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Autore: shoutathedevil    27/09/2016    1 recensioni
"Nella mia mente, siamo ancora io e te che sfrecciamo veloci nella nostra Chevrolet su un'autostrada infinita."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Io ed Abigail non saremmo mai passati di moda.
La nostra storia, incosapevolmente, era diventata davvero una storia, una di quelle su cui chiunque potrebbe scrivere un film, un libro, o una canzone.
Eravamo due ragazzi che avevano appena finito il liceo, niente da perdere, niente da guadagnare. Eravamo un treno che correva al massimo, inconsapevole di quando si sarebbe schiantato.
Forse era questo il problema: noi aspettavamo inconsciamente lo schianto. Come un suicida aspetta il momento giusto, noi aspettavamo il nostro. Bramavamo quel sapore agrodolce della fine e lo aspettavamo con ansia, con un'ansia che solo due persone autolesioniste come noi potevano sentire.
Era il 1955 e i nostri pensieri erano fugaci, come la nostra bellezza e spensieratezza.
Ci conoscemmo al ballo del diploma; quella sera la notai subito: il suo sguardo vispo, vivace era come una calamita. Quello del suo compagno un po' meno, ma comunque non mi preoccupai di lui, andai a presentarmi comunque. Ed è lì che iniziò la nostra storia fatta di avventure e attimi fuggenti.
L'unica cosa di cui ci preoccupavamo era di vivere, spingerci più in là, tanto per vedere fin dove le nostre vite potevano arrivare.
Eravamo due persone complici dello stesso crimine: conquistare la piena libertà.
E così, la nostra vita si trasformò in un continuo viaggio verso il nostro posto nel mondo. A bordo della nostra Chevrolet bianca eravamo il re e la regina di tutto.
Le nostre famiglie le avevamo lasciate in un angolino, ci andavano fin troppo strette.
Ci giurammo di essere sempre noi, sempre insieme, sempre in un'avventura.
Perché alla fine ciò che ci spaventava più di qualsiasi altra cosa era arrivare alla vecchiaia e avere rimpianti. E né io, né Abigail volevamo quel peso sul petto.
In questa stanza spoglia e fin troppo bianca, ripenso al passato e scrivo, scrivo, scrivo...
Il momento che ricordo più spesso è quando partimmo per la prima volta insieme.
Dopo quel ballo ci vedemmo spesso e parlammo un sacco e, beh, dire che eravamo la stessa persona era davvero dire poco.
Decidemmo di fare una pazzia e di partire insieme, diretti a Newark.
Abitavamo in un paesino del New Jersey, negli Stati Uniti, e il solo pensiero di visitare una grande città ci dava i brividi.
Così quella mattina del 14 luglio passai a prenderla alle 6 del mattino. L'aria era già afosa e, mentre aspettavo uscisse di casa, abbassavo i finestrini cercando di rinfrescare la macchina il più possibile.
Poi girò l'angolo: indossava un delicato vestito bianco che le fasciava bene la vita e le metteva in risalto le curve, le labbra tinte di rosso, i capelli raccolti con un nastro blu. A tracolla aveva una grande borsa rossa piena di cose di cui solo lei poteva aver bisogno.
Era incantevole e solo vederla mi faceva assaporare la spensieratezza.
Sfrecciammo per le strade, cambiando meta all'ultimo minuto. Decidemmo per il mare. Quella giornata passò veloce come il vento, ma fu intensa come poche giornate lo sono.
Restammo ad Asbury Park fino al giorno dopo. Dormimmo in macchina, rannicchiati l'uno vicino all'altra.
Da lì iniziò il nostro viaggio infinito, alla scoperta della vita e di noi stessi.
Ormai quei giorni gloriosi sono finiti da tempo e, anche se con un enorme sforzo, ho imparato ad accettarlo, dicendomi che è stato bello finché è durato.
La nostra storia finì otto anni dopo quella partenza. E non finì per motivazioni futili, non per incomprensioni, non per stanchezza, bensì per qualcosa che non avevamo neanche considerato.
Abigail si ammalò di una malattia che la indeboliva ogni giorno di più. Dopo dieci mesi, se la portò via e, insieme a lei, una parte di me, la parte migliore, quella che viveva, lasciandomi come un albero spoglio e privo di linfa vitale.
Lo ammetto, dopo la morte di Abigail ho iniziato una vita monotona e forse un po' me ne pento.
Adesso mi ritrovo qui, in una stanza di una casa famiglia in cui passo la maggior parte delle mie giornate, scrivendo e leggendo, e guardando il tramonto di tanto in tanto.
A volte penso alla morte, al fatto che è quasi giunta alla mia porta, e mi rivengono in mente le parole di Abigail che mi disse quella notte ad Asbury Park, sulla riva del mare:
- Noi abbiamo qualcosa in più, Frank, lo sai? Renderemo la nostra vita un capolavoro, sarà perfino meglio di un film di James Dean. E sarà qualcosa che nessuno dimenticherà. Non passeremo mai di moda, Frank.
E così mi convinco di non aver buttato la mia vita, di essere stato qualcuno, anche se per poco.
In questi ultimi anni ho dedicato la maggior parte del mio tempo a riflettere e a dare risposte ad alcune domande un po' scomode per me.
Ma, in ogni caso, sento il bisogno di ringraziare Abigail Parker. Per avermi fatto volare in alto fino a toccare le stelle. Per aver creduto in me e in ciò che credevo anche io. Per avermi trascinato per mano perfino dove avevo paura di andare e per avermi scaldato il cuore quando l'unica cosa che sentivo era il freddo del mio stesso essere.
 
Sappi, Abbie, che non ti lascerò mai andare; nella mia mente, siamo ancora io e te che sfrecciamo veloci nella nostra Chevrolet su un'autostrada infinita.


shoutathedevil's corner:
Ehilà! Dopo secoli che non pubblicavo nulla, rieccomi qua. Questa one-shot è stata scritta ascoltando Style di Taylor Swift: mi sono immaginata uno scenario e BAM ho scritto. Spero vi piaccia... fatemi sapere. Ciao!

 
  
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