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Autore: Little_Lotte    01/10/2016    6 recensioni
WHAT IF: Che cosa sarebbe successo se Jerome, prima ancora di venire arrestato per l'omicidio di sua madre, avesse incontrato una persona in grado di comprenderlo molto meglio di quanto chiunque altro fosse mai riuscito a fare? (NOTA: Questa storia si basa sulla mia convinzione personale che Jerome DEBBA per forza essere Joker.)
[DAL TESTO: - Mi piaci, Harleen Quinzel. - disse infine Jerome, riprendendo fiato dopo aver smesso di ridere - Sei diversa dalle altre persone che conosco: Anche tu sei strana. -
- Strana? - Harleen sembrò non capire - In che senso? -
(...)
- Mi piace il tuo nome. (...) - E' un nome che mi entusiasma, in grado di far sorgere un sorriso sul mio volto. Mi fa pensare che esista, da qualche parte nel mondo, qualcuno in grado di capirmi.- ]
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jerome Valeska, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Harleen Quinzel aveva sempre detestato il circo.

Non sapeva, esattamente, che cosa la disturbasse maggiormente di esso: Forse tutti quei poveri animali tenuti in cattività e maltrattati, oppure i contorsionisti in grado di flettere i propri legamenti ai limiti dell'impossibile, o i lanciatori di coltelli, i vari maghi e ciarlatani che offrivano risposte alle domande più cruciali della vita, o ancora i pagliacci dallo sguardo perso e malinconico, più portatori di tristezza e spavento che di risa ed euforia.

Non vi era niente, di quell'inferno fatto di luci e risate isteriche, che la divertisse almeno un po'.

Eppure, quando quella sera suo padre aveva esordito con un “Hey, questa sera inizia il circo a Gotham City: Vogliamo andare a dare un'occhiata?” non aveva avuto il coraggio di tirarsi indietro. Forse perché suo padre lavorava spesso fuori città e per lei era diventato praticamente impossibile riuscire a trascorrere del tempo insieme a lui, talvolta persino durante festività importanti come il Natale o il giorno del suo compleanno.

A volte suo padre le mancava a tal punto da farla risvegliare in lacrime nel cuore della notte e perciò, pensò la ragazzina, per una volta poteva anche valerne la pena di trascorrere una serata al circo, per quanto fastidioso esso potesse essere.

“Magari” le aveva detto il signor Quinzel, per incoraggiarla “Questo circo potrebbe essere diverso dagli altri e tu potresti persino trovarlo divertente. Chi lo sa?”

Naturalmente quel circo non era affatto diverso da tutti gli altri.

Anzi, in un certo senso era addirittura peggiore di tutti quelli in cui Harleen aveva messo piede nell'arco della sua giovane vita: I contorsionisti erano ancora più inquietanti del solito, i maltrattamenti sugli animali ben più evidenti e brutali, e la giovane aveva perso il conto delle volte in cui aveva visto sbucare da un qualche angolo uno dei tanti “fenomeni da baraccone” dagli occhi storti o la bocca deformata.

E soprattutto, i pagliacci di quel circo erano molto più spaventosi di quanto Harleen fosse disposta a sopportare.

Non riuscì neppure a resistere fino alla fine dello spettacolo, durante uno dei principali numeri di contorsionismo decise di allontanarsi dal tendone e di visitare il Luna Park ambulante che faceva parte del circo, promettendo ai suoi genitori di farsi trovare al cancello d'ingresso non appena si fosse conclusa l'ultima esibizione.

In silenzio iniziò a girovagare fra una gabbia e l'altra, inorridendo di fronte alle crudele immagini che via via le si trovarono di fronte: Una donna barbuta e dallo sguardo triste, un ragazzino ingobbito e molto più simile ad un folletto che ad un essere umano, persino uno strano individuo di sesso indubbio e ricoperto di pustole, che tutti pubblicizzavamo essere il più diretto discendente dello stesso Demonio, disceso sulla Terra per gettare sugli uomini chissà quale terribile maledizione.

Vittime di se stessi e dell'umana crudeltà, per lo più.

Harleen si domandava che cosa vi fosse di così divertente nel deridere gli abbietti ed i negletti: La maggior parte delle persone presenti trascorreva il proprio tempo a fissare le gabbie con aria di sufficienza e beffardi sorrisi sulle labbra, tutti si sporgevano verso le sbarre con sdegno e superiorità, e sembravano quasi trovare piacevole quel penoso spettacolo di tristezza ed emarginazione.

Lei, al contrario di loro, avrebbe tanto voluto essere di conforto a quelle povere creature.

Mostrare loro la propria compassione, essere loro amica, trattarli con rispetto ed in amicizia, come si farebbe con un compagno di vecchia data e non come miseri scherzi della natura, fenomeni da baraccone di cui potersi far beffa e da osservare come sterco puzzolente nel mezzo di un campo fiorito.

In questo era diversa da tutti gli altri, lo sapeva da sempre: Non era mai stata una ragazzina come tutte le altre, non seguiva le mode e non amava apparire o mostrarsi vanitosa, come tutte le adolescenti di Gotham eran solite fare. Non cercava un ragazzo per bene o dai modi raffinati, come tutti – sua madre compresa – si sarebbero aspettati da lei; al contrario, Harleen sognava un amore difficile ed incostante, un ragazzo scontroso e coriaceo all'apparenza, un involucro grezzo, rovinato e mal tenuto, che nascondesse al proprio interno il più prezioso dei tesori.

Una specie di creatura fantastica, dicevano sempre le sue amiche, un miraggio più assurdo ed improbabile del Mostro di Loch Ness o di qualche suo collega mitologico.

Eppure, per qualche strana ragione, Harleen non riusciva a smettere di sperare che un bel giorno avrebbe...

“Beh, allora? E' da quasi mezzora che gironzoli da un carrozzone all'altro, senza fermarti realmente da nessuna parte. Che c'è, per caso lo spettacolo non ti piace?”

Harleen sussultò bruscamente, portandosi una mano al petto ed annaspando per lo spavento.

Era talmente immersa nei propri pensieri da non essersi minimamente accorta della presenza di un giovane che - da diversi minuti, a quanto sembrava - se ne stava silente in un angolo ad osservare ogni suo movimento, con un'attenzione talmente maniacale da farlo quasi sembrare uno stalker. Harleen si voltò lentamente, mettendo lentamente a fuoco l'immagine da dietro ad un paio di occhiali tondi dalla montatura spessa: Si trattava di un ragazzo che non poteva avere molto più della sua età, carnagione bianchissima e capelli rossi, con qualche leggera lentiggine disseminata qua e là per il volto; i suoi occhi erano di un colore che Harleen non credeva di aver mai visto prima di allora, uno strano misto fra il verde e l' azzurro, che a primo impatto sembrava quasi finto tanto era il senso di inquietudine e di mistero che trasudava da essi.

La ragazza ebbe un secondo sussulto.

Era un ragazzo davvero bello, su questo non vi era alcun dubbio, ma c'era qualcosa in quei lineamenti così precisi e regolari che la facevano sentire profondamente a disagio, in un certo senso persino inquieta. Eppure, al tempo stesso, il suo sguardo aveva un che di profondamente ammaliante e la cosa non passò certo inosservata agli occhi di Harleen, che chinando leggermente il capo e facendosi rossa per tanto imbarazzo, rispose con voce bassa e tremante: “Beh, io... In effetti no.”

“Oh, e per quale motivo?” domandò nuovamente il ragazzo, avvicinandosi a lei con passo rapido e felpato “Che c'è, forse non ti piace il circo?”

Harleen scosse timorosamente la testa.

“N-no.” ammise “Non sono un'amante del circo, sono venuta qui solamente perché mio padre ci teneva e noi non passiamo praticamente mai del tempo assieme. E' stata una scelta più o meno necessaria, direi.”

“Una scelta necessaria!” echeggiò il ragazzo, masticando le parole una ad una, come se volesse darvi maggiore enfasi “Un'interessante scelta di parole, carina. E adesso dove si trova tuo padre?”

“S-sta dentro il tendone, con mia madre.” rilanciò prontamente Harleen, sebbene fosse ancora molto intimorita da quello sconosciuto “C-ci siamo dati appuntamento al cancello d'ingresso dopo lo spettacolo, così nel frattempo loro possono godersi la serata ed io ho la possibilità di... Distrarmi, per così dire.”

Il ragazzo ridacchiò sommessamente e si fece ancora più vicino ad Harleen. Adesso i due distavano meno di mezzo metro l'uno dall'altra e la ragazza riusciva persino a specchiarsi dentro agli occhi di lui, in quel momento ancora più vitrei e di glaciali di quanto non le fossero sembrati la prima volta che li aveva osservati.

“Oh, il Luna Park ambulante pullula di distrazioni.” mormorò, con un tono di voce fastidiosamente mellifluo “E dimmi, che cosa ti interessa di più? La Donna Barbuta? Il Folletto dai Denti di Piombo? Il Figlio del Demonio?”

“N-niente di tutto ciò.” tagliò corto Harleen, mentre il suo interlocutore scoppiava in un'agghiacciante risata “Non mi piacciono queste cose, io... Onestamente non capisco che cosa ci trovi la gente di tanto divertente.”

Il ragazzo scrollò distrattamente le spalle.

“Ti capisco, in realtà anch'io li trovo piuttosto noiosi.” disse, simulando uno sbadiglio “Sono sempre così tristi e barbosi, non gioiscono e non sorridono mai. Ogni tanto provo a raccontare loro qualche barzelletta, ma niente, come se non avessi neppure aperto bocca. Non riescono ad apprezzare il lato comico della vita, il che è decisamente un peccato, se posso dire la mia.”

Harleen non rispose e si limitò a scrutare attentamente il ragazzo, con espressione attenta ed inquisitrice.

“Chi sei tu?” domandò sospettosamente “E per quale motivo mi stavi spiando?”

“Accidenti, hai ragione... Che maleducato!” Il ragazzo si batté una mano contro la fronte e poi, cortesemente, rivolse ad Harleen un elegante inchino, poi si risollevò lentamente e con voce ferma e composta disse “Il mio nome è Jerome Valeska, molto lieto di conoscerti. E a dover di cronaca, mi preme sottolineare che non ti stavo affatto spiando, Zuccherino.”

Harleen avvertì una strana morsa all'altezza dello stomaco.

Zuccherino... Aveva sempre pensato di detestare quel genere di nomignolo, ma uscita dalla bocca di Jerome quella parola aveva un suono completamente diverso, quasi gradevole.

La ragazza scosse velocemente il capo, tentando di scrollarsi di dosso tutti quei pensieri.

“Sei un tipo strano, Jerome Valeska.” disse, arretrando di pochi passi per allontanarsi da lui.

Jerome, tuttavia, avanzò nuovamente nella sua direzione e ricolmò la distanza fra di loro.

“Devo forse prenderlo come un complimento? Spero proprio di sì.” disse allegramente, ampliando quel ghignetto malefico che adornava il suo volto “Non mi piacerebbe essere come tutti gli altri, penso che sia estremamente noioso essere normali. E' molto meglio essere strani, non ti pare, Zuccherino?”

Harleen arrossì nuovamente.

“N-non... Non chiamarmi Zuccherino, per favore.” farfugliò con imbarazzo, gettando lo sguardo a terra per impedirsi di guardarlo negli occhi “Non mi piacciono i nomignoli, io... Guarda che ce l'ho anche io un nome!”

“Veramente?” le rispose sarcastico Jerome, facendosi palesemente scherno di lei “Che stranezza, e allora perché non me l'hai detto prima? Sarei davvero curioso di conoscere il nome di questa graziosa bambolina dai capelli color del grano, mi domando quanta fantasia abbiano avuto i tuoi genitori nel battezzarti.”

Harleen avrebbe tanto voluto rispondere a tono, ma quel ragazzo la intimoriva profondamente e tutto ciò che riuscì a dire fu un fioco e flebile: “Harleen Quinzel”, un atteggiamento fin troppo remissivo e ben lontano da quel modo di fare deciso e sicuro di sé che avrebbe tanto desiderato sfoggiare di fronte a Jerome.

Per un attimo desiderò di poter fuggire via, ma era come paralizzata, inchiodata al suolo e completamente in balia di quell'assurdo ragazzino; la testa le diceva “Avanti, scappa! Che cosa ci fai ancora lì?” ma qualcosa dentro di lei continuava a ripeterle di aspettare, di resistere ancora per qualche minuto, che in qualche modo ne sarebbe certamente valsa la pena.

E per quanto duramente si sforzasse di essere razionale, Harleen aveva sempre preferito ascoltare le proprie emozioni, piuttosto che la testa.

“C-che cosa c'è?” domandò ad un tratto la ragazza, insospettita dal fatto che Jerome aveva improvvisamente smesso ti parlare “Che ti prende, perché te ne stai in silenzio?”

Jerome ignorò la domanda ed incominciò a mugugnare fra sé e sé, con voce bassa ed impercettibile.

“Harleen Quinzeel... Harleen... Harley... Harley Quinnzel... Quinn... Harlequin...”

Harleen lo fissò confusamente.

“Che diamine...”

“Harlequin... Arlecchino!” esclamò entusiasta Jerome, trasformando quel suo tipico ghigno inquietante in un vero e proprio sorriso brioso “E' fantastico, il tuo nome ricorda moltissimo il suono della parola Arlecchino.”

Harleen inarcò un sopracciglio: “Parli della maschera Arlecchino? Quella specie di pagliaccio con l'abito tutto colorato?”

“Sì, esatto.” Jerome sembrava essere letteralmente in preda all'euforia “Andiamo, non dirmi che non te l'hanno mai detto?”

Harleen si soffermò a pensare per qualche secondo.

“No, in effetti no.” disse infine, per poi aggiungere con fare stizzito “Ed in ogni caso, non lo avrei certamente gradito: Io detesto i pagliacci.”

Fu proprio quell'ultima affermazione ad accendere ulteriormente la curiosità in Jerome, il quale si avvicinò ulteriormente ad Harleen così da poterla guardare perfettamente negli occhi. La ragazza, alla vista di quell'oceano di ghiaccio e profondità, avvertì un lungo e violento brivido per tutta la schiena.

“Dici davvero?” domandò il ragazzo, sempre più sorridente, come se fosse addirittura compiaciuto della cosa “E per quale motivo non ti piacciono? Ti fanno paura, per caso?”

Harleen si morse il labbro inferiore e poi deglutì con forza, le gambe che tremavano ed il respiro corto, segni inequivocabili del fatto che la paura aveva oramai iniziato a prendere possesso di lei.

“S-sì.” replicò “Mi fanno molta paura. Non li trovo affatto divertenti, anzi... Ogni volta che sorridono i-io muoio di terrore.”

Jerome esplose in una risata fragorosa.

“Poveri ragazzi, nessuno che apprezzi pienamente il loro duro lavoro!” esclamò in tono ironico “Ti capisco, comunque, anche io li detesto dal profondo del mio cuore. Specialmente quelli di questo circo, sono tutti arroganti e particolarmente odiosi, la maggior parte di loro è anche dedita all'alcool... Attività che, generalmente, praticano insieme a mia madre.”

Vi fu un repentino cambiamento nel tono della voce di Jerome, nell'istante in cui le sue labbra pronunciarono quell'ultima frase: Harleen notò che era divenuta di colpo più bassa, cupa e malinconica, e che persino lo sguardo del ragazzo sembrava essersi adombrato, come se egli fosse diventato di colpo molto più fragile e vulnerabile di quanto non avesse voluto mostrare fino a quel momento.

“Mia madre è la ballerina che danza con il serpente.” spiegò Jerome “L'avrai vista, penso, stasera era particolarmente in forma. Merito di tutto il gin che si è scolata prima dello spettacolo, immagino.”

Harleen non rispose e continuò ad ascoltare lo sfogo del ragazzo.

“L'alcool è una delle sue più grandi passioni. Assieme ai pagliacci, ovviamente, in particolare quelli di questo circo: Se li è già ripassati tutti almeno un paio di volte.”

Harleen rimase visibilmente stupida dalla naturalezza con cui Jerome espresse quell'ultima sentenza.

“Come... Ma... Tuo padre?” domandò incredula “Lui non dice nulla di tutto questo?”

“Mio padre non esiste.” la interruppe Jerome, con fare sprezzante “O meglio, io non l'ho mai conosciuto. Mia madre dice che era una specie di marinaio, una persona davvero eccezionale stando alle sue parole. E' morto in mare molti anni fa, prima ancora che io avessi il tempo di memorizzare i lineamenti del suo volto.”

Harleen si portò una mano alla bocca e soffocò un singulto.

“Che storia triste.” mormorò rammaricata “Mi dispiace, è davvero terribile.”

Jerome emise un flebile sospiro.

“Che vuoi farci, è la vita!” esclamò “E non è neppure la cosa peggiore che mi sia mai capita, è stato molto più doloroso quando uno di quei clown mi ha spaccato una bottiglia in testa.”

Cosa?”

Harleen, animata da un improvviso moto di compassione verso Jerome, si avvicinò a lui e posò una mano sulla sua spalla, come a volerlo confortare.

“Oh, Jerome... E' mostruoso! Come hanno potuto farti una cosa del genere?”

“Te l'ho detto, quei pagliacci non sanno che cosa significhi davvero essere divertenti.” rilanciò Jerome, facendo una smorfia “Provai a raccontare una barzelletta che, a quanto pare, non era affatto di loro gradimento ed uno di loro decise di fracassare la sua bottiglia di rum proprio sopra la mia testa. Dovetti tenere i punti per circa due settimane, se provi a guardare attentamente si vede ancora la cicatrice.”

Harleen era a dir poco sconvolta, quasi non riusciva a credere alle sue orecchie.

“E' veramente mostruoso.” ripeté, con aria allibita.

Jerome sospirò profondamente: “E dire che era una battuta così divertente: Il dottore di un manicomio decide di mettere alla prova tre dei suoi pazienti, li porta vicino ad una piscina vuota e dice loro:- Adesso, ragazzi, uno alla volta fate un bel tuffo. - Il primo dei tre prende a salire le scalette del trampolino, arriva in cima, guarda giù e poi si butta; - Questo era veramente un pazzo - pensa il dottore. Poi è la volta del secondo, che sale le scalette del trampolino, guarda giù una volta, una seconda e infine si tuffa anche lui. - Pazzo anche questo. L' ultimo dei tre sale le scalette, guarda giù dal trampolino, riguarda, riguarda ancora e alla fine decide di non buttarsi; scende dal trampolino e si avvicina al dottore, il quale chiede – Bravo, bravissimo, ma dimmi perché non ti sei buttato. - - Dottore – risponde il paziente - Mi mancava la cuffia! Mica sono scemo.”

Vi fu un istante di imbarazzante silenzio, i due si guardarono negli occhi e l'attimo dopo scoppiarono all'unisono in una risata fragorosa, talmente intensa da portare Harleen sull'orlo delle lacrime. Non le capitava mai di ridere così di gusto per qualcosa, a meno che non la facesse veramente divertire.

Era dunque piuttosto evidente che Jerome, nonostante quell'iniziale sensazione di timore, era riuscito a fare completamente breccia nel cuore della giovane.

I due ragazzi continuarono a ridere a crepapelle; la distanza fra di loro si era oramai definitivamente annullata.

“Mi piaci, Harleen Quinzel.” disse infine Jerome, riprendendo fiato dopo aver smesso di ridere “Sei diversa dalle altre persone che conosco: Anche tu sei strana.”

“Strana?” Harleen sembrò non capire “In che senso?”

“Te l'ho detto, sei diversa dalle altre persone.” ripeté Jerome, sorridendole in maniera differente da come aveva fatto fino a quel momento, quasi dolcemente “E questo ti rende strana, inevitabilmente. Un po' come il tuo nome, Arlecchina.”

Il ragazzo fissò intensamente la sua interlocutrice, indugiando un po' più a lungo del solito sui suoi candidi occhi azzurri. Lei arrossì nuovamente, stavolta senza chinare il capo.

“Mi piace il tuo nome.” proseguì Jerome “E' un nome che mi entusiasma, in grado di far sorgere un sorriso sul mio volto. Mi fa pensare che esista, da qualche parte nel mondo, qualcuno in grado di capirmi.*”

Gli occhi di Harleen si spalancarono dalla gioia.

Quelle erano probabilmente le parole più belle che si fosse mai sentita rivolgere in vita sua e per un attimo si sentì profondamente in colpa per aver pensato a Jerome come ad un ragazzo inquietante e potenzialmente pericoloso; forse, riflettendoci con maggior attenzione, era proprio lui quel gelido diamante grezzo che la ragazza aveva sempre sognato di poter incontrare.

“Che ti prende, Zuccherino?” domandò all'improvviso Jerome, le sue parole nuovamente imbevute di quel suo tipico tono di voce mellifluo “Non dirmi che hai ancora paura.”

Harleen scosse il capo.

“No.” disse, con voce ferma e sincera “Di te non ho affatto paura.”

Le labbra di Jerome si allungarono lentamente in un ghigno diabolico.

Dovresti, invece.” mormorò a denti stretti, afferrando i polsi di Harleen e stringendoli senza farle troppo male “Io posso essere molto pericoloso.”

Harleen avvertì un brusco tuffo al cuore e poi deglutì rumorosamente, per farsi coraggio.

“Q-questo non mi importa.” disse, domandandosi in quel medesimo istante da dove provenissero tanta sicurezza ed audacia “Te l'ho detto, Jerome: Tu non mi fai alcuna paura.”

Jerome rimase in silenzio, fissando la ragazza con aria di sfida.

Il suo sangue freddo era decisamente lodevole, pensò fra sé e sé, ma fino a che punto sarebbe stata in grado di spingersi? Il rosso accentuò ulteriormente la presa sui polsi di Harleen e si mise a stringere sempre più forte, con il chiaro intento di provocarle dolore, ma la ragazza serrò con forza i pugni e digrignò i denti, contraendo i muscoli addominali per mantenere la propria posizione ed opporre resistenza.

I due continuarono a lottare al massimo delle proprie energie, occhi negli occhi, respiro dentro respiro.

Poi, inaspettatamente, Jerome si protese verso Harleen e le stampò un lungo, soffice bacio sulle labbra, lasciando andare i suoi polsi e facendo scorrere le proprie dita fra i suoi lunghi capelli biondi. Harleen rimase immobile, impietrita fra le braccia di Jerome; il cuore le batteva all'impazzata ed il suo cervello era come paralizzato, del tutto incapace di pensare a qualsiasi cosa che non fossero semplicemente Jerome e la sua morbida bocca che si muovevano in armonia con la propria.

Fu un bacio davvero intenso e persino quando Jerome decise di porvi fine, ad Harleen sembrò di poterne ancora avvertire il sapore agrodolce sulla punta delle labbra.

Il ragazzo rivolse lei un ampio sorriso beffardo, a tratti canzonatorio.

“Oh, Zuccherino.” mormorò in tono compiaciuto “Avevo proprio ragione su di te: Sei decisamente una delle persone più strane che io abbia mai conosciuto. E questo mi piace da impazzire.”

Harleen fece per replicare, ma prima ancora che ne avesse la possibilità venne distratta da una voce fin troppo familiare alle sue spalle che ripeteva il suo nome.

“Harleen! Harleen, eccoti qua finalmente!”

La ragazzina si voltò in direzione dei suoi genitori, trattenendosi a fatica dallo sbuffare e dal roteare gli occhi al cielo.

“Ciao mamma, ciao papà.” mormorò con voce strascicata, le guance lievemente rosse a causa dell'imbarazzo “Sono qui, come vedete non mi sono persa e non sono stata rapita.”

“Harleen, guarda che non è affatto divertente!” la sgridò sua madre, guardandola malamente “Ti abbiamo aspettato per quasi un quarto d'ora al cancello d'ingresso e non vedendoti arrivare ci siamo spaventati a morte! Lo spettacolo è finito da un pezzo, ma dove diavolo eri finita?”

Harleen sospirò profondamente.

“Sono sempre stata qua, non mi sono mossa di un centimetro.” disse “Mi ero semplicemente fermata a parlare, non credo che sia un crimine.”

“Chiedo scusa, temo che sia stata colpa mia.” intervenne allora Jerome “Sono stato io ad intrattenere vostra figlia e a farle fare tardi.”

Il signor Quinzel fissò il ragazzo con aria minacciosa.

“E tu chi saresti?” domandò con voce tonante.

Jerome non si scompose minimamente e con un cortese sorrisetto sulle labbra risposte: “Jerome Valeska, molto lieto di conoscerla.”

Il signor Quinzel lo scrutò attentamente, con fare sempre più circospetto; non amava particolarmente il fatto che qualcuno ronzasse attorno a sua figlia e gli sembrò subito piuttosto ovvio che quel tale, Jerome, non fosse assolutamente un tipo raccomandabile.

Harleen e sua madre osservarono la scena con visibile imbarazzo, incerte sul da farsi.

“Ehm... Papà? D-direi che adesso potremmo andare a casa, non credi?” azzardò ad un tratto Harleen, cercando di smorzare la tensione.

Il signor Quinzel lanciò un ultimo sguardo provocatorio in direzione di Jerome, poi si voltò verso la moglie e la figlia ed esclamò a gran voce: “Forza, tutti alla macchina!”

Harleen sospirò profondamente e si coprì il volto con entrambe le mani, chiaramente mortificata da quella situazione.

“Mio Dio, che figuraccia!” si disperò fra sé e sé “Chissà che cosa penserà adesso di me Jerome... Oh no, non voglio neanche pensarci!”

“Harleen? Muoviti!”

“Sì, papà... Eccomi.”

Harleen corse dietro a suo padre e prima di andarsene si voltò un'ultima volta in direzione di Jerome, fissandolo intensamente in attesa di una reazione. Il ragazzo, in risposta, si limitò semplicemente a sorridere e a rivolgere un elegante inchino all'intera famiglia, un rispettoso segno di congedo che lasciò Harleen visibilmente delusa e contrariata.

“Arrivederci, signori, tornate presto a far visita al nostro circo.” echeggiò Jerome, con la stessa teatrale enfasi di uno slogan pubblicitario.

Il Signor Quinzel borbottò fra i denti qualcosa di incomprensibile e sua moglie si limitò a mormorare un cortese: “Arrivederci”, mentre la povera Harleen sospirava con mestizia e chinava il capo mordendosi il labbro per trattenere le lacrime.

“Che delusione” pensò fra sé e sé “Per un attimo avevo sperato di piacergli davvero ed invece...”

“Arrivederci, Zuccherino.” la voce di Jerome risuonò dolcemente alle sue spalle, come una soave melodia “E' stato un vero piacere.”

Le labbra di Harleen si espansero rapidamente in un gioioso, compiaciutissimo sorriso.

“A-anche per me.” bisbigliò emozionata, prima che suo padre la strattonasse per un braccio e la trascinasse via “Ahia, papà! Mi stai facendo male!”

Si voltò in direzione di suo padre appena il tempo di lanciargli un'occhiata di sbieco, ma quando il suo sguardo tornò alla ricerca di Jerome, la ragazza notò con disappunto che egli si era ormai già volatilizzato, come scomparso nel nulla.

Un triste broncio adombrò a quel punto il suo bel volto, ma il pensiero di quel bacio inaspettato e la consapevolezza che anche per Jerome fosse stato un vero piacere trascorrere del tempo assieme a lei la rincuorò immediatamente, facendola sentire come se tutto d'un colpo qualcuno l'avesse sollevata ad almeno un centinaio di metri da terra e le avesse messo un paio di ali, così da farla volare nei cieli dell'infinito.

Harleen si passò la lingua sulle labbra, in cerca del sapore di Jerome, e quando lo ritrovò il cuore iniziò a battere all'impazzata dentro al suo petto, grato e festoso. Non avrebbe dimenticato tanto presto quella serata, ne era più che certa.

“Beh, è stato davvero un bello spettacolo!” trillò allegramente la signora Quinzel, allacciandosi la cintura di sicurezza dopo essere saliti in macchina “E' un vero peccato che tu te ne sia persa più della metà, Harleen. Del resto, a te il circo non è mai piaciuto.”

La ragazzina emise un leggero sospiro ed appoggiò il capo contro il vetro del finestrino, osservando con la coda dell'occhio la strada dietro di loro che si perdeva all'orizzonte.

“Sai, mamma” bisbigliò con voce morbida, le labbra dischiuse in un ampio sorriso beato “A dire il vero, credo proprio che stia incominciando a piacermi.”











N.d.A: * "Mad Love" di P. Dini.

Buonasera a tutti!
Allora... Di cose da dire su questa one shot ce ne sarebbero tante, ma io ho deciso di essere breve: Siccome mi sono profondamente innamorata di Jerome e niente mi leverà mai dalla testa la convinzione che lui sia Joker (e il finale della seconda stagione ha riacceso in me la speranza, quindi DAVVERO nessuno me lo toglie dalla testa) o pensato a quanto sarebbe stato bello immaginare un incontro con una Harley Quinn in versione adolescenziale - dunque, volendo essere fedeli alla storia originale, non ancora folle - e alla fine, la mia testolina ha partorito questa roba.
Onestamente ne sono tanto soddisfatta perchè è ESATTAMENTE così che avevo immaginato la scena e che vorrei che andassero le cose, quindi per una volta della mia vita penso di aver fatto una buona cosa a pubblicare (e fu così che tutti la insultarono per aver scritto una cagata. LOL xD).
In realtà potrebbero anche esserci le basi per tirarne fuori una long... Chi lo sa! Vediamo cosa ne pensano i lettori e poi se ne potrà riparlare. :D

Grazie a tutti per la lettura, un abbraccio <3 

  
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