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Autore: Lady_Dragon99    01/10/2016    1 recensioni
* Fanfiction partecipante al "Phobos e Deimos Contest", indetto da meryl watase sul forum di EFP *
L'acluofobia (dal greco aclus, "oscurità", e φόβος phóbos, "fobia") o nictofobia (raro "scotofobia") è la forte paura dell'oscurità e del buio. Se la paura è molto forte e provoca anche panico, si tratta invece di una vera e propria fobia.[Da Wikipedia]
Non era più umano, la sua paura lo aveva ridotto a un semplice guscio vuoto. Non sapeva neppure perché seguisse Makishima in quella lotta disperata contro il sistema: forse quello riusciva ancora a illuderlo di poter trovare un'ancora per sfuggire a se stesso.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Choe Gu-Sung, Shogo Makishima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nome Autore: Lady_Dragon99
Fandom: Psycho Pass
Titolo storia: "Cieco"
Fobia e citazione: Acluofobia/N

"Cieco"

Le apparenze ingannano, si disse. Se lo ripeteva spesso, quando per sbaglio incrociava la sua immagine in uno specchio. Bastava quello per rendersi conto di quanto facile fosse mentire a se stesso e agli altri. Non era tanto complesso apparire forti, non quando poteva fregiarsi di un simile compagno. Makishima lo faceva brillare di luce riflessa, conferiva a un essere misero come lui la dignità che tanto gli mancava. Come essere umano, come vita. Scosse la testa, scacciando quei pensieri: era inutile rifletterci troppo, si disse, dopotutto sapeva di essere ormai una creatura vuota e fragile, terrorizzata e debole. Era esausto, non dormiva da troppo, ma si rifiutò di pensarci troppo: era solo mattina, in fondo, non era il momento adatto per crucciarsene. La causa del suo incubo era ancora lontana. Non doveva pensarci. Non doveva pensare.
Il luccichio dei suoi occhi sullo schermo del cellulare gli fece scendere un piccolo brivido lungo il collo.
-Choe?- lo chiamò la familiare voce di Makishima.
Sospirò, sollevato dall’essere stato strappato a quel circolo vizioso di pensieri che gli facevano soltanto male.
Riconosceva quel tono: sarebbe stato l’inizio di una lunga conversazione, ma a lui non dispiaceva affatto.

Non sapeva perché lo avesse fatto. Mentre parlava con Shogo era facile dimenticare l’angoscia che giaceva accucciata sul fondo del suo petto, pronta a scattare come una belva feroce.
Eppure qualcosa lo aveva spinto a fare quella domanda.
-Tu non hai mai paura?-
Gli occhi ambrati dell’uomo di fronte a lui saettarono verso i suoi. Fino a un istante prima erano immersi fra le pagine di un libro da cui aveva appena citato una frase particolarmente interessante, ma in quell’istante erano solo per Choe.
Il Coreano sentì un brivido lungo la schiena. Si fidava di Makishima, ma quando le sue iridi tanto penetranti lo attraversavano non riusciva a trattenere i rivoli di gelo e aspettativa che gli colavano nell’anima.
Attese la sua risposta come faceva sempre, non togliendogli lo sguardo artificiale di dosso, sostenendo a fatica quell’attesa di pochi secondi, che si dilatava a dismisura nello strano equilibrio di fiducia e sconfinata ammirazione che li univa come poli diversi di una calamita.
Makishima cercò di vedere oltre quella domanda, fiorita tanto spontanea quanto forzata. Stava bene nella conversazione che stavano avendo, ma… Cosa voleva sapere davvero Choe? Non era un accenno alla loro vita criminale, no, sembrava quasi un’indiretta richiesta di un consiglio o addirittura di un aiuto. Sì, forse era quello.
Nel suo sonno leggero, spesso poteva sentire l’agitazione nella camera accanto alla sua, percepiva i singhiozzi sommessi, le grida soffocate nel cuscino. Aveva più volte ipotizzato che la causa risiedesse negli occhi artificiali che rendevano tanto interessante il viso del suo complice, ma non aveva mai indagato approfonditamente. Non aveva mai insistito per capire: ciò che davvero gli importava era che Choe scegliesse deliberatamente di consegnare il suo dolore nelle sue mani.
Eppure mai prima di allora era arrivato tanto vicino a parlare di quello che succedeva nel suo cuore. Lo incuriosiva. Lo incuriosiva da morire, ma non voleva spingerlo troppo oltre, non troppo in fretta.
-La paura un giorno bussò alla porta…- esordì infine, chiudendo il libro che aveva in grembo e alzandosi dal divano con un movimento fluido -…il coraggio andò ad aprire e non vide nessuno.
Choe riconobbe immediatamente il tono che Makishima aveva usato: -Di chi è? – Lo chiese raschiando nella sua gola per buttare fuori una nota divertita.
Qualcosa gli aveva sferrato una brutale stilettata fra la quarta e la quinta costola, dove quel suo maledetto cuore codardo continuava a battere.
Eppure non capiva, cosa nelle parole che aveva udito era riuscito a sconvolgerlo tanto?
-Goethe- sorrise –Anche se molto spesso viene citata come frase di Martin Luther King…
Choe lo interruppe prima che potesse divagare riguardo all’origine della frase: -Pensi davvero che per sconfiggere la paura basti affrontarla?
Lo sguardo che Makishima gli rivolse allora fu diverso dal precedente. Era più cupo, meno divertito. Non cercava lo spunto, cercava la verità, quella volta più intensamente: -No, non credo sia sufficiente – Choe fu quasi certo si stesse riferendo a lui –Ma sono convinto che molto dipenda dall’origine della paura stessa. Se è la paura nata dalle domande, un’angoscia intrinseca nell’uomo, come quella della morte… Oppure qualcosa di diverso, una paura infantile che non se n’è mai andata… - la pausa che fece non fu casuale, ogni cambiamento nella sua voce era indirizzato a carpire più informazioni, Choe lo sapeva e lo lasciava fare. Dopotutto era troppo stanco per fermarlo o anche solo provare a trattenere la curiosità di Makishima.
-… o qualcosa che nasce da un trauma, una perdita. Questa paura credo sia la più insidiosa. Non si trova conforto nel sapere che ogni uomo è terrorizzato dalla stessa cosa, non ci si può ridere sopra, soffocandola con le memorie dell’infanzia… Prosciuga la vita come una sanguisuga…
Fu in quell’esatto istante che smise di ascoltarlo. Lo udiva parlare, ma non percepiva davvero le sue parole. Il suo cervello sembrava rifiutarsi, non voleva che l’acuta intuizione di Makishima gli sbattesse davanti agli occhi uno specchio realistico del guscio d’uomo che era diventato.
Perché gli aveva fatto quella domanda se non voleva sentire la risposta? Non lo sapeva, forse sperava solo in un appiglio. Allora perché sentiva solo la terra sgretolarsi sotto i suoi piedi e, peggio ancora, il buio avvolgerlo?

Aveva soffocato i suoi pensieri per tutto il giorno, dopo quella conversazione. Si era chiuso a doppia mandata nell’unico luogo sicuro che conosceva: il calore rincuorante di un portatile sulle gambe, la luce fissa dello schermo e soprattutto linee e linee di codice nella mente, che si intrecciavano sotto le sue dita esperte come una creatura viva.
Il suo genio, come Makishima lo definiva, era il suo unico, ultimo, disperato, riparo.
Era solo, non c’era più la presenza dell’altro al suo fianco. Era solo ed era notte. C’erano le luci accese nella stanza, ma non bastava. Sentiva il buio denso della metropoli battere contro i vetri della finestra, contro la porta, ringhiando e ruggendo, minacciando di abbatterla ed entrare a prenderlo.
Choe non voleva ammetterlo, ma era esausto. Dopo giorni e giorni di veglia ininterrotta era giunto il tragico momento in cui avrebbe dovuto concedere al suo corpo distrutto un po’ di riposo. Non poteva, non poteva farlo! Eppure la sua folle carne era tanto crudele da volerlo costringere di nuovo a chiudere i suoi occhi di metallo, lasciarsi ghermire dal buio.
Doveva dormire, ma non voleva permetterselo.
La sua concentrazione scemava, non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Sempre più spesso il buio lo sorprendeva sotto le sue stesse palpebre.
Con il buio veniva il dolore, con il buio veniva l’agonia, il terrore, senza vedere era perso, sconvolto e soggiogato da un mondo a cui non apparteneva più, era schiacciato da quell’oscurità pesante, non riusciva a respirare, non..-
Con le mani che gli tremavano, trovò da qualche parte la forza di chiudere il portatile che ancora giaceva sulle sue gambe. Si trascinò verso il letto, pur odiando con ogni fibra di sé la sola idea di doverlo fare.
“La paura bussò alla porta…” cominciò a ripetersi, scivolando sotto le lenzuola con il terrore nelle viscere “…il coraggio andò ad aprire…” con il respiro accelerato allungò la mano verso l’interruttore. Si prese un paio di secondi per fissare con astio la luce sopra di lui, poi la spense.
“…e non vide nessuno.”
Nero.
Tutto nero.
I suoi occhi spalancati nel buio emanavano una flebile luce giallastra, ma lui non poteva vederla. Strinse le dita fino a farsi male, cercando di non tremare e piangere come un bambino.
“Ecco… Il coraggio non vide nessuno… Non lo vide…”
A pensarci non poteva piangere. Emise patetici singhiozzi aridi, senza che la sua parte razionale, ormai abbandonata, potesse calmarlo. I suoi occhi finti non si bagnarono, non potevano.
“Makishima, il coraggio è cieco, ecco perché non vide nessuno”
Questo lo aveva turbato. Il coraggio non ci vedeva, gli avevano strappato gli occhi, mani gelide gli avevano scavato nei bulbi oculari, ignorando le sue grida di agonia e lo avevano abbandonato. Nel buio, confuso, sconvolto, atterrito, sofferente, solo.
Senza punti di riferimento, semplicemente perso, proprio come era stato lui quel drammatico giorno di agonia, quando un crudele torturatore di cui non ricordava il volto gli aveva strappato le sue iridi nere e tanto vive.
Di colpo, non riusciva più a respirare, si sentiva i polmoni inondati, sommersi da quel nero denso e liquido, che lo immobilizzava. Il panico aveva stretto i suoi artigli intorno alla sua gola, ai suoi polsi, bloccandolo.
Aveva la sensazione di non capire più dove si trovasse, che qualcosa potesse uscire improvvisamente dal nulla e finire il lavoro: già aveva ingoiato i suoi occhi, perché non terminare il pasto?
Era talmente sprofondato nel terrore da non riuscire più neppure a muoversi, limitandosi a farsi sbranare l’anima da quel niente che lo avvolgeva. Il ticchettio di un orologio analogico che Makishima aveva tanto insistito per avere gli rimbombava nelle orecchie insieme al battito ben più frenetico del suo cuore.
Dio, quanto batteva forte.
Sembrava volesse fuggire dal petto, spaccare lo sterno e andarsene da quella gabbia di terrore.
Sentì un fruscio. I suoi occhi spalancati nel buio videro un movimento.
Ecco, forse la fine era arrivata? Forse le tenebre lo avrebbero ingoiato definitivamente, passando dai suoi occhi per entrargli dentro e riempirlo del loro mortale veleno.
Il suo corpo cercò ancora di piangere, mentre si rannicchiava dal lato opposto del letto, in un disperato tentativo di fuggire.
Una mano fresca si chiuse sulla sua.
-Choe Gu-Sung, respira.
La voce di Makishima lo colse di sorpresa, gettandogli finalmente un po’ di forza nel cuore, quanto bastava per smettere di iperventilare e trarre degli ansiti rantolanti.
Si aggrappò con violenza non voluta alle dita sottili che lo tenevano ancorato alla lucidità, strinse con tutta la forza, perché ne andava della sua vita.
-M-makishima… - esalò –Il coraggio…- si fermò per deglutire e trovare la voce per continuare –… Il coraggio è cieco…
Non poté vedere come le labbra dell’uomo che vegliava su di lui si fossero piegate, ma sapeva che lo avevano fatto. Era un sorriso? Lo stava schernendo come faceva sempre con gli altri? O forse voleva solo rispondergli?
La sola vicinanza dell’altro gli diede quella fiducia che necessitava per crollare.
Il suo corpo era talmente stanco, talmente debole che si abbandonò al sonno con una facilità quasi ridicola.
Gli incubi subito lo presero alla gola: anche nel sonno l’oscurità seviziava quell’uomo stanco, così falsamente forte.
Quella volta, però, una sua mano riusciva sempre a sfuggire a quell’abisso nero, riusciva sempre a trovare un appiglio per ritrovare la luce, anche solo per pochi istanti, prima di piombare di nuovo nell’agonia mortale che lo circondava.
Mentre Choe si agitava nel sonno, una mano sottile rimase intrecciata alla sua, ancora silenziosa in un profondo vortice di dolore.
Perché tutto era ancora biuo.
E il coraggio ancora cieco.





Tana del Drago:
Bene, io devo essere matta: scrivere per la prima volta in un fandom per un contest... Ma va bene così, mi presento: il mio nickname lo avete visto, ma tutti lo abbreviano in "Lady". All'alba del 5° rewatch di Paycho Pass mi sono resa conto di amare alla follia Makishima e Choe Gu-Sung, e di detestare il magico mondo canon per la carenza di informzioni sul secondo.
Purtroppo non ho molto tempo adesso (devo andare a scuola, porcocane)  ma spero comunque che questa shot vi sia piaciuta! Buona giornata a tutti e lasciate una piccola recensione, se vi va!
Lady
  
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