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Autore: stefanvox94    26/09/2016    1 recensioni
Ricca, egocentrica, sicura di sé: Adelasia, una ragazza che si distingue soprattutto per gli atteggiamenti che assume nel rapporto con gli altri, specialmente con coloro che lei crede si trovino a un livello inferiore rispetto a lei e alla sua "gente". Eppure la sua personalità, la sua famiglia e il suo passato nascondono qualcosa che può riemergere soltanto grazie a chi è capace di capire a fondo una persona, senza fermarsi alle apparenze. E così si va alla scoperta non solo del suo mondo, ma anche di coloro che le stanno intorno (per scelta o meno): ragazzi e ragazze con le proprie insicurezze e i propri sentimenti conflittuali...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Buongiorno, Antonietta. Hai già fatto la lavatrice? Ah, okay… meglio così, i vestiti li trovo già negli armadi? Molto bene. Comunque… vorrei che mi lavassi anche 'ste scarpe. Se non vuoi fare un'altra lavatrice, allora lavale a mano… vabbé, sta a te decidere, la domestica sei tu”.
Non credo che la cara Antonietta dalla panza pronunciata e il seno abbondante, che nei miei rari momenti di empatia con l'universo vorrei addirittura abbracciare come se lei fosse una delle mie zie zitelle, goda di un'ottima salute. Credo che soffra delle tipiche patologie di quelle come lei, donne sulla soglia dei sessant'anni e dall'appetito indomabile, tipo colesterolo alto, pressione sanguigna altalenante, rischio diabete… insomma, le solite cose di cui si parla tanto nei programmi di salute mattutini ideati per le casalinghe che puliscono con il televisore acceso.
Nonostante ciò, però, una parte del suo corpo funziona perfettamente: le sue orecchie. Questo rappresenta una comodità per me: date le dimensioni della mia casa, posso permettermi di urlare gli ordini a decine di metri di distanza. Mia madre non sopporta questo mio modo di fare, non molto diverso dal suo, ma… 'sti cavoli.
Anche stamattina Antonietta è tutta indaffarata e, grazie alla potenza della mia voce, recepisce i miei comandi mentre io faccio il bagno nella vasca idromassaggio dall'altra parte del palazzo.
Dopo pochi minuti sento mia madre che richiama la domestica, ma non per chiederle di fare qualcosa per lei.
“Antonietta, dove sei? Vengo io, devo parlarti… ci metto due minuti”.
Allora… innanzitutto, come mai è lei che va dalla domestica e non il contrario? E poi… di cosa cavolo vorrebbe parlarle? Del salario e di tutte quelle cose burocratiche si occupa mio padre… Boh, mistero. Comunque, mi sono resa conto che in questo periodo la salute mentale della mia mammina sia diventata ancora più preoccupante. Coltelli puntati contro sua figlia, sguardo da stronza non più solo da stronza ma anche da perfida, e atteggiamenti più benevoli nei confronti della sua serva, la quale è sempre stata assolutamente devota alla signora De Vittori, senza che quest'ultima ricambiasse in alcun modo.
Tutta questa situazione mi lascia perplessa e allo stesso tempo stuzzica la mia curiosità, tant'è che, per la primissima volta nella mia intera vita, esco dieci minuti prima dalla sontuosa vasca, mi asciugo velocemente, mi cospargo di amido di mais purissimo, indosso le ciabatte e la prima vestaglia che trovo nel ripostiglio e mi sposto nel corridoio.
Dov'è che stanno, quelle due? Ah sì… ora sento qualcuno bisbigliare… quella arpia vuole nascondere qualcosa.  Si trovano sicuramente nella camera degli indumenti e dei cosmetici di mia madre, dove di solito Antonietta massaggia le gambe della sua padrona o si improvvisa estetista con cerette e pinzette. Immagino che la panzona si trovi lì per sistemare il vestiario di quella strega, che ora l'ha raggiunta per dirle chissà cosa… e se si trattasse di me?
Percorro il corridoio alla chetichella... piano, piano… piede destro, piede sinistro… mi tengo alla parete mentre inarco la schiena leggermente in avanti... cerco di trattenere il fiato, ma non ci riesco: ci sono ancora troppi passi di distanza… così espiro, facendo pressione con la mano destra sulla parte inferiore della faccia, tra le narici e il mento… e poi, inspiro, espiro, lentamente, sperando che proprio ora non mi venga uno starnuto o che il mio stomaco non brontoli oppure ancora che un osso non scricchioli... tolgo le ciabatte per non rischiare ulteriormente di far rumore... sento solo il mormorio di quella lì e il mio cuore palpitare così forte che temo che da un momento all'altro possa schizzare come un razzo fuori dalla mia gabbia toracica.
Madò che ansia.
Finalmente giungo dietro la porta. Comincio ad origliare.
“Ascolta, Antonietta, credo che non dovremmo più togliere i peli delle mie gambe con le strisce o con la crema. Dovremmo farlo col rasoio”.
“E perché mai, mia signora? Le innovazioni sono sempre comode e sbrigative”.
“Sì, lo capisco, ma il mio dottore mi ha detto che con le vene varicose che stanno comparendo sulle mie gambe non conviene utilizzare trattamenti, a suo dire, troppo aggressivi”.
“Sarà fatto, allora, signora” risponde la domestica, che riesco a intravedere spostando leggermente il capo. Antonietta si sistema il cerchietto sulla sua chioma nera come la pece e poi, col fiatone, cerca, per quanto le risulti possibile, di piegarsi in avanti per esaminare al meglio le gambette di mia madre.
“Tra l'altro,” continua mamma, “la farmacista mi ha consigliato un fondotinta supercoprente e che non sporca su nulla, nemmeno sui capi bianchi come le lenzuola”.
“Ha intenzione di utilizzarlo a letto?!” domanda Antonietta, con aria incredula.
“Sì, altrimenti come faccio ad essere ancora desiderabile agli occhi di mio marito con queste evidenti venacce viola? Okay, di notte, con la luce dell'abat-jour, non si vede granché, ma… meglio prevenire… e poi, potrò utilizzarlo non solo a letto. Anche in piscina, ad esempio… è resistente all'acqua”.
“Ottima scelta, mia signora”. Antonietta regala uno dei suoi rari sorrisi. Eh... la signora De Vittori per lei rappresenta tutto. Peccato che è mio padre che la fa campare.
“Mi raccomando, niente di quello che ti ho rivelato deve uscire da questa stanza”.
“Oh, mia signora, conosce bene il rispetto che ho per lei”.
“Ehi, voi due”, piombo io.
Mia madre riafferra il suo accappatoio celestino e si copre metà corpo, dalla vita in giù.
“Sì, Adelasia, dimmi pure”.
“Devo fare qualcos'altro per lei, signorina?”.
“No, Antonietta, tranquilla. Volevo soltanto informare che dopo aver finito di sistemarmi mi recherò da Lady Borotalco”.
“La contessina Clelia Tambroni?” fa mia madre, con sguardo indisponente. “Fai ancora visita a una ragazza che è ricca semplicemente per aver ereditato un titolo? Noi siamo i veri ricchi, quelli che il lusso se lo sono costruito con il lavoro. Tra l'altro, la sua famiglia usufruisce ancora dell'eredità economica degli antenati… l'aristocrazia non ha più i privilegi e l'importanza di un tempo”.
“Non me ne frega niente di queste cose, è ricca e basta e questo è ciò che mi importa”, sbotto. “Comunque è papà che da sempre ha lavorato per avere tutto questo, definiamo il vero soggetto. Detto ciò… vorrei incontrarla perché mi piace la sua compagnia, e più volte mi ha invitato nel suo palazzo dopo che i suoi si son trasferiti nella villa in campagna”.
“Dunque ora quella dimora è tutta sua?” domanda, mentre Antonietta allinea i diversi balsami per il corpo davanti allo specchio.
“Esatto, ci abita con i suoi tre amanti”.
“Tre amanti?” ripete lei, storcendo il muso.
“Proprio così. Sappiamo che è una personalità eclettica… e vive la vita, l'amore, qualunque compagnia come le pare e piace, senza seguire i canoni sociali”, prendo le sue difese, nonostante io, finora, non sia mai stata una molto disposta a distinguermi dalla maggior parte di coloro che appartengono al mio ceto. “Vive con una ragazza e due ragazzi”.
“Che faccia come vuole” conclude la mamma, nascondendosi dietro il siparietto per togliere l'accappatoio e rimettere i pantaloni.
“Ha bisogno di qualcosa, signorina?”.
“No, Antonietta, ti ho già detto di no, grazie”.
“Se avrà bisogno di me prima di uscire, non esiti a chiamare”.
“Oh, certo, mi sembra ovvio”.
“Torno a servire sua madre” annuncia la novità dell'ultimo minuto, mantenendo intatta la sua eterna espressione da cagnolino bastonato, che non ho mai capito se ha imparato ad assumere volutamente o se le viene proprio naturale.
“Sì, sì, torna ad accudire il tuo boss” borbotto a bassissima voce, allontanandomi da quella saletta.
 Crema idratante, trucco leggero con colori freschi e neutri, acconciatura chignon a cipolla, vestitino estivo grigio perla, ballerine color panna, borsetta color argento, collana e bracciale in oro e son pronta.
Ah, dimenticavo gli occhialoni da sole regalatimi dalla buonanima di Loris… sono quelli che si abbinano di più, oggi.
Palazzo Tambroni si trova praticamente a cinquanta metri da casa mia, perciò posso percorrere la strada a piedi.
Lady Borotalco è una mia grandissima amica. Il soprannome fa riferimento al suo amore per il famoso cosmetico. Ognuno ormai la chiama così, e a lei questo non dispiace per niente.
È nota anche per le numerose feste che tiene nella sua fastosa residenza, eventi in cui è ben accetto tutto ciò che risulta appariscente ai suoi occhi: è amante del vintage, dello splendore e della maestosità. Le sue incantevoli cerimonie vengono organizzate perlopiù nei mesi freddi, ma anche d'estate non mancano i ricevimenti nell'immenso giardino, vera oasi e cuore verde pulsante di Dartigliano. Ovviamente solo gente come me può metter piede nella sua reggia.
Nell'ultimo periodo si dice che si sia presa una pausa per via della morte di Loris, uno dei suoi amici più cari nonché frequentatore assiduo, insieme a me, di tutti i suoi festeggiamenti.
Io credo che abbia preso questa decisione anche per potersi dedicare maggiormente e diversamente ai suoi amori poliedrici: pochi giorni fa i suoi compagni hanno infatti pubblicato sui social network le foto delle loro vacanze in non so dove. Sono andati sia al mare che in montagna. Lady Borotalco, invece, non è iscritta ad alcun “ambiente virtuale e astratto”, come lei stessa definisce il mondo del web. Pare che detesti l'uso di internet, ma riesce comunque a chiudere un occhio quando uno dei suoi amanti le scatta una foto per Instagram o Facebook.
“Sono Adelasia De Vittori, annunciatemi alla contessina, per lei sarà certamente una gran gioia potermi accogliere”.
Le guardie del suo palazzo, sempre vigili davanti all'austero portone verde smeraldo, sanno benissimo chi sono, ma qui la propria presentazione è una formalità indispensabile.
Poco dopo, uno dei custodi, vestiti completamente di grigio, riferisce che posso accedere.
L'ingresso, dominato da un portale in pietra preziosa – di cui una volta Clelia mi disse il nome preciso che ora però non ricordo perché non posso ricordare sempre tutto –, è costituito da un ampio androne seguito da un cortile che un tempo rappresentava il luogo d'arrivo delle carrozze.
La scalinata che conduce al piano nobile, a un certo punto, si divide in due rampe che portano parallelamente al salone di ingresso, luogo dove spiccano i quadri degli antenati… insomma ti ci ritrovi ad essere fissata da tutta la stirpe dei Tambroni. Questo ambiente, così come i salotti che si sviluppano a seguire, sono arredati con mobili d'epoca e presentano decorazioni angeliche sul soffitto. Il marmo pregiato su cui ora si trovano le mie favolose scarpe ricorda vagamente i pavimenti di buona parte della mia dimora. Ciò che mi attira di più è sicuramente il colore delle tende, un rosso fuoco insieme al quale, da entrambi i lati, l'oro dei pomelli luccica come pochi altri materiali che io abbia mai visto nella mia vita.
Le imponenti porte-finestre, poi, permettono di ammirare tutta la cittadina: contemplare il panorama da qui si fa molto più interessante di sera, quando si accendono i superbi lampadari in cristallo e questo posto diventa un vero e proprio spettacolo al di sopra del mondo.
Finalmente giunge la Lady.
“Buongiorno, Adorata”.
Il suo originale saluto riecheggia in tutto il salone.
“Carissima Clelia”.
Vado incontro alla contessina, che procede lentamente trascinando la lunga veste, candida ma leggermente rosata, come il suo colorito. Porta con sé anche il perenne profumo di talco che la avvolge ogni attimo della sua vita ma che mai la stanca né infastidisce chi le sta attorno. Sarà una specie di droga?
“Non immagini quanto stia gioendo a vederti qui, Adorata. Ma allo stesso tempo devo esprimere tutta la mia tristezza e il mio dolore per la perdita del tuo Adorato… oddio, oddio… Loris! Quanta sofferenza mi ha portato la notizia! Purtroppo non son potuta esser presente ai funerali, né contattarti privatamente per le condoglianze, a causa di impegni che non mi hanno fatto star ferma un minuto. Avrei comunque fatto di tutto, ora che sono più tranquilla, per invitarti da me… ma eccoti qui!”.
La lady dai capelli biondo platino, alta quanto me senza tacchi (beata lei), strizza gli occhi scuri, mi prende le mani e le porta verso il suo cuore. È struccata ma la sua pelle appare veramente impeccabile. Spenderà un capitale per la sua cura, molto più di me sicuramente, ma i risultati si notano senza alcun dubbio. Neanche un poro dilatato. Neanche un rossore. Le occhiaie sono leggermente più scure rispetto al resto del viso, ma ciò è dovuto al contrasto con la sua bianchezza, un pallore non da malato ma da creatura luminosa, eterea.
“Oh, non preoccuparti, cara Clelia. Non ho minimamente dubitato della tua amicizia. Sapevo che, se non fossi venuta io, non sarebbe comunque mancata la tua presenza prima o poi. Sei stata assente per dei motivi validi, suppongo, ma ora… eccoci qui! Eh, sì… la morte del mio fidanzato è stata una vera tragedia...”.
Cerco di sembrare un po' più dispiaciuta. Non che non lo sia, eh, ma… ogni tanto bisogna enfatizzare per comunicare i nostri sentimenti. Avvicino la mano destra sulle labbra, chiudo forte gli occhi e respiro a intermittenza.
“Oh, Adorata, non fare così. Io ti son vicina. Speriamo che la verità venga svelata al più presto e che la giustizia faccia il suo corso. Ma prima dobbiamo pensare al tuo benessere. Sai, ci si può risollevare prendendosi cura di se stessi”.
“Tu dici?” domando con voce flebile, riaprendo gli occhi.
“Oh, ma certo, Adorata. Rinnovando le abitudini cosmetiche, innanzitutto. Io, ad esempio, seguo dei programmi fissi, come cospargermi il viso e il decolté di talco prima di dormire – un talco mentolato che contenga possibilmente anche qualche altro ingrediente benefico, lenitivo, opacizzante e ammorbidente –, ma cambio sempre gli olii per il bagno”.
“Oh, i tuoi olii segreti! Quanto vorrei un giorno conoscerne qualcuno!” le confesso.
“Adorata, chiaramente te li farò scoprire con molto piacere. Un giorno potresti unirti a me e ai miei amanti per il bagno pomeridiano… magari portando qualcuno con te… qualcuno di speciale...”.
“Eh, sì, molto volentieri… quando tornerà l'amore nella mia vita… a proposito, è proprio di questo che ti vorrei parlare. Oltre al desiderio di rivederti, è l'amore che mi ha portata qui e… vorrei chiederti un favore”.
“Nostalgia per l'amore che non puoi più vivere, Adorata?”.
“Mmm… no, direi di no. Ho bisogno che tu legga le carte per me. C'è una nuova presenza nella mia vita e… vorrei far chiarezza. Credo che un ragazzo provi qualcosa per me e… anch'io, insomma...”.
“Sul serio?”. Lady Borotalco agita la testolina, mostrando stupore.
“Sì, cara Clelia. Forse è ancora presto per pensarci, ma...”.
“Oh, no, Adorata, non è mai presto o tardi per questo!”.
“E, sai, conoscendo la tua abilità coi tarocchi...”.
“Ma certamente! Faccio portare le carte da Gasparo”.
Clelia richiama il domestico, uno dei tanti che lavorano per lei, e in poco tempo riceve un mazzo di carte sul cui retro spicca il simbolo di uno scorpione argentato, al centro di uno sfondo rosso sangue. Rimango quasi turbata alla vista di una raffigurazione così tetra. Non pensavo che in questo palazzo così chic potesse esserci un oggetto sinistro. Eppure… ecco i tarocchi di Lady Borotalco, che per la prima volta posso vedere girati dal lato opposto. Ho sempre visto le carte scoperte, con figure di amanti, anziani, alberi, stelle, arcobaleni, nuvole e cose così. Non ho mai capito come faccia a leggerli, ma non mi interessa la procedura, bensì ciò che hanno da dire. Se non sbaglio non sono questi i tarocchi ufficiali, o comunque quelli che in genere vengono usati dalle cartomanti o dalla maggior parte degli esperti in quest'ambito. Clelia una volta mi raccontò che aveva scoperto l'esistenza di questo tipo di carte a Parigi, molti anni fa. È infatti sin da quando era bambina che si dedica a questa roba, offrendo letture e consulti soprattutto alle persone del suo ceto, come la sottoscritta.
Quasi mi gira la testa mentre cerco di seguire le sue mani che, sul tavolino dorato in fondo al salone, vanno a destra e manca, spostando le carte da una parte all'altra. Mi sono accomodata davanti a lei. Queste sedie in legno pregiatissimo sembrano più degli sgabelli… sono veramente basse! Per fortuna le usa solo per queste sue pratiche.
Lady Borotalco mormora qualcosa. Non capisco nulla di quello che dice… ogni tanto colgo qualche sillaba, ma sembra si tratti di una lingua straniera o del tutto inesistente. Forse borbotta parole a casaccio per concentrarsi maggiormente, o semplicemente per creare atmosfera.
Scopre alcune carte e nasconde delle altre. Le mischia, le ripesca… Ne mischia ancora, ne pesca tre e le gira lentamente, inspirando profondamente ed espirando ad occhi chiusi, dopo aver messo a posto tutte le altre e aver posato entrambe le mani sulle tre che si trovano al centro del tavolino.
Vorrei chiederle se è arrivata alla fine, perché sembra proprio che sia così. Ma forse sta ancora interpretando quello che le carte le stanno comunicando, e quindi mi sto zitta e aspetto che sia lei a pronunciare qualcosa.
“Ci siamo” enuncia finalmente.
Dopo aver avuto la fronte corrugata per un po', rilasso i muscoli facciali, sebbene mi senta leggermente in ansia per quello che dovrò sentirmi dire.
“Bene… ehm… allora?”.
“Oh, Adorata. Non sono mai stata così confusa davanti ai miei tarocchi. C'è un messaggio chiaro, questo è sicuro, ma… sembra che ci siano troppi intoppi ad attenderti...”.
“Intoppi?!”.
“Proprio così. Qui vedo amore… o meglio, vedo un sentimento vero, forte… un'attrazione, soprattutto mentale… un qualcosa che tu finora hai cercato di respingere e che per un altro po' di tempo tenterai invano di reprimere. Ma alla fine ti abbandonerai a quel che ti aspetta. Anche perché il ragazzo che ti incuriosisce, a quanto pare, non è mai stato il tuo tipo. Più precisamente sei stata tu ad imporre a te stessa di non preferire persone come lui. Ma, in fondo, non vedo nessuna influenza negativa che questa anima potrebbe avere sulla tua. Gli ostacoli sono invece poco chiari… molto vagamente riesco a vedere che sarete frenati, ma… allo stesso tempo attirati… sempre più legati da una forza che è già presente e che voi stessi, anche inconsciamente, alimenterete giorno dopo giorno”.
Avendole esposto ulteriori perplessità, Lady Borotalco mi incoraggia con i suoi toni pacati, quindi decido di non insistere e di ringraziarla per il tempo dedicatomi.
“Mi sei stata veramente d'aiuto”.
“Adorata, io ho fatto ben poco. Ora sta a te agire, in base a ciò che ti riserva il futuro. Il destino è solo parzialmente scritto, sei tu ad avere in mano la penna che mette nero su bianco la tua storia”.
Prima di congedarmi, mi ricorda di usare sempre la protezione solare, anche di inverno e anche quando il cielo è nuvoloso. È un consiglio che mi ha ripetuto almeno un centinaio di volte.

È sabato e sono libera. Riprenderò il tirocinio lunedì, eppure… credo di non avere tanta voglia di godermi questo weekend. In alcuni momenti vorrei persino che la nuova settimana arrivasse subito, senza aspettare due altri giorni. Quel centro disabili sta diventando per me un luogo rassicurante, direi quasi piacevole. Strano ma vero… e chi se lo sarebbe aspettato?
Palazzo Tambroni è ormai alle mie spalle. Decido di fare un salto nell'erboristeria del centro, a pochi passi dal punto in cui mi trovo.
Cammino decisa, ma un sorriso insolito, tenue, più sincero, compare sul mio viso. Abbasso la testa, come se improvvisamente mi stessi vergognando di me stessa per la sensazione inconsueta che sto provando. Eppure è così… bello… mi sento più serena. Sarà un'illusione? La paura non manca mai… forse è questa che mi “frena”. Rifletto sulle parole di Clelia e penso che forse dovrei cominciare a lasciarmi andare.
Una voce antipatica mi ferma. Allargo le braccia e quasi mi cade la borsetta per lo spavento.
“Adelasia De Vittori, ma che piacere incontrarti”.
È Luisa Rinaldi, la mora stronza che odio profondamente. È la riccona più insopportabile di Dartigliano. Mi sono addirittura sfogata con Angela la cicciottella per l'odio che provo nei confronti di questo essere poco degno di godere dei privilegi della sua posizione sociale. Sempre pronta a sparlare di quelli del suo ceto, come una popolana qualunque. Una vera e propria vipera velenosa.
“Ciao Luisa”, la saluto seccata.
L'arpia si è portata appresso, come sempre, il suo cagnolino. No, non un vero animale da compagnia, ma quasi… una specie di assistente che lavora gratis. Il suo nome è Giulio Lambreschi. Ricco anche lui. Un po' bassino, con gli occhiali, i capelli ricci castano chiaro e un fisico normale… niente di che, insomma. Si veste senza pretese e ha una vita troppo tranquilla e monotona. In poche parole non approfitta per niente dei soldi della sua famiglia. È conosciuto soltanto per la sua leggera balbuzie.
“Cia..ciao Ade...Adelasia”.
“Ciao Giulio”. A lui mi rivolgo con un po' più di simpatia. “Come va? Bella giornata, vero? Stai risultando di aiuto anche oggi? Cosa farai di bello? Reggerai le buste della spesa della tua amica?”.
Il risolino di Luisa è chiaramente falso, come lei.
“Ma no, abbiamo preso un caffè al Bar Ducale, e ora passeggiamo un po'”.
“E...e… Federico… il tu… tuo amico?”.
“Ah, non so… forse starà con me questa sera, o domani. Ci dobbiamo organizzare. Ma di sicuro lo incontrerò la settimana prossima. Svolgo insieme a lui un tirocinio nel centro dei disabili della città, dunque… lo vedo spesso!”.
Giulio sorride angelicamente, mostrando tutti i denti ben curati dal papà odontoiatra.
“Cooosa?!” esclama invece Luisa.
“Cosa… cosa?” ripeto.
“… Nel centro dei disabili?”.
“Sì, hai capito bene. Ti sconvolge la notizia, per caso?”.
“No, io… no, non mi sconvolge, ci mancherebbe altro! È il centro in cui lavora Fulvio Terreno? Il figlio del candidato sindaco che se la giocherà con tuo padre?”.
“Proprio così” confermo, non riuscendo nuovamente a trattenere il nervosismo che mi fa tremare le mani e sbattere ininterrottamente le ciglia.
“Oh, è lì al bar”, indica con la mano destra, “oggi sembra un moribondo”.
Non le rispondo. Mi dirigo subito verso di lui. Solo che Gulio mi blocca, tenendomi la borsetta. Io mi volto di scatto e, quasi imbestialita, gli faccio : “Che c'è?!”.
“Potrò venire a tro… trovare Federico ogni ta… tanto?” mi domanda lui timidamente.
“Sì, certo, Giulio, quando vuoi”.
Fulvio è seduto da solo. Ha la testa poggiata su uno dei tavolini. Sembra triste… è pallido, ha gli occhi cerchiati… non sarà mica sconvolto per qualcosa?!
“Fulvio? Che cosa ti è successo?!”.
Mi fermo davanti a lui. Poggio la borsa su una sedia, gli tocco la fronte e porto dietro i suoi capelli spettinati. Sembra impassibile, ha pronunciato il mio nome con voce flebile e questo mi preoccupa.
“Niente… credo di avere la febbre”.
“Eh, sì, questo è sicuro: stai scottando”.
“Davvero?”. Spalanca gli occhi, come se gli avessi detto chissà cosa. “Devo rimettermi in sesto! Non posso permettermi dei giorni senza fare nulla”.
“Vieni, ti accompagno a casa” gli faccio, non appena vedo l'autista di mio padre che sta per salire sulla nostra Mercedes. “Ehi, Andrei!”.
“Coza vuole, zignorina?”. L'ometto dalla pelle spenta e gli occhi fuori dalle orbite sembra andare di fretta.
“Aspetta, dobbiamo accompagnare il mio amico”.
Questa situazione è abbastanza curiosa: l'altro giorno era Fulvio a sostenermi mentre provavo a camminare, adesso è il contrario.
“Grazie, Adelasia” mi dice Fulvio, non riuscendo ad aprire del tutto gli occhi. Le sue labbra sono secche e le sue orecchie hanno preso il colore dei pomodori.
“Io no posso! Dover prendere dottore e…!” protesta Andrei.
“Mio padre può aspettare! Adesso fa' come ti dico io!” gli urlo, ormai a pochi metri di distanza. L'intera piazza mi starà fissando, ma stavolta non me ne frega niente. “Maledetto rumeno” sussurro poi.
“Ehi, Ade, non essere razzista”.
“Sì, scusa, Fulvio, io non volevo… coraggio, ci siamo quasi”.
In pochi minuti arriviamo nei pressi di casa sua. Scendo dall'auto per accompagnarlo fino all'entrata. Sembra intenzionato ad abbracciarmi, ma è talmente debole che gli suggerisco di non perdere tempo.
“Entra, su, abbi cura di te”.
Mi accarezza le braccia e poi mi stringe forte le mani. Annuisce, poi mi lascia stare. Mette piede in casa e mi vedo il portone che piano piano mi si chiude davanti.
Mi ritrovo da sola… sento solo la voce di Andrei dietro di me: “Avanti, zignorina, per favora, io sono ritardo!”.

   
 
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