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Autore: FRAMAR    25/09/2016    29 recensioni
Come possono due fratelli essere così completamente diversi? E quando dico che eravamo diversi, dico proprio che eravamo diversi. Lui era alto 1,68 (bassino vero?), io 1,80 (modestamente quello che si dice un fusto). Lui bruno, io biondo. Lui taciturno, io chiacchierone. Lui sedentario, io girellone. Lui portato alla malinconia, io allegrissimo. Eppure... leggetelo e me lo saprete dire.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due fratelli



 
Come possono, due fratelli, essere così completamente diversi? E quando dico che eravamo diversi, dico proprio che eravamo diversi. Lui era alto 1,68 (bassino, no?), io: 1,80 (modestamente quello che si dice un fusto). Lui, bruno, io biondo. Lui taciturno, io chiaccherone. Lui sedentario, io girellone. Lui portato alla malinconia, io allegrissimo.

Non basta per qualificarsi diversi? Ah, già dimenticavo la cosa principale. Lui, le donne non le considerava gran che, e sono certo che il problema della condizione femminile era uno dei pochi problemi per cui non aveva fatto lavorare il suo cervellone. Io, invece… bè, non l’ho detto che ero diverso? Nonostante questo andavamo d’accordissimo. Fin da bambini. Mai una baruffa, mai una pestata come avviene tra fratelli che si rispettino: accordo completo.

E forse era naturale. A me piaceva un oggetto, a lui no, quindi nessun contrasto per il possesso di quest’oggetto.

A me piaceva lo sport, a lui no, quindi, come si potevano fare quelle belle discussioni che si fanno di solito tra interisti e milanisti, fra romanisti e laziali?

Contrasti nello studio? Nemmeno. Già, perché mi sono dimenticato di dire che siamo gemelli, e, naturalmente, lui era uno studioso, io uno scansafatiche. Adesso eravamo tutti e due alle soglie della laurea: lui in legge, io in scienze politiche. Ma quando  facevamo il liceso, le traduzioni, i compiti, lui li faceva e io li copiavo. Non c’era versi, quindi, che si discutetesse se che  per la consecutio ci volesse un perfetto o un piuccheperfetto, o se Omero fosse o non fosse l’autore dell’Iliade e dell’Odissea. Per me era vangelo quello che diceva lui.
Con queste premesse, io mi domando e dico: se a lui ballare non piaceva, la musica leggera meno che mai, e le feste meno ancora,  io torno a ripetermi e a domandarmi: chi me lo fece fare  a insistere tanto, quella sera dell’ultimo dell’anno, perché venisse con me?
Giulia dava una festa. “Poche persone”, aveva detto la mamma, perché i condomini si erano lamentati che non una tantum, vedi fine dell’anno, ma quasi seralmente dall’appartamento di Giulia veniva un baccano da pazzi. La raccomandazione  delle “poche persone”, però era inutile, perché gli amiconi per la pelle erano dodici, me compreso.

Giulia, dunque, dava una festa. A me le feste piacevano da matti, e ancora più da matti mi piaceva Giulia.

E mi batto i pugni  in testa, e torno a ripetermi. Ma benedetto il cielo, ma se a Renato non piacevano le feste, perché la mia insistenza nel portarmelo dietro?

Bè, un motivo c’era, siamo onesti. La suddetta Giulia era superstiziosa, e quella sera per l’arrivo di una sua cugina, eravamo tredici, e ovviamente, essendo la cugina una donna, mio fratello ci stava a pennello.

Quando glielo proposi, Renato dapprima disse un “no” grande come una casa. Poi visto che io c’ero rimasto male, fece un bel discorsino sull’inutilità di perdere sonno per festeggiare l’anno nuovo. Disse che il 31 Dicembre, nonché il 1 Gennaio, sono giorni esattamente uguali agli altri          trecentosessantatre… pero, alla fine, si convinse e venne. Giulia era uno splendore  (in realta lo era sempre) né si può dire che le altre fossero da meno. Una sbirciatina… eccola, “la donna in più”.  Proprio non era un gran  che , e fui subito soddisfatto, perché pensai che, vista così a occhio e croce, era proprio il tipo che poteva andar bene per mio fratello. Non vistosa (eufemismo per dire bruttina anziche no), poco truccata, un paio di occhiali che la qualificavano come “prima della classe”. Aveva begli occhi, e questo, onestamente, non per la solita consolazione che si dà alle ragazze racchiette. Gli occhi li aveva veramente belli, brillavano attraverso gli occhiali.

Io conoscevo tutti, naturalmente, meno la suddetta ragazza, alla quale subito mi presentai. Renato non la conosceva né la suddetta né gli altri conoscevano Renato. Feci quindi una presentazione collettiva: mio fratello Renato. Ci fu un gran battimano, dopodichè io pensai fosse l’ora di correre da Giulia e accaparrarmela per tutta la sera.

“Senti”, mi disse subito Giulia, “hai visto Martina? E’ una nipote di mia madre. E’ timida, sarà bene che tu, allegro come sei,  te la curi un po’…”.

Una doccia fredda.

“Io? Ma… guarda che penso proprio sia la donna ideale per mio fratello”.

“Tuo fratello? Ma non mi hai detto che è un orso, che è la prima festa alla quale partecipa, ecc. ecc.? Tuo fratello me lo devo curare io. Non voglio gente che si annoi, in casa mia e soprattutto stasera”.

Mi portò vicino alla Martina, mi piantò lì. E svolazzò verso Renato.

Inghiottii amaro, ma poi mi consolai… meno male che Renato… Dopo un po’ attaccarono a ballare.

“Questa volta me la rido”, dissi tra me e pensai che quei quaranta chili di Martina, che pure avrebbero dovute volare alle note della musica, mi avrebbero certo risposto: scusami, non so ballare… Stessa frase che Renato avrebbe detto a Giulia, per cui le coppie si sarebbero formate secondo i miei primitivi desideri: io a ballare con Giulia, Renato a parlare di quel che voleva (affari suoi) con Martina.
Illusione.

Martina si illuminò, quando la invitai a ballare, e devo proprio dire che mi sembrava di ballare con una piuma.

Non che questo mi impedisse di dare una sbirciatina a Giulia e Renato. Li vidi, anzi li sentii, perché ridevano a più non posso. Giulia si stava sforzando a insegnargli i primi passi. Ci rinuncerà, pensai, non è testa, anzi, non sono piedi, che possono afferrare i passi in quel momento del valzer.

Infatti Renato sembrava un orso ( e questo mi consolò, anzi mi fece fare un soddisfattissimo  e lo confesso, malignissimo sorriso). E siccome Martina era veramente una ballerina, e a me il ballo piaceva molto, mi buttai sul valzer, e sbirciatine non ne detti più.
Quando chiesero tutti il bis, devo dire che fui soddisfatto. Però a Giulia, alla mia Giulia, un’altra occhiatina dovevo pur darla. Ma… sono loro? Renato roteava  leggero come una piuma, e se mi avessero detto che dalla sua infanzia non aveva fatto che ballare il valzer, ci avrei creduto.

Pestai un piede a Martina, persi due volte il tempo, e finalmente il ballo finì.

Giulia mi venne incontro col suo sorriso più smagliante, tenendo Riccardo per mano. “Ma è favoloso, Giulio. Pensa che non aveva mai ballato, ora sembra un ballerino”.

“Possibile?”, feci io, che purtroppo avevo constatato con i miei occhi che era possibilissimo.

Mio fratello era imbarazzato: “Be… sì… il valzer, come si chiama, ma…”.

Il mio cuore, cattivo, esultò al pensiero che Renato avrebbe stufato  Giulia con un barboso discorso sulla differenza tra il valzer di balera e quelli di Strauss.

“…Ma”, continuò Renato, “il tango, e i balli moderni? Non so nemmeno come si chiamano…”.

“Non ti preoccupoare, Renato. Quando andrai via di qui, sarai un ballerino nato. Ne hai la stoffa, parola di Giulia”.

E così fu. “Nato”, no, ma “diventato”, si. Per la balordaggine mia che me lo ero portato dietro.

Non potei certo dire di essermi divertito, quella sera, ma siccome  a mio fratello volevo un bene dell’anima, fui, in fondo, contento per lui,  anche perché mi consolavo col pensiero: meglio Renato, tutta la sera con Giulia, che un altro…

Al ritorno, anche perché eravamo molto stanchi, non parlammo. Arrivati a casa, lo abbracciai per ripetergli “buon anno”, e mi aspettavo che da bravo fratello qual era, mi rispondesse: altrettanto Giulio.

No, mi guardò con aria trasognata, e mi fece sobbalzare due volte. Disse: “Porca miseria, Giulia, che schianto di ragazza!”

Due volte, ho detto. Della prima, è facile capire il perché. Ma della seconda… Renato che dice “porca miseria”? Che dice “che schianto”? Avrei immaginato, da lui, che dicesse: “Tanto gentile e tanto onesta pare…”.

Ripensai, però, dopo i due sobbalzi, che la sera non era andata male. Renato si era divertito, e poi cosa aveva detto? Che Giulia era uno schianto. Be’, lo dicevano tutti e Renato era diverso da me, si, ma non era cieco.

Mi addormenati, e mi svegliai all’una, quando la mamma venne a chiamarmi. “Su, su Giulio, ci sono i nonni, siamo già pronti per andare a tavola. Renato è già alzato da un pezzo”.

Già, ma mio fratello era diverso. Io ero un dormiglione, a lui bastavano poche ore di sonno.

Passò il capodanno, passarono altri giorni, le feste volgevano al termine. In quei giorni la vita era trascorsa normalmente. Io ero andato due volte a sciare con tutta la comitiva, Martina compresa, ed ero tornato felice, perché Giulia non mi aveva neppure accennato a Renato e tutto era tornato come prima.  Come prima proprio non direi, perché quei quaranta soliti chili di Martina me li trovavo sempre vicini, e sapete? Non mi dispiaceva affatto.

Anche quel mattino, era l’Epifania, e aspettavamo solo Giulia per partire per Bormio, i suoi discorsi mi davano conferma che Martina non mi dispiaceva affatto, anche se continuavo a dirmi che i suoi discorsi me la facevano vedere come la donna ideale per Renato. “Lo sport? Non mi interessa. Il problema della donna? Non me lo pongo nemmeno. La donna deve studiare, si, perché non è un’oca, e perché nella vita non si sa mai.  Ma la donna è nata per essere la fedele compagna dell’uomo, la madre dei suoi figli. E’ l’amore che deve portare alla collaborazione tra l’uomo e la donna”.

Cielo come sarebbe andata d’accordo con Renato!

“Tu Martina, studi?”.

“Certo, adoro la filosofia  e il greco: anche tu?”

“Io… adoro… adoro il latino, ecco”.

Il discorso sta prendendo una brutta piega. Ho già detto che Kant ed Erodoto non li avevo mai inseriti tra le mie passioni. “Il latino, che bello! Per me Cicerone…”.

Meno male che arriva… meno male un corno.

“Una sorpresina”, fa Giulia. E chi tiene per mano? Renato in perfetta tenuta da sciatore, elegante (cavolo, dove l’ha trovato quel maglione? Ho girato tutti i negozi di Milano, per trovarne uno uguale).

“Renato! Ma non hai mai sciato in vita tua”.

“Per ogni cosa c’è un principio”, sentenziò.

“Eh caro Renato, non credere che si possa imparare a sciare come hai imparato il valzer!”.

“Non ci penso neppure”, fece Renato con sufficienza. Non ci pensò neppure, infatti,  ci pensò Giulia. Tutto il giorno a camminare mano per  mano. Meno male che io ero distratto da Martina. Che sciatrice! Che discese!.

A sera eravamo stanchissimi. Fu una vacanza breve e bellissima. Poi arrivò l’Epifania che come diceva sempre mia nonna, quando eravamo bambini, ogni  festa spazza via.

Avrebbe spazzato via anche Martina, purtroppo!

Infatti Martina tornò a Roma, e tutto tornò normale. Cambiò solo la bolletta del telefono, tanto che mia madre, che cosa non sfugge alle madri?, disse: “Non bastava l’aumento delle bollette da parte della Telecom, ti dovevi trovare anche una ragazza  a Roma, Giulio? E anche tu Renato, una volta non telefonavi mai, ora sei sempre attaccato al telefono! Anche le urbane, dai e dai, fanno salire le bollette”.

Renato? Sempre al telefono? E con chi diavolo parla?

Lo squillo del telefono. Mi precipito. “Renato, c’è Giulia per te”. Diavolo di un Renato è con Giulia che parli!

Be’, sono contento, dopo tutto. Per me Giulia è acqua passata, Renato si è finalmente innamorato. Ma lui così casalingo, così studioso, come si troverà con Giulia? Giulia è bella e buona, ma troppo esuberante: povero Renato, speriamo che tutto gli vada bene…
Renato era cotto, si vedeva. Sorrideva, non era il solito musone (beato lui, poteva sorridere, perché la ragazza non l’aveva a Roma!). Martina tornò per Pasqua. Capii di esserne innamorato cotto. Facevamo tante passeggiate, ma naturalmente, io avevo il mio carattere esuberante, e spesso ci trovavamo con tutti gli amici (non più tredici, ma quattordici, perché, ormai dove c’era Giulia,  c’era Renato).
Certo, Renato aveva il suo carattere tranquillo, poco amante della compagnia, dello sport, ma doveva adattarsi.

Finiscono le vacanze pasquali. Ora si deve pensare proprio alla laurea. Vi devo dire che non facevo che studiare?

Dieci, dodici ore al giorno: Renato, oh certo che studiava, ma ogni tanto apriva la mia porta e mi diceva: “Giulio, non bisogna esagerare con lo studio”. Sentenziò: “Un giovane ha bisogno anche di distrazioni”.

Morale: ci siamo laureati, io con 90, mio fratello con 110. Per quello che avevo studiato io in tutti gli anni all’università potevo fare i salti mortali. Mi rincrebbe che Renato non avesse preso la lode.

Mi risposero in coro, lui e Giulia: la lode? Ma che cosa vuoi che conti la lode? Va benissimo così.

Renato dice: ora bisogna festeggiare con tutta la compagnia.

“Ma…”, azzardo io, “non si potrebbe festeggiare tranquillamente noi quattro?”.

Mi investirono, lui e la sua Giulia. “In quattro? E la compagnia? A parte che si offenderebbero a morte, che barba di festa sarebbe in quattro?”.

 
 
Gli anni sono passati. Io ho sposato Martina, Renato ha spostao Giulia. Siamo felici, ognuno a modo suo, s’intende, perché ci sono stati dei cambiamenti. Oh, non essenziali! Mio fratello è alto sempre 1,68, io 1,80. Mio fratello è sempre bruno, io sempre biondo.

Per il resto… lo avrete capito.

L’altra sera mi vedo arrivare a casa Renato, Giulia e un sacco di amici. Ci volevano portare a sentire un concerto dei Modà.
Ero occupatissimo. Martina stava cambiando il bambino, io gli stavo preparando la pappa. Impossibile uscire. Non c’è la baby sitter e poi è tardi.

Tutti insistono. Giulia si offre pe cambiare programma, a nome di tutti. Si aspetta la baby sitter, e si va in un altro posto.
“Ma è tardi”, insisto io.

Sento la voce di Renato, conciliante: “Non insistete, ragazzi. Giulio non esce volentieri la sera. Lui è casalingo, tranquillo. Sapete … mio fratello è diverso”.

Cazzo, come era cambiata la situazione…si, il diverso ero diventato io.

   
 
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