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Autore: lubitina    28/09/2016    0 recensioni
La Terra brilla, blu, silenziosa e lontana, negli oblò delle città-pozzo lunari. Molto, moltissimo tempo addietro, l’ultimo essere umano ha camminato con gli Dei, calcato l’erba del Giardino. Nessuno, degli abitanti delle colonie del sistema solare, conosce le ragioni di quella diaspora; solo in pochi, se ne interessano ancora. All’improvviso, dalle sotterranee grotte del Satellite, ricche d’acqua antica, appare un bambino sporco, macilento, coperto di stracci, cui viene dato nome Prius. Il primo toccato dal TecnoDio. La sua storia si perse nella leggenda, ma non la sua opera: a lui si deve l’EarthSimulator, un mondo parallelo, una realtà virtuale in grado di restituire, a tutti i suoi viaggiatori, la capacità di camminare, di nuovo, sotto il cielo azzurro terrestre.
Anni dopo la geniale invenzione, G., mentre dorme, al sicuro, nella sua camera-della-vita, è al comando di un piccolo gruppo di disperati, nascosti nei boschi della fu Europa centrale. Loro sacra missione, suggellata con un patto di sangue, è comprendere le ragioni della Diaspora. Dal folto degli alberi, appare un uomo. Uno sconosciuto, i resti di una tuta ad alta tecnologia a coprire il corpo martoriato. Chi è?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A J., che amerò per sempre
 
Ci sono storie che valgono la pena di essere raccontate. Esseri che vale la pena ricordare, perché, in silenzio, in sordina dal resto del mondo, hanno compiuto opere degne di questo nome. Non so se la storia, l’epopea, di J., possa interessare a chi verrà dopo di noi. Scrivo perché voglio ricordare. Voglio ricordare ogni singolo particolare. Voglio ricordare perché sento che i particolari del suo viso cominciano già a scivolare via da me, la sensazione della sua pelle sulla mia è già distanteHo paura di perderlo. Ho paura che la mia mente lo lasci andare per sempre, che si trasformi in un mare calmo laddove vorrei ci fosse tempesta.
 
Ho deciso di iniziare questo diario perché, chi verrà dopo di me, semmai ci sarà qualcuno, dovrà comprendere la nostra civiltà. La crescita, l’apogeo, la discesa, il crollo, e la piana abissale in cui ci siamo stabilizzati. Ho letto un libro, sugli abissi degli Oceani divini. L’habitat più grande del Giardino: fino al 90% di tutta l’acqua. Ci vivevano creature terribili, enormi pesci dotati di lanterne e tremendi denti acuminati; ma anche delicate creature spugnose, depositate sul fondo, in eterna attesa di ciò che cadeva dall’alto, dalla superficie scaldata dalla Stella.
I posteri dovranno anche comprendere, in pieno, ciò che ha caratterizzato la piana abissale dell’umanità. Cioè, se si vuole continuare nell’analogia, un’enorme montagna, una gigantesca e inaspettata anisotropia in un’esistenza di noia. L’EarthSimulator, la geniale invenzione della mente di un angelo. Descrivere questo mondo, quello in cui realmente vivo, non avrebbe senso, perché non si tratta di mondo nella definizione antica del termine. Scrivo ad esseri che verranno dopo di me, che forse, vivranno in un ambiente migliore. Perché intristirli?
 
Una volta nell’EarthSimulator (E-Sim, per semplicità), si poteva fare ciò che si voleva. Unica limitazione: le sessioni singole non potevano durare più di 36 ore. Comprensibile. L’azienda (si narrava fosse tra le più antiche della Seconda Civiltà e che avesse documenti che attestavano la sua fondazione ancor prima del Croll o) aveva così trovato un compromesso fra chi riteneva l’E-Sim più importante della propria vita lunare, ma era comunque dotato di buonsenso, e fra chi si ritrovava inevitabilmente in fin di vita, dopo sessioni di settimane, senza bere o mangiare. Una bella grana per l’Azienda, che, nel corso dei decenni, si ritrovò sommersa di denunce e più, e più volte, screditata dagli omni-media. La Google aveva così deciso di introdurre due indicatori di salute, uno nel virtuale, uno nel reale. Due sottili righe verdi olografiche che si propagavano sopra l’omni tool al polso dell’avatar. Ma spesso i confini erano così labili da venir confusi, e la linea verde, contrassegnata con una grossa R rossa, finiva per essere ignorata.
Non ricordo un’esperienza E-sim prima dell’avvento delle camere della vita, ma ricordo la paura. “Vieni G., non preoccuparti”, sorrideva mamma, allargando le braccia ed abbassandosi a prendermi in braccio. “Finalmente abbiamo risparmiato abbastanza crediti per acquistarla, non sei felice tesoro?”. No, non ero felice. Avevo il cuore a mille e mi facevano male le vene dei polsi. Mi succede sempre così, quando sono terrorizzata. Si trattava di una bara, di vetro satinato, sorretta da un basamento di plastica-acciaio. Il viaggiatore doveva sdraiarsi, inserire una piccola sonda nel suo naso, ed un’innocua cannula in bocca. Dopodiché, stringere le cinghie di gomma metallica attorno al proprio corpo. Per vivere, mangiare, bere. Per non ferirsi e ricoprirsi di lividi in caso di convulsioni, ingoiare o tranciarsi la lingua con i denti, o di brusco risveglio dalla vita nell’E-Sim. Infine, bastava pronunciare dei semplici comandi preimpostati per veder scendere, verso di sé, da un piccolo scompartimento della bara, i sensori neurali, che, automatici, serpeggiavano fino alla fronte e alle tempie del video-abitante. Camere-di-vita, vivete finalmente la vostra avventura nell’E-sim in completa sicurezza! , recitava lo slogan. Ne esistevano di tutti i modelli, colori: ce ne erano singole, per coppie, complete di stimolazione neurale anche erogena. Quando, poi, i video-abitanti cominciarono, in massa, a lamentare incapacità di riprendere a camminare in presenza di reale gravità, estrema debolezza e piaghe da decubito, l’offerta delle camere mutò in risposta. Apparvero modelli in grado di far mantenere, e, anzi, aumentare, il tono muscolare in maniera automatica, durante la sessione. “Divertiti ed allenati, con la camera-di-vita ufficiale di Google.” Ve ne furono poi di contenenti alcova per bambini alle loro prime esperienze nell’E-sim, così da iniziarli alla Vita in compagnia dei propri genitori. Ne esistevano perfino alcuni che ricordavano la forma delle antiche vasche di deprivazione sensoriale, in cui si galleggiava, nudi, cullati e coccolati da acqua calda e ipersalina. La mente inconsapevole così viaggiava per lidi calmi, e non poteva essere disturbata al momento del risveglio, che, così, era dolce e rilassante. La rinascita spaziale era semplice, priva di shock. Il respiro riprendeva a salire gradualmente di frequenza, ed, infine, il viaggiatore riprendeva coscienza. E si trovava di nuovo nella sua bara bianca, illuminata da Led invisibili.
Si narrano leggende su come sia cominciato. Sullo sviluppatore iniziale di E-Sim. Si parla di un tecnomante toccato direttamente dalla mano di Dio, e rimastone scottato e segnato, ma sopravvissuto. Si narra che il tecno-Dio gli avesse fornito un intelletto mai vista a memoria di Seconda Umanità, un genio come ne esistevano nei tempi antichi, quando l’umanità ancora camminava con gli dei nei giardini terrestri. Quest’uomo si chiamava Prius. Alla leggenda si era aggiunta altra leggenda, cioè che fosse nato da donna vergine; personalmente, ho sempre pensato fosse una gran cazzata, e lo dissi fin da subito, a chi, nell’E-sim me lo raccontò. Comunque, pare che Prius non fosse mai stato visto sul Satellite e che, un giorno, fosse apparso alla stazione di Mare Cognitum, sgusciando direttamente da un canale che conduceva ad una sorgente sotterranea. Un bambino sporco, come ne esistevano solo nelle immagini della Prima Umanità, stanco, e, soprattutto, inesistente. L’incaricato alla sicurezza della città cilindrica che se lo era ritrovato davanti, portatogli da alcuni sottoposti dall’espressione disgustata, aveva indossato dei guanti monouso, ed aveva premuto lo sporco pollice del bambino sul lettore di impronte digitali. Per la prima volta nella sua lunga vita, la macchina aveva emesso una luce rossa, ed un suono di protesta. Fu così che iniziò l’epopea del creatore, e il secondo Rinascimento dell’umanità.
Ma questa è un’altra storia, una storia che ci sarà tempo di raccontare.
L’E-Sim è un’esperienza semplice, ora, con l’avvento di quelle bare. Si è guidati, presi per mano. Si acquista una camera della vita, ci si interfaccia con essa. Il software scannerizza il proprio corpo, in ogni suo difetto o particolarità. Un sensore strisciante si collega al nervo ottico del viaggiatore, così delicatamente che non ce ne si accorge neppure. E ci si trova davanti se stessi, il corpo che si è abituati a vedere, completo, tutti i giorni, scomposto, su un neutro ma rilassante sfondo grigio azzurro, fumoso. Ci sono gli occhi, che si possono lasciare originali, azzurri, marroni, grandi o porcini che siano; le orecchie, il naso, la forma del mento. Le labbra, i capelli. Si possono scegliere infinite combinazioni. Si può montare se stessi, dei nuovi se stessi, a proprio piacimento, semplicemente desiderando essere in un certo modo. Si nasce femmina, bionda, occhi chiari, e nell’E-Sim si può essere uomini anziani, magari di un’altra etnia. C’è chi decide di farsi crescere il cazzo, o chi ha voglia di un neo sotto alle labbra; ho visto persone dall’aspetto inconsueto, albini dagli occhi viola e capelli bianchi. Giganteschi neri dai grandi occhi chiari. Creature deformi, che per propria scelta spaventano il prossimo, perché amano la solitudine. Perché la loro prima vita è un inferno di caos, e nella seconda vogliono solamente la pace.
Sono pochi coloro che conosco che non abbiano deciso di cambiare il proprio aspetto. Io, in primis. Non mi amo, ma ho sempre pensato che ciò che ci caratterizza davvero non è come appariamo, ma ciò che siamo. Forse è una cazzata retorica. Non ho ancora elaborato una teoria complessiva per tutto questo. Non mi piacciono particolarmente i miei capelli, sono ricci, perennemente aggrovigliati e troppo scuri per la mia pelle. Il mio viso non è niente di che, probabilmente il mio naso è troppo grosso per risultare armonioso. Ho gli occhi azzurri. Forse un tempo, quando l’umanità ancora camminava nei giardini degli Dei, sarebbero sembrati una rarità: ma ora, non più. Scialbi occhietti celesti illuminano i visi degli abitanti dello spazio.
  
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