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Autore: Dahu    30/09/2016    0 recensioni
Umberto Sgarri, ecco un nome che potete sentire nelle locande o attorno ai fuochi da campo, dall'Ostland a Sartosa, forse anche oltre, c'è chi ha una storia da raccontare su di lui.
Qualcuno sostiene che sia un eroe dell'Impero, qualcuno dice che sia uno spadaccino in affitto.
Ho sentito storie delle sue gesta in questa o quella campagna contro il chaos, molti uomini mi hanno giurato di essere stati al suo fianco in un muro di scudi, o nella stessa cella in qualche fetida prigione.
C'è chi racconta di averlo visto portare fuori dall'osteria dentro una carriola, ubriaco oltre ogni dire, chi sostiene addirittura di avere incrociato la propria spada con quella del tileano in cambio di improbabili premi in denaro.
Potete trovare chi lo dipinge come un eroe, chi lo crede un brigante di strada e un vagabondo, perfino chi crede che sia un personaggio nato dalla credenza popolare.
Credete a me, io ho conosciuto Umberto Sgarri ad Altdorf, e non era nulla di tutto ciò.
O forse era tutte queste cose, ma di certo non solo quelle.
-Franz L'Alto, archibugiere imperiale-
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Umberto Sgarri sospirò ed il suo fiato si condensò formando una nuvoletta di vapore nella fredda mattina d’inverno. Il tileano si alzò dal ceppo di legno su cui era seduto e si stirò le membra mugugnando di dolore.
Maledetta guerra, toccava farla negli angoli più schifosi della terra, pensò.
Con fare stanco, per quanto fosse prima mattina, Umberto si avvolse nel suo mantello di lana, ormai troppo stracciato per essere ricucito, e si avviò verso i carri delle salmerie.
Gli Haflings si prodigavano per fornire ai soldati una brodaglia ricavata da resti di interiora, ossa, cortecce ed altri ingredienti sulla natura dei quali mantenevano un discreto riserbo.
Umberto aspettò il proprio turno battendo i piedi sul terreno gelato, nel vano tentativo di scacciare il freddo.
Imprecò selvaggiamente quando la suola di uno stivale si staccò, lasciandolo praticamente a piedi nudi.
Gli uomini erano molto nervosi, da oltre un mese non ricevevano la paga e da quasi due settimane il rancio aveva smesso di arrivare.
Non per questo, tuttavia, si era interrotta la marcia in quelle lande ghiacciate e ostili. Umberto pensava che avrebbero finito per arrivare in capo al mondo a forza di marciare.
Finalmente il Tileano ricevette la propria razione e ne ingollò una generosa sorsata. Gli occhi gli si riempirono di lacrime per il disgusto, ma lui si sforzò di mantenere il liquido all’interno del corpo; non avrebbe avuto altro pasto fino a sera e poi era quasi caldo.
Non prima di aver maledetto per l’ennesima volta la guerra, Umberto tornò alla sua tenda. I sette lancieri con cui divideva l’angusto riparo avevano già provveduto a smontarla.
Il tileano indossò la corazza e l’elmo, facendo una smorfia quando l’imbottitura interna di questo gli sfiorò la tempia sinistra.
Per sicurezza si controllò la fasciatura attorno alle tempie, ma non c’era da preoccuparsi, il tessuto insanguinato ed irrigidito dal freddo non era bagnato.
Un compagno gli diede una pacca sulla spalla e disse con aria sconsolata –Berto, c’è l’adunata, lo senti il tamburo?- Umberto si voltò, il soldato era un veterano proveniente dal Reickland, un valoroso dal volto scavato e solcato di cicatrici.
–Si torna a casa?- Chiese sapendo già la risposta. Confermando il sospetto del Tileano, l’altro rispose –No, il sergente fa segno di incolonnarsi fronte a Nord, si continua-.
Umberto annuì dirigendosi verso i commilitoni.
–Muoviti balordo!- Gli gridò il corpulento sergente. Sgarri sospirò e si mise in linea. Non aveva mai capito se quel sergente fosse un uomo tutto d’un pezzo o semplicemente uno stupido; tutti sapevano che il Tileano era stato trasferito nei lancieri dal corpo degli spadaccini imperiali dopo che aveva ucciso in duello il proprio sergente, così come tutti sapevano che l’unico motivo per cui non era ancora stato promosso a grandispade era la sua proverbiale insofferenza alle regole.
La colonna in marcia aveva l’aspetto di una colonna di profughi; davanti i cacciatori, tremanti di freddo, procedevano sparpagliati, esplorando ogni fosso ed ogni macchia, per permettere alla colonna di avanzare sicura.
Dietro venivano loro, i lancieri, scortati da due distaccamenti di archibugieri. Poi venivano i carri delle salmerie, tirati da quelli che forse un tempo erano cavalli e spinti dai mezz’uomini, per farli avanzare nella neve gelata. In retroguardia quelli che erano stati splendidi cavalieri, si rannicchiavano nelle pellicce, così che sembravano signore imbellettate in sella a scheletrici destrieri.
In mezzo a tutti lui, Maxwell Myrikov, capitano dell’Impero e dubbio stratega, rabbrividiva nelle sue preziose vesti. Ancora più indietro avrebbero dovuto esserci un contingente di alabardieri e tre pezzi d’artiglieria, ma gli alabardieri erano stati annientati in una recente imboscata dei Norsmanni e l’artiglieria era stata abbandonata per muoversi più rapidamente.
–Piomberemo loro addosso come falchi- Così aveva detto il Capitano. Tutto quello che avevano fatto in un mese, invece, era stato perdere un’unità di alabardieri, marciare e, in molti casi, morire di stenti.
A metà mattinata iniziò a nevicare. Non era una soffice nevicata, come quelle che avvolgevano le montagne tileane in un candido manto ed alle quali Umberto era tanto abituato, era una nevicata violenta, con cristalli di ghiaccio che pungevano il viso arrossato e rendevano più penosi gli sforzi dei soldati per avanzare.
Sgarri fu tentato di imitare i molti soldati che, esausti, gettavano via la spada, considerata un peso inutile per un lanciere. Avanzarono per circa quattro ore senza parlare, ognuno rinchiuso nel suo regno di sofferenza e fatica, poi finalmente il cielo si aprì, mostrandosi plumbeo e minaccioso, ma smettendo di scaricare la sua rabbia sui servi dell’Impero.
Mano a mano che le nuvole si ritiravano, gli uomini poterono vedere la collina che avevano appena superato, l’accenno di fosso in corrispondenza del fiume gelato che correva alla loro destra, le nere sagome che avanzavano verso di loro. Le nere sagome dei cacciatori che cadevano a terra, i norsmanni che avanzavano.
-I Norsmanni!- Gridò qualcuno. Il sergente dei lancieri gridò ai suoi di retrocedere per proteggere le salmerie che, nel frattempo, si stavano ritirando verso la collina, fiancheggiate dagli archibugieri.
I cavalieri, guidati da Myrkov in persona, lasciarono la strada battuta dai fanti per prendere il nemico sul fianco. “Idea geniale” Pensò Sgarri “Peccato che ci sia la neve” Poi il tamburo scosse i suoi pensieri e, da esperto soldato qual’era, prese il suo posto in terza riga, abbandonando a terra il mantello. Un gruppo di norsmanni a cavallo raggiunse il terreno battuto dai fanti e si lanciò alla carica, seguito dai predoni a piedi.
Nel frattempo i cavalieri imperiali avevano raggiunto il fianco dello schieramento nemico, ma i norsmanni avevano scelto bene la loro posizione. I cavalieri, infatti, finirono in un fosso, dove la neve arrivava al ventre dei cavalli. Prima che potessero uscire da quell’incomoda situazione, vennero raggiunti da una ventina di norsmanni.
In quell’occasione le magnifiche armature si rivelarono fatali per i cavalieri e lo stesso capitano venne trascinato nella neve e massacrato come tutti gli altri. Sgarri imprecò, i nemici erano vicini, molto vicini.
La prima linea venne schiantata dai cavalli, mentre la seconda si difendeva come poteva dai mazzafrusti. Con gesto calmo, Umberto puntò la lancia al petto di un cavaliere che roteava un’ascia.
Affondò il colpo e ritrasse velocemente l’arma per evitare che il nemico, contorcendosi, imprigionasse la lancia. Sgarri aveva combattuto in molti posti durante la sua decennale carriera di mercenario, sapeva quindi che l’armatura di un cavaliere imperiale era più debole sotto le ascelle, mentre i cavalieri bretonniani andavano colpiti al collo, gli orchi, invece, andavano feriti alle gambe, perché si inginocchiassero scoprendo i punti vitali.
Contro i norsmanni non serviva quest’esperienza, essi combattevano a petto nudo. La seconda linea cedette e Sgarri vide distintamente il cranio del sergente essere colpito da un mazzafrusto. La testa nuda volò in mille pezzi. “maledetto idiota” pensò il tileano “quante volte gli ho detto di portare l’elmo come tutti gli altri?!”.
Umberto si spostò di lato, coprendo lo spazio lasciato vuoto dal suo amico del Reickland, ucciso da un giavellotto, e protese la lancia, uccidendo al contempo un cavallo ed un predone.
Il Tileano lasciò l’arma nel cumulo di corpi e sguainò la spada, arma con la quale si sentiva molto più a suo agio.
Alcuni lancieri avevano abbandonato lo schieramento ed Umberto si voltò per ragguingerli, era un buon momento per raggiungere le salmerie. Quello che vide lo fece raggelare.
I carri, troppo pesanti per il ghiaccio del fiume, erano precipitati nelle sue nere acque e molti archibugieri stavano seguendo il loro crudele destino urlando come disperati, prima di essere inghiottiti dalla morte. Frattanto un nutrito gruppo di predoni stava per tagliare la strada ai lancieri in fuga.
Gli archibugieri tirarono, ma ben poche delle loro armi fecero fuoco. –Formate un quadrato!- Gridò Sgarri. -Presto! Presto!-
Troppo pochi lo ascoltavano. Il Tileano vide l’ombra di un’ascia che calava su di lui.
Con una veemenza che solo un uomo in pericolo di vita poteva avere, Umberto afferrò al volo il polso del cavaliere e lo disarcionò con uno strattone.
Il norsmanno rotolò nella neve e Sgarri lo infilzò al collo, senza neanche rallentare la sua corsa. Non aveva ancora capito come poteva essere riuscito in un gesto simile, ma al momento aveva altri problemi. Capendo che una strenua resistenza era la sola possibilità di salvezza, i soldati si erano alfine riuniti in quadrato.
Umberto saltò il primo lanciere in ginocchio e rotolò nel centro del quadrato bestemmiando Sigmar per la suola del suo stivale che, correndo, gli aveva scavato un solco sanguinolento nel piede. Solo quando ebbe finito di imprecare, il Tileano si accorse che tutti gli sguardi erano per lui, si rese improvvisamente conto che era stato lui a dare gli ordini per la difesa, ora tutti si aspettavano che fosse lui a guidarla, lui, un’umile fante imperiale.
Si guardò attorno spaesato, pronto a difendersi dal secondo assalto nemico che tardava ad arrivare. Lui. Lui che si era arruolato per pagare i debiti di gioco, a lui toccava la difesa.
Guardò i volti segnati dei soldati e vi lesse la paura… e l’ammirazione per lui. Si guardò i piedi e proruppe in un’imprecazione; si era staccata anche l’altra suola, maledetta guerra!
Sgarri si guardò attorno, il quadrato era stato fatto malamente, non avrebbe retto ad un altro assalto.
Tuttavia i norsmanni sembravano interessati solo a depredare i morti. “Buon acciaio imperiale” Pensò il tileano “per loro è come l’oro”
Sputò in terra pensando che non avrebbe mai potuto pagarsi da bere con una borchia e subito sogghignò per la stupidità di questa constatazione. Incredibile a quali idiozie pensino le persone nei momenti più critici.
–Comandi- Una voce nervosa riscosse il tileano. A parlare era stato un archibugiere dalla divisa ornata di arabeschi dorati. –Comandi, Capitano Tharnem, della compagnia dell’orso grigio- Sgarri scosse la testa confuso.
Non era abituato ad essere al comando e, soprattutto, non era abituato ad avere un ufficiale a rapporto. Di solito era lui a rapporto da qualche ufficiale, per prendere la sua razione di frustate o di lavori sporchi.
S’impose di calmarsi, doveva solo cedere il comando a quel capitano e tutto si sarebbe risolto, avrebbe potuto tornare nei ranghi a combattere come si confaceva ad un balordo ubriacone di Tilea. Cercò le parole formali per dire all’archibugiere che il comando passava a lui ma non riusciva a ricordarle, in realtà non era nemmeno sicuro di dover cedere il comando, forse il grado dell’altro era sufficiente a garantire che non vi fossero fraintendimenti.
Così lui rimase muto mentre, a sorpresa, il capitano parlò ancora –Signore, cosa facciamo? Attendiamo disposizioni per lo schieramento, se volete un mio parere così non reggerà- Sgarri ingoiò.
Quel’ufficiale sembrava ben contento di delegare a lui l’incombenza di dare gli ordini in quel grave momento. Inspirò a fondo l’aria gelida. Sospirò. –Capitano, voi comanderete tutti gli archibugieri, anche quelli non della vostra compagnia.-
L’ufficiale annuì e Sgarri si guardò attorno in cerca dell’uomo giusto per guidare i lancieri. Non ve n’erano. –I lancieri li guiderò personalmente- Dichiarò.
Sotto le disposizioni del tileano e con sorprendente docilità, i soldati formarono un nuovo schieramento. Gli uomini ancora armati di lancia erano intervallati dai compagni armati di spada o di armi improvvisate recuperate sul momento.
Gli archibugieri in seconda linea avrebbero fatto fuoco nello spazio tra le teste dei compagni. Tuttavia la linea non era completa, poiché erano rimaste poche lance. Il nemico si era allontanato di alcune centinaia di metri ed Umberto decise di rischiare.
Condusse un gruppo di dieci uomini fuori dal quadrato in cerca di armi, possibilmente lance, di scudi e di mantelli. Non poterono recuperare molto poiché i predoni avevano già spogliato la gran parte dei cadaveri, comunque il tileano riuscì ad appropriarsi di una lancia e di un mantello di pelliccia appartenuto ad un norsmanno.
Si soffermò ad osservare il cadavere, era un uomo giovane dalla chioma bionda, ucciso da un proiettile in fronte. Era mingherlino per essere un norsmanno.
Sgarri stimò che dovesse essere più o meno della sua corporatura. Finalmente avrebbe potuto cambiare quegli odiosi stivali. Si chinò sul cadavere per togliergli i calzari, ma un lanciere lo bloccò con un grido.
Un nutrito gruppo di norsmanni stava correndo verso di loro.
Sgarri imprecò e gridò di ritirarsi e, quando fu di nuovo tra i suoi, stava ancora imprecando contro il nemico che gli aveva impedito di impadronirsi di quegli stivali. Per questo motivo non si accorse subito del falò che ardeva al centro del quadrato.
A bruciare erano le uniformi stracciate dei caduti, che ora giacevano nudi e scomposti. –Erano l’unico combustibile disponibile- Si affrettò a giustificarsi il capitano Tharnem. Sgarri guardò sogghignando l’ufficiale che gli spiegava come il fuoco fosse il modo più spiccio per avere sempre micce di riserva accese e come una lama scaldata tra le fiamme fosse il sistema più veloce per arrestare un’emorragia.
Era un uomo minuto, di media altezza e molto nervoso, sempre intento a raddrizzarsi i tondi occhialini. Il tileano si grattò la barba rossa, lunga di qualche giorno ed annuì.
–Ottimo lavoro- Disse distrattamente, calmando subito la trepidazione del capitano.
Le lance recuperate furono distribuite tra i soldati peggio armati e si corresse lo schieramento in modo che non vi fossero punti deboli.
Il nuovo mantello era caldo e confortevole, anche se odorava di selvatico, era un bel passo avanti rispetto a quello di prima.
–Che ora sarà?- Domandò Sgarri senza rivolgersi a nessuno in particolare. –Poco oltre mezzodì- Rispose Tharnem maneggiando un orologio da taschino. Il tileano si chiese se esisteva una domanda alla quale l’archibugiere non sapeva rispondere. Rabbrividì e volse lo sguardo al cielo plumbeo.
–Nevicherà ancora?- Chiese sapendo chi gli avrebbe risposto –Non saprei signore, ma non credo, non prima di domani comunque- Il discorso rimase in sospeso; entrambi sapevano benissimo che, con ogni probabilità, non sarebbero arrivati al domani.
–Signore- Disse un archibugiere rivolto al Capitano –Pensate che ne usciremo?- Il piccolo ufficiale sorrise rassicurante –Ma certo, mi sono trovato in situazioni molto peggiori! E ne sono sempre uscito!- Il soldato sorrise rincuorato e tornò al suo posto.
Il capitano parlò in un soffio, in modo che lo sentisse solo Sgarri –In realtà questo è il mio primo combattimento, non ero mai uscito prima dalla mia guarnigione.-
Il tileano sorrise divertito e posò la mano sulla spalla dell’ufficiale. –Arrivano- disse qualcuno. Era una liberazione, finalmente l’attacco che li avrebbe sottratti alla sfibrante e gelida attesa cui erano sottoposti.
Sgarri si passò le mani sulle terga riscaldate dal falò e sguainò la spada. I norsmanni temevano l’effetto del quadrato sulla cavalleria, per cui avanzavano a piedi.
Umberto fece un rapido conto, erano uno contro venti a favore del nemico. Bruttissima situazione.
–A tiro!- Gridò Tharnem –Pronti al fuoco!- Gli archibugieri soffiarono sulle micce per ravvivarne l’innesco.
–Puntare!- L’ufficiale aveva messo da parte il suo nervosismo, divenendo d’un tratto calmo e preciso, tanto da sembrare una macchina. –Fuoco alle polveri!-
Tutti gli archibugieri tirarono la leva di scatto e scomparirono in una sola enorme voluta di fumo, mentre un tuono lacerava l’aria.
Quando la nube si fu diradata Umberto poté vedere che il gruppo di attaccanti si era sfoltito. Ma non abbastanza.
Non abbastanza. –Saldi!- Gridò il tileano –Pronti a reggere l’urto!- Le lance si levarono e gli scudi si serrarono in attesa dell’impatto.
Un barbaro mulinò il mazzafrusto, imitato da molti altri.
–Ricaricare!- Gridò il capitano mentre strappava una cartuccia con i denti.
   
 
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