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Autore: Nuel    06/10/2016    7 recensioni
C'erano stati dei momenti, solo alcuni, in cui Randy ci aveva creduto. Era bastato indulgere sul pensiero per un attimo perché quell'amore gli dilagasse nel cuore, si avvinghiasse alle sue ossa come un'edera.
Eppure lo sapeva che non poteva diventare reale, che non aveva nessuna possibilità. Eppure, se avesse avuto l'occasione, il coraggio, forse...
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gale Harold, Randy Harrison
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All the things he said

(Ma vedevo te...)

6 Settembre 2003


La sveglia sul comodino indicava le 2.27 del mattino. Erano passati meno di dieci minuti dall’ultima volta che Randy l’aveva guardata. Sbuffò silenziosamente e si girò dall’altra parte; mancavano ancora parecchie ore all’atterraggio del volo di quel tizio.
    Simon aprì gli occhi a metà e lo circondò con un braccio, attirandolo più vicino a sé. «Cosa c’è?», gli chiese con la voce arrochita dal sonno.
    «Scusa, non riesco a dormire», gli rispose Randy a voce bassa nel silenzio assoluto della loro camera. Non avrebbe voluto svegliare Simon. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire, ma non ci riusciva. L’indomani sarebbe stato stanco e nervoso, con le borse scure sotto gli occhi e nemmeno passare la giornata in casa con lui e giocare con Ella e Aggie sarebbe servito a farlo stare meglio. Non capitava spesso di avere un intero giorno di pausa sul set, ma quel mercoledì avrebbe preferito lavorare, anziché stare a casa perché “Gale doveva partecipare all’anteprima” del suo stupido film.
    La mano di Simon passò tra i suoi capelli troppo corti, in un gesto simile a quello con cui Brian aveva accarezzato la testa di Justin solo un paio di giorni prima, e Randy fu contento che il buio interrotto solo dai numeri luminosi della sveglia non permette al suo compagno di vedere l’espressione di fastidio sul suo viso.
    «Tagliarli è stato un delitto», commentò Simon, sporgendosi a baciargli la fronte.
    «Esigenze di copione», gli rispose lui, con tono asciutto. In fondo era grato di poter parlare anziché continuare ad arrovellarsi il cervello.
    «Avresti dovuto dire di no», insistette Simon, «non devi fare per forza tutto quello che vogliono».
    Randy sospirò. «Ricresceranno», rispose. Il malumore iniziava a prendere il posto dell’ansia e non sapeva quale delle due fosse peggiore. Non poteva dire a Simon cos’era che lo tormentava, e non avrebbe dovuto dare credito a dei pettegolezzi che, se anche fossero stati fondati, non erano affar suo. Gale non era affar suo.
    Credeva di essersi messo il cuore in pace. Credeva che gli fosse passata, ormai, la sua stupida cotta post adolescenziale per il suo bellissimo e dolcissimo collega, ma la conversazione che aveva sentito quel pomeriggio continuava a ronzargli in testa, un tarlo che scavava nei suoi pensieri e non lo lasciava dormire. Chiuse gli occhi e si passò inconsapevolmente la lingua sulle labbra alla ricerca del suo sapore.
Aveva voglia di baciarlo, di toccarlo… avevano una scena un po’ più spinta delle ultime che avevano girato di lì ad un paio di giorni. Poteva resistere.
    Si girò di nuovo per nascondere al suo compagno la mezza erezione che gli era venuta, ma Simon gli si accostò, premendo l’inguine contro le sue natiche mentre gli baciava il collo. Avevano fatto l’amore la sera prima ed erano entrambi nudi, sotto le lenzuola, il contatto con la sua pelle lo fece rabbrividire. «Cerco di dormire», disse chiudendo gli occhi, resistendo alla tentazione di allontanarsi dal suo uomo, e Simon annuì, posando la testa contro la sua, tenendolo stretto.
    Da quando stava con Simon erano cambiate tante cose e, all’inizio, aveva creduto di essere felice, ma gli autori avevano tagliato parecchie scene piccanti e Gale non lo toccava più come prima, non lo baciava più con il trasporto di quando abitavano assieme, e lui aveva scoperto che la felicità aveva un retrogusto amaro. Si era detto che era colpa della gelosia di Simon, delle sue improvvisate sul set, del modo scortese in cui parlava di Gale, della disapprovazione che non faceva nulla per nascondere verso l’esibizione del sesso, quando era coinvolto lui.
    Si era detto anche che era colpa di Kim. Da quando Gale stava con lei si erano allontanati ancora di più e per un po’ Randy era stato davvero arrabbiato con Gale: per uno che aveva detto che lo show era troppo importante per incasinarsi nella vita privata, non era stato molto di parola.
    Però succedeva di innamorarsi, no? Era successo anche a lui. Non c’entrava che quei due mesi, prima di conoscere Simon, fossero stati un inferno. Fare finta di niente mentre sui giornali rimbalzava la dichiarazione di Gale sulla propria eterosessualità era stata una prova da Oscar. All’epoca credeva ancora che, prima o poi, Gale si sarebbe fatto avanti, che lo avrebbe preso tra le braccia e lo avrebbe baciato come quella notte a New York. Poi avrebbero fatto l’amore e, alla fine, Gale sarebbe uscito allo scoperto.
Gale, però, aveva detto “sono etero” tra un morso ad un panino al formaggio e un bicchiere di vino, come se nulla fosse, come se non sapesse di spezzargli di nuovo il cuore.
    Quando Simon l’aveva invitato ad uscire, Randy gli aveva detto subito di sì. Voleva dimenticare Gale, voleva altre mani addosso, altri sapori e altri odori di cui inebriarsi e con cui cancellarlo. Probabilmente avrebbe detto di sì a chiunque. Quasi a chiunque.
    Gale era etero, fine della storia. Anzi, fine delle sue fantasie, perché non c’era nessuna storia.
    Gale stava con Kim, e che lei non gli piacesse non c’entrava nulla con la gelosia.
    Riaprì gli occhi perché dietro le palpebre chiuse le sue paure prendevano corpo trasformandosi in vivide scene che non voleva vedere. La notte ingigantiva le sue fantasie, e l’angoscia gli serrava la gola. Era stupido, ma continuava ad immaginare Gale con quell’altro.
A Kim si era più o meno abituato. Era una donna, non avrebbe potuto competere in nessun caso, anche se… aveva quasi avuto la sensazione che Gale gli avesse fatto un dispetto, che si fosse messo con lei solo perché lui stava con Simon.
    Avrebbe voluto essere ancora nel loro vecchio appartamento, sgusciare dalla propria camera e infilarsi in quella di fronte, abbracciarlo e dirgli che aveva avuto un incubo.
Immaginò che Gale lo accogliesse e se lo stringesse addosso come stava facendo Simon e le lacrime gli salirono agli occhi. Aprì la bocca per respirare meglio. Inspirare, espirare. Da capo.
    Cercò di controllarsi per non svegliare di nuovo l’uomo che gli aveva reso un po’ di serenità. Era lui il suo compagno. Era già abbastanza orribile che pensasse ad un altro mentre gli dormiva accanto senza immaginare che lui avesse voglia di toccarsi invocando un nome che non era il suo, immaginando un altro che lo baciava, che lo penetrava… un gemito gli sfuggì dalle labbra e subito trattenne il respiro, ascoltando quello di Simon.
Si rilassò, convinto che l’uomo si fosse riaddormentato, ma la sua mano scivolò tra le sue gambe, cominciando a toccarlo e Randy sospirò di piacere.
    «Sicuro di non volermi dire cosa c’è?», soffiò contro il suo orecchio e per tutta risposta Randy si spinse nella sua mano, gemendo senza controllo.

Che sarebbe stata una giornata orrenda, Randy lo capì sin dalla prima colazione.
    Una giornalista troppo esuberante annunciò al tg del mattino gli ospiti attesi per quel giorno al Toronto International Film Festival. Ovviamente nominò Gale, ovviamente nominò anche lui, il tizio del pettegolezzo.
    Mentre mandava giù il caffè, Randy ripensò al giorno precedente e l’eccitazione dimostrata da Gale divenne improvvisamente sospetta.
    Era andato a prendere una bibita al distributore automatico vicino ai camerini quando aveva sentito due comparse ridacchiare, aveva sorriso e li aveva ascoltati restando in disparte. Le loro voci tornarono come una sorta di allucinazione uditiva: “Ma sì ti dico, l’ha detto uno che lo conosce…”.
    Si ripeté di nuovo che non c’era stato niente tra Gale e quel Michael. Erano solo pettegolezzi, solo stupide voci messe in giro da stupidi fan.
Chiunque poteva iscriversi con un nickname qualsiasi in un forum, dire di essere amico di un personaggio famoso e raccontare dettagli piccanti inventati di sana pianta. Era così che facevano i mitomani, no?
    Intanto, però, era impossibile non fare un confronto fra le rimostranze che Gale aveva fatto solo qualche anno prima per la scena in cui Brian e Justin dovevano ballare, la scena in cui lo aveva baciato, gli ricordò una voce puntigliosa nella sua testa, e il modo entusiasta in cui raccontava di aver ballato in quello stupido film.
    Se doveva credere al pettegolezzo, era stato Gale ad infilarsi nel letto di quel ragazzo, ma lui non voleva crederci, anche se… anche se era più o meno quello che aveva fatto con lui, no?
Forse Gale era uno di quegli etero convinti a cui, ogni tre o quattro anni, veniva voglia di cazzo.
    Randy serrò le palpebre. Doveva smettere di pensarci, doveva smettere di farsi male, ma nella sua testa continuava ad immaginare le mani di Gale sulla pelle chiara di Pitt.
    «Quante sciocchezze», sbuffò Simon, strappando Randy dai propri pensieri. «Un film con attori mediocri e una trama inconsistente», disse, «l’unica cosa degna di nota è quel Pitt: un po’ ti assomiglia».
    Randy si sentì gelare e sorrise per forza. «Non mi somiglia per niente», lo contraddisse. Ella gli saltò in braccio in quel momento, facendo le fusa a più non posso, ma lui quasi non se ne accorse.
    «È biondo e con gli occhi azzurri», gli fece notare Simon.
    «È come dire che tutti gli ispanici si somigliano perché sono bruni», protestò Randy, accarezzando distrattamente la gatta nel verso opposto del pelo.
    Simon depose la tazza nel secchiaio e si diresse al computer. «Per qualcuno è così», insistette.
    «Non mi somiglia per niente!», disse ancora Randy, accigliato, e Simon gli fece la cortesia di girarsi e sorridergli.
    «Tu sei più carino», gli concesse, prima di iniziare a visionare le mail.
    Simon lavorava spesso da casa e il suono delle sue dita che pigiavano sui tasti del pc era diventato familiare e rilassante, ma non quel giorno.
Quel giorno, Randy aveva voglia di stare da solo e di piagnucolare come un bambino. Voleva che qualcuno gli dicesse che Pitt non gli somigliava per niente, che il fatto che fosse biondo e con gli occhi azzurri come lui non significava nulla. «Non mi somiglia affatto!», borbottò guardando Ella negli occhi tondi come se si aspettasse da lei una rassicurazione. La micia, però, gli rispose solo con uno sbadiglio.
    «Cosa vuoi fare, oggi?», chiese Simon, senza voltarsi.
    Randy prese in braccio Ella e si spostò sul divano. «Poltrire», rispose demoralizzato.
    «Devi recuperare le ore di sonno perse», concordò Simon, e Randy si sentì nuovamente in colpa. Lo raggiunse e, stringendosi al petto la micia, lo baciò sui capelli scuri.
    «Tu hai progetti per oggi?», gli chiese anche se non aveva davvero voglia di seguirlo da qualche parte o di incontrare qualcuno.
    «Devo lavorare», gli rispose l’uomo, «magari possiamo uscire a cena», gli disse poi, «senza fare tardi, però: ci sarà già qualcun altro poco lucido per il sonno, domani».
    Randy strinse Ella, stizzito. «Vado a stendermi un po’», disse brusco, dandogli le spalle. Aggie trotterellò dietro di lui mentre la coda di Ella frustava l’aria chiarendo a tutti il nervosismo che condivideva col suo umano.
Si ributtò a letto, odiando Simon perché non perdeva occasione di denigrare Gale, ma anche perché sapeva anche lui che l’uomo sarebbe rimasto al party fino a tardi e l’indomani sarebbe stato assonnato. La cosa peggiore, però, era sapere che anche Michael Pitt ci sarebbe stato… Per la prima volta Randy si augurò che ci fosse Kim, accanto a Gale.
Si rigirò tra le lenzuola, il calore del caffè che lo scaldava e il suo sapore amaro ancora in bocca; Ella e Aggie gli si acciambellarono vicino, abituati a prendere possesso del letto una volta che gli umani si erano alzati e, per un po’ si appisolò.
    Quando si svegliò era passata da poco l’ora di pranzo e dalla cucina arrivava il profumo speziato dei peperoni piccanti. Grattò Aggie tra le orecchie e guardò di nuovo la sveglia, chiedendosi cosa stesse facendo Gale in quel momento.
    Non doveva pensarci. Non erano affari suoi.
    Guardò il soffitto bianco con espressione abbattuta per una manciata di interminabili minuti e alla fine si decise a fare qualcosa: non si sarebbe addormentato di nuovo e aveva bisogno di tenere la mente occupata. Allungò una mano per prendere la sua copia de I racconti di San Francisco, deciso a non cedere al richiamo della diretta del TIFF. Era uno dei suoi libri preferiti ma, quel giorno, la signorina Mary Ann Singleton non gli era di grande aiuto, anzi. Ogni volta che leggeva i nomi di Michael e di Brian sulle pagine ingiallite finiva col pensare a Gale.
    Alla fine si arrese. Tornò in sala e accese il televisore.
    Simon si girò a guardarlo, ma non gli disse nulla, così lo fece lui: «Non ti dà fastidio, vero?», gli chiese.
    «No, fai pure», rispose l’uomo, «se vuoi mangiare, ti ho messo da parte il pranzo».
    «Avresti potuto svegliarmi», rispose Randy con un sorriso stiracchiato.
    «Volevo farlo, ma quando sono venuto in camera, dormivi così bene che ho preferito non disturbarti», si giustificò l’uomo, tornando a scrivere il suo nuovo pezzo.
    Randy fissò la sua schiena per qualche momento. «Grazie», gli disse  frastornato, come se l’idea che il suo compagno lo guardasse dormire lo sorprendesse, e intanto pensava: “A Gale non piacciono i giornalisti”. Scosse il capo e cominciò a pigiare sul telecomando, in cerca di una trasmissione che parlasse del festival.
Il poco appetito che aveva gli passò non appena si sintonizzò sull’arrivo in diretta di alcuni attori. La giornalista, una dalla voce meno acuta di quella del servizio di quella mattina, parlava tra le urla di fan entusiaste e i flash dei fotografi, gli ospiti transitavano dietro le transenne, salutando con la mano e un sorriso sulle labbra. Randy si sporse verso il monitor, come se così facendo potesse vedere meglio, ma Gale non venne inquadrato.
Continuò a seguire la trasmissione col cuore stretto come un nodo e le mani ad artigliargli le ginocchia. Quando la giornalista annunciò l’arrivo di Michael Pitt, Randy trattenne il respiro. Per qualche attimo non capì più nulla, una sorta di black out da cui uscì quando scorse una schiena che gli era così familiare che non avrebbe mai potuto confonderla. Fu solo un istante prima che la telecamera inquadrasse qualcun altro.
    Gale era entrato con Pitt? Perché gli faceva tanto male il cuore? Non avrebbe dovuto fargli male. Lui stava con Simon. Amava Simon.
Con gli occhi che gli bruciavano, gli parve di vedere Kim e avrebbe voluto che la telecamera tornasse indietro per vedere se era proprio lei. “Salvalo”, si ritrovò a pregare, “tienilo lontano da quello”.
    La mano di Simon fu dietro al suo collo e Randy si sentì quasi scoperto. Il suo compagno gli si sedette accanto e lo attirò a sé. Randy gli si accoccolò accanto, ripiegando le ginocchia sopra il divano. Era per quello che stava con Simon, si ricordò, perché Simon lo faceva sentire al sicuro. Perché le sue mani addosso gli permettevano di non pensare a Gale.
Respirò a fondò per calmarsi e spinse la testa contro il suo torace come avrebbe fatto un gatto.
    Gale era etero, si disse si nuovo, l’aveva detto lui.
    Non c’era nulla di cui avere paura. Gale non avrebbe scelto nessun altro ragazzo al posto suo.
    «Vuoi che usciamo, stasera», chiese Simon, accarezzandogli la nuca e Randy scosse il capo, sollevandolo appena per baciargli il collo. Voleva restare lì a tenere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Voleva fare finta di credere a Gale.
Doveva credergli perché lo a… era suo amico.
Gale aveva detto di essere etero, quindi lui ci avrebbe creduto.
Ci avrebbe creduto nonostante le sue mani addosso e la sua lingua nella propria bocca. Ci avrebbe creduto nonostante i pettegolezzi e la propria gelosia.
    Ci avrebbe creduto, anche se non ci credeva affatto.
    Rimase sul divano, ascoltando interviste ed interventi che non gli interessavano davvero, con la fronte premuta contro il petto di Simon e la sua mano che lo accarezzava ipnotica dietro il collo.
Rimase col senso di colpa e una disperazione che sapeva di un’adolescenza che tornava, di un amore impossibile che doveva relegare alla finzione scenica.
    Quel pomeriggio, Randy capì di odiare Justin o forse di invidiarlo, ma quello non lo poteva ammettere nemmeno con se stesso.
    Non si chiese se Simon avesse capito; cenarono col brusio del televisore a riempire un silenzio altrimenti assordante e fecero l’amore quasi per dovere, perché Randy aveva bisogno di sapere che apparteneva a qualcuno e forse Simon aveva bisogno di ripristinare quel possesso.
    Era tardi quando la vibrazione del cellulare lo fece girare nel letto. Simon dormiva con un braccio appoggiato sul suo ventre, un abbraccio allentato dal sonno. Randy si allungò per prendere il telefono e controllò i messaggi. Per un momento la luce del display lo abbagliò.
“Discovery Award! Grazie. G.”, lesse quando gli occhi si furono adattati e sorrise. Per qualche momento rimase a fissare lo schermo luminoso, semplicemente contento per Gale, poi il suo cuore cominciò a battere più forte, perché Gale, nel momento della vittoria aveva pensato a lui, perché lo ringraziava anche se non aveva fatto niente, come quella notte di due anni prima, quando lo aveva abbracciato sotto le stelle di New York.


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Note

1. la dichiarazione di Gale sulla propria eterosessualità risale al Febbraio 2002: Qui
2. Il primo incontro di Randy con il giornalista Simon Dumenco risale all’incirca all’Aprile 2002, quando Simon lo intervistò: Qui
3. L’anteprima di “Rhinoceros Eyes” risale al 6 Aprile 2003, al Toronto International Film Festival, dove vinse il Discovery Award.
Alcune critiche sul film: Qui
e Qui
e qualche curiosità: Qui
4. “I racconti di San Francisco – Tales of the city”, di Maupin Armistead è uno dei libri preferiti da Randy, secondo quanto da lui dichiarato in alcune interviste.
5. La Kim a cui mi riferisco è la cantante canadese Kim Bingham, che è stata la ragazza di Gale intorno al 2003.
6. Il titolo di questo capitolo ricalca quello di una nota e bellissima canzone delle t.A.T.u.: “All The Things She Said”.
7. Infine la nota forse più importante: questo capitolo nasce da un post del 2003 su un forum [Qui]. Ve lo riporto per intero:
“This was on the famous/infamous people you have slept with thread: "I didn't personally experience this, but I worked on a movie with Gale Harold of Queer as Folk fame and actor Michael Pitt. It was called Rhinoceros Eyes. I became friends with Michael and a few months after filming he told me that he and Gale had slept together once during filming and that it was Gale who initiated it." Not sure whether I believe it. I do think they got high together. A LOT.” Ribadisco quando espresso nel capitolo da Randy: i mitomani possono scrivere di tutto, specie nascondendosi dietro l’anonimato.
Di questa supposta “avventura” di Gale e Michael Pitt non ho trovato nessun’altra traccia nel web, anche se il pettegolezzo è noto nel fandom americano.

 

 
Immagino che, ormai, mi aveste data per dispersa... Invece no, ma vi dico subito che, anche stavolta, non so quando arriverà il prossimo capitolo.
Nel frattempo ho modificato qualcosa: scrivendo questo capitolo mi sono resa conto che c'erano dei riferimenti al precedente, quindi il discorso della "raccolta" non poteva più essere valido perché i singolo episodi sono legati tra loro.
Tutto il resto, però, resta valido: ogni capitolo potrà essere letto comunque come storia a sé e non è detto che in futuro segua la linea temporale. Per ora ho in mente altri due o tre episodi, ma nel tempo potrei decidere di aggiungerne altri... almeno fino a quando quei due testoni non mi daranno retta e non si metteranno assieme! >.<
Un grazie a dida kinney e a cristina qaf per aver commentato il capitolo precedente e a tutti coloro che hanno messo questa storia tra le seguite sulla fiducia. Spero di non deludervi!
Alla prossima! ^^
 
   
 
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