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Autore: Monyca Desgranges    07/10/2016    3 recensioni
Questa storia partecipe al contest A Box Ful of Prompts del gruppo fb EFP Famiglia, recensioni, consigli e discussioni.
Prompt: La relazione tra A e B finisce in modo violento, irreparabile.
A trova in C la persona giusta per sostituire B che vedendoli insieme non riesce nemmeno ad arrabbiarsi,
a ingelosirsi: aveva fallito e tutto quello era giusto per A.
"I should bought you flowers And held your hand
Should've gave you all my hours
When I had the chance
Take you to every party
'Cause all you wanted to do was dance
Now my baby's dancing
But she's dancing with another man"
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mardy Paranoica

Originale: Romantico

Coppia: Indifferente

Avvertimenti vari: ////

Rating: Indifferente

Prompt: La relazione tra A e B finisce in modo violento, irreparabile.
A trova in C la persona giusta per sostituire B che vedendoli insieme non riesce nemmeno ad arrabbiarsi,
a ingelosirsi: aveva fallito e tutto quello era giusto per A.

"I should bought you flowers And held your hand
 Should've gave you all my hours
 When I had the chance
 Take you to every party
'Cause all you wanted to do was dance
 Now my baby's dancing
 But she's dancing with another man"

Parole: 4.349



~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~


Eppure continuavo a venire in questa cicchetteria.
Continuavo insistentemente a venire in questa cicchetteria.
Dietro un tavolo di legno ricoperto di stupidi adesivi pseudo rock -  pseudo hippie, dove trionfavano per banalità quelli con delle mutandine, me ne stavo a sorseggiare il mio drink da solo.
Ma non un tavolo qualsiasi; scelgo sempre quello che ha sei posti, tre sgabelli e una sedia più la panca al muro, sovrastato da un enorme specchio un po’ slavato, ed io mi metto sulla sedia di fronte ad esso oppure all’estrema sinistra della panca.

Perché?

Semplice: così ho libero accesso alla visuale della gente che entra ed esce, chi va al bancone e cosa prende, l’esterno perché la porticina è sempre aperta.
Insomma ho trovato la posizione ideale perché dove mi siedo ho di fronte il piccolo arco dove c’è un brevissimo corridoio, e questo mi permette di avere il locale sotto controllo tramite i miei occhi. Senza che io faccia un passo per guardare, senza dovermi sporgere col busto per sbirciare.

Eppure, qui non ci dovrei mettere più piede. E, forse, avrei dovuto rompere il naso al proprietario ai tempi, che oramai mi conosce più che bene. Fortuna vuole che questa sera non ci sia, ma solo un suo collaboratore che mi pare più socievole; i suoi orari coincidono quasi sempre con i miei e dunque lo vedo spesso. Mentre, invece, cerco sempre di non trovarmi con lui. Non immagino neanche di chiedergli “Il solito” a quattr’occhi, perché sa, saprebbe, riuscirebbe con quegli occhi azzurri solcati da rughe profonde a vedermi dentro, e capirebbe in me c’è un misto di rabbia e che me la sto facendo addosso al tempo stesso.
E mi riderebbe in faccia con lo sguardo.
Magari me lo prepara anche il drink, lo vedevo spesso parlare e pulire contemporaneamente bicchieri enormi di vetro, un po’ come si vede nei vecchi film western. Ma si instaurerebbero in me dei moti contrastanti, e chiarisco che sarebbero tutti negativi.

 

“Ehy. Una tequila.”
“Certo.”
Prende un bicchiere, si gira e afferra dal mobiletto la tequila, la posa, mette il ghiaccio, taglia una fettina di limone e poi inizia a farla scorrere nel bicchiere quasi fino all’orlo.
Me lo poggia davanti e mi guarda fisso.
Odio quando mi guarda in quel modo, perché lo so che stai ridendo, lurido bastardo.
“Sono cinque dollari”
Frugo nel portafoglio già in mano e senza staccare lo sguardo li stendo sul bancone.
Non smette di fissarmi finché non decido di andare via, non senza avergli dato un ultimo sguardo accusatorio.
Ora, normalmente avrebbe afferrato i soldi e messi in cassa ma lui, lui, sa perfettamente sfruttare la visuale periferica e li lascia lì, accanto alla tequila appena servita. E so per certo che fino a quando io non potrò più vedere lui e lui non potrà vedere me quando sarò seduto (grazie al muro), allora andrà a mettere quei cinque stupidi dollari al loro posto.



Do un altro sorso al mio drink e mi viene da ridere.
Forse ho esagerato un po’.
Bevo ancora e rido nuovamente, allora capisco.
E’ solo la classica risata di chi è sull’orlo di una crisi di nervi, l’alcohol non c’entra nulla. Non ancora.
All’improvviso la clientela si smuove un po’ ed oltre al solito idiota seduto al bancone dal capello lungo, entra una coppietta di ragazzini che si tengono per mano.
Io sbircio.
Lui prende uno Spritz e lei un thè alla pesca. Lui paga.
Stanno un po’ a parlare tra di loro.
Colto da un improvviso senso di angoscia tocco la tasca posteriore dei jeans e sento il portafogli, lo tiro fuori per vedere quanto mi resta per “farmi fuori”: ancora venti dollari e qualche spiccio, ottimo.
Bene, penso, uscirò di qui barcollando e intonando Somebody to Love degli Jefferson Airplane.
In effetti una scena del genere non vorrei perdermela neanche io, mi farei quattro risate.
Peccato che il povero stronzo che uscirà ridotto così sarà il sottoscritto.
Adesso lei ride e il ragazzo la accarezza.

“Oh no.”

Ora si baciano.

“Ecco…”

Le mie capacità da veggente cominciano a stupire persino me.
No.
La realtà è che anche io facevo così con Leah quando ancora si stava assieme, prima che tutto questo casino mi piombasse addosso come un’enorme macigno, quando questo era ancora il nostro locale preferito.
Leah era una ragazza bellissima, ma davvero bella, non una di quelle che vedi spesso in giro che sembrano uscite da una fabbrica di stampini, s-vestite alla moda, con il classico rossetto rosso anche di lunedì sera e con indosso sempre tacchi vertiginosi.
No, lei era diversa.
Aveva quel profumo di gelsomino tra quei capelli mogano che mi faceva impazzire, e lo sentivo forte ogni volta che mi avvicinavo a lei per darle un bacio sulla fronte. Quando mi guardava con quegli occhi nocciola con venature verdi, mi era impossibile dirle di no, così magnetici che spesso mi bloccavano il cuore e mi facevano sorridere dentro. Le sue labbra, poi, ogni volta che le davo un bacio pensavo che potesse essere l’ultima cosa che avrei toccato al mondo e poi sarei morto felice, perché il resto non m’importava più quando sfioravo quei boccioli di rosa, soffici e morbidi come due petali.
A volte immagino ancora di poter abbracciare quel corpo sinuoso ed elegante, stringerlo a me e sentirmi ricambiato con la stessa quantità di amore che metto io.
La ricordo spesso con quell’abito rosa, un po’ vintage, che le stringeva in vita e si allargava sotto, lungo fin sotto alle ginocchia, impreziosito da un colletto di pizzo. Ciò che gli dava quel gusto ‘moderno’ era uno spacco da metà coscia sino alla fine dell’abito. La ricordo così perché in uno dei nostri ultimi sabato sera la andai a prendere e lei mi corse incontro per abbracciarmi, e questo abito svolazzava tutto intorno alle sue gambe dandole quasi un’aria mistica, eterea: sembrava una dea.
Non risultava mai volgare, qualsiasi cosa avesse indosso.

“Jay, un altro, grazie!”
Non ricordavo di essermi alzato e aver ciondolato sino al bancone per chiedere un altro bicchiere.
Jay, il collaboratore di cui parlavo prima, è un tipo simpatico.
Cioè, mi sta anche simpatico: smilzo e alto ma dalle spalle larghe; ciò che mi colpisce è il suo stile un po’ da barman di un locale Bulesque. Si mette perfino la matita agli occhi!
“Come stai stasera, Dave?”
“Non c’è male, grazie” dico toccandomi la nuca mentre aspetto il mio drink.
Lui mi sorride.
“Dai racconta, quante ne sono entrate questa sera solo per vederti?”
“Ahahahahahah, spara un numero!”
Lo stronzo è talmente un bel tipo che vanta anche una fila di ragazzine che entrano nel locale esclusivamente per lui.
Ci penso un po’ su mentre lui armeggia con ghiaccio e bottiglie, poi tento e dico che da quando è arrivato sicuramente almeno una quindicina di ragazze sono venute per quello scopo.
“Dave, lo sai che sono qui dalle 23,00, ora sono quasi le 2,30… alza un po’ il numero” e ride.
“Ma non mi dire… Facciamo venti?”
“Quasi trenta. Dico quasi perché hai visto la coppia al tavolo, eh?” mi fa indicando con lo sguardo i due che ancora ridono tra di loro “La ragazza continua a lanciarmi sguardi ad intermittenza… Comunque ho la tasca piena di biglietti con numeri di tipe che entrano anche solo per pisciare e vanno via. Facciamo un gioco?”
“Uh?”
Tira fuori dalla tasca un mazzo di bigliettini e me li porge a mo’ di mazzo di fiori, assieme al drink, e mi dice di tirarne fuori uno, a caso. Pesco quello che sta nel mezzo, verso sinistra, che ha un’aria un po’ stropicciata. Si intravede una scrittura nervosa di bic nera e una serie di numeri susseguirsi l’un l’altro. Lui lo prende e ne legge il nome, una certa Beth, poi lo mette da parte mentre getta tutti gli altri nel cestino.
“Grazie Dave, questa sarà la tipa che mi porterò a letto stanotte!” e si fa una grossa risata “non ricordo nemmeno la sua faccia!”
Gli ricambio il sorriso e mi porto il drink al mio posto.
Che tipo.
Beh, a ventisei anni forse avrei anche io la sua stessa verve con quel pizzico di brio tipico dei giovani.

Dallo specchio di riflesso guardo ancora la coppia: lui si sta accendendo una sigaretta e lei, di nascosto, è rivolta verso il bancone mentre succhia con fare malizioso dalla cannuccia il suo bel Cosmopolitan. Immagino Jay rivolgerle un ghigno mentre stantuffa con la mano il panno dal bicchiere; sono sicura che lei, nei giorni a seguire, tornerà qui, sola o con amiche per combinarci qualcosa.
Che stronza.
Già.
Avrei dovuto farmi qualche domanda quando Leah, nell’ultimo periodo, insisteva di passare il sabato sera in questo locale.
E lo stronzo ci veniva, la accompagnava, e mentre lei se ne stava buona, pensavo, al bancone a scambiare quattro chiacchiere col precedente collaboratore io stavo con la compagnia.
Cercavo di accontentarla, di esaudire i suoi desideri perché la relazione barcollava da mesi e credevo, ingenuamente, che comportandomi così le cose sarebbero migliorate.
Macché.
Una sera entra in macchina e sbatte la portiera, e mi dice che dobbiamo parlare. Immaginate la mia ansia.
Mi sputa addosso tutto ciò che per mesi sospettavo e che lei teneva dentro per paura, forse: la mia dimenticanza sulle ricorrenze, i miei modi di fare spesso arroganti, alcune aggressioni verbali di cui neanche ricordo… e diceva di sentirsi disorientata, spaesata e che non riceveva più attenzioni come un tempo.
Ho tentato, sì, di spiegarle le mie ragioni, prometterle di migliorare e cambiare –ma non diciamoci sciocchezze: noi maschi siamo buoni solo a parlare- purché riuscissi a tenerla vicina, con me, per sempre.
Tra una lacrima e l’altra pronuncia quelle parole che mi hanno gelato il cuore: “Io non ti amo più”.
La guardo senza dir nulla, trattenevo il fiato per la tensione, e vedo il suo profilo appena illuminato dalle luci gialle dei lampioni: ha il trucco sbavato, il nero le sporca le guance e gli occhi sono tutti pasticciati; ha le labbra serrate e guarda basso, poi dritto verso di sé.
“Leah… cosa?” biascico… balbetto in un sussurro… non riuscivo neanche a parlare.
Finalmente si decide a guardarmi negli occhi e, per una volta, ho paura.
“Non ti amo più” ripete con un ultimo singhiozzo “Gli ultimi mesi sono stati un inferno per me. Non capisco cosa sia cambiato, ma non riesco ad andare avanti così.”
Ero bloccato, paralizzato, con ancora una mano sul volante e l’altra sul cambio pronto a partire per la destinazione che avrebbe scelto lei. Ma non ci sarebbe stata alcuna destinazione, quella sera, se non quella diretta per casa mia.
“Non guardarmi così. Sono mesi che discutiamo e non ne veniamo a capo. Ora sono passate due ore da quando sono qui dentro… stiamo cercando di rimettere insieme i pezzi, ma io li ho già messi in ordine da tempo ed ho capito che non può funzionare, David. Mi spiace.”
Tira su col naso, si passa una manica sulle guance per pulirsi e scende dalla macchina.
La guardo allontanarsi lentamente da me finché non la vedo entrare nel portone.
Sparita. Andata. Per sempre.
Cazzo.
Forse ho trascorso solo quarti d’ora sotto casa sua dopo essersene andata, ma a me paiono eoni. Mi decido e ingrano la prima diretto verso casa.
Mi do uno schiaffo sulla guancia per riprendermi, ma scoppio in un pianto isterico; temo che non ci sia più nulla da fare dopo mesi da schifo e le ultime settimane ancora peggio: non facevamo altro che discutere sulle banalità ed era sempre lei a tirar fuori l’input della litigata. Ed uscivamo sempre con la compagnia perché da soli non ci sopportavamo più.
Con gli altri funzionavamo, da soli non più.
Ho passato le migliori nottate insonni a riflettere, a pensare ai bei momenti trascorsi insieme, ai primi tempi, a lei. Spesso facevo l’alba, altre volte non dormivo affatto sino al giorno dopo e crollavo miseramente sul letto finché il sonno non mi prendeva placando le mie lacrime furiose. Credo di essere andato avanti così per mesi. Non ricordo. Ho la memoria annebbiata.

“Jay, un altro giro!”
“Dave, è il quinto che prendi! Hai un’aria un po’ malconcia, sai? Forse dovresti ritirarti. Sai che per me è indifferente se il cliente è sbronzo o meno, l’importante è che i soldi vadano in cassa, ma te lo dico da amico.”
“No no, tranquillo, è tutto okay. Un altro, Jay, grazie” dico posando la penultima banconota da cinque sul bancone.
Lui scrolla le spalle mentre scuote la testa, e tutto riparte da zero: bicchiere, bottiglia, ghiaccio, limone, bancone.
Mi guardo in giro e la coppietta è andata via, forse da un pezzo: siamo rimasti io, l’idiota e qualche ragazzo che è entrato senza che io me ne accorgessi.
Intanto la musica comincia a diventare più alta per le mie orecchie, fastidiosa, no da sballo, non lo so neanche io, però mi piace. E’ un misto tra Rock dei ’70 misto alla merda che ci propinano al giorno d’oggi.
“A te.”
“Ah, grazie. Senti ma qui passate sempre le stesse canzoni, vero?”
“Se vuoi te ne metto una. Che vuoi sentire?”
Quella.”
Jay sa. E si acciglia.
“Sai, dovresti smetterla, chiudere quel dannato cassetto e andare avanti. E piantarla anche di spendere il tuo stipendio per alcolizzarti.” Mi fa “Ma te la metto lo stesso, e che sia l’ultima volta, cazzo.”
Gli sorrido sbattendo le ciglia come una puttanella, ma dentro di me sono lercio, e lui se n’è accorto.
“E se proprio ti dà fastidio, smettila anche di venire qui. Non ti rendi conto di quanto sei masochista?”
Scuoto la testa come un bambino.
“Mi fa piacere la tua compagnia” accenno “E poi mi piace il loca…”
“Piantala di raccontarti stronzate Dave, questo locale ti fa schifo. E il mio numero ce l’hai, mi fai una chiamata e chiacchieriamo.”
Intanto mette il cd e scrolla un paio di canzoni fino ad arrivare alla mia richiesta. La canzone parte con una bella parte di piano, la voce inizia ad accarezzarmi le orecchie e lui mi dice le sue ultime frasi prima che io torni al tavolo “Il mio giorno libero ti porto da qualche parte, promesso. E ti faccio conoscere gente. Chissà la pianti di comportarti come un quindicenne.”
Che stronzo, penso. Però ha ragione. Strano che un giovane della sua età la sappia più lunga di un trentacinquenne.
Ecco perché mi piace: è lucido, sveglio e scaltro. E più forte di me.
Seduto nuovamente al tavolo sento il primo ritornello della canzone e penso.
Fa più o meno così:

io avrei dovuto comprarti dei fiori

E tenere la tua mano

Avrei dovuto dedicarti tutto il mio tempo

Quando ne avevo la possibilità

Portarti ad ogni festa

Perchè tutto ciò che volevi fare era ballare

Mpf, come se non lo avessi già fatto un milione di volte. Ma, aspetta, ecco che arriva la parte che mi strazia il cuore ogni maledetta volta:

Ora la mia ragazza sta ballando

Ma sta ballando con un altro uomo

Perché la immagino spesso di rosso vestita, fasciata in vita, mentre volteggia con lo stronzo a Palma de Maiorca, a pochi chilometri dalla Valencia dove si è trasferita con lui. Un flamenco o un Pasodoble, entrambi eleganti e leggiadri, mentre lui la tiene salda tra le sue possenti braccia spagnole.
Ricordo ancora ai tempi in cui venivamo qui, aveva un fisico assurdo e non mi stupisce che lei sia finita ai suoi piedi dopo aver rotto con me.
Spalle larghe, fisico piuttosto scolpito e petto ben curato che lasciava intravedere tranquillamente tenendo sbottonati i primi quattro bottoni della camicia –le prediligeva perché mettevano in risalto i suoi pettorali- e, beh, il resto non lo conosco perché non esponeva più di tanto la sua mercanzia. Ricordo solo che quando si chinava per prendere le birre, i jeans che indossava erano talmente stretti che mettevano in risalto il suo sedere tonico.
Carnagione olivastra, capelli bruni con un ciuffo perennemente eretto, barba presente ma ben curata, occhi scuri come la pece, e un sorriso che avrebbe rubato il cuore a chiunque.
Forse ne ricordo ancora il nome.
Bevo e butto giù, meglio se lo dimentico del tutto quel figlio di puttana.
E pensare che aveva almeno quindici anni più di lei… sorrido al pensiero di una Leah ancora giovane intenta ad occuparsi di lui più anziano.
Avrà imparato lo spagnolo? Boh, lui parlava molto bene la mia lingua, e forse non ce n’è bisogno. O forse le avrà insegnato qualche parola o frase. Forse ora lei padroneggia bene la lingua tanto quanto lui quando era qui.
Quanti anni sono passati?
Forse cinque o sei. O forse molti di più.
Bevo ancora mentre la musica va avanti. Assurdo come il suo potere sia così straziante da penetrarmi nelle ossa. La sua voce accompagnata dal piano mi mette i brividi e sento gli occhi inumidirsi verso la parte finale, dove spera che l’altro riesca ad accontentarla dove lui ha miseramente fallito. Come uomo, come persona, come amante, come partner.
Dannazione.

La triste melodia finisce e parte una carichissima Somebody to Love degli Airplaine.
Mi asciugo gli ultimi lucciconi sperando che nessuno mi abbia visto in lacrime –il mio posto al tavolo è un bene e un male dato che, come io posso vedere tutti, anche loro possono vedere me- e lo strazio si trasforma in una carica assurda nel petto che si espande per tutto il corpo.
Grazie alcohol per essermi accanto e farmi provare queste sensazioni.
Schiocco un bacio al bicchiere e la mezza tequila traballa: sono totalmente di fuori.
Comincio a tamburellare con le dita a ritmo della canzone e forse stono un po’ ma non mi interessa; batto anche il piede sul tavolo e sono talmente esagitato che la tequila fuoriesce dal bicchiere formando pozze tutte intorno.
Non ci posso fare niente: quando sento questa canzone non riesco a contenermi da sobrio, figuratevi quando alzo il gomito.
Finisce il pezzo e la radio si spegne, ma io non me ne accorgo e continuo col ritmo nella mia testa.
Termino con un bell’assolo di dita sul tavolo e apro gli occhi: i rimasti del locale, compreso Jay, si sono affacciati a vedere il trambusto che avevo combinato.
Porto una mano alla nuca e abbasso lo sguardo, un po’ in imbarazzo, ma poi sorrido a tutti giustificandomi con la scusa più banale che esista: “E’ la mia canzone preferita”.
Idiota.
Ma chissenefrega.
Scoppio in una risata.
Jay si affaccia e mi urla che il locale sta chiudendo.
Guardo l’ora e, cazzo, sono le 3,45 del mattino.
Butto giù gli ultimi sorsi di tequila e riporto il bicchiere a lui, tirando altri cinque pezzi da un dollaro per prenderne un’altra.

“Non ci pensare nemmeno!”
“Oooh, andiamo!”
“No Dave. Il locale sta chiudendo.”
“Sta chiudendo, non è chiuso” dico con un tono decisamente sbronzo, ghignando.
O meglio, ci provo a ghignare ma a giudicare dalla sua espressione forse mi è uscita una smorfia.
“Dai Jay, solo l’ultimo” lo supplico.
Mi ignora e si volta a mettere a posto le bottiglie; i bicchieri sono già tutti lavati e al posto della spazzatura c’è una busta nuova. Penso che sono un rompicoglioni perché dovrà lavare anche quest’ultimo bicchiere ma lui mi stupisce e lo caccia sotto al bancone, gli dà una veloce sciacquata e lo mette a posto, al contrario.
“A questo ci penso domani. Dai, andiamo.”
“Una birra…” biascico.
“Dave, sei una pezza.”
“…così non ti sporco nulla…” continuo.
Sbuffa e poi mi guarda dritto negli occhi. Io penso di avergli sorriso stupidamente.
Ne caccia una dal frigo e la stappa, fa per porgermela ed io per prenderla ma la ritira a sé.
“Questa la dividiamo.”
Usciamo dal locale e il freddo mi pervade stranamente, data la quantità di alcohol bevuta sino ad ora.
Ci sediamo su una panchina poco vicina dal locale ed io mi aggroviglio su me stesso incrociando le braccia al petto.
Jay intuisce e mi passa la sua giacca mentre fa sbucare fuori una Lucky Strike rossa dal pacchetto e se la porta alla bocca.
“Grazie…”
Dà una boccata e mi dice che non devo preoccuparmi.
“Piuttosto, che ne pensi di cambiare stile di vita e smetterla di venire a quel cazzo di locale? Lo odio perfino io!”
E scoppiamo entrambi a ridere.
“Dave, davvero. Datti una ripulita; sei un bell’uomo, anche rispettabile, ma se continui così mandi tutto a puttane.”
Mormoro qualcosa che non capisco nemmeno io.
Mi passa la bottiglia e sorseggio qualcosa; ammetto che ora questo sapore mi fa schifo e gliela rendo indietro. Lui fa un lungo sorso.
“Lasciati i fantasmi del passato alle spalle e ricomincia a vivere. Qual è il problema? Non funzionava, okay? Non c’è da farsene una colpa, specie dopo tutto questo tempo. Pensa, piuttosto, a come renderti felice e autonomo” fa una pausa e tira ancora la sua rossa “proprio come ora lo è lei.”
Mi volto a guardarlo. Risulto strano e me ne rendo conto ma è come se improvvisamente mi avesse aperto gli occhi. Continuo a stupirmi di quanto questo ragazzo la veda lunga.
“Sai a quante persone capita… Non sei il primo né l’ultimo a cui è successa una cosa del genere, dunque non vedo perché farne un dramma.”
“Sì. Hai ragione. Ma spesso mi prende un po’ questo pensiero e scacciarlo via è difficile. Lo sai, eh? Ecco perché metto a tacere la mia testa mettendomi a bere.”
“Ma quanto spendi a sera? Cinquanta dollari in alcohol? Renditi conto che è un meccanismo malato e perverso e non te lo puoi permettere. Quanto ti pagano al mese? Settecento? Senti a me, per una donna, non ne vale la pena.”
“Lei ne vale la pena. Lei era… è… Se penso che è andata via con Sal ed ora vivono felicemente in Spagna io…” non riesco a contenermi e scoppio a piangere come un bambino. Singhiozzo, dei lacrimoni mi scendono giù come cascate sulle guance e gemo di dolore: sono incontrollabile.
Sento Jay inspirare.
“Dave, fa malissimo, va bene? Ma è passato così tanto tempo che è assurdo quanto ridicolo che tu abbia ancora questo risentimento nei loro confronti. Lei è felice rispetto a te, vive fuori ed ha un partner con cui sta bene. Tu cosa hai? Niente.”
Mi sfugge un urlo disperato tra le lacrime.
“Ehy ehy, stavo dicendo che devi chiudere con il passato e andare avanti. Che ti frega di lei? Eravate quasi bambini quando stavate insieme, non puoi asserire che fosse quella giusta. Non struggerti l’anima per una storia. Come si chiude una possibilità se ne aprono altre cento a ventaglio sotto al tuo naso, e neanche te ne accorgi.”
Mi intima di asciugarmi gli occhi anche con la sua giacca perché non vuole vedermi così.                                                                                                                                                                                                                                           
“Insomma tutto quel casino che hai creato alle 3 di notte a causa di quella canzone…? Eh?” mi fa sorridendo e dandomi una spallata.
Ridacchio al pensiero e borbotto che è stato complice l’alcohol. Annuisce sommesso, scola la sua birra e ci butta la sigaretta dentro. Poi mi dice che ne vede di tutti i colori il sabato sera, alcuni hanno anche dei comportamenti peggiori dei miei.
“…Oltre al fatto che ad una certa ora quel luogo viene scambiato per cesso pubblico e la gente ci viene solo a pisciare. Non ti dico cosa ci trovo quando vado a pulire perché potresti dare di stomaco” continua a ridere.
Rido anche io. Mi fa piacere stare in sua compagnia, adesso: mi sento meglio e i brutti pensieri cominciano a fluire lasciando il posto alla canzone di prima, e riprendo a tamburellare.
Lui intuisce e intona le prime strofe e scoppiamo a ridere, siamo un tutt’uno alle 4,30 del mattino; se ci buttano una secchiata d’acqua gelida addosso hanno tutti i motivi per farlo.
“Insomma, dici che devo ricominciare?”
“E ci pensi anche? Certo che devi. Intanto datti un tono e fatti la barba. Se vuoi ti dò una mano.”
Uhm.
“E poi ti presento a tante belle ragazze. Dico, hai visto quanti numeri in sole tre ore? E cazzo, ora che ci penso a quest’ora mi starei fumando la sigaretta post sesso al fianco di quella Beth ma tu, brutto stronzo, mi hai trattenuto.”
Ridiamo entrambi.
“Quand’è il tuo giorno libero, hai detto?”
“Tra un paio di giorni, a meno che non mi incastrino e mi piazzano il doppio turno. In quel caso slitta a domenica.”
“Okay” faccio io, cominciando a sentirmi sicuro di me.
Cazzo, da quando non provavo questa sensazione di benessere?
“Allora ci sentiamo in questi giorni, intanto prometto di darmi una ripulita” dico.
Mi alzo dalla panchina e faccio per avviarmi verso casa quando lui mi frena e si propone di riaccompagnarmi vedendomi ancora lercio di alcohol.
“Nah, non preoccuparti, sto molto meglio. Anzi, grazie” E mi congedo.
Sento un saluto dalle spalle e mi incammino nel freddo gelido di febbraio.
Ho ancora gli Airplane in testa e mi sento davvero meglio, sono sincero con me stesso.
Nel tragitto mi rendo conto di quanto io sia stato stupido per tutto questo tempo nel dare ancora filo alla mia ultima rottura. Cazzo, ci voleva un ragazzino di ventisei anni ad aprirmi gli occhi. Me ne stupisco per la terza volta e penso che abbia ragione.

Chiudere i cassetti, lasciare i fantasmi del passato alle spalle e guardare, finalmente, avanti.
Una nuova vita, una nuova storia, un nuovo me, al meglio di me stesso.


Barcollando me la canticchio in testa, finché non arrivo alla toppa della porta e giro le chiavi.
Accendo le luci e mi fiondo in bagno e seguo il consiglio di Jay: schiuma da barba, lametta e allume.
Mi guardo, mi piaccio e l’immagine nello specchio mi sorride.
Prendo i miei abiti sdruciti e vecchi e li metto in una busta, la chiudo e la spingo fuori alla porta.
Da oggi si riparte da zero.
Da oggi ricomincerò a vivere.
   
 
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