Dolceamaro
Il gorgoglio dell’acqua cessa e nell’appartamento non
si ode più nessun rumore, eccetto un lieve sfrigolio, accompagnato da un aroma
dolce, di uova e zucchero. C’è silenzio da ore ormai e, per quanto Soul apprezzi
la quiete che sa regalare, non ne è più sicuro quel giorno. Anzi, è certo di essere arrivato a detestarlo,
quel silenzio, che Maka ha cocciutamente deciso di innalzare tra loro.
Un fruscio di passi attira la sua attenzione, i sensi
all’improvviso in allerta. Maka appare sulla soglia della cucina, avvolta da un
profumo di gelsomino e si tampona i capelli con un asciugamano. Soul la guarda
e non può impedirsi di pensare che sia bella.
Non nel senso comune del termine: lei possiede una bellezza che non ha il
sapore della vanità o dell’appariscenza, è semplice e genuina -è la bellezza della sua anima.
«Cosa stai facendo?»
Non v’è la minima inflessione nel tono della sua voce,
che si mantiene incolore e distaccato.
«Cucino.»
«Non bruciare la padella.»
Si allontana silenziosa, senza rivolgergli un’occhiata
in più e Soul sbuffa, maledice la sua linguaccia e la sua mancanza di tatto.
Spegne il fornello e abbandona il composto per i pancakes
per raggiungerla in sala; non ha intenzione di trovare un altro pretesto per
farla arrabbiare. La trova rannicchiata in un angolo del divano a leggere,
racchiusa nel guscio di apatia che si è costruita per difendersi. A Soul sale la
bile in gola al solo pensiero: Maka deve proteggersi da qualunque cosa, ma non
da lui -non da lui, che è fatto per proteggerla. Le si
inginocchia di fronte, le scosta il libro dalle mani e, per un istante, annega
nei suoi di occhi di giada.
«Scusami.»
Maka si limita a fissarlo, senza parlare, la bocca
chiusa a formare una linea severa.
«Sono stato un coglione. Non volevo ferirti, tantomeno mettere
in dubbio l’amore di tua madre per te.»
Un nodo le attanaglia la gola e di riflesso chiude gli
occhi, mentre sente un fruscio, segno che Soul si è mosso. Poi due braccia la
afferrano improvvisamente e la stringono con una tale dolcezza da
disarmarla.
«Non ti sopporto.»
La voce le esce più bassa di qualche tono rispetto al
normale e Soul inspira bruscamente, la sua anima che scalpita quando le
dita di Maka si avvolgono attorno al suo busto.
«Ma sei qui.» si azzarda a ribattere, tastando il
terreno per capire quanto può sporgersi in là senza cadere rovinosamente.
«Probabilmente se fossi stata un’altra persona ti avrei
tirato un pugno e sarei andata via per qualche giorno.»
«Quando ho scelto di diventare il tuo compagno sapevo
di starmi cacciando in un guaio, ma…» Soul le afferra il volto, guardandola
intensamente, un sorriso sbieco e colpevole insieme. «È stata la scelta più giusta che abbia fatto.»
Il cuore perde un battito, o forse due e Maka si dà
della stupida per questo e perché la sua anima si scioglie all’istante al tocco
di quella di Soul -un tocco che sa terribilmente d’amore.
«Mi sono fatto prendere dalla rabbia, ho detto cose che
non penso.»
La shokunin descrive con lo sguardo i lineamenti del
suo viso e del suo corpo: indossa un grembiule verde con i fiori, decisamente
poco cool per uno come lui
-Black*Star lo prenderebbe in giro fino alla noia, o al mal di pancia, dipende.
«Perché?»
«Stamattina ho guardato se fosse arrivata posta e ho
trovato una cartolina di Kami. Ho pensato che saresti
stata felice di riceverla. Poi ho visto la tua faccia dopo averla letta.»
Maka sussulta, e capisce.
Dopo qualche attimo di silenzio, necessario a raccogliere
i sentimenti e i ricordi, comincia: «A volte mi capita di fare certi pensieri e
mi sento in colpa. Mia madre è sempre stata il mio modello, fin da quando ero
bambina desideravo diventare come lei… poi un giorno è sparita.»
Un libro lasciato aperto sul comodino, i biglietti del
cinema di qualche sera prima abbandonati sul tavolo del soggiorno, il suo
profumo a riempire la camera matrimoniale -a svuotare il suo piccolo cuore.
Dopo un paio di giorni era arrivata una sua chiamata e Maka aveva ascoltato la
voce della donna più importante della sua vita annunciare che era appena
partita, su un volo diretto a Bruges, ma che si sarebbero riviste molto presto
e che le voleva tanto bene.
«Ci sono momenti in cui non riesco ad accettare il
fatto che mi abbia lasciata qui. Avrebbe potuto portarmi con sé, avremmo
ricominciato una nuova vita in un altro luogo, insieme.»
Soul osserva attentamente le espressioni del suo viso
mentre parla, le sfumature che assume la sua voce, senza interromperla e le
scorge, nei suoi occhi ora perfettamente asciutti, le lacrime che ha versato
innumerevoli notti negli anni, asciugate frettolosamente con le maniche del
pigiama, ripetendosi che doveva essere forte e che piagnucolare non avrebbe
cambiato nulla.
«Quindi… mi capita di non riuscire a giustificare il
suo comportamento, nonostante so che ha fatto la scelta migliore. Mio padre non
sarebbe comunque cambiato anche se lei fosse rimasta.»
Sulle labbra di Maka si imprime un sorriso amaro,
quello di una bambina che ha sperimentato troppo presto una cocente delusione.
«È questo che mi ha fatto incazzare.»
La ragazza sgrana gli occhi stupita e nella sua mente
cominciano a ricostruirsi i frammenti di quella mattinata: la gioia di avere
fra le mani le calde parole di sua madre, una battuta velata di sarcasmo e poi
la rabbia, le grida accese, sempre più forti, per celare uno sconforto troppo
vecchio e mai completamente sanato.
«Rispetto tua madre per il suo lavoro di shokunin; non
dev’essere stato facile fare del vecchio porco una Death Schyte.»
A Maka sfugge un piccolo sorriso a quell’affermazione. «Ma le sue visite così
rare, tutte le cartoline che ti spedisce… Questo non lo capisco.»
Soul non è perfetto, lascia montagne di vestiti sparse
per la camera, è testardo e impulsivo, il curry che prepara è sempre troppo
piccante, ma, nonostante questo, lei rappresenta sempre la sua prima
preoccupazione, a prescindere da ogni altra cosa e la dolcezza di questo
pensiero le fa tremare l’anima.
«Sei ridicolo con il mio grembiule.»
esclama Maka, un sorrisino divertito a distenderle i lineamenti, prima induriti
dalla prostrazione.
«Pensi forse di essere più presentabile di me conciata
così?» ribatte Soul con ironia, accennando con il capo al suo abbigliamento
casalingo, comprensivo di ciabatte pelose e maglietta oversize. «A proposito, perché indossi la mia felpa?»
Glielo domanda per curiosità, non perché ne sia
infastidito; d’altra parte, non è la prima volta che gira per casa con i suoi
indumenti addosso e a Soul piace godersi quello sfizio che ogni tanto lei si
toglie, accampando sempre una scusa diversa, per non ammettere palesemente
che, talvolta, è semplicemente per sentirsi addosso il suo profumo.
«Perché le mie sono tutte nella lavatrice, che io ho fatto, dato che qualcuno se n’è scordato!» lo rimbrotta
prontamente, ma a lui non è sfuggito il leggero rossore sulle sue guance.
«In tal caso, ho una ricompensa per te.» le sussurra
divertito, strizzandole l’occhio.
Maka lo guarda incuriosita, dimentica delle faccende
domestiche e lo segue con lo sguardo mentre entra in cucina, dove sparisce per
qualche minuto. Quando riappare in salotto, in mano porta un piatto di pancakes cosparsi di sciroppo d’acero.
«Per chiederti scusa. Inoltre era da un po’ che li
volevi mangiare.»
Soul sorride apertamente quando vede la sua
espressione dolcemente sorpresa. Con la forchetta taglia un pezzo della
frittella e lo infilza, appoggiandolo sulla sua bocca.
«Forza, assaggia.»
Maka però rifiuta l’offerta e prende il piatto per
appoggiarlo sul basso tavolino di fronte al divano, sotto lo sguardo confuso
della buki. Quando gli sale sulle gambe, afferrandogli
il volto, avverte per la prima volta,
da quando hanno discusso, l’anima di Maka cercare la sua.
«Non dovevi cucinare nulla, ti ho già
perdonato.»
Soul non replica, non è necessario, perché, mentre la
stringe a sé e cattura le sue labbra fra le proprie, le loro anime danzano,
seguendo il ritmo dettato da note evanescenti.
«Allora» esclama, allontanando un poco le loro bocche
umide, per poi tornare a baciarle con devozione. «i pancakes
li mangio io.»
Le morsica il labbro inferiore, ghignando e si
allontana di scatto, afferrando il piatto.
Maka rimane per un attimo attonita, il calore del corpo
di Soul ancora vividamente impresso sul suo e la mente intrappolata dalle
sensazioni del bacio, poi si riscuote.
«Soul Eater Evans!» urla,
balzando giù dal divano. «Quei pancakes sono miei!»
Yo, guys :3 Non so come mi sia
uscito questo saluto da rapper, ma dettagli.
Okay,
dovrei continuare a studiare per la patente e finire il primo capitolo di una
mini-long, un po’ di recensioni da lasciare in giro, ma non riesco a fare a
meno di Soul e Maka. Sono come una bella malattia -sì, so che è un controsenso:
ciclicamente tornano e io non riesco a dir loro di no. Questa volta ho lasciato
che un po’ di malinconia entrasse nella storia ed erano anni che non lo facevo
-sì, anni, perché mi ero stufata di scrivere storie
altamente tristi. Ma per questa volta va bene così, non c’è gente che si taglia
le vene e non è depressa e i panckes alla fine
addolciscono tutto -adesso è venuta voglia anche a me di mangiarli! È una
storia semplice, scritta ascoltando le canzoni di Madonna, in cui ho voluto
indagare un po’ la figura di Kami. Non se ne parla
granché né nel manga né nell’anime e io l’ho sempre considerata una donna forte
e fragile insieme, che ha saputo rialzarsi dopo essere stata tradita dalla
persona che amava -e non intendo solo le scappatelle di Spirit,
ma che ha dovuto fuggire per stare realmente bene dopo tanto tempo. Ho cercato
di calarmi nei panni di Maka per vedere la vicenda dalla sua prospettiva ed
eccoci qua; spero di essere riuscita a mantenere entrambi i personaggi IC.
Soul, d’altro canto, ha una situazione famigliare altrettanto non semplice alle
spalle e me lo sono immaginata “materno” nei confronti della sua shokunin,
senza perdere quel timbro di ironia che lo rende cool -in realtà è più dolce di quanto non voglia ammettere secondo me.
Ammettilo Soul, ti abbiamo scoperto! La parola ‘dolceamaro’ mi ha dato
l’ispirazione e così ho deciso di renderla il titolo della storia.
Grazie per essere passati a sbirciare! See you soon :3