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Autore: Spica6277    30/09/2016    0 recensioni
Pensieri sparsi.
I miei migliori ricordi, a pensarci bene, sono di notti come questa: il vento che si infiltra fra la stoffa dei miei vestiti e la mia pelle facendomi rabbrividire il minimo indispensabile per ricordarmi che sono ancora viva.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi.
Una nuvola di fumo sbuffata fra le labbra screpolate, il filtro stretto fra le dita ingrigite come pietre nella penombra di una notte tagliata da una fessura di luna, la pelle sulle nocche segnata da invisibili graffietti lasciati dal vento secco che porta lontano l’odore acro del tabacco bruciato.
Mi chiedo spesso quale sia la mia idea di felicità. C’è una specie di formula segreta o ricetta?

Non riesco a rievocare qualcosa che brilli fra i miei ricordi come una stellina filante accesa e stretta fra le dita di un bambino col naso che cola nell’aria fresca della notte di capodanno mentre saltella lungo una strada deserta, le scarpe che scalpicciano sull’asfalto sbriciolato dal troppo tempo passato dall’ultimo tentativo comunale di restauro stradale. O, forse, i veri momenti felici sono stati quelli che ho dimenticato più velocemente perché piangermi addosso è l’unico hobby che ho mantenuto costante negli anni e rinunciarvi proprio adesso mi lascerebbe dentro uno strano vuoto.

Odio le persone che si lamentano di tutto, ma io sono la prima a farlo… 

I miei migliori ricordi, però, a pensarci bene, sono di notti come questa: il vento che si infiltra fra la stoffa dei miei vestiti e la mia pelle facendomi rabbrividire il minimo indispensabile per ricordarmi che sono ancora viva, quelle notti in cui fa troppo caldo per mettere una giacca ma è troppo freddo per stare solo in canottiera. Di solito sto seduta su una panchina di legno mezzo marcio fra gli ulivi, oggi sono appollaiata su un muretto, ma poco importa: l’unica costante davvero fondamentale è la solitudine, l’unica voce vicina quella di uno sconosciuto nelle cuffie e le mie labbra sempre più secche che mimano le parole senza che esca un vero suono fra gli sbuffi di fumo.
So più testi di canzoni che regole grammaticali del greco antico, eppure non ho mai sentito il minimo senso di colpa nei confronti di una lingua che ormai è morta da troppo tempo perché possa essere rimasto qualcuno che voglia ancora portare fiori di plastica sbiadita sulla sua tomba. Probabilmente anch’io finirò così, ammucchiata in un angolino lontano dalla luce dei lampioni e dimenticata da coloro che proseguono con la loro vita a tinte pastello, mentre la neve si stratifica su di me in fiocchi paffuti come batuffoli di cotone idrofilo imbevuto di alcol per disinfettare le ferite immaginarie di una vita sprecata.

Con la neve sono arrivata in questo mondo e sepolta dalla neve me ne voglio andare, abbandonata su una lastra di marmo grezzo, aspettando che di me non resti che una statua ghiacciata o un mucchietto di cenere da disperdere ai quattro venti. 

  
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