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Autore: Sonsempreio    05/10/2016    0 recensioni
La fine sopraggiunge per ogni cosa, dalla più santa alla più sacrilega eppure, davanti al baratro, nessuno è veramente pronto a compiere il salto.
Spesso quello che ci attende oltre la Fine è molto più meraviglioso e orribile che la conclusione stessa della vita. Non siamo immortali, ma la nostra volontà ha così tante forme in cui presentarsi che nemmeno possiamo immaginare la molteplicità infinita delle nostre anime.
Genere: Horror, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siamo dunque giunti alla morte dei soli.

Tutti credevamo che non sarebbe mai arrivato questo giorno, tutti eravamo concordi nel pensare che, prima dello spegnimento definitivo del nostro astro, la razza sarebbe riuscita a trovare una via di salvezza. Se non su questo mondo ci saremmo spostati su di un altro, florido e rigoglioso, lontano milioni di anni luce da qui.

 

Invece non c'è nulla in tutto l'universo, le nostre navi hanno viaggiato ovunque. La partenza della prima caravella avvenne in una giornata grigia, ricordo ancora l'odore dell'aria di quel mattino. Aveva appena smesso di piovere e una leggera nebbia di elio si era alzata dal manto ghiacciato. Mi ricordo ancora dell'impressionante folla accalcata a vedere la partenza dell'enorme titano già pronto a stagliarsi nel cielo.Avevamo riposto immense speranze in quella spedizione, i quattro coraggiosi che vi avrebbero preso parte sarebbero dovuti partire e tornare in al massimo un due secoli, durante i quali avrebbero scandagliato un angolo dell'universo alla ricerca del nuovo mondo dove far attecchire la nostra razza.

 La partenza avvenne senza complicazioni e furono giorni di grande gioia per il mio popolo, la speranza era grande e le aspettative di riuscita lo erano ancora di più.Gli anni passarono e noi attendevamo, intanto di navi ne partirono altre, dovevamo trovare una nuova casa.

 

Finalmente duecento anni passarono e il ritorno della prima caravella fu epocale, ancora oggi ho negli occhi l'immagine di quella gigantesca cometa che discende il cielo. Il ritorno però si rivelò carico di tristezza, non avevano trovato nemmeno un pianeta su cui fosse possibile ripristinare la vita,  nulla in tutta la parte di cosmo osservata. Altre navi tornarono e tutte portavano la medesima, orribile, notizia, nessuna nuova casa dove poter trasferire i popoli del pianeta. Più navi tornavano, più ciò che sembrava una buffa fantasia  diveniva un terribile presentimento e mutò infine in un'orribile certezza, eravamo soli.

 

Le teorie che ritenevano impossibile l'inabitabilità dell'intero cosmo erano tutte sbagliate. Noi eravamo l'anomalia, il caso, l'unico esemplare di vita in un infinito spazio vuoto e sterile.

Miliardi di pianeti furono visitati nei diecimila anni successivi a quello sciagurato giorno, altre navi, altri equipaggi spediti anche più volte nella medesima zona. Eravamo ormai disperati, non accettavamo la verità, ma nessuna nave di loro portò mai una notizia differente da quella precedente.

 

Tentammo dunque di creare il  nostro personale paradiso sull'orbita di una stella sufficientemente lontana dalla nostra. Volevamo dare forma a un nuovo pianeta dove trasferirci, ma "qualcosa" ce lo impedì. Ce ne accorgemmo subito. Appena avviata la geoformazione del pianeta esso iniziò dopo poche ore a sgretolarsi come se la sua presenza in quel luogo non fosse possibile, era una macchia di inchiostro non voluta su di un quadro e come tale andava eliminata.

 

Provammo e riprovammo ma ci rendemmo conto che il cosmo stesso distruggeva tutto quello che noi creavamo. La prima volta fu un improvviso sgretolamento della materia e demmo la colpa a dei calcoli errati, il secondo tentativo sembrò funzionare, fino a che un meteorite non colpì il pianeta nascente disintegrandolo e analoghe furono le disavventure che capitarono nei successivi sessantacinque tentativi.

Ci rendemmo quindi conto che la colpa non era nostra, ne dei fattori esterni del cosmo, ma un evanescente casualità che, come mossa da fili invisibili, sabotava ogni nostro tentativo di salvarci dalla distruzione.

 

Demmo a questa casualità, molto poco casuale, il nome di Hereb, l'anima della fine. La chiamammo così perché essa era la forza che ci impediva di salvarci, essa voleva la nostra distruzione, voleva che il nostro mondo morisse portandoci con se.

 

Impossibilitati a creare una nuova casa o a distruggere Hereb, poiché essa non aveva forma se non nelle nostre menti, i nostri scienziati decisero di dedicarsi al viaggio temporale. Si tentò per secoli di cambiare il nostro destino modificando la storia. Volevamo tornare nel passato per migliorare il futuro. Se solo avessimo avuto duemila anni prima le tecnologie necessarie non saremmo stati in quella situazione, saremmo riusciti a salvare il nostro sistema.

 

Sapevamo che la nostra stella si stava spegnendo. Eravamo certi che un giorno saremmo rimasti al buio e che  la nostra razza sarebbe stata destinata all'estinzione, ma eravamo anche sicuri di trovare una soluzione,sapevamo che per quel giorno le migliori menti del nostro popolo sarebbero riuscite ad escogitare un sistema per salvarci tutti, trasportarci lontano da qui, in un luogo, o in un tempo remoto per iniziare una nuova vita.

 

Così non fu, il viaggio temporale non dette risposte valide al nostro bisogno di salvezza. Anche se la nostra civiltà era progredita a tal punto da aver trovato un modo per sconfiggere le malattie, ripristinare corpi e addirittura battere la più malevola delle condizioni, la morte, non era comunque riuscita a permetterci di muoverci nell'ultima delle dimensioni. Furono quindi create macchine immense che promettevano di attrarre nel nostro sistema un'altra stella, un'altra fonte di luce e allontanare quello morente e vecchio, ma non ci riuscirono. Anche in questo caso Hereb si presentò, implacabile e orribile,per dare il suo giudizio. Così c'era sempre qualche calcolo sbagliato, la condizione meteo non favorevole, la tempesta di onde inattesa e mille altri motivi,fino all'esplosione del laboratorio che distrusse le macchine.

 

Qualcuno di noi si rifugiò infine nella magia, un antico retaggio troglodita lasciatoci dai tempi più malevoli della nostra storia. Vennero così i secoli dell'oscurità mentale, dove la nostra razza si ritrovò in riti esoterici ed in entità astratte, mai esistite.

Eravamo così disperati da creder ein ogni cosa che potesse prometterci la salvezza. In soli cento anni la nostra tecnologia regredì di millenni, le nostre più geniali menti vennero oscurate da improvvisati santoni che facendo leva sulla paura irretivano i popoli e soggiogavano interi governi ai loro voleri tutt'altro che divini.

Eravamo riusciti a sconfiggere la morte ma non la paura. Anche se erano passati milioni di anni da quando il nostro primo progenitore mise piede sul nudo ghiaccio, lasciando i mari di Azoto per non tornarci più, i nostri sentimenti non erano mutati, forse si erano affinati con il passare del tempo, ma le radici, le fredde radici della nostra anima, erano rimaste identiche.

 

Io stesso per eoni, dopo che tutto il resto della mia gente smise di sperare,cercai invano una soluzione. Provai inizialmente con la colonizzazione di tre differenti pianeti. Ero convinto che inserendovi organismi adatti avrei reso l'ambiente vivibile per la nostra razza, ma questo non accadde, in pochi anni i miei organismi vennero distrutti dalla furia del cosmo, da Hereb, un'energia molto più profonda e antica di tutto quello che avrei mai potuto immaginare. .

 

Fui infine costretto ad ammettere a me stesso che Hereb era un'essenza viva e dotata di raziocinio, capì che non era del tutto vero che noi eravamo gli unici esseri viventi nell'universo. Oltre a noi esisteva Lui, un'entità astratta ben più potente, un'energia o uno spirito, non sono molto convinto della sua reale composizione nemmeno ora, che aveva da sempre permeato l'intera materia. Mi rifiutai di chiamarlo Divinità, non avevo mai creduto nell'esistenza di una coscienza esterna e onnipotente e mi rifiutavo di crederlo ora che io stesso l'avevo scoperta.

 

Compresi infine che Hereb non sembrava possedere una vera e propria ragione, ma si limitava ad agire da equilibratore rispetto a tutto ciò che accadeva nel cosmo, seguendo un disegno ben preciso. A quel punto accettai finalmente l'orribile destino della nostra razza, se tutti i miei tentavi di rendere un mondo abitabile venivano sabotati allora era perché l'equilibrio universale pretendeva che tutti noi ci estinguessimo.

 

All'ultimo giorno di luce venne dato il nome di Eleyanos,l'ultima musica, poiché esso era il canto glorioso di un mondo morente, un'ultima sinfonia che annunciava la venuta del  vuoto cosmico, di un universo sterile, poichè noi eravamo l'unica vera forma di vita senziente e fisica.

 

Avevamo teorizzato che dopo l'ultimo raggio di luce sarebbero seguite sei ore di totale buio e poi le radiazioni provenienti dalla nostra stella ci avrebbero investito, facendo esplodere il nostro intero sistema di pianeti, cancellando Lui e i suoi figli dall'universo.

 

Io fui tra i pochi che vollero assistere allo spettacolo dell'ultimo bagliore. Molti avevano già interrotto i loro processi vitali tempo prima, privi ormai della speranza per andare avanti, avevano preferito terminare la loro esistenza ed evitare così di vedere il loro mondo andare in pezzi. Altri avevano deciso di lasciare il pianeta in un ultimo, disperato viaggio alla ricerca di una nuova casa; non potei biasimarli, nel profondo della mia anima sperai che almeno uno di loro riuscisse a raggiungere un pianeta abitabile scappato alla nostra ricerca, riuscendo così a colonizzare una nuova casa.

 

Scelsi la torre di Axoria per ammirare lo spettacolo, era il punto più alto della città e a quel luogo ero anche particolarmente legato,proprio lì feci la scelta più importante della mia vita, decidendo di salvare il mio pianeta a scapito della mia intera esistenza, dedicando anima e corpo alla causa piuttosto che vivere in maniera simile a quella di tutti gli altri. Sono passati secoli da quel giorno, eppure ancora ricordo l'incredibile colore che striava il cielo in quella notte.

 

Il tempo, che misura di vita strana che è. Quando ero centinaia di anni più giovane di ora vedevo il tempo come un immenso mistero che, un giorno, avrei sicuramente capito. Vedevo la cosa come assodata, non avevo il minimo dubbio sui miei esperimenti e su dove essi avrebbero portato me e la mia razza. Sarei riuscito a  dominare passato e futuro,permettendoci così di modificare a nostro piacimento la storia, cambiando il destino del mondo e, forse, anche dell'universo.

 

Volevamo essere divinità finite. Nei secoli avevamo ottenuto ciò che tutti avevano sempre ritenuto impossibile, ci mancava solo l'assoggettamento del tempo,eppure l'ultimo grande titano non fu mai domato, egli ci sconfisse tutti,sconfisse me.

 

Passai così gli anni a districarmi tra improbabili calcoli ed esperimenti al limite del pensabile, feci cose talmente orribili da essere ingiustificabili per chiunque, nemmeno la salvezza di un intero universo sarebbe bastata come scusa per gli atti osceni che commisi. Ero arrivato infine al punto di non ricercare più la salvezza del mondo, ma solo un potere illimitato. Il potere mi aveva infine stregato, irretito nelle sue spire e trascinato giù nel più profondo degli inferi, dove il male e il bene non hanno più significato, dove tutto è giustificabile e dove non esiste limite.

 

Le mie ricerche mi portarono più lontano di chiunque altro, conobbi stati della materia che nessun essere vivente potrebbe mai comprendere, capì che lontano da dove mi trovavo esistevano altre innumerevoli realtà, io le vidi tutte ma non mi fu permesso entrare, poiché esse erano impermeabili al mio mondo, ma allo stesso modo saldamente ancorate ad esso. Negli anni di ricerca ossessiva scoprì anche che esistevano molteplici forme di energia, se era giusto chiamarla tale, oltre al terribile Hereb,  diverse ma molto simili a Lui. Scoprì forze lontane dal nostro pianeta, forze talmente abominevoli da essere ritenute inconcepibili, sfiorai la pazzia e i dubbi sul perché tutte le dimensioni sembravano collegate da insondabili cunicoli mi fecero rabbrividire e tremare di paura. Vidi città e cieli che non mi appartenevano e poi tornai nel mio mondo con solo cenere tra le mani.

Alla fine il tempo continuò la sua corsa e mi ritrovai su quell'alta torre ad osservare il nostro astro spegnersi per sempre. 

 

L'ultimo bagliore fu superbo, soprattutto per me che avevo visto innumerevoli altri mondi e le loro bellezze, ma mai in nessuno avevo ammirato tanto splendore. Quel raggio, quella morte finale, significava per me qualcosa di ben più importante che la vita di milioni di miei simili, inutili.

 

In esso vidi ciò che per secoli i nostri artisti avevano tentato invano di ritrarre, esso era l'arte di tutte le ere condensata in un ultimo, fulgido momento, era la bellezza di mondi lontani anni luce da dove mi trovavo, mondi che nemmeno avrebbero mai conosciuto il mio splendido pianeta. Quel bagliore, era la musica di Zartan,  la poesia ipnotica degli esseri puri di Arutria, la luce delle lanterne dal colore indefinito di Celetanos e la terribile paura suscitata dalla cattedrale distrutta di Athram. Quel bagliore fulgido e timido era tutto ciò che il cosmo poteva offrire, era l'essenza più pura del tutto ed io ero l'unico in grado di osservarlo ed amarlo.

 

Rimasi affascinato fino all'ultimo, fino a quando tutto finì e iniziarono le ultime sei ore di buio, l'ultimo canto del pianeta. Guardai in basso e vidi i miei simili, sembravano insetti da dove mi trovavo, così piccoli e insignificanti,così inutili.

 

Non odiavo gli altri, semplicemente li compativo, i pochi rimasti sul pianeta avevano abbandonato la speranza e la curiosità secoli prima di me, regredendo a tal punto da aver dimenticato la primordiale spinta evolutiva, abbandonandosi a se stessi e al lento scorrere del tempo.

Non vedevo più in loro dei compagni, degli amici, dei fratelli, ma solamente esseri rimasti indietro, creature che avevano deciso di ritirarsi dalla gara per la sopravvivenza.

Io, dal canto mio, non ero migliore di loro, mi ero solo rifiutato di dimenticare o di prendere rischi inutili, io ero rimasto.

 

Non potevo più far nulla, solo rimanere ad osservare. Quando tutto fu buio i pianti e le urla di disperazione si levarono alti nel cielo di quel mondo morente. Io che riuscivo a vedere distintamente i segni del crollo, sapevo dell'arrivo delle tremende ondate cosmiche che presto avrebbero spazzato via tutto,erano là, lontane solo qualche ora da dove mi trovavo.

 

Il pensiero andò subito a tutto ciò che avevo fatto nella mia esistenza, a tutte le mie scoperte, i miei traguardi e i miei fallimenti. Stranamente non mi sentivo per niente insoddisfatto, pur avendo fatto molti errori ero consapevole che essi erano stati necessari e mai e poi mai avrei cambiato quell'aspetto della mia vita.

Mancavano ormai pochi minuti alla fine e in quegli istanti il mio ultimo pensiero andò ad Hereb, al mio ultimo, imbattuto nemico. Ero riuscito a vincere ogni battaglia che la vita mi aveva presentato, ma non ero riuscito a sconfiggere Lui, o Lei che dir si voglia. Tutti i miei tentativi di dominarlo erano stati vani e,anzi, sono quasi convinto che in particolari occasioni la mia condotta abbia innescato la sua collera, ancestrale e primitiva.

 

Avvenne tutto in un attimo, un bagliore, poi un altro di colore rosso, un terzo verde,un quarto blu e infine uno viola. Conoscevo il significato di quel fenomeno, sapevo bene cosa stava succedendo,avevo previsto tutto già da tempo e non fui per nulla scosso quando vidi tutte le persone sotto di me iniziare a contorcersi e poi a bruciare.

 

Infine tutto si sgretolò e fu il nulla.

 

Non mi resi subito conto di essere ancora in vita, quando aprì gli occhi attorno a me tutto era nero, buio, ma un buio diverso da quello che ero abituato a conoscere, quello era il colore del vuoto. Ero immerso nel nulla, eppure ancora pensavo, potevo toccare i miei arti e muoverli, esistevo.

Mi accorsi poi di non poggiare su nulla di solido ma di fluttuare, come se la gravità fosse divenuta assente.  Rimasi in quello strano silenzio per molto tempo, giorni forse. Non  avendo bisogno di aria per respirare, visto che le conoscenze del mio popolo avevano migliorato i nostri corpi a tal punto da eliminare qualsiasi bisogno fisiologico, non potevo dire se in quel silenzio vi fosse un qualche genere di gas o invece, come sembrava, mi trovassi nel vuoto più completo.

Il tempo, se ancora di tempo si poteva parlare, passava e io iniziavo a perdere la concezione di esistenza, non capivo dove mi trovavo e soprattutto non riuscivo a capire perché ero ancora vivo, perché non ero morto assieme al mio mondo. Certo avevo preso delle precauzioni per fare in modo di essere l'ultimo a spegnermi, ma non credevo che queste mi avrebbero permesso di sopravvivere anche all'esplosione di un intero sistema stellare.

 

Passarono mesi, forse anni, nemmeno io ero più certo del tempo, esso non esisteva più,dato che il mio corpo era immune al suo scorrere,così come ne era immune il vuoto cosmico.

 

Inizia a muovermi, o forse sarebbe più appropriato dire spostarmi, poiché il movimento in quel nulla non era realmente possibile, non essendoci un punto di partenza ne uno di fine, e mentre lo facevo mi accorsi che non vi era nulla in tutto quel vuoto cosmico. I miei bio-impianti, ancora ammesso fossero funzionanti, mi segnalavano uno spostamento di parecchi anni luce e, per ovvie ragioni, avrei dovuto fin da subito poter vedere altre stelle o pianeti, ma non era così. A quanto pare l'esplosione della nostra stella aveva a compreso anche una qualche stella accanto, aumentando il suo potenziale distruttivo ed espandendosi così per milioni di anni luce, forse tutto l'universo era stato distrutto.

 

Poi capì, tutto mi fu chiaro quando presi coscienza delle enormi possibilità che mi si presentavano davanti.

Le mie conoscenze sulla materia mi permettevano di ricreare tutto ciò che volevo. Senza più nulla da equilibrare anche lo stesso Hereb doveva essersi spento,esso in fondo era solo una forza, una casualità e il caso, nel vuoto, non ha senso di esistere.

 

Compresi in fretta che,quanto era successo a me doveva essere già accaduto eoni prima a un'altra creatura. L'universo andava ricreandosi da tempi remoti e immemori, la materia, l'energia, la vita stessa non erano altro che rappresentazioni sempre mutevoli della volontà di qualcuno che dava vita di volta in volta ad una nuova esistenza.

Era quindi giunto il momento del cambio, era arrivato l'attimo in cui finalmente un nuovo creato doveva venire alla luce.

 

Io ero dunque la nuova forza vitale, il primigenio battito che avrebbe scatenato l'esistenza nella mia dimensione, ero, o meglio sarei diventato, il nuovo creatore dell'universo.

Tuttavia avrei avuto bisogno di materia da cui partire, mi serviva una base per ricreare qualcosa. Feci dunque la scelta più ovvia e distaccata possibile, la scelta che qualsiasi scienziato come me avrebbe fatto. Scelsi di ripartire utilizzando ciò che i miei padri mi avevano lasciato in eredità. Iniziai così dividere me stesso per ridare vita a tutto.

 

Duecento miliardi di anni dopo io ancora permango nell'essenza stessa dell'universo, la mia mente non si è spenta e la mia coscienza vaga libera tra le onde che solcano l'intero cosmo, sono finalmente divenuto il battito primordiale, ho sconfitto il Tempo divenendo il suo signore.

 

Poco mi importa ormai delle altre dimensioni, così lontane ed eteree, quasi sogni per me. Tuttavia ora che sono divenuto energia pura il mio spirito continua a corrodersi, lentamente ma inesorabilmente, a causa di una volontà molto più forte e preponderante della mia. Hereb non è morto, non è nemmeno mai nato per quanto ne posso sapere, egli è sempre rimasto lì, dietro al velo, ad osservare il mio operato. Egli mi ha lasciato agire, come si lascia fare un pargolo che vuole divertirsi, ma la sua presenza è sempre stata orribile e pressante, ma muta.

 

Capisco il motivo per cui lo stesso universo deve riformarsi, ricreare se stesso innumerevoli volte fino all'infinito. Esiste qualcosa oltre il muro, dietro la cortina che separa le dimensioni, esiste qualcosa di superiore anche a me e ai creatori degli altri universi paralleli, miei simili, e anche noi, potenti ed onniscienti, siamo schiavi di questo.

 

Quando tutto l'universo tace mi sembra di sentire, lontano, una voce che sussurra parole così immonde da far tremare anche la mia atavica anima, figlia di un mondo ormai scomparso.

 

Sento che Hereb non è solo e non è nemmeno un'energia incorporea, ora che ho le capacità di farlo posso quasi vederlo, ogni tanto. Dietro a delle impercettibili pieghe cosmiche posso vedere milioni di occhi scrutanti, centinaia di orribili appendici muoversi, bocche ululare parole in un linguaggio così antico da far tremare tutti i cosmi uniti.

Hereb vive e insieme a lui vivono altri esseri, forse ancora più immondi.

 

Ogni tanto penso alla mia vita passata, alla mia imperfetta e limitata forma e mi rammarico di quell'esistenza pacifica, ignorante.

 

Ora che esisto ovunque e in qualunque era sento il vero terrore cosmico, sento che dietro al velo c'è ancora qualcosa, e questa volta non voglio scoprire cosa essa sia.

   
 
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