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Autore: HamishWatsonHolmes    02/10/2016    2 recensioni
E se a morire non fosse Gus? Se a quel funerale, che con tutto il cuore e la tristezza immaginabili avevano provato Hazel e Isaac, non fosse stato lui ad essere prematuramente pianto? Augustus è purtroppo destinato a scoprirlo quando la ragazza ha una brutta ricaduta e non riesce a sconfiggere nuovamente il cancro. Si presenta al funerale con il suo foglietto in mano, "pronto" a dare il suo addio ad Hazel Grace Lancaster, quando una persona, l'ultima che si sarebbe mai aspettato, interrompe i suoi pensieri...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Augustus 'Gus' Waters
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva come reagire a quella notizia; andare nel panico? Svenire? Oppure distruggere tutto ciò che gli capitava tra le mani?

Era difficile da accettare il fatto che lei non ci fosse più, che la ragazza che amava non si sarebbe più svegliata dal suo sonno. Era morta e lui non le era stato accanto nei suoi ultimi istanti, per stringerle la mano e consolarla, anche se non sarebbe servito a molto.

Hazel Grace Lancaster, pensò, questa non dovevi proprio farmela.

Il funerale si tenne pochi giorni dopo, in un piccolo cimitero vicino alla chiesa dove si erano conosciuti. Aveva preparato un discorso, ma non era sicuro di riuscire a pronunciarlo.

“Avanti, Augustus! Non fare la figura dell'idiota! Devi solo aprire bocca, non può essere così difficile.”
“Brutto segno, inizi a parlare da solo. Può essere sintomo di pazzia.”
Si girò di scatto, per vedere in volto l'uomo che aveva parlato.
“Van Houten?”
“Già. Non ti vedo molto contento di vedermi.”
“Non lo sono per niente. Cosa diavolo ci fai qui?”

Quell'uomo aveva avuto il coraggio di presentarsi al funerale, dopo tutto quello che aveva fatto ad Hazel e Gus e con un sorriso stampato in volto. Era piuttosto logico che Augustus non saltasse di gioia alla vista di Peter Van Houten.
“È stata una richiesta della signorina Lancaster, prima di morire. Mi chiamò e mi chiese questo piccolo favore, che, sommato all'altro, è diventato immenso.”
“Non adesso. Sta per cominciare il funerale.”

“Non vorrai mica rifiutare che io metta in atto le ultime volontà della tua ragazza, vero?”

“Di cosa stai parlando?” chiese il ragazzo, estremamente sorpreso che Hazel avesse espresso allo scrittore una sorta di testamento.

“Devo consegnarti una cosa, una specie di regalo. La signorina ha quasi dato fuoco a casa mia perché tu avessi un finale per quel romanzo.”
“Quando?”
“Una mattina, ad Amsterdam. Lei è venuta prestissimo, per essere sicura che tu non sapessi dove fosse e che non l'avresti seguita. O almeno, questo è ciò che mi ha raccontato.”
“Van Houten, si può sapere cosa vuoi da me?”

Quasi urlò, esasperato. Ogni piccola cosa facesse quell'uomo gli dava sui nervi.

“Sono qui perché ho scritto un sequel a quel libro ed è tutto per te.” Tirò fuori dalla sua valigetta un manoscritto, sul quale v'era scritto: Un imperiale giubilo.

“Nome pomposo, lo so, ma i contrari della parola afflizione decenti non sono molti.”
“Non lo voglio, puoi anche tornartene da dove sei venuto.” Rispose Gus, secco.

“Ho viaggiato per ore soltanto per consegnarti questo dannatissimo romanzo!”
“Sei arrivato troppo tardi! Non dovrebbe essere destinato a me.”
“Ti prego, prendilo. Puoi anche non leggerlo, non sarò io a obbligarti.”

“Dammi un motivo valido. Prova a convincermi.”

“C'è anche lei nel romanzo.”

Augustus, improvvisamente, si calmò. Per la prima volta dall'incontro con Van Houten, aveva pensato che potesse veramente aiutarlo. Prese in mano il manoscritto con delicatezza e cominciò a sfogliare le pagine. Guardava, ipnotizzato, i fogli che componevano quell'opera e, per un solo istante, riuscì a sentire la risata di Hazel. Si svegliò dal suo sonno soltanto quando la signora Lancaster lo avvertì dell'inizio della cerimonia. Tornò di colpo serio e si congedò freddamente dallo scrittore.

“Adesso se vuoi scusarmi, devo andare ad un funerale.”
Si avviarono entrambi verso la fila di sedie di plastica a qualche metro da loro. Gus accelerò il passo, con scarsi risultati, per lasciarsi alle spalle quel romanziere cialtrone. Si sedette in seconda fila, dietro i genitori della ragazza e aspettò in silenzio il suo momento.

“Adesso, un amico di Hazel vorrebbe rivolgerle ancora un ultimo saluto.”
Si alzò e, zoppicando, raggiunse il leggio del prete.

“Non che questo importi granché, ma ero il suo ragazzo.”

Si schiarì la voce, fece un respiro profondo e mise una mano in tasca, per tirar fuori il piccolo pezzo di carta dove erano scritte quelle poche parole che voleva dire. All'ultimo momento, però, la ritrasse, vuota.

“Io e Hazel Grace abbiamo concordato che non so scrivere, quindi andrò a braccio.”

Si guardò i piedi, come se attendesse che da lì uscissero le parole giuste.

“È difficile parlare in questo momento. Non riesco ancora ad accettare il fatto che, adesso, lei abiti quella cassa di legno; aspetto ancora una sua telefonata, con la quale, ridendo, mi dice di star bene. Lei era la miglior ragazza che io potessi conoscere e ho addirittura avuto l'onore di poterle stare accanto in quel nostro piccolo infinito. Per me, lei era la felicità, il raggio di sole dopo la tempesta, la speranza di guarigione dal più brutto dei mali. Ora, dovrò affrontare questa malattia da solo e ho paura. Non della morte, ma del tempo che mi rimane qui, su questo pianeta, senza di lei. Non so se riuscirò a far fronte a questo nuovo nemico a testa alta, come faceva lei. Purtroppo, la sua volontà non è bastata e...”

Cominciò a piangere come non aveva mai fatto prima. Anzi, solo una volta, quando gli avevano detto la percentuale di sopravvissuti al cancro che aveva lui: 80%. Era alta, ma lui era sicuro di far parte di quel piccolo 20% di sfortunati. La fortuna non era mai stata dalla sua parte: colpa delle stelle sotto le quali era nato.

“S-scusatemi, ma non ce la faccio. Vorrei andare avanti, ma le mie parole vengono rimpiazzate dai singhiozzi. Scusate ancora.”

Si diresse di nuovo al suo posto, che sembrava lontanissimo. Sentiva la protesi pesantissima, come se volesse portarlo sottoterra insieme a quella bara. Fece una fatica mostruosa per raggiungere il suo traguardo. Si lasciò cadere, come un pupazzo, sulla sedia bianca e continuò a piangere in silenzio.

Nessuno volle più parlare, ma era più giusto così; la non-più-presenza di Hazel, riempiva ogni spazio vuoto.

Gli invitati cominciavano ad andarsene, diretti verso le loro macchine, ma Augustus volle rimanere ancora un po' vicino a quella fossa, ormai consapevole del fatto che ci sarebbe sempre stato quello strato di terra a dividerlo da lei.

“Addio Hazel Grace Lancaster, fa buon viaggio.”
Sfilò dalla tasca dei pantaloni quel suo pacchetto di metafore e ne portò una alla bocca. Lentamente alzò l'altra mano e, con un accendino, accese la sigaretta.

“A presto.” aggiunse.

 

  
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