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Autore: Lady Moonlight    03/10/2016    3 recensioni
Ehorin, la stirpe degli uomini-draghi.
Dhana è l'ultima discendente di una dinastia che ha visto sorgere e finire l'Era dei Draghi, l'unica sopravvissuta alla caduta di Menfhis. Per cinque anni è stata costretta a nascondersi e fuggire, celando un segreto che potrebbe salvarla o condannarla a morte.
Sfuggita alle insidie della Valle del Crepuscolo, Dhana cerca rifugio nelle miniere di damantis, lavorandovi come schiava. È lì che incontra Caleb, secondogenito del Marah e fratello dell'uomo che ha ucciso la sua famiglia.
Portata a Valantia viene obbligata a prendere parte ad una competizione e se vincerà potrà diventare cavaliere dell'ultimo drago vivente rimasto nel continente.
Tuttavia, dopo secoli di silenzio e oblio, in cui la magia e le creature nate da essa si credevano ormai perdute, qualcosa si agita sotto l’apparente superficie delle cose. Le leggende prendono vita e Gideon Ned'deq sembrerebbe essere l’unico alleato di Dhana, malgrado sia stato proprio lui a decretare la fine dei draghi e della sua famiglia.
Mentre segreti andati perduti nel tempo rischiano di far sprofondare il continente nel caos, Dhana scoprirà che, forse, la minaccia più grande è proprio se stessa.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 02: Candidata
 



 
Il sole sorgeva ormai alto, quando Dhana si arrischiò ad avvicinarsi a Graf. Caleb l’aveva lasciata subito dopo averla riportata al campo e l’unico suo ordine era stato quello di rimanere in luoghi dove potesse essere sorvegliarla.
Gli schiavi e i minatori avevano già terminato un primo turno lavorativo e attorno si sentivano i colpi ritmati dei picconi nella roccia. I secchi e i vagoncini di ferro pieni di damantis salivano e scendevano dalla montagna senza fine.
Il regno di Pars era prosperato grazie a quel minerale e il Marah era solito vantarsi delle inesauribili risorse sotterranee. Per proteggere quel tesoro venivano impiegati solo schiavi, controllati a vista e impossibilitati a svelare l’ubicazione delle miniere, mentre i soldati erano sottoposti a rigide imposizioni. I nemici del Marah avrebbero pagato qualsiasi cifra per conoscere l’ubicazione del damantis, l’unica arma efficace contro la magia. L’esportazione di quest’ultimo era aumentata vertiginosamente dopo la scomparsa dei draghi, come se gli umani temessero ritorsioni per quanto successo. Avevano costruito arsenali di spade, lance e punte di freccia capaci di interferire con la magia e le creature nate da essa.
Ed era per quella ragione che si era unita agli schiavi della miniera. Si era vista costretta a farlo per sfuggire all’elfo che da tempo la inseguiva nei suoi viaggi solitari.
In quelle due settimane da schiava, il damantis aveva indebolito sia lei che Lazhar, ma allo stesso tempo aveva fatto perdere le sue tracce al cacciatore di taglie.
Quella decisione, al limite della follia, le era costata cara.
I primi giorni erano stati i peggiori mentre, intrappolata nelle gallerie della miniera, il damantis incombeva su di lei stringendole i polmoni in una morsa soffocante. Il suo corpo si era abituato a quella presenza costante con una lentezza esasperante e proprio quando aveva pianificato la fuga, i suoi piani erano stati distrutti da una ribellione sedata sul nascere.
Dhana chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Si concentrò sul suo vero obiettivo, quello che l’aveva spinta così a sud del continente: un drago, un sopravvissuto alla caduta di Menfhis, che si diceva trovarsi a Valantia.
La speranza e la pazzia di quel pensiero le avevano dato la forza di sopravvivere alle insidie celate nella Valle del Crepuscolo. Come fosse possibile che un drago ancora vivesse non lo sapeva, ma aveva avuto il bisogno di aggrapparsi a quella tenue illusione.
Con rapidi movimenti legò i capelli in una treccia. Erano sporchi e, come lei, puzzavano. Di quello doveva dar atto alle parole di Caleb. A Menfhis aveva odiato le cameriere che ogni giorno si presentavano nella sua camera per lavarla da cima a fondo e all’epoca non avrebbe mai detto che un simile trattamento un giorno potesse mancarle.
Si fermò davanti a Graf. Lo schiavo aveva le mani legate ed era ricoperto di sangue ormai rappreso che seccandosi aveva assunto una colorazione nerastra. 
Accanto c’era una tinozza d’acqua che lei prese e utilizzò per ripulirlo come meglio poté. Le braccia erano piene di tagli e contusioni, mentre il volto e il collo erano ricoperti di ematomi violacei.
Un soldato le scoccò un’occhiata piena di disgusto.
“Perché stai facendo questo?”
Dhana ebbe un sussulto quando Graf le pose la domanda. “Non amo vedere le persone che soffrono senza tentare di alleviarne il dolore.” Erano parole sincere, ma era una verità che aveva appreso in modo egoistico. Quante volte aveva desiderato che qualcuno si prendesse cura di lei quando Menfhis era caduta? C’era stato il generale Brom, certo, ma era stata una presenza discontinua e l’aveva presa con sé più per dovere che vero affetto. Le aveva voluto bene, a modo suo, e Dhana aveva ricambiato ma non era mai stato la spalla sulla quale lei avrebbe voluto piangere e sfogare il suo dolore.
Alzò il braccio e passò un panno umido sul labbro tumefatto dello schiavo, premurandosi di non premere eccessivamente. “Mi dispiace per il ragazzo che era con te.” Era addolorata, ma dopo James aveva imparato a convivere con certe tragedie.
Graf piegò il capo. “Sam era l’unico che discuteva con me senza avere paura. Lo divertiva vedermi in difficoltà con le parole.           Diceva che ero buffo. Grande, grosso e timido” aggiunse con voce amara. “È morto soffocato.”
E James? Dhana se lo chiedeva spesso e sperava, in modo quasi ossessivo, che la morte lo avesse accolto in fretta e che Herana non lo avesse fatto soffrire in modo eccessivo. “Sono certa che fosse un bravo ragazzo, troverà pace nel Cielo d’Oriente” mormorò Dhana, incapace di trovare parole che potessero essergli di conforto.
Poco dopo, si arrischiò a fare una domanda scomoda. “Perché sei… vivo? Cosa vogliono da te?”
Graf sputò a terra un grumo di sangue e saliva. “Da me?” grugnì con voce cavernosa. “Mi tengono come esempio. I soldati vogliono che gli schiavi ci pensino due volte prima di ribellarsi nuovamente. Non mi piace il nuovo ispettore” borbottò, facendo un cenno in direzione della viverna che sorvolava la zona. Karo compiva voli circolari sopra la miniera e ogni tanto si lanciava nell’inseguimento di qualche uccello, divorandolo in meno di un minuto. Caleb non era con lui e Dhana non osava pensare di cosa stesse discutendo con il sovrintendente della miniera. Molte teste sarebbero saltate per quello che Graf aveva scatenato il giorno prima. Schiavi che non avevano alcuna colpa se non quella di essersi trovati nel posto sbagliato.
Era colpa di quell’uomo se gli schiavi avrebbero ricevuto una punizione esemplare. Probabilmente avrebbero diminuito le riserve d’acqua, già esigua, e raddoppiato i turni di lavoro. Avrebbe voluto chiedergli se si sentiva in colpa, ma come poteva giudicarlo quando anche lei avrebbe sfruttato ben volentieri la prima occasione che le si fosse presentata per vendicarsi del destino toccato a Menfhis?
“Non è un ispettore” gli rivelò a bassa voce. “È il secondo figlio del Marah. E credo che ti abbia tenuto in vita per un motivo” gli rivelò, sempre più convinta di quell’intuizione.
 “Per le piume di Angris!” sbottò Graf, soffocando un gemito di dolore. Malgrado dovesse avere almeno due costole rotte, la sorpresa della notizia l’aveva preso alla sprovvista. Pronunciava le parole in modo particolare, allungando spesso la lettera s e marcando le r.
“Vieni dal territorio di Salot, le dieci città indipendenti?” domandò Dhana, anziché rispondere all’evidente curiosità che aveva suscitato su Caleb. Le lezioni di geografia le erano sempre piaciute e dopo la caduta di Menfhis le era stato evidente l’importanza di conoscere i regni vicini. Non sarebbe sopravvissuta a lungo se non avesse imparato le usanze degli altri popoli.
Il volto di Graf si incupì. “Come l’hai capito?” volle sapere. “Sono cresciuto a Tarret, l’Ultima Città”.
“Il nome di Angris non è molto noto, ma è di certo conosciuto dagli abitanti che hanno prosperato grazie alla sua leggenda.”
Lazhar si spostò verso la sua spalla e Dhana trattenne un risolino. Il drago stava dormendo, come faceva spesso da quando erano giunti alle miniere.
Graf annuì. “Il grifone scarlatto, era soprannominato… ma la sua leggenda ormai si è persa da centinaia d’anni” proseguì amareggiato. “Ho visto una di quelle creatura da bambino, mentre artigliava un cervo e lo faceva a pezzi come un macellaio.” Fece una pausa e si sfiorò lo zigomo, dove c’era una piccola cicatrice. “Una spettacolo spaventoso. Cominciò strappandogli le zampe e per il cervo non fu una morte rapida. All’epoca gli adulti facevano circolare un sacco di storie sui grifoni e noi ragazzi ne eravamo terrorizzati. Non abbastanza per evitare di cercarli, certo. Dopotutto sognavamo tutti di catturarne uno da vendere al mercato nero.” 
Distratta, Dhana smosse dei sassolini con la punta del piede. A palazzo era esistita una collezione di piume prese da quelle creature sfuggenti. Suo fratello Victor amava la sala in cui erano state riposte sotto teche di vetro e spesso vi aveva portato anche lei, reggendola sulle spalle quando era ancora troppo piccola per scorgerle dal pavimento.
Il dolore, subdolo, si insinuò nella sua mente e le ci vollero diversi minuti per scacciare quelle immagini nostalgiche. A volte credeva che i ricordi fossero più dolorosi della realtà in cui viveva, eppure continuava a tenerli stretti, incapace di lasciarli andare.
“Da adulto ho compreso che erano ben altri i veri macellai” concluse Graf rivolgendo un’occhiata piena di risentimento agli uomini del Marah.
Anche Dhana arrischiò una rapida sbirciata. Alcuni erano in servizio, altri erano seduti a gruppetti di tre o quattro persone e giocavano a carte o ai dadi.
Si morse il labbro inferiore e alla fine trovò il coraggio per fargli un’altra domanda. “E cosa mi dici dei draghi?”
La guardia che li sorvegliava sbuffò e fu quello a risponderle. “Dico che sono tutti morti!” dichiarò compiaciuto. “E che si vive meglio senza quei mostri sputafiamme.”
Lei non ripose, ma avvertì distintamente sulla pelle un occhio di Lazhar aprirsi e la coda frustarle la pelle.
“Ah, eccoti qui, piccola ribelle.”
Dhana si irrigidì sentendo la voce di Caleb raggiungerla alle spalle. Aveva sperato di non rivederlo prima di sera e anche allora avrebbe cercato un modo di sfuggirgli.
Il figlio cadetto del Marah la superò e la guardia serrò i tacchi, mettendosi a disposizione del principe. “Draghi, eh? Argomento interessante, mio fratello ne sarebbe entusiasta” esordì con una smorfia che mascherò un istante dopo.
Graf raddrizzò la schiena e squadrò con aria truce il nuovo arrivato. “Li uccise tutti, giusto? Quella notte fu un massacro… ma il Marah agisce così no?”
Caleb serrò la mascella e Dhana si portò una mano al cuore. C’era dell’altro nelle parole dello schiavo, qualcosa che lei non riuscì ad afferrare.
Il principe volse lo sguardo su di lei. “La gente tende sempre ad ingigantire ciò che è avvenuto.”
Lei chiuse gli occhi, furiosa. Oh, era certa che per Caleb Ned’deq quella fosse un’esagerazione. Cresciuto con un padre che aveva passato la vita a guerreggiare con il resto del continente, cosa poteva significare per lui la morte dei draghi e degli Ehorin? Dovevano essere solo una tacca sul grande progetto delle loro conquiste. Nei suoi incubi i draghi precipitavano al suolo, fulmini illuminavano il cielo e centinaia di viverne erano sopra le abitazioni di Menfhis. E poi c’era Gideon Ned'deq che tendeva la mano insanguinata verso di lei.
“Vostro fratello” sputò lo schiavo. “Lo chiamano Nero Terrore, Ammazzadraghi, ma si dice che ora sia incapace perfino di salire in groppa alla sua viverna… che abbia paura della sua stessa ombra” insinuò Graf e lei non si sorprese nel vedere Caleb colpirlo violentemente alle costole.
“Cosa ne vuoi sapere, tu!” esclamò il cavaliere. “Vivi in queste miniere da così tanto tempo che il tuo nome è stato dimenticato e ormai nessuno parla di quanto accaduto dieci anni fa! Sei diventato inutile. Un eroe caduto in catene!” Si chinò per picchiarlo di nuovo e ogni volta che il principe sferrava un colpo la cotta di ferro tintinnava. Lo derideva senza pietà, infierendo su Graf e traendone uno strano piacere. “Eroe dei namoo” lo chiamò con disprezzo. “Ora tutto ciò che sei è questo: uno schiavo piegato di fronte a me. E il damantis-”
“Fermatevi!” lo supplicò Dhana, allungandosi in avanti e aggrappandosi alle sue spalle. Graf aveva perso i sensi e la sudicia maglia che indossava si era strappata, rivelando un corpo pieno di cicatrici e segni di percosse.
Sopra di loro, Karo emise un lamento acuto, volando in cerchi concentrici sempre più piccoli.
La testa di Graf ciondolò di lato. “Lo ucciderete!” gridò la ragazza.
Le sue urla furono inghiottite dal fischio del corno che segnava  la fine di un altro turno di lavoro per gli schiavi. Tre carri carichi di damantis li superarono ed erano così pesanti che le ruote lasciavano un solco lungo la strada sterrata.
Karo planò in quell’istante, facendo fremere la terra sotto di loro e allungò il collo fino a spingere Caleb contro di sé, come un cucciolo in cerca d’affetto. I soldati guardarono la scena con ammirazione mentre gli schiavi chinarono  la testa, mormorando tra loro parole che se giunte a orecchie sbagliate sarebbero costate care.
Dhana ne approfittò per correre da Graf e assicurarsi che respirasse ancora. Il petto si alzava lentamente intervallato da un sibilo continuo.
Fu sul punto di tirare un sospiro di sollievo quando ogni cosa attorno a loro tremò. Dhana cadde a terra, incapace di mantenere l’equilibrio e sentì le urla spaventate degli schiavi chiusi nei cunicoli delle montagna.
La viverna sbatté le ali per prendere quota e lei fu tentata di alzare lo sguardo, cercare Caleb e urlargli di aiutarla. Il soldato che prima aveva sorvegliato lei e Graf si allontanò di corsa, bianco in viso e abbandonando la lancia al suolo.
Subito dopo, un boato più forte scosse l’intera zona.
La montagna sta franando!” ruggì Lazahar, spronandola a cercare riparo. Una nube di polvere bianca salì al cielo e dalla parete scoscesa si staccarono rocce di grandi dimensioni che ostruirono uno degli ingressi della miniera. Degli schiavi e anche alcune guardie furono schiacciate, quelli sfuggiti ai massi gridavano bloccati nei condotti della cava. Dhana si trascinò fino a Graf e con fatica lo nascose dietro un masso, poi sporse la testa.
Nello stesso istante il terreno smise di tremare e un silenzio inquietante avvolse la cava. Un cavallo la superò al galoppo, privo di cavaliere e infine grida di ogni tipo esplosero attorno a lei, come se il mondo avesse trattenuto il fiato fino ad allora.
Stai bene? Dhana, stai bene?” ripeté più volte Lazhar.
Dhana deglutì. Non era mai stata testimone di terremoti di così vasta portata e ora che il peggio sembrava essere passato lei si sentiva prosciugata di ogni forza. La scossa non doveva essere durata più di qualche secondo ma le era sembrato un attimo eterno, così come lo era stato assistere alla fine di Menfhis. 
Si alzò, traballante, accorgendosi che attorno a lei sembrava essere sceso un banco di nebbia impenetrabile. La polvere di roccia e detriti le entrò nei polmoni minacciando di soffocarla, così sì avvolse un pezzo di stoffa attorno al viso.
Erano i draghi a mantenere l’equilibrio di questo mondo” osservò Lazhar e lei non poté che chiudere gli occhi, riaprendoli con le immagini di quelle creature antiche che volavano a spirale nel cielo di Menfhis.  “Senza di loro… è come se al mondo mancasse qualcosa.
Dobbiamo raggiungere Valantia. Se le voci sono vere… se un altro drago vive ancora…”
Se c’è lo troveremo” confermò Lazhar, emettendo un basso ruggito continuo che assomigliava quasi alle fusa di un gatto. Dhana poggiò la mano sullo stomaco e si inoltrò nella nube. Le fu difficile distinguere qualsiasi cosa si trovasse a più di due passi di distanza da sé.
Più volte le capitò di inciampare e alla fine decise di fare affidamento sui sensi del drago che la guidarono con sicurezza verso l’accampamento dei soldati.
Se qualcuno l’avesse vista in quel momento avrebbe riconosciuto facilmente in lei l’ultima erede degli Ehorin. O un demone, difficile dirlo con sicurezza. Quando condivideva le capacità di Lazhar alcuni tratti fisici del suo corpo mutavano inevitabilmente, assumendo sembianze diverse.
In quelle occasioni la pupilla si allungava come quella di un felino e l’iride assumeva un colore rosso vivo, diventando scarlatta come le scaglie di Lazhar. I capelli neri assumevano una sfumatura ancora più cupa, scuri come la pietra che un tempo aveva adornato i templi di Menfhis. Le unghie mutavano in resistenti artigli e la pelle emanava un forte calore corporeo.
Abituarsi a quei cambiamenti non era stato semplice. Per un anno, da quando aveva lasciato Menfhis, non era stata capace di controllare la trasformazione e quando avveniva la lasciava per giorni prosciugata di ogni forza. Era un Ehorin, certo, ma nessuno l’aveva preparata a cosa avrebbe significato portare su di sé il tatuaggio draki. Se tutto fosse andato come doveva e la capitale non fosse mai andata distrutta, Dhana sarebbe stata seguita da un sacerdote e solo al compimento dei sedici anni le sarebbe stato impresso il tatuaggio. Quella fatidica notte ogni cosa era accaduta troppo in fretta e in modo cos sbagliato che-
La viverna sta arrivando e da come sbatte le ali sembrerebbe irrequieta” l’avvertì il drago, interrompendo quei pensieri. “Muta aspetto e riprendi sembianze umane.
Lo fece immediatamente, prima ancora che Lazhar finisse di parlare.
La pelle tornò rosea e Dhana percepì nuovamente la debolezza dei muscoli e la fragilità delle ossa umane. Con la vista nuovamente normale proseguire nella foschia era uno ostacolo più difficile da superare.
Da qualche parte, mentre procedeva, sentì Caleb impartire degli ordini a Karo e la viverna rispondere con un acuto stridio.
Quante vittime c’erano state quel giorno? Quanti morti avrebbero incrociato la sua strada prima che lei riuscisse a raggiungere i suoi obiettivi?
Ricordò che Caleb era fuggito come un codardo quando la terra aveva tremato. A lui non interessava né la vita degli schiavi né quella dei soldati. Fu inevitabile pensare come sarebbe potuta andare la situazione se al posto suo ci fosse stato Gideon…
Il pensiero si concluse lì, come ogni volta che tentava ragionamenti simili.
Gideon, il suo promesso sposo. Il nome che aveva portato distruzione e speranza tra gli Eohrin. Dhana l’aveva trovato bello, fin troppo, la prima volta che a dodici anni i suoi occhi si erano posati sul profilo elegante e composto del figlio del Marah. Ma un demone è sempre affascinante finché non tira fuori zanne e artigli.
Sentì un’inevitabile stretta al petto. “Non ti libererai mai dal suo fantasma. Perfino ora lui ti cerca” dichiarò Lazhar. “ Continua a cercarci. Ovunque.” Era strano il modo in cui lo disse, come se il drago stesse rimuginando su qualcosa, ma volesse tenere per sé le sue considerazione. Era da un po’, in effetti, che Lazhar si chiudeva a riccio quando saltava fuori l’argomento Gideon.
Tuttavia le sue parole erano vere. Per quanto odiasse il promemoria di Lazhar, Gideon sapeva che era viva.
La cercava da cinque interminabili anni. Lui l’aveva vista fuggire quella notte. No, peggio, l’aveva lasciata scappare e poi l’aveva inseguita senza tregua. E Dhana gli era sfuggita, ogni volta.
Nelle sere in cui gli incubi non le davano pace si chiedeva se Gideon sarebbe stato capace di riconoscerla. Era diversa, era cresciuta, il legame con Lazhar aveva mutato ogni cosa e ciò che non aveva cambiato il drago l’aveva fatto il tempo.
Dhana si asciugò la fronte dal sudore e camminò alla cieca finché non sbatté sul petto di qualcuno. Rimbalzando all’indietro si rese conto che era Caleb colui che le aveva impedito il passaggio.
“Ah, vedo che sei viva” commentò il principe, atono. Aveva i capelli in disordine e un’espressione arcigna. Come per lei, anche i suoi vestiti, erano pieni di polvere.
“Mi spiace di avervi dato questo dispiacere.”
“Al contrario” ribatté l’altro, facendo schioccare la lingua. “Ciò dimostra che Karo non ha sbagliato nell’indicarmi te come candidata.”
Il principe aveva già affermato qualcosa di simile quando l’aveva trascinata fuori dalla grotta, ma fin ad allora Dhana non ci aveva prestato molta attenzione.
“Candidata?” gli fece eco, dubbiosa. In quella situazione avrebbe dovuto restare zitta, perché quel mistero era l’ultima delle sue preoccupazioni, ma la curiosità ebbe la meglio.
Un vociare continuo e confuso li si propagò attorno a loro, infine i soldati del Marah sciamarono attorno a loro, armi in pugno come se dovessero affrontare chissà quale mostro. Furono raggiunti anche da Karo. La viverna spesso allungava il muso in avanti per fiutarla e Dhana la guardò con astio.
Caleb fece un gesto vago con la mano, come se dovesse scacciare una mosca. “Come ti ho già detto sei stata scelta per affrontare  una sfida. Mortale, probabilmente” specificò con aria canzonatoria. “Non lo trovi intrigante?”
Dhana trasalì come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo. “Cosa?”
“Una competizione, un torneo…. Dagli pure il nome che preferisci, la sostanza non cambia” le illustrò come se fosse stupida. “Tu ci parteciperai insieme all’altro schiavo. Vi porterò con me a Valantia e a quel punto scopriremo chi di voi sopravvivrà. Questo evento risuonerà in tutte le terre, fino alle estreme isole del Mare Freddo.” Gli occhi del principe brillarono di entusiasmo e divertimento. “I bardi narreranno a lungo ciò che accadrà nei giorni a venire.”
Karo inclinò il collo a sinistra e mostrò la una fila di zanne acuminate.
Rammenteranno anche di come farò sparire quella smorfia dal tuo volto! Parleranno di Caleb e del drago che ha divorato le sue reali chiappe!” esclamò Lazhar, facendole affiorare un sorriso.
Dhana si afferrò una ciocca di capelli, reticente a fissare il figlio del Marah negli occhi. “E cosa accadrà?”
Caleb incrocio le braccia al petto, quasi ghignando. “Immagino dipenderà tutta da te. Potresti diventare un cavaliere al servizio di mio padre, ma solo se sopravvivrai, certo. Le probabilità non sono a tuo vantaggio.”
Cavaliere? Era quello lo scopo? Il Marah era così annoiato dai tempi di pace che si divertiva a veder combattere tra loro schiavi per passare la giornata? E il vincitore avrebbe passato il resto della vita nell’esercito di quell’uomo? Certo, per uno schiavo o un condannato a morte una simile opportunità era più che esaltante, ma per lei un risultato simile sarebbe stato catastrofico. Lavorare per quell’uomo era la peggior tortura che poteva immaginare.
Inoltre, doveva dare ragione al principe. In un torneo, contro altri contendenti, non sarebbe stata in grado di sostenere un combattimento di lunga durata. Non era stata cresciuta per essere un soldato, una spia, o un assassino. Certo, il generale Brom l’aveva aiutata a fuggire da Menfhis e l’aveva tenuta al sicuro per due anni, ma era anziano e si era limitato ad insegnarle tecniche base di sopravvivenza.
“Cavaliere? Per questo il tuo nome dovrebbe diventare leggenda? Un po’ esagerato, credi?” considerò Lazhar. Era scettico quanto lei. Sicuramente le sfuggiva qualcosa.
“Perché io?” domandò quindi.
“Ti ha scelto Karo” ripeté Caleb, quasi indifferente, come se quello potesse spiegare ogni cosa. Dhana era più propensa a credere la viverna avesse indicato lei per sfortuna. O fortuna, dipendeva a come dovesse interpretare quell’incontro.  
Il principe riprese a parlare. “Ma non durerai a lungo, come i tuoi predecessori del resto. Lei tende a… come posso dire? Mangiarvi.”
La sua mente corse in un’unica direzione. “Lazhar!” chiamò.
“Curiosa? Non sempre la curiosità è un bene. Per esempio, se io ti dicessi che esiste un drago  vivente, ultimo della sua razza?” continuò Caleb, spronato dal suo evidente stupore. “Reagite tutti allo stesso modo. Questo segreto è diventato quasi noioso raccontarlo.”
Dhana deglutì, gli occhi lucidi per l’emozione. Dovette trattenersi dal non gettarsi tra le braccia di Caleb, troppa era la felicità.
C’erano state delle voci su quanto accennato dal principe. Nelle locande i viaggiatori raccontavano di un drago, l’Ultimo, l’avevano soprannominato, che era rinchiuso nel palazzo del Marah e attendeva che un erede perduto di Endra giungesse a liberarlo. Le diverse versioni del racconto mutavano da un paese all’altro, ma la premessa era sempre la stessa: un eroe che salvava il drago, anziché ucciderlo.
Dhana si portò la mano alla bocca e affondo i denti nella carne. Non voleva illudersi troppo, sebbene proprio su quella diceria si basasse il suo viaggio al sud. “I draghi sono morti. Tutti” farfugliò affranta. “L’avete detto anche voi” concluse in un flebile sussurro. La speranza la spaventava e al contempo era l’unica cosa che la faceva andare avanti. Se quello fosse stato un inganno, una menzogna… Il suo cuore non avrebbe retto a una tale falsità.
“Sì, sono morti” confermò Caleb, accarezzando un’ala di Karo e lei si sentì tradita nel modo più subdolo di tutti. Le aveva dato speranza e gliela aveva tolta con una tale velocità da lasciarla frastornata.
“Tutti i draghi di Menfhis sono morti in quella notte di cinque anni fa” rincarò la dose. A Dhana sembrò che il suo mondo, le sue speranze crollassero una seconda volta.
“Ma questo drago non era lì, quando la capitale di Endra cadde” aggiunse il principe.
Karo puntò gli occhi dorati su di lei e Dhana temette che lui avesse capito ogni cosa.
Lazhar si muoveva irrequieto sulla sua schiena, incapace di stare fermo. “El-“
Non gli diede il tempo di concludere. “Non usare quel nome!” strillò Dhana nella mente. Erano stati i draghi, per primi, a insegnarle quanta forza si celasse in un nome e Lazhar sapeva bene quanto non volesse che pronunciasse il suo.
Il drago emise una sorta di sospiro, un ruggito spezzato a metà. “Dhana” si arrese. “Il tempo non cancellerà il tuo vero nome…
Lei lo ignorò e tornò a concentrarsi sulle parole di Caleb. “Ciò che avete detto è… È impossibile!” esclamò, più rivolta a se stessa che al principe. I draghi non si allontanavano mai da Menfhis, perché era lì che c’erano i loro nidi e le loro uova. Inoltre, un accordo voluto da Zah stesso impediva ai draghi di allontanarsi senza l’approvazione degli Ehorin. Era un modo per controllare la situazione, in memoria dei tempi in cui i draghi vagavano indisturbati in ogni parte del continente, creando non pochi problemi.  Come era possibile quindi che un drago non presente nella capitale fosse stato catturato? E vivo, per di più!
Caleb stava per replicare, quando furono travolti dai prigionieri superstiti che fuggivano in ogni dove, ignorando qualunque cosa si frapponesse tra loro e la salvezza. Alcuni non badarono nemmeno alla viverna, tenuta ferma per le briglie dal suo padrone. Le urla e la confusione dilagarono nuovamente tra gli schiavi.
Alcuni soldati affiancarono il principe e Caleb impartì loro nuovi ordini. Poi la indicò. “Portatela all’accampamento e fatela lavare” comandò, memore delle condizioni in cui versava. “Non voglio rischiare che i cavalli si prendano i pidocchi.” Due dei soldati sghignazzarono senza ritegno, mimando il gesto di portarsi le mani al naso.
Dhana si sarebbe offesa nuovamente se alle orecchie non le fossero giunti i lamenti disperati degli uomini intrappolati nella roccia. Il tunnel ricoperto di detriti era parzialmente accessibile solo da una fessura in alto, da cui i sopravvissuti si sbracciavano in cerca di salvezza. All’improvviso le parole di Caleb tornarono ad essere insignificanti, mentre quegli schiavi lottavano tra la vita e la morte.
“Posso aiutare” affermò. “Sposterò i detriti, farò-“
“Farai ciò che ho detto io” la liquidò Caleb. “Aiutare?” la beffeggiò, saltando in groppa ad un cavallo. “Non sei in grado nemmeno di salvare te stessa. Cosa pensi di poter fare per aiutare loro?” 
Più di quanto fai tu, avrebbe voluto rispondere, ma si morse il labbro e rimase n silenzio.
 

 

La trascinarono in una tenda di tessuto scuro e lì trovò una tinozza di legno, riempita con dell’acqua a temperatura ambiente. C’erano anche degli abiti dal taglio maschile e di stoffa grezza appoggiati su una panca, poco più in là.
Si spogliò e si immerse poco dopo, grattando e strofinando la pelle con vigore, finché tornò di un pallido color rosato. Le unghie delle mani erano nere e scorticate e ci impiegò diversi minuti per pulirle, ma malgrado gli sforzi riuscì solo a renderle presentabili. Furono i capelli a darle i maggiori problemi. Fuggita da Menfhis gli aveva tagliati fino alle orecchie, ma dopo anni le erano cresciuti fino a metà schiena. Erano comunque secchi e ribelli e risentivano di quel clima caldo e umido.
Come pensi sia sopravvissuta?” intervenne Lazhar, quando Dhana si alzò dalla vasca per vestirsi.
Si riferiva al drago ovviamente. Una femmina, era l’informazione sfuggita dalle labbra di Caleb. “Il principe spera che qualcuno riesca a domarla, come se un drago potesse essere sottomesso nel modo in cui si ottiene la fedeltà di un cane. Ma a quale scopo? Il Marah vuole usarla in battaglia o fare sfoggio agli altri del suo potere?”
Pensi che gli elfi interverrebbero?”
Lei infilò i pantaloni, stringendoli con un laccio prima di rispondergli. “Forse, è difficile dirlo. Re Lirael guarderà prima ai suoi interessi, come è sempre stato. Ma il popolo elfico venera i draghi fin dai tempi antichi… se riuscissimo a salvare questo esemplare…”
Lirael non può spezzare l’alleanza che lo lega agli Ehorin con tanta leggerezza. Lo sappiamo noi e lo sa lui.” Lazhar poggiò la testa sopra la sua spalla. Aveva gli occhi socchiusi e le squame brillavano di rosso vivo, ora che Dhana si era pulita. Le ali membranose che terminavano con una punta coriacea erano chiuse attorno al fianco del drago che si sollevava lento, al ritmo del respiro di lei. “Non escluderei la possibilità che sia stato lui a ingaggiare occhi dolci per catturarci.
Dhana non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un risolino. “Aveva occhi più blu della notte” si difese. “E il modo con cui manovrava l’arco…
Per poco non ci trafiggeva con quell’arco!”
Mentre Lazhar si lamentava, ancora una volta, della sua sconsideratezza lei si infilò la camicia e legò i capelli umidi in una coda bassa.
Qualcuno si era premurato di lasciarle del pane con formaggio che lei divorò subito dopo, sentendosi meglio. “Perché Caleb ha detto che la viverna ha scelto me come candidata?
Lazhar sbuffò e scivolò sullo stomaco. “Chi lo sa cosa si agita nella mente di quelle viscide serpi. Macchinazioni ed enigmi. Potrebbe aver percepito qualcosa di diverso in te, oppure no.”
“Credi che dovremmo andare con lui? È una buona idea?”
È una pessima idea, ma è l’occasione migliore che abbiamo per avvicinarci al drago.
Potrei…” Dhana espirò bruscamente. “Potremmo incontrare Gideon e… e il Marah.
Lazhar ringhiò.  “Noi salveremo quel drago. E faremo sapere a ogni abitante di questo mondo che un Ehorin e il suo drago sono ancor vivi!” tuonò. “Caleb vuole che tu partecipi ad uno scontro con altri sfidanti? Molto bene. Lascia che sia io ad ucciderli uno ad uno! Capiranno cosa significa sfidare la rabbia di un drago!”
Nella sua mente, Lazhar si stagliava sullo sfondo di un bosco, alla luce della luna, e le scaglie sembravano piangere sangue.
“Per Menfhis” bisbigliò Dhana. Per James, il cui volto non avrebbe mai dimenticato. Il suo fratellino minore che avrebbe dovuto proteggere, che sarebbe divenuto re un giorno, un buon re.
“Menfhis risorgerà” le disse Lazhar, ma fu un sussurro così flebile che lei credette di esserselo solo immaginato.
 
 







Note: Quado ho pubblicato il prologo non credevo davvero che così tante persone si sarebbero interessate a questa storia! Sono davvero felice di avervi al mio fianco in questa nuova avventura e non fatevi problemi a darmi suggerimenti o adirmi dove sbaglio! Grazie, grazie, grazie! 
Messaggio per AnnitaB: volevo farti sapere che sto lavorando ai tuoi suggerimenti, ma con l'inizio dell'università sono stata risucchiata ai miei doveri e mi sono concentrata più che altro sui nuovi capitoli. Tuttavia ti ringrazio nuovamente e sappi che ho apprezzato ogni singola cosa che mi hai fatto notare! Vedrò di ripubblicare il capitolo corretto appena possibile! 
Ringraziamento speciale a: Harmony394 che ha la pazienza di leggere i capitolo in anteprima, facendomi d abeta! <3
 
 


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