Selezionò rapidamente il numero e spinse il tasto di invio, prima che la sua mente potesse affastellare un qualsiasi altro argomento razionale per farlo desistere.

 

 

Maya era nel suo camerino, intenta a struccarsi. In questi ultimi giorni si truccava il viso prima delle prove, era un rito che aveva notato le serviva per meglio immedesimarsi nella Dea Scarlatta. Le prove erano sempre più impegnative e a lei sembrava di non aver ancora colto appieno lo spirito della dea. In certi giorni era talmente delusa dalla sua performance da dimenticarsi le battute in scena e bloccarsi, provocando le urla di Kuronuma. Altre volte invece le riusciva così facilmente, quasi che le parole del copione si accordassero all’unisono con le sue emozioni… come quell’oggi per esempio. Persino il regista aveva accennato un applauso alla fine di quella intensa giornata, guardandola con malcelata soddisfazione.

Sì, oggi era stata brava, lo sapeva, lo “sentiva”. Le battute d’amore scambiate con Isshin erano state vibranti, tese, innocenti e sensuali allo stesso tempo. Aveva provato il desiderio di avvicinarglisi, di essere cercata da lui, di toccarlo e Yu aveva risposto prontamente, con grande trasporto. Alla fine della scena aveva guardato le facce degli altri attori, erano tutti rimasti a fissarla a bocca aperta. Anche Yu, abbracciato a lei, la fissava ancora intensamente, poi per fortuna con la sua provvidenziale goffaggine (era caduta, o per meglio dire, non aveva fatto nulla per impedirsi di cadere dal futon, trascinando il suo compagno con sé) aveva rotto l’incantesimo, ed era tornata la solita Maya agli occhi di tutti.

Il suo sguardo si posò sull’oggetto accanto allo specchio. Sospirò. Era un cellulare, uno smartphone, non troppo grande, avvolto in una elegante custodia di pelle di color scarlatto. Glielo aveva regalato lui, il suo ammiratore. Nella lettera la pregava di accettarlo e portarlo sempre con sé, adducendo che una ragazza della sua età, per di più un’attrice ormai nota come lei, doveva essere in grado di poter comunicare in qualsiasi momento, soprattutto per la sua stessa sicurezza. Il numero di Hijiri era già presente nella memoria. Lei vi aveva poi aggiunto quello di tutti i suoi amici e, la sera prima, il signor Hayami vi aveva memorizzato il suo.

Ripercorse ancora per l’ennesima volta nella sua memoria quello che era successo il giorno prima, il loro strano incontro fortuito, il suo invito ad andare a vedere con lui le prove generali di uno spettacolo della Daito in un bellissimo teatro del centro e poi la cena in piedi in uno di quei locali alla moda frequentati dagli attori dopo li spettacoli, dove lui l’aveva presentata a tutti ed era stata al centro dell’attenzione generale. Si era sentita inizialmente fuori luogo, non avvezza a quel genere di locali e vestita troppo semplicemente. Ma poi, grazie all’incoraggiamento e all’aiuto di lui, aveva preso coraggio ed era riuscita a destreggiarsi e conversare quasi disinvoltamente con i tanti - fra cui anche un paio di attori noti al grande pubblico - che le si erano avvicinati.

Sospirando, chiuse gli occhi e si appoggiò alla spalliera. Ogni dettaglio di quella serata riprese a scorrere nella sua mente, come un film, di cui stentava a credere di essere stata la protagonista.

 

 

Mentre entravano nel locale, forse leggendo l’imbarazzo nei suoi occhi, lui aveva chiosato “Non preoccuparti per il look, la tua normalità sembrerà estremamente estrosa in un contesto come questo”. Poi era stato per tutta la sera accanto a lei senza allontanarsene mai, spiegandole chi fossero le persone attorno a loro, tutti i pettegolezzi mondani che li riguardavano, consigliandole l’approccio e addirittura alcune parole da usare con ciascuno di loro, per dar l’impressione che anche lei li conoscesse altrettanto bene. Dopo l’iniziale imbarazzo, quel gioco l’aveva molto divertita. Era riuscita ad essere brillante, un paio di volte a dire il vero le era quasi sfuggita la situazione di mano, e lui era intervenuto abilmente fugando lo sguardo esterrefatto dell’interlocutore di turno. In entrambe le occasioni si erano poi allontanati ridendo e commentando sommessamente quanto accaduto.

“Sei una forza, ragazzina”, aveva detto lui molto divertito a mezza voce.

“E invece si sbaglia, perché non sono più una ragazzina, signor affarista-senza-scrupoli” gli aveva risposto fintamente offesa.

“Mi stai convincendo, sai? Vediamo cos’altro sai fare allora, mia giovane signora-alle-prime-armi” aveva ribattuto lui facendola sussultare.

E si erano scambiati uno sguardo d’intesa, ridendo ancora più forte. Si sentiva euforica, si divertiva in quell’ambiente che aveva sempre rifuggito, averlo accanto come forse mai prima di allora la faceva sentire sicura, e le piaceva come quella sua spavalderia, che neanche lei sapeva da dove venisse, lo rendesse così allegro.

Le aveva concesso un solo cocktail poco alcolico “Non sei ancora abituata” aveva chiosato, ma già questo aveva contribuito a scioglierla un po’. Subito dopo, per qualche momento, avevano persino accennato un ballo insieme sul sottofondo di una musica rock occidentale, molto trascinante. Lui era stato impeccabile anche in quello, disinvolto e ironico, più attraente che mai - come faceva a essere sempre così perfetto??? - mentre lei cercava in qualche modo di seguire i suoi movimenti, almeno quando lui le si accostava. Sull’ultima nota, l’aveva fatta finire fra le sue braccia con una mossa netta e precisa, facendola roteare varie volte. Si erano fissati per un attimo - i volti accostati e il fiato corto.

“Niente male!” aveva commentato ancora lui, schernendola. Sciogliendosi da quell’abbraccio aveva sentito addosso tutti gli sguardi delle donne presenti nella sala. Poco dopo le aveva sussurrato serio “Adesso è ora di andare, Maya”, lei doveva essere arrossita sentendogli pronunciare il suo nome, e allo stesso tempo si era sentita sommersa da un’ondata di malinconia, al che lui aveva aggiunto, in tono lievemente canzonatorio: “E’ molto tardi, giovane signora, se non te ne fossi accorta”. E in effetti era notte fonda.

Uscendo, lei aveva proposto di prendere la metro, casa sua si trovava solo ad un paio di fermate mentre casa Hayami era in direzione opposta. Lui l’aveva guardata in tralice mentre le apriva lo sportello, aggiungendo con tono che non ammetteva repliche “Stai scherzando, vero?”.

Era salita sull’auto, felice in cuor suo di non dover mostrare altre resistenze. Durante il viaggio, avevano commentato ancora un poco la serata appena trascorsa. Poi la macchina si era accostata al marciapiede e il motore si era spento. Lei aveva rigirato nervosamente il cellulare fra le mani, chissà perché.

“Hai un cellulare, vedo. Era ora. Dammelo un attimo” aveva premuto alcuni tasti e quindi glielo aveva restituito sorridendo “Ti ho memorizzato il mio numero. Se ti venisse ancora voglia di prendere la metro da sola alle 2 di notte, prima chiama me” le aveva detto in tono minaccioso.  

“Signor Hayami, io… non so come ringraziarla per questa serata… è stato tutto così…” si era bloccata, incapace di proseguire.  

“Veramente ti sei divertita?” aveva indagato lui con un tono nuovo, che non gli aveva mai sentito.

“Sì, molto, davvero… Io… sono felice che… insomma, dopo tutti gli screzi e i problemi che ci sono stati ultimamente a causa mia, ecco…” aveva balbettato come al solito.

“Se ti riferisci all’assegno o all’anello, ti ho già detto che tu non c’entri, lo so - l’ho sempre saputo in realtà…” si era voltato a guardarla, stringendo il volante con una mano “Come ti dissi tempo fa al molo, sono io che devo scusarmi con te… dimentichiamo, ti prego, questa faccenda. Non dev’essere un problema fra noi”.

Le ritornò in mente quel momento, non volevano farla salire su quella grande nave, allora era sceso lui, lei gli aveva mostrato l’assegno e dopo tante spiegazioni alla fine lui si era scusato.  

“Va bene, signor Hayami, io… non chiedo di meglio” improvvisamente la voce le si era rotta e aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime, non avrebbe neanche lei saputo dire perché. Non volendo che se ne accorgesse, aveva cercato di aprire lo sportello, ma la sicura era inserita e subito dopo si era sentita afferrare per il braccio, mentre la sua mano, posata sulla guancia destra, l’aveva costretta a girarsi verso di lui, proprio mentre una lacrima ribelle le solcava il viso.

L'aveva guardata come ipnotizzato. Poi con la stessa mano le aveva asciugato la guancia, pensieroso, in silenzio. Quindi improvvisamente l'aveva tirata verso di sé fin quasi ad abbracciarla.

Maya sospirò, con gli occhi chiusi, completamente presa dal ricordo come se lo stesse rivivendo di nuovo. La sua voce risuonava profonda ed intensa proprio come allora: “Mi dispiace Maya, non credevo di averti ferita così tanto… sono stato un idiota solo ad avere dei dubbi… potrai perdonarmi?”

Lei aveva annuito ma non era riuscita a impedire alle lacrime di scendere. Aveva cominciato ad asciugarsele con un fazzoletto bianco che lui aveva estratto dal taschino interno della giacca. Improvvisamente lo aveva riconosciuto. Era un suo fazzoletto che credeva di aver perduto. L’aveva con sé la sera in cui erano stati aggrediti, lo ricordava bene, e infatti un angolo era ancora macchiato del sangue che aveva tamponato sulla sua fronte. Se lo era rigirato fra le mani, incredula. Aveva cercato i suoi occhi, rendendosi conto che lui la stava fissando attentamente.

“Questo credo che sia tuo… scusa se non l’ho neanche fatto ripulire” le aveva sussurrato dolcemente. Lei si era sentita avvampare ed era riuscita solo a mormorare un quasi inudibile “Sì… non si preoccupi”. Lui era rimasto in silenzio per un tempo interminabilmente lungo, non lo aveva neanche sentito respirare, ma non aveva idea di cosa gli fosse passato per la testa perché era rimasta a fissare il fazzoletto, mentre il ricordo del momento in cui lei gli aveva sfiorato le labbra, ripetendogli le parole di Akoya la sommergeva di emozione, facendola avvampare ancora di più. Ma… come mai lui lo teneva con sé…? E neanche lo aveva fatto pulire, era strano, cosa significava? Poi un pensiero l’aveva sconvolta completamente: forse lui non era svenuto come credeva, altrimenti come avrebbe potuto sapere che il fazzoletto le apparteneva? In un attimo era stata presa dal panico e la sua mano aveva raggiunto nuovamente la maniglia in un nuovo disperato tentativo di fuga. Aveva sentito la mano di lui afferrarle la spalla, dapprima con forza, poi dolcemente.

“Avevo creduto che tu fossi scappata via, che non ti fossi curata di me” le sue parole, lente e dolci, piene di rammarico. Le si era avvicinato, sfiorandole con la mano la guancia, poi le labbra, in un gesto carico di significato… lei era stata scossa da tremiti, non riusciva a guardarlo, si sentiva paralizzata.

“E invece…” le aveva accarezzato ancora il contorno del viso, poi le era sembrato di sentirlo sospirare. Era seguita una risata amara.

“Anche in quel caso, mi ero sbagliato… vedi, lo spietato affarista della Daito si è sbagliato di nuovo” aveva aggiunto e la tensione che aveva avvertito si era un poco sciolta.

“Le succede spesso, ultimamente, sta invecchiando” aveva detto lei di rimando. Una stupidaggine, ma era stata la prima cosa che le era venuta in mente e doveva, doveva dire qualcosa. Lui aveva riso ancora, una risata breve e nervosa.

“Proprio così, mia giovane signora… alcuni maturano, altri invecchiano, è la vita.”

Aveva tolto la mano dalla sua spalla e lei finalmente aveva sollevato lo sguardo incrociando il suo. I suoi occhi brillavano, illuminati da un sorriso radioso. Lei aveva annuito lentamente, sorridendogli di rimando, con gratitudine.

Adesso si rendeva conto che probabilmente, visto il suo evidente imbarazzo, aveva volutamente sorvolato sull’accaduto, traendola d’impaccio, come sempre.

Un “click” fu il segnale che la sicura era stata sbloccata.

“Sei di nuovo libera di piantarmi in asso quando vuoi, giovane signora, come hai fatto sempre” la sua voce era di nuovo risuonata sicura e divertita, come lo era stata fino a poco prima.

“Grazie per questa serata…” aveva aggiunto fissandola ancora e poi, con le mani strette sul volante e lo sguardo rivolto di fronte a sé “…indimenticabile”. Lei era scesa, aveva salito le scale fino al suo portone, ancora imbambolata e con le gambe tremanti, mentre lui - lo aveva sentito – era rimasto a guardarla dalla macchina in attesa col motore acceso.

 

 

In quell’istante il cellulare squillò, scuotendola prepotentemente da quei ricordi. Vedendo apparire il suo nome sul display il cuore accelerò i battiti.

“Pronto…?” rispose con voce tremante senza sapere cosa aspettarsi.

“Maya, buonasera”

Era davvero la sua voce… non riusciva a spiccicare parola, la lingua risucchiata sul palato.

“Maya? Ti disturbo forse? “

“No… anzi” rispose titubante bloccandosi e creando una pausa di silenzio.

“Maya, pensavo… stavo pensando che, se ti va, potrei passare dai Kids Studio uno di questi giorni”

“Vuole venire a vedere le prove?”

“No…cioè sì, anche, mi piacerebbe molto, certo…” non gli aveva mai sentito una tale esitazione nella voce “Ma io pensavo più di… portarti a vedere un nuovo locale vicino al fiume che hanno aperto recentemente e dove comunque dovrei passare, l’ho promesso al proprietario, sarà pieno di attori e starlette varie in cerca di notorietà e allora mi chiedevo se… - provò a ridere - ecco se ti andasse di divertiti ancora un po’ alle spalle di quei poveretti. Prometto di portarti a casa prima stavolta” le disse mantenendo quel tono incerto che la sconcertò.

“Sì” poco più che un sussurro.

“Sì? Bene… Quando… quando preferiresti?” le chiese lui lasciandola di sasso per la seconda volta.

Finalmente la voce si decise a uscire: “Quando vuole lei… Stasera?” si morse la lingua, erano già quasi le 10.

“Stasera? Certo, perché no, perfetto. Il tempo di… - la voce si allontanò dal microfono, probabilmente stava facendo qualcos’altro contemporaneamente - …di arrivare. Fra venticinque minuti sarò lì. Va bene per te?” propose.

“Sì” mormorò, non riuscendo ad aggiungere altro.

“Aspettami dentro, quando arrivo ti chiamo”.

Maya vide nello specchio una ragazza dal viso impiastricciato di cerone, le guance vermiglie e il sorriso ebete che la fissava incredula col cellulare ancora in mano… cioè lei stessa.

Un appuntamento… no, non poteva essere un appuntamento. Il secondo in due giorni. Eppure. Eppure lo era… Si alzò dalla sedia, fece qualche passo, tornò indietro. Respirò profondamente, cercando di calmarsi e ritrovare un barlume di razionalità. Lui stava venendo a prenderla per uscire con lei. Era innegabile. Altrettanto innegabilmente però, fra circa due mesi - così si vociferava - più o meno in concomitanza con la rappresentazione della Dea Scarlatta, si sarebbe sposato. I giornali di gossip, anche quelli di finanza, non parlavano d’altro che di questo matrimonio, l’“evento dell’anno”.

Sorrise amaramente allo specchio, prese la spazzola e cominciò a pettinarsi i capelli, con forza. Non capiva cosa stesse succedendo, forse lui voleva solo distrarsi… Aveva sentito dire che alcuni uomini avvicinandosi al matrimonio venivano presi dal panico o forse dalla nostalgia per la libertà che avrebbero perso a breve, fino a comportarsi anche in maniera molto disdicevole… Eppure il signor Hayami non le sembrava quel tipo di persona. E cosa sarebbe successo se qualcuno avesse notato la loro frequentazione, se la notizia fosse giunta alla stampa? Possibile che il signor Hayami non si preoccupasse di una eventualità del genere? O forse credeva che, vista la loro differenza di età e di stato sociale, nessuno avrebbe mai potuto prendere sul serio l’eventualità di una loro relazione? Sorrise amaramente. Solo lei poteva crederci, credere che fosse un vero appuntamento, fra due persone che hanno interesse a frequentarsi. Una lacrima prese a scendere lungo le sue guance.

Era una stupida. Il signor Hayami non la avrebbe mai considerata altro che una ragazzina… anche se la sera precedente era stata diversa, molto diversa. Si fermò di nuovo a fissare la spazzola. Si era creato qualcosa, un’intesa, che forse c’era sempre stata, che forse era solo diventata più evidente. Il modo in cui scherzavano, il modo in cui lui a volte la guardava, la sfiorava… Arrossì. Ma lui rimaneva il potente, ricco e temuto Masumi Hayami mentre lei, solamente una qualsiasi Maya Kitajima. E comunque non c’era più tempo. Era tardi.

D’improvviso le tornò alla mente la volta in cui, molto tempo prima, lui l’aveva “costretta” a passare del tempo con lui, dopo un incontro “al buio” in un teatro. Era stata una giornata stranamente piacevole, ma poi era finita in una catastrofe. Le ritornarono in mente la telefonata che avrebbe interrotto bruscamente ogni cosa e poi i suoi occhi pensierosi e malinconici che la fissavano, proprio come… proprio come quelli che aveva incrociato per un attimo la sera prima, mentre scendeva dalla sua macchina. Con angoscia crescente si rese conto che quello non sarebbe stato il loro secondo appuntamento, ma il terzo. Che di tempo ce n’era stato, un bel po’, ed era stato sprecato. Che forse aveva avuto una possibilità, per quanto assurdo potesse sembrare.

Si asciugò le lacrime col dorso delle mani, nervosamente. Non poteva piangere, lui sarebbe arrivato fra venti minuti e l’ultima cosa che voleva era che le trovasse gli occhi gonfi di pianto. Si sciacquò il viso, prese la matita e il mascara e cominciò a truccarsi gli occhi, non per andare in scena stavolta, ma per uscire con lui, per sentirsi un po’ meno insignificante del solito. Era buffo, non si era mai fatta un trucco “normale”, ma poteva riuscirci.

Si guardò intorno. Il camerino era pieno di stoffe e accessori dalle guise più disparate, così ebbe un’idea. Avrebbe trovato qualcosa che la rendesse davvero un po’ più eccentrica quella sera, quantomeno più interessante. Era l’ultima volta che usciva con lui, lo sentiva - ricacciò indietro con rabbia l’ennesima lacrima - voleva viverla appieno, senza fare da tappezzeria, voleva sentirsi di nuovo viva, sì viva e leggera, per una notte o anche solo per poche ore… qualunque cosa questo significasse.

 

 

Incredibile. Era bastato così poco. Le aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente e lei aveva acconsentito. Anzi, sembrava che non aspettasse altro! Mentre lui aveva passato una vita a tergiversare. Pazzesco… Rise di se stesso. Un vero idiota… pensò, spegnendo il computer. La differenza di età, la differenza sociale, tutto quello che si era raccontato per anni, che lei lo odiava, che lei non lo avrebbe mai perdonato… tutto spazzato via da un semplice, ennesimo, “sì”.

Ora non poteva più far finta di non capire. Chiuse di fretta la ventiquattr’ore - si sarebbe portato dei documenti a casa, ci avrebbe lavorato dopo, stanotte. Nonostante ci fossero in ballo cose importanti per la Daito in quei giorni, non era riuscito a combinare nulla.

E’ tardi accidenti, pensò, dovrò spingere un bel po’. Afferrò l’impermeabile e uscì quasi correndo. A fatica notò la sagoma della sua indefessa segretaria ancora china sulla sua scrivania.

“Signor Masumi… e la riunione? Cosa ha deciso…?” provò a cominciare, ma la interruppe subito, quasi gridandole da dentro l’ascensore.

“Non importa Mizuki, ne parliamo domattina, grazie, vada a casa!”

La discesa gli sembrò interminabile. Si sentiva addosso una strana euforia, unita ad una smania che non aveva mai provato. Finalmente arrivò al garage. Possibile che il solo pensiero che sarebbero usciti insieme avesse questo effetto su di lui? E poi, quasi fermandosi: forse ci si sente così quando si sta per uscire con la persona di cui si è innamorati…? Sorrise amaramente. Se non altro potrò dire di averlo provato, almeno una volta. Accelerò il passo, penetrò rapidamente dentro la sua macchina sportiva, di cui stasera avrebbe finalmente apprezzato appieno le prestazioni. Prima di schizzare fuori dal garage sotterraneo si guardò per un attimo allo specchietto retrovisore. Vi vide lo sguardo di un ragazzino eccitato al suo primo vero appuntamento. Incredibile, pensò ancora di se stesso, il potente presidente della Daito, e sono ridotto così, a poco più di un passo dal matrimonio, per di più.

 

 

Il viso piangente di Shiori gli venne in mente all’improvviso, senza alcuna volontarietà. Frenò di colpo, per fortuna il semaforo davanti stava diventando rosso e poi vista la velocità era improbabile che qualcuno riuscisse a tamponarlo. Niente, nonostante avesse tentato di vivere come se la cosa non lo riguardasse, il suo matrimonio imminente era lì, in agguato fra le pieghe dei suoi pensieri, pronto a saltare fuori nei momenti più inopportuni. Ormai non riusciva più a rimuovere quell’ idea surreale eppure ineluttabile, che presto si sarebbe trasformata in una granitica realtà:  Shiori sarebbe stata sua moglie. E adesso che avrebbe rivisto Maya, lei gli avrebbe chiesto qualcosa, lo sentiva. Chissà che idea si era fatta di lui, un uomo molto più grande di lei e prossimo alle nozze che la corteggia come un ragazzino…! Ridicolo, anzi, pateticoO peggio ancora. Prese nervosamente una sigaretta, la rigirò fra le mani un paio di volte, poi la gettò con rabbia fuori dal finestrino. Al diavolo. Al diavolo anche quelle maledette sigarette,  una delle sue tante scelte autolesioniste. Perché non era mai riuscito a prendere in mano la sua vita? A fare qualcosa che veramente lui volesse, profondamente, fare? Sospirò. Tutti lo credevano un duro, ma forse era solo un vigliacco. Ripartì di scatto sgassando e sbandando leggermente. Però, che ripresa, non poté fare a meno di constatare.

 

 

Era pronta. Si guardò allo specchio, visibilmente soddisfatta, per una volta.  Portava una maglia smanicata decorata con alcuni strass dal colore cangiante sopra un paio di jeans molto aderenti, che terminavano dentro degli stivali alti e neri. In testa un cappello dal taglio classico, anch’esso nero e decorato delicatamente con delle sottili piume bianche e nere, le dava un tocco molto chic. Per non parlare della biancheria intima che aveva indossato, seta ricamata stile anni 50, il bustino si intravedeva dalla maglia e la faceva sentire… sì, audace. Si dette della sciocca. Quanto avrebbe riso con Rei se fosse stata lì mentre scartabellava nelle casse dei costumi di scena! Il trucco non era pesante, ma le aveva approfondito lo sguardo e anche le labbra risaltavano di più sul suo incarnato chiaro. Sono pronta, mio ammiratore, mio unico amore… non importa se sei irraggiungibile, se non ti avrò mai… stasera mi hai cercata e io ci sarò… ancora una volta… al resto penserò domani, domani… “Domani è un altro giorno!”, proprio così!

Ormai era ora. Si mise a sedere sforzandosi di calmare i battiti del suo cuore e di non pensare a nulla.

 

 

Di nuovo rosso. C’era traffico e quella fila di semafori lo faceva impazzire. Lui non era mai in ritardo e non voleva cominciare proprio quella sera. Lei lo stava aspettando, lei…! Gli ritornò ancora in mente la sensazione che aveva provato guardando i suoi occhi, vicinissimi, dopo che i loro volti si erano sfiorati, alla fine del ballo che avevano improvvisato sulla pista. O ridendo insieme a lei, dopo le sue improbabili conversazioni mondane con alcune malcapitate aspiranti starlette.  Non si era mai sentito così leggero in vita sua. Non aveva mai avuto una così netta sensazione che la vita potesse essere anche piacevole e divertente, molto divertente. E poi, il momento che lo aveva spiazzato più di tutti, quando lei aveva riconosciuto quel fazzoletto, e il suo genuino imbarazzo, che valeva più di mille parole. Era stata davvero lei a baciarlo, a sussurrarle quelle parole d’amore, non aveva sognato! Per qualche assurdo motivo che ancora non riusciva a comprendere, sembrava proprio che - ancora non era in grado neanche di dare una forma compiuta a quel pensiero nella sua mente - che Maya non lo odiasse più, ma che provasse dei sentimenti per lui, che, forse …fosse innamorata, di lui...Possibile? Non capiva come e quando questo fosse potuto accadere, non aveva fatto nulla per meritare la sua simpatia, figuriamoci il suo cuore, ma questa ipotesi avrebbe spiegato anche il perché dei suoi atteggiamenti così mutevoli e apparentemente incoerenti, e anche quanto gli era accaduto non molto tempo prima nella valle dei susini. Quando quel pensiero incredibile aveva preso forma per la prima volta la sera prima in macchina gli era sembrato che il cuore gli scoppiasse, di non riuscire più neanche a respirare.

Il suo primo impulso era stato quello di prenderla fra le braccia, stringerla, baciarla, ma poi l’aveva vista arrossire e tremare così tanto, persino tentare di scappare via e allora… allora si era controllato, a stento, facendo appello a tutte le sue forze. Maya forse non era pronta, non era ancora pronta per tutto quello che doveva dirle e lui non poteva rischiare di rovinare tutto proprio adesso. Forse lei stessa era spaventata dai sentimenti che aveva cominciato a provare e probabilmente non poteva neanche immaginare che lui potesse ricambiarla.

Doveva aiutarla a liberarsi dalle sue paure, dimostrarle che non era un sogno irrealizzabile, scoprirsi pian piano e lasciarle il tempo di accettare lui pienamente, nella sua doppia veste.

Tempo, tempo, l’unica cosa che non aveva più neanche per se stesso, maledizione. Quanto avrebbe pagato per avere solo un po’ più di tempo. E quanto ne aveva sprecato! Si sentiva così stupido! Ma doveva trovarne per lei, a tutti i costi. Chissà come l’avrebbe presa, quando le avesse confessato di essere il suo ammiratore misterioso. Sarebbe stata contenta o ne sarebbe rimasta delusa? Le aveva sentito dire tempo addietro di essere innamorata del suo ammiratore… Che cosa strana, pensò, non era mai riuscito a capire come fosse possibile. Ma non poteva trattarsi di amore, semmai di riconoscenza. Mentre invece quello che provava verso di lui era diverso, sì, perché lui era reale, sfuggente e di un altro mondo rispetto a quello di lei, ma reale. Quel bacio rubato non poteva avere altre ragioni. E le sue lacrime, no, no accidenti, non poteva averle sognate! Cercò di scacciare gli ultimi dubbi che ancora gli restavano appesi al cuore, premendo ancora di più il piede sull’acceleratore. Era diventato verde, finalmente, e non solo il semaforo.

 

 

Maya saltò dalla sedia come un pupazzo dalla scatola a molla nel sentire lo squillo del telefono. Afferrò il cellulare con mani tremanti e rispose.

“Sono davanti all’ingresso principale” la sua voce pacata e seria le fece immediatamente battere il cuore.

“Arrivo subito!” rispose lei di slancio. Uscì dal camerino tirandosi dietro il cappotto e a passo svelto, per quanto le concedessero i tacchi per lei altissimi, arrivò all’ingresso e spinse il pesante portone. Gli altri attori se ne erano già andati e fuori non c’era nessuno. A parte la sua bellissima coupé nera, lunghissima ed elegante, la stessa della sera precedente. Lui ne uscì e le andò incontro, fermandosi giusto a un passo da lei. Si fissarono, entrambi sorridenti ed emozionati.

”Maya… sono felice di vederti. Sei bellissima stasera” il cuore gli batteva così forte da rimbombargli nelle orecchie, mentre guardava lei che, arrossendo lievemente e abbassando gli occhi, gli rispondeva.

“Grazie, anche lei è… volevo dire, anch’io sono felice di vederla”

“Vieni!” disse lui prendendole la mano, mentre con l’altro braccio le apriva la portiera e la invitava ad entrare in macchina con un sorriso raggiante. Mamma mia, era bellissimo, non lo aveva forse mai visto così: quando sorrideva il suo volto si illuminava completamente e sembrava anche più giovane.

“Allora, mia avvenente signora-alle-prime armi, è pronta per una nuova immersione in quanto di più sfrenatamente mondano questa città possa offrire, quantomeno stasera?” la pungolò Masumi con sguardo impertinente.

“Sì, certo! Poi se lo dice lei è una garanzia, signor so-tutto-io-di-come-gira-il-mondo” ribadì Maya senza peli sulla lingua, facendolo scoppiare a ridere.

“Ah Ah Ah…pure! Questa mi mancava!” risero ancora e ancora, mentre nel frattempo erano arrivati al porto, dove troneggiava una costruzione piena di luce e dall’aspetto molto avanguardista, davanti la quale attendeva una fila di persone vestite all’ultima moda. Inutile dire che loro due non dovettero aspettare neanche un secondo per entrare.

 

[NDR: Care lettrici, se avete seguito fino qui vi consiglio a questo punto di (ri)ascoltare questo bellissimo brano di C. Cremonini che sembra quasi fatto apposta. Attenzione a certe parole “chiave”! :-D]

   
 
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