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Autore: Ulissae    07/05/2009    6 recensioni
Marte è il dio della guerra, l'uomo più forte e crudele, orgoglioso fino allo sfinimento. La sua superbia è enorme, così come il suo coraggio. Che viene meno in una sola situazione: quando incontra Rea Silvia, la madre dei suoi figli.
-Io dovrei … chinarmi a te, donna?!- gridò indignato e sconvolto Marte saltando all’indietro, come schifato dalle parole di lei.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Princess of vegeta6
Titolo: Woman
Genere: Commedia, romantico, introspettivo.
Fandom: Epico, mitologico.
Personaggi: Rea Silvia, Marte
Note dell’autore: Questa è una storia che mi ronzava da parecchio in testa, nata prima con il POV della lupa poi ho deciso di metterla in terza persona, approfondendo il tema della maternità sia con i pensieri di Rea sia con quelli di Marte, che, nonostante sia il dio della guerra, deve abbassarsi al miracolo della vita.
Il titolo riprende i dialoghi di Marte, che chiama continuamente Silvia donna, tranne nell’ultimo dialogo dove lascia il dispregiativo, rendendosi conto che è inutile e poco opportuno.


Woman
Wolfmother

La vestale sapeva bene che quello che aveva fatto era sbagliato, errato in ogni più piccolo gesto. Sapeva bene che le conseguenze della sua azione sarebbero ricadute, come velo soffocante, sulla sua vita; e sapeva bene, anche, che la sensazione che le pervadeva l’animo era  nuova e affascinante, diversa da ogni altra emozione che aveva provato nei suoi pochi anni di vita.
In quel momento era sdraiata nel suo giaciglio spartano, unico conforto nelle notti umide e fredde d’inverno, sull’altura del colle, circondato dal fiume che scorreva placido al suo fianco.
Si chiedeva, povera sciagurata, in che modo avrebbe reso conto del suo peccato al padre; come avrebbe potuto giustificare la pancia che si gonfiava, il sangue, segugio della luna, che era scomparso, e tutti i vari sintomi che facevano sì che le sue consorelle rimanessero stupite dai suoi continui sbalzi d’umore. Lei! La più tranquilla e pacifica delle ragazze, casta e pura, senza macchia di errore nel cuore.
Le coperte di grezza lana avvolgevano il suo corpo che cresceva piano, piano, lento e costante; e lei si ritrovava a stringerle, con una forza nuova, cercando di scaricare la paura sul tessuto poco lavorato e fastidioso.
Sentiva le mille domande, che la sua coscienza le porgeva, accavalcarsi nella sua mente, senza darle tregua.
Come prima cosa si domandava chi fosse l’uomo che l’aveva sedotta mesi prima nel tempio, affascinandola con i suoi modi galanti ed il corpo da dio.
Ma, se doveva essere sincera, in quel momento poco le importava: il dolce peso che sentiva nel suo ventre faceva in modo che scordasse tutti i problemi. Non ricordava nessuna che nel suo villaggio avesse partorito, dopo tutto era stata segregata sin da bambina dentro quelle mura con la scusa che il fuoco divino non dovesse spengersi. Aveva però sentito di donne morte durante il parto, durante la nascita dei figli.
Una vita per un’altra, una dura legge che serpeggiava tra le capanne di legno.
Paura.
Ne aveva tanta in quel momento,tanta da scuoterle il corpo, facendola tremare e singhiozzare nel silenzio della sua celletta, in attesa che il sole annunciasse l’ennesimo giorno.
Un fruscio, un rumore sottile, bastò per destarla e farla alzare, pronta a chiedersi chi potesse essere entrato.
-Chi è? Un uomo? Una donna? Uno spirito forse? Che sia venuto a punirmi per il mio peccato?- sussurrò allarmata, ponendo l’ultimo quesito più a se stessa che all’ospite.
-Chi ti fece sognare, donna?- una voce burbera rispose all’appello, avvicinandosi e mostrandosi.
Ancora invisibile ai suoi occhi, la figura rimase ferma fissandola.
-Oh, io questo non lo so. Immagino sia un uomo, ma i suoi gesti, i suoi sguardi mi fanno pensare ad un dio. Ma cosa dico! Nessun Dio mi farebbe questo, nessun dio mi abbandonerebbe al mio destino! Perché devi sapere, mio ignoto visitatore, che questo seme, che cresce nel mio ventre, come fiore forti e vittorioso, morirà; ed io ne soffrirò! Io, sua madre, soffrirò per la morte del mio bambino!- la voce le tremava, sentiva le gambe cedere, pronte ad abbandonarla sul freddo pavimento.
-Tu credi questo, donna?- la voce scettica si avvicinò ancora un po’, mostrando il suo volto: fiero e glorioso, dai tratti duri e decisi, che ispiravano la forza del corpo e dello spirito che dovevano animarlo, un’armatura resistente e brillante ricopriva il suo corpo.
-Io questo credo, o ignoto soldato, e credo anche che attraverserò lo Stinge per questo; come la lupa si abbandona alla morte dopo che i suoi cuccioli vennero mangiati dall’orso- singhiozzò a terra, cercando di schivare lo sguardo freddo dell’uomo che le si poneva davanti.
-Chi è l’orso in questa leggenda, donna?- l’arroganza era palpabile.
-Mio zio! Oh! Mio zio!- gemette lei mentre si trascinava sul letto, colta da un improvviso dolore. –Ed anche mio padre, senza volerlo, che mi costrinse a vivere qui, tra le mura di questo misero luogo. Non considerarono vere le mie parole! Ma io so, che nel vero, un dio mi conobbe!- si allungò, mentre numerose lacrime le scendevano sulle gote.
-Tu credi che l’uomo che ti conobbe era un dio, donna?-
-Ne sono sicura- rispose questa decisa, senza voltarsi, aveva timore di vedere l’uomo che con lei parlava. –Ma ora, per favore, rispondi alla mia domanda, uomo senza nome, chi sei?-
Accarezzò dolcemente il ventre, come a darsi forza dal tocco e dalla risposta che ricevette: un sonoro calcetto che la fece sorridere, nonostante la situazione.
-Io sono Marte, donna. Dio della guerra, e sono anche l’uomo che conoscesti al tempio, e padre dei tuoi figli- annunciò la divinità prendendo il viso della vestale e voltandolo verso di lui, con gesto deciso. –Ed ora guardami, donna!- ordinò imperativo.
La bocca della ragazza si aprì per lo stupore, e un nuovo fuoco bruciò nelle sue vene, una rabbia scaturita non tanto dalla sua situazione di prigioniera quanto per quella dei figli, promessi del fiume Stinge.
Si alzò, furiosa, proprio come la lupa che doveva difendere i suoi lupacchiotti, e con ardore sconosciuto a lei si pose davanti al valoroso Dio.
-Tu! Tu! Tu padre degenero del figlio che io porto nel mio grembo! Lo abbandonasti! Senza futuro! Che tu sia maledetto! Tuo padre, che a differenza di te ti curò, scagli i suoi fulmini contro il suo figlio!- urlò presa da nuova forza, le gote arrossate dallo sforzo.
Marte guardò stralunato la sua compagna, mai, in millenni di guerre e battaglia, aveva visto guerriero più temibile: una madre.
Lo avevano avvertito che l’amore illimitato di queste per i proprio pargoli le poteva portare a gesti inconsueti, spinti dalla voglia di difenderli, perché, così dicevano, la vita dei figli era quella della madre, tolta una veniva, di conseguenza, eliminata anche l’altra.
Altro suggerimento che era giunto al suo orecchio, e che al momento dell’ascolto gli era parso così strampalato, era di non contraddire mai una madre incinta, poteva rivelarsi fatale, perfino per lui.
Rimase un attimo interdetto, fissando la ragazza che si rigettava con un gemito di dolore sul suo giaciglio, tenendosi il ventre gonfio gelosa; poi scocciato per la situazione che lo vedeva subordinato ad una donna, una donna incita per giunta!, si alzò e la guardò il più ferocemente possibile.
-Come osi, donna, metterti contro me! Dio della guerra!- tuonò.
-Rea Silvia è il mio nome, non donna- disse lei in un soffio irato, pensò, giustamente, che se doveva morire tanto valeva difendere l’onore suo e di suo figlio.
-Impertinente! Se non fossi madre dei miei figli… Ah! Le cose che ti farei!- la minacciò puntandole un dito contro.
-Hai detto bene, o Dio ingrato, madre dei tuoi figli! E tu non sai neanche cosa possa passare una madre, tu, uomo, non sai minimamente cosa scuote il mio animo- affermò orgogliosa mentre si sedeva.
Mai nella sua vita avrebbe pensato di poter rispondere ad un uomo, ad un DIO!, così. Ma lo sappiamo bene tutti: una madre può fare tutto.
Esiste una forza, sconosciuta perfino agli dei, che muove il suo corpo, il suo spirito. E’ quella forza che, allo stesso tempo, la rende debole, insicura, la fa tremare di fronte ai pericoli più infimi che si mettono sulla via del suo bambino, bloccandola. E’ quell’adrenalina, quel fiume in piena che irrompe nelle sue vene e le permette di affrontare gli ostacoli insormontabili. Tutto per una semplice ragione: i proprio figli.
I figli che la fanno soffrire durante il parto, che le regalano preoccupazioni, dolori, pianti; ma che, senza una ragione ben precisa, con un solo sorriso la rendono la più felice delle donne.
-Come ti permetti! Io, povero folle, che credevo di portarti lieta novella sono stato accolto come il peggior dei traditori!- esclamò stupito, ormai deciso a lasciare le armi sul campo di battaglia e affrontare a mani nude il suo avversario, piuttosto rotondetto, a dirla tutta.
-Quale lieta novella?- la curiosità tinse la voce della ragazza, addolcendola.
-Dopo questo comportamento ignobile non ti dirò mai e poi mai quello che so!- rispose stizzito, facendo cadere la fiera maschera di guerriero e indossando quella di signorina facilmente irritabile.
Rea Silvia l’osservò divertita, in fin dei conti quel Dio, dall’apparenza forte e decisa, non era nient’altro che un bambino, e come tale andava trattato con amore e affetto, anche se non lo meritava; dopo tutto una madre oltre a punire non concede abbracci e carezze al più discolo dei suoi figli?
E non gioca, questa, forse d’astuzia per ottenere l’obbedienza?
Così fece la giovane: propose uno scambio al Dio, uno scambio vantaggioso per entrambi.
-Marte, tu che sei così abile nella guerra ben saprai che un’alleanza può giovare più di una battaglia- sorrise lei sorniona, avvicinandosi a lui e accarezzandogli il braccio.
-Cosa proponi, donna?- sospettoso osservava ogni movimento con sguardo critico.
-Tu potrai parlare con tuo figlio e dopo mi dirai la buona notizia per la quale eri venuto- concluse con viso allegro, privo di rabbia, scemata osservando la reazione infantile di poco prima.
Un attimo di silenzio, nel quale l’uomo pesava le parole e cercava di capire se quello della donna non fosse un tranello, con un gesto di non curanza annuì e accettò la proposta.
-Cosa devo fare, donna?- domandò umile, finalmente incuriosito dal pancione.
-Poggia qui il tuo orecchio- suggerì amorevole, accarezzandosi nuovamente il ventre. Quante volte lei stessa aveva passato le ore ascoltando attenta i movimenti della futura vita.
-Io dovrei … chinarmi a te, donna?!- gridò indignato e sconvolto Marte saltando all’indietro, come schifato dalle parole di lei.
Una risata cristallina echeggiò per l’angusto spazio riempiendolo. –Non sono forse io che porto in grembo il tuo seme? Non sono forse io che ho rischiato la morte per lui? Non sono forse io che li accudirò, amandoli più di me stessa?- rispose senza rancore.
Lui sbuffò e scocciato poggiò l’orecchio sulla veste candida attendendo impaziente, voleva farla finita: aveva già subito troppe sconfitte morali.
Un colpo, poi un altro, desiderosi di attenzione e voglia di dire al mondo di esistere.
Sbatte le palpebre sbigottito, guardando poi confuso la donna che dall’alto gli sorrideva amorevole.
-Donna, a quanto pare avevo ragione: sono due- mormorò, non volendosi staccare, troppo intento ad ascoltare quel suono nuovo per le sue orecchie di soldato, abituate agli urli straziati dei morenti, così dolce, così nuovo. Dei colpi leggeri, più vitali, più forti delle mille grida di battaglia.
-Due?- chiese stupita e confusa –Marte, cosa intendi?-
-Partorirai due figli, che saranno i più gloriosi della tua stirpe, fonderanno la Città, conquisteranno il mondo, lo domineranno ed istruiranno- annunciò staccandosi e cercando di sembrare più tranquillo e distaccato.
La gioia che in quel momento invase la donna è ben difficile da narrare, il cuore le esplose in petto e la felicità si sprigionò per tutto il corpo, il suo viso si aprì in un sorriso che mai aveva conosciuto le sue labbra.
Felice, esatto. Felice per un semplice motivo. No, non di certo per la gloria che avrebbe ricoperto il capo dei suoi figli, ma per la sicurezza che loro sarebbero stati vivi, pronti ad affrontare la vita.
In quel momento il Dio rimase silenzioso osservando la reazione della donna, non aveva il coraggio, sì, esatto, proprio lui, non se la sentiva di dirle la verità, tutta la verità.
Non aveva voglia di interrompere la sua felicità, la felicità più sincera che il mondo conosca, la felicità di una madre.
E mentre in quella piccola celletta un Dio ascoltava silenzioso il miracolo della vita, mentre una donna dalle origini regali sorrideva pensando e ripensando al futuro dei suoi gemelli, una lupa, che silenziosa aveva ascoltato tutto, si allontanò annoiata pensando che, in fin dei conti, queste stupidaggini degli umani non l’avrebbero mai e poi mai toccata.
   
 
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