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Autore: Benio Hanamura    06/10/2016    1 recensioni
Silvia è l'erede più giovane di una ricca famiglia, ma non aspira ad un ricco matrimonio come sua sorella, le rigide regole sociali la soffocano. Si sente estranea, fuori posto, ed ogni volta che può si ritira in mezzo alla natura, in solitudine. Nessuno la comprende al di fuori dell'amatissima nonna, unica con la quale può confidarsi senza essere considerata ridicola e strana.
Prima di morire la nonna le dona una vecchia chiave che apre una casa da sempre disabitata, con parole apparentemente senza senso: deliri di una povera anziana malata? Silvia è certa di no, e giunta davanti alla porta esita, consapevole del fatto che aprendola ed entrando in quella casa si troverà in una sorta di punto di non ritorno e nulla più sarà come prima...
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    Silvia passeggiava da almeno mezz’ora nel terreno della grande casa colonica abbandonata che confinava con lo stabile di campagna della sua famiglia. Era la prima volta. Su quella casa e il suo giardino circolavano strane leggende; si raccontava di streghe che nell’antichità si riunivano in quei boschi per compiere i loro riti. E che strane creature si aggirassero ancora da quelle parti.
    Lei era sempre stata affascinata dalla magia, dall'occulto, da tutto quanto fosse sovrannaturale. Era l'unica fra i figli di Wilson ed Elisabeth Cohen, proprietari della residenza più antica e lussuosa della loro città. Il fratello maggiore, Alfred, era troppo preso dai suoi studi di fisica e dai suoi amici per badare più di tanto alla sorella quindicenne, ed ogni tanto, nei brevi periodi di vacanza a casa, si limitava a prenderla in giro per i suoi interessi troppo contrastanti con l'estrema razionalità dei suoi libri; quanto alla sorella maggiore, Barbara, si apprestava a sposare Christopher, figlio del socio di affari di suo padre nonché miglior partito allora in circolazione, e non perdeva occasione di rimproverarla, perché invece di preoccuparsi di curare la sua educazione e di prepararsi al suo debutto in società preferiva perdersi anche per ore nelle sue fantasie, preferendo il verde dei boschi e della campagna allo sfarzo dei salotti. E non era nemmeno raro che tornasse da quelle passeggiate con un animale ferito, con l'intenzione di curarlo. Una bestia selvatica in una casa come la loro, inconcepibile! Barbara le diceva sempre, sostenuta in questo dalla madre, che se avesse continuato così non avrebbe mai trovato chi volesse sposarla, avrebbe perso la faccia ed avrebbe messo in cattiva luce tutta la famiglia, sempre così ben vista nella buona società.

    Ma a Silvia non interessava: che gusto c'era ad incontrare quasi ogni giorno quella gente che frequentava lei sforzandosi continuamente per ricevere la loro approvazione? Trascorrere ore ed ore seduta in poltrona a spettegolare di questo e di quello, scambiarsi complimenti ipocriti, commentare gli abiti delle gentildonne intervenute ad una festa, ed un domani sopportare i corteggiamenti, tanto formali da rasentare a volte il ridicolo, da parte di quei damerini tutti simili al suo beneamato Christopher, aspirando a sposarne uno! Non c'era invece traccia di alcuna falsità, di alcuna ipocrisia nel cuore della natura, negli animali del bosco, che lei non temeva come loro non temevano lei.

    Certo, almeno c'era suo padre che non la criticava come facevano gli altri, ma nelle rare occasioni in cui non era occupato a sbrigare i suoi affari era troppo devoto a sua moglie per contraddirla apertamente, e comunque sarebbe stato inconcepibile che si intromettesse, dato che per convenzione l'educazione delle figlie era affidata totalmente a lei: una volta si era limitato a dire che lei era ancora praticamente una bambina, e perciò non c'era da preoccuparsi tanto, avrebbe messo la testa a posto con il tempo. Ed il suo unico vero intervento in suo favore era finito lì.

   Silvia però sapeva che non era così: non era una sorta di fantasia infantile ciò che la spingeva a crearsi un mondo immaginario durante le sue passeggiate fra i boschi, dove sognava di poter incontrare fate, elfi e tutti quei mistici esseri che popolavano i libri di fiabe. Lo sapeva perché lo sentiva dentro, lo sapeva perché glielo aveva detto anche la sua povera nonna, l'unica persona con la quale aveva sempre potuto confidarsi apertamente e che purtroppo l'aveva lasciata per sempre un paio di settimane prima. Lei non l'aveva mai presa in giro quando le riferiva della sua sensazione che il fruscio del secolare albero di canfora dietro la casa la chiamasse e non l'aveva rimproverata quando aveva detto di aver liberato il magnifico uccello che la sorella aveva ricevuto in dono dal fidanzato perché proprio lui l'aveva supplicata di farlo. Anzi, le aveva sorriso e, lei ne era certa, non si trattava del solito sorriso di compiacenza di fronte a certe assurdità affermate dai bambini.

   Silvia girò di nuovo attorno alla casa, ancora incerta sul da farsi. Era riuscita a sgattaiolare fuori dalla sua stanza calandosi dalla finestra appena avuta la certezza che si era fatto così tardi che nessuno, né la madre, né la sorella né la governante avrebbero mai potuto cercarla prima dell'indomani, in qualche modo tranquillizzata anche dal fatto che il padre aveva detto loro di lasciarla un po' più libera affinché superasse più facilmente il triste momento.
    La chiave della casa le era stata lasciata proprio dalla nonna, perciò non stava violando una residenza altrui, anzi, stava soddisfacendo una sua richiesta, eppure appena l'aveva sentita girare tanto facilmente nella toppa aveva provato improvvisamente un grande senso di timore ed aveva desistito, come se inconsapevolmente avesse saputo che quel semplice gesto avrebbe sconvolto tutta la sua vita, come se una volta varcata quella soglia si sarebbe trovata in una sorta di punto di non ritorno e niente più sarebbe stato come prima.

    Ripensò ancora alle ultime parole che le aveva rivolto sua nonna dopo averle dato quella chiave, in uno stato in cui soltanto lei avrebbe capito che quel dono era qualcosa di estremamente importante e non il risultato del delirio di una donna giunta ormai alla fine dei suoi giorni stroncata da una terribile malattia: "Avrei voluto attendere ancora un po', ma purtroppo il destino ha deciso diversamente; pazienza, sei sempre stata molto matura per la tua età, e sono certa che riuscirai a capire anche senza di me... e che perciò saprai prendere la decisione più giusta su come vivere la tua vita, senza lasciare che altri possano tarparti le ali, soffocare le tue aspirazioni! Sei sempre stata diversa da tua madre e tua sorella, non hai mai potuto accettare che tutto per te fosse predisposto da altri, ed anche il motivo di questo ti sarà presto chiaro... L'ascia di Jatek sarà lo strumento, l'ascia di Jatek ti condurrà... Andrà tutto bene, tutto bene, mia piccola Vymarna*..."

   L'ascia di Jatek, il delirio di una donna giunta alla fine dei suoi giorni: forse stavolta la madre aveva ragione quando si era allontanata dal capezzale della suocera lasciando Silvia da sola ad assistere agli ultimi momenti della nonna, mentre lei raggiungeva il marito, già chiuso nel suo dolore; ma forse no, in fondo sua nonna non le aveva mai mentito e non aveva mai dato il minimo segno di cedimento mentale (a parte in quel momento in cui pareva aver confuso il suo nome, certo... Vymarna? Ma magari si trattava di un nomignolo, gliene aveva dati anche altri in passato e questo non le era parso del tutto nuovo!) e comunque c'era solo un modo per scoprirlo: finalmente Silvia mise da parte ogni incertezza e timore e si decise ad entrare. Infilò nuovamente la chiave nella toppa stavolta girandola velocemente, e subito la porta si aprì, nonostante sembrasse cadente ed arrugginita, rivelando l'interno di quella casa sulla quale fin da quando era piccola aveva sentito tante storie diverse.

     La ragazza non poté credere ai suoi occhi: al di là di quella vecchia e pesante porta si sarebbe aspettata un ingresso lussuoso simile a quello della residenza di campagna della sua famiglia, anche se inevitabilmente pavimenti, pareti ed arredi avrebbero dovuto mostrare i segni inequivocabili dell'incuria e del tempo; invece si ritrovò in una specie di patio, al centro del quale si ergeva maestosa una quercia, la più grande che avesse mai visto, tanto che avrebbe potuto trovarsi lì da secoli. Ormai troppo incuriosita per soffermarsi ancora a chiedersi come tutto ciò potesse essere possibile, perché una cosa del genere non avrebbe mai potuto trovarsi all'interno di una casa (soprattutto perché non avrebbe potuto non essere visibile in alcun modo dall'esterno!), Silvia incantata si avvicinò all'albero secolare, ed istintivamente ne sfiorò il tronco ruvido. Ma immediatamente sentì sotto il palmo un sussulto, che la indusse ad arretrare di scatto. Possibile che l'albero fosse vivo?

   Silvia levò lo sguardo verso l'alto, e con sua immensa sorpresa vide che nella corteccia si erano definiti i lineamenti di un volto, come quello di una donna molto anziana dall'espressione gentile, che le sorrise.
"Non devi aver paura di me, fanciulla... Ti aspettavo, sai? Anche se sei arrivata qui prima di quanto immaginassi: questo significa che la povera Viviana è morta, vero?"
Incredibile, quell'albero era davvero vivo! No, tutte le piante sono vive, ma quell'albero non era solo vivo, poteva muoversi! E parlare! E poi... conosceva sua nonna e sapeva persino che era morta???
"Sì, purtroppo la nonna è morta due settimane fa..." rispose finalmente Silvia, riuscendo dopo un po' a dominare l'emozione "Era molto malata..."
  "Capisco. Mi dispiace molto, dovevi volerle molto bene: quando mi hai toccata ho sentito tutta la tua tristezza... Ora però non possiamo perdere troppo tempo, ti spiegherò dopo, dobbiamo andare: perciò fammi un favore, prendi quell'ascia che si trova piantata nel terreno fra le mie radici!"
   Sivia guardò a terra e trovò ciò che l'albero le aveva chiesto. C'era un'ascia piantata in terra, ma non era un'ascia qualsiasi: era d'oro, con due lame, con al centro strani ghirigori, che avrebbero potuto essere semplici decorazioni ma anche un'iscrizione fatta in una lingua antica e sconosciuta. Anche il manico era d'oro, decorato con smeraldi, rubini e zaffiri. Barbara sarebbe rimasta affascinata ed avrebbe subito pensato che doveva valere una fortuna. L'ascia di Jatek?

   Un po' a fatica la sollevò e la mostrò alla sua improbabile interlocutrice.
  " Quella che stai impugnando è l'ascia di Jatek" disse la quercia, anticipando la sua domanda "Ora piantamela nel tronco!"
  "Devo... piantartela nel tronco???"
  "Sì, e con tutta la forza che hai, solo così si aprirà il varco!"
  "Ho capito, ma così tu..."
  "Non preoccuparti, non morirò di certo per un solo colpo, grande e grossa come sono! Vuoi conoscere la verità, no? Allora non esitare!"

    Silvia rimase per un po' immobile, guardando incerta l'albero, poi l'ascia, poi di nuovo l'albero. "L'ascia di Jatek sarà lo strumento, l'ascia di Jatek ti condurrà..." dunque a questo si riferiva la nonna, non stava affatto delirando! E grazie ad essa tutto le sarebbe stato chiaro: come faceva la nonna a conoscere quella misteriosa quercia della quale non le aveva mai parlato e che però l'aspettava, dove l'avrebbe condotta quel varco, a quali altri incredibili segreti, e quali decisioni importanti avrebbe dovuto mai prendere in seguito. Però per scoprire tutto ciò avrebbe dovuto ferire una creatura vivente, cosa che non aveva mai fatto, in alcun modo, anche quando era molto piccola: persino per indurla a mangiare la carne a tavola i suoi avevano dovuto sempre costringerla più volte, arrendendosi solo di recente al fatto che i suoi non erano semplici capricci e provava realmente dolore per la sorte di quelle creature. Era un prezzo troppo alto, non avrebbe mai potuto pagarlo! Perciò pazienza, non sarebbe stato poi così terribile continuare la sua solita vecchia vita. Anche la nonna l'avrebbe compresa. Sospirò e rimise l'ascia dov'era.

   "Mi dispiace, vecchia quercia, ma non ti pianterò mai l'ascia nel tronco. E' vero, non ti ucciderò, ma ti causerò tanto dolore versando la tua preziosa linfa. Non ho mai levato la mano contro un essere vivente, e non lo farò adesso, nemmeno per scoprire chissà quali importanti verità. Continuerò a vivere come ho fatto fino ad ora, e comunque sono contenta di averti conosciuta... ti saluto!"
   E rassegnata ma contenta della sua decisione fece per tornare indietro verso la porta, quando la quercia la fermò: "Anch'io sono contenta di averti conosciuta, Vymarna! Ma non continuerai a vivere come hai fatto finora, almeno non prima di avere conosciuto il tuo vero mondo ed il tuo popolo!"
   Vymarna, di nuovo quel nome... Silvia era più confusa che mai.

   "Credo proprio di doverti una spiegazione a questo punto... Perdonami, ti ho ingannata: era necessario per metterti alla prova, dovevo essere completamente certa che fossi proprio tu la fanciulla che il nostro popolo stava aspettando e che fossi degna del ruolo che ti aspetta, dato che Viviana nel mondo degli esseri umani avrebbe anche potuto fallire il suo compito di educarti, lasciandoti contaminare troppo dalla loro malvagità e dal loro scarso rispetto per la natura essendosi fatta traviare lei stessa in tanti anni! Non capirò mai come si può amare a tal punto un luogo del genere, ma ora non importa più. Devi sapere che la famiglia in cui hai vissuto finora non è la tua vera famiglia: in realtà tu sei la principessa Vymarna, unica discendente della regina delle fate dei boschi, ed è ora che tu conosca il tuo vero mondo, il tuo futuro regno!"

   Silvia era frastornata, ma l'assurda rivelazione della vecchia quercia le aveva già chiarito molte cose: ecco perché era da sempre interessata alla natura ed agli animali, con i quali aveva stretto quel legame così particolare, ecco perché si era lasciata isolare dai suoi coetanei, non condividendo il loro interesse per certi giochi, ecco perché non condivideva nessuno degli interessi della sorella e non aspirava a diventare una vera signora dell'alta società come sua madre! Era diversa, come le avevano spesso rinfacciato... ma allora sapevano? E poi come mai era stata allontanata dalla sua vera famiglia, dal suo mondo?
    Avendo facilmente compreso cosa le passasse per la testa, senza attendere una sua reazione, la vecchia quercia la rassicurò: "Quando saremo dall'altra parte sarai messa al corrente di tutto il resto, ma ora dobbiamo sbrigarci: dobbiamo partire prima che nel mondo umano sorga il sole o il portale non potrà aprirsi! Non preoccuparti, non dovrai colpirmi con l'ascia, basterà che tu la impugni con entrambe le mani, chiuda gli occhi e dia l'ordine: sarà questione di un attimo!"

   Silvia seguì le istruzioni della quercia, ed appena riaprì gli occhi il patio era scomparso, sostituito da un bosco: era simile a quello vicino alla residenza di campagna della sua famiglia, ma molto più rigoglioso, popolato da tanti alberi simili alla vecchia quercia, che si trovava ancora accanto a lei nell'annunciare che finalmente la principessa era tornata a casa.
  "Hai svolto egregiamente il tuo compito, quercia custode, di questo ti rendo merito!"
  "Ho fatto solo il mio dovere, vostra maestà Jatek! Con il vostro permesso per ora mi ritiro per riposare!" si congedò la quercia, il cui aspetto tornò ad essere quello di un comunissimo albero.

    Finalmente Silvia poté guardare in viso il nuovo venuto, un uomo del quale non era facile definire l'età: era alto, non più tanto giovane ma ancora piacente, dai folti capelli neri che iniziavano a presentare qualche striatura di grigio dello stesso colore della lunga barba, e da profondi occhi blu, che incutevano sicuramente un reverenziale timore ma che lasciavano trasparire un animo gentile ed una certa malinconia, nonostante il sorriso.

"Vymarna, bambina mia... sei diventata in tutto e per tutto identica a tua madre!" e le si accostò, mentre gli occhi gli si inumidivano di lacrime.
    Silvia non trovò per niente strano avvicinarsi a sua volta a quello sconosciuto e farsi accogliere dal suo abbraccio, che la fece sentire protetta quanto mai le era accaduto prima, nella casa dov'era cresciuta, se non quando ad abbracciarla era la sua adorata nonna. Niente a che vedere con il senso di estraneità che troppo spesso sentiva per quelle persone che conosceva tanto bene, ma che avevano mostrato di non interessarsi più di tanto a lei, se non perché mantenesse il buon nome della famiglia. Eppure la tata, quando una volta lei esasperata dall'ennesimo litigio con Barbara aveva chiesto se per caso non fosse stata adottata, aveva negato con tanta serietà e prontezza. Troppa forse!

    Il re riprese l'ascia dalle mani di Silvia e la piantò nel terreno, nuovamente fra le radici della quercia, spiegandone finalmente la funzione che in parte era già stata verificata, ovvero quella di strumento indispensabile per attraversare il portale fra regno incantato e mondo umano, custodito da sempre dalla quercia millenaria. Quindi la condusse al loro castello, nel cuore di quel bosco incantato: si ergeva fra le fronde del più maestoso di quegli alberi, interamente in cristallo, le alte e sottili guglie impreziosite da splendidi fiori rampicanti. Solo quando giunsero in quel luogo altrimenti impossibile da raggiungere la ragazza notò le ali del re, simili a quelle di coloro che li accolsero al loro arrivo, e che lui presentò come loro sudditi.
  "Le ali spunteranno anche a te, quando avrai raggiunto la maggiore età" le spiegò quando furono finalmente soli nelle sue stanze per chiarire la situazione con calma "Ma ovviamente per te il problema è ben altro: hai il diritto di conoscere i motivi per cui hai vissuto per ben quindici anni lontana dal tuo ambiente!
    Devi sapere che io avevo un fratello, Jareth. Era il mio fratello maggiore e perciò avrebbe dovuto essere l'erede al trono. Ma lui aveva un animo malvagio, perciò nostro padre lo disconobbe e lo mandò in esilio, nominando me suo successore. Gli successi al trono, sposai tua madre, per i primi tempi tutto andava bene, soprattutto scoprimmo che presto avremmo avuto un figlio, il coronamento della nostra felicità. Purtroppo però un brutto giorno Jareth si rifece vivo: si era integrato in una comunità di troll, e ne era divenuto addirittura il sovrano, organizzando un grande esercito da utilizzare contro di me, per riprendersi ciò che a suo parere io gli avevo sottratto. Quei mostri, esseri senza scrupoli nemmeno contro donne e bambini, invasero il nostro regno e Jareth, tutto preso dalla sua sete di vendetta, non si preoccupò di controllarne la furia. Anzi, li incoraggiò a prendere e divorare per primo il figlio del re, che così non sarebbe mai stato un problema per lui!
   Ci trovammo in inferiorità numerica, e mentre un nostro messaggero partiva per chiedere aiuto ai nostri alleati riuscii a far uscire di nascosto tua madre dal castello, insieme ai nostri bambini nati da pochi giorni... Sì, due bambini, perché tu avevi un fratello, Vymarna! Però i troll non se ne accorsero, così quando uno di loro riuscì a ghermirlo strappandolo dalle braccia di tua madre e ferendola gravemente, lei riuscì in qualche modo a sfuggirgli ed a salvare almeno te, conducendoti con le sue ultime forze al varco ed invocando l'aiuto dell'unica persona che avrebbe potuto portarti in un luogo del tutto sicuro: una di noi, una fata che viveva nel mondo umano!"
  "Vuoi dire che la nonna era..."
  "Sì, colei che hai sempre chiamato nonna, Viviana, era una di noi: un giorno dovette svolgere una missione al di là del varco, e s'innamorò di un mortale, al punto che decise di lasciare il nostro regno pur di restargli vicino. Ma il prezzo da pagare per una simile scelta è alto: bisogna rinunciare all'uso dei propri poteri per non rischiare di svelare al mondo l'esistenza delle fate, ma soprattutto bisogna diventare come i comuni esseri umani, risentendo così, esattamente come loro, dei segni del tempo e delle malattie, fino a morire! Viviana era stata al servizio di tua madre fin da quando lei era bambina, e per lei era stato molto triste lasciarla andare separandosene, perciò fu facile per tua madre decidere di rivolgersi proprio lei nel momento più difficile... Grazie a lei sei riuscita a sopravvivere, rimanendo per tutti questi anni in un luogo relativamente sicuro dove mai nessuno avrebbe potuto trovarti, nel caso Jareth o chiunque altro estraneo al nostro regno avesse mai saputo della tua esistenza ed avesse per qualsiasi motivo attentato ancora alla tua vita! Certamente un minimo rischio c'era: quanto più rimanevi in quel mondo più c'era la possibilità che anche tu ne subissi i cattivi effetti, ammalandoti o anche peggio. Ma era sempre meno pericoloso per te che restare qui, dove infuriava la battaglia.
   E' stata molto dura per noi, il conflitto con Jareth ed i suoi troll è durato parecchi anni! In certi momenti ci siamo trovati seriamente a mal partito, e c'è stato il rischio che tu non avessi più un luogo in cui tornare. Ma poi la sorte è tornata ad esserci amica, naturalmente anche grazie all'aiuto di tanti alleati, gli elfi, gli gnomi ed i maghi: il nemico è stato sconfitto ed il nostro regno è tornato ad essere come prima, pronto a riaccogliere la sua principessa. Eravamo impazienti di riaverti fra noi, e finalmente sei tornata, anche se c'è voluto così tanto tempo che Viviana non ha potuto partecipare in alcun modo a questo evento gioioso né sapere quanto io le sia riconoscente! Però se non fosse già morta separarsi da te sarebbe stato molto doloroso per lei, dato che non avrebbe potuto seguirti, poiché una volta che ha compiuto definitivo atto di rinuncia una fata non può più tornare indietro.
   Dunque anche tu pensaci bene, figliola... immagino che ormai tu ti senta molto legata alla famiglia dove sei cresciuta, ma dovrai scegliere: naturalmente io vorrei tanto che tu rimanessi qui con me e con i nostri sudditi ad occupare il posto che ti spetta di diritto, e per questo dovrai dire addio per sempre al mondo umano ed ai suoi abitanti; ma se invece non volessi più lasciare quella famiglia, cosa comunque comprensibile data la situazione, andresti incontro alla stessa sorte di Viviana e non potresti più tornare qui, perché diventeresti una mortale! Io ne sarei molto rattristato, ma i nostri sacrifici non sarebbero comunque stati vani, perché ho potuto assaporare la gioia di incontrare almeno una volta mia figlia, che avendo superato la prova della quercia custode ha dimostrato di essere del tutto degna della nostra stirpe!"

    Ecco, a questo si riferivano la nonna e la quercia custode quando avevano accennato ad un'importante decisione. Nell'istante in cui aveva aperto la porta della casa abbandonata Silvia non si era resa conto fino a che punto la sua vita sarebbe stata sconvolta, che qualcosa sarebbe andato irrimediabilmente perduto. Nel congedarla fino al mattino successivo, suo padre il re le aveva detto che avrebbe potuto rifletterci fino al suo sedicesimo compleanno, giorno in cui lui l'avrebbe designata ufficialmente come erede al trono conferendole anche i suoi poteri magici; oppure lei avrebbe dovuto fare atto di rinuncia e tornare per sempre nella casa dei Cohen: nell'uno o nell'altro caso avrebbe pensato lui a sistemare tutto con un incantesimo, a far sì che nessuno dall'altra parte si ricordasse di averla mai conosciuta oppure che nessuno si accorgesse per quanto tempo lei in realtà fosse stata via; tuttavia per lei fu tutto molto più semplice e spontaneo di quanto avesse creduto inizialmente quando, in quella sua prima notte nella stanza che da sempre le era stata riservata al castello, ripensò alla sua vecchia vita come Silvia Cohen: era più che evidente che la tata le aveva mentito quel giorno, e colei che aveva chiamato nonna l'aveva portata in casa come una bimba abbandonata, che era stata accolta in quella famiglia soltanto per umana compassione. Non si poteva dire che l'avessero mai trattata male e dopotutto non le avevano mai fatto mancare nulla: certamente dovevano aver provato anche dell'affetto per lei, almeno in certi momenti; ma era altrettanto certo che non era mai stata in tutto e per tutto una di loro e mai lo sarebbe stata, altrimenti non avrebbe considerato tanto insignificanti tanti aspetti di del loro ambiente.

    Dopo Silvia pensò a re Jatek, del quale sapeva così poco ma che le aveva subito ispirato tanta fiducia con quel suo sorriso gentile, anche se in parte segnato dall'incancellabile dolore per la perdita della sua adorata sposa e del figlio e dai lunghi anni trascorsi in dure battaglie, e ripensò a sua madre, Vymarna, della quale aveva ereditato anche il nome, oltre agli occhi verdi ed ai riccioli castani, come aveva constatato osservando un suo ritratto che il padre le aveva mostrato. La regina Vymarna, che le aveva dato due volte la vita, mettendola al mondo e poi salvandola a così caro prezzo, nella speranza che trascorso il tempo necessario avrebbe avuto ancora un luogo dove tornare...

    E pensando a loro due, ed ancora al loro popolo, che l'aveva accolta tanto festosamente dopo così tanti anni, finalmente sorrise e si addormentò, di nuovo serena: nella foresta incantata si era subito sentita amata, al contrario che dall'altra parte del varco, dove coloro che le avevano vissuto accanto avevano sempre dimostrato di poter tranquillamente stare senza di lei. La nonna aveva ragione quando le aveva detto che dopo essere venuta a conoscenza di tutta la storia avrebbe saputo come comportarsi: il mattino seguente corse ad abbracciare re Jatek, e nel dargli un gioioso buongiorno gli annunciò che non aveva bisogno di attendere il suo compleanno per decidere che non sarebbe mai più andata via, perché era finalmente tornata a casa.
 
*Vymarna, la mitica fata dei boschi, signora delle selve e dei boschi incantati.
  
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