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Autore: releuse    08/05/2009    4 recensioni
C'era qualcosa che Ken Wakashimazu aveva perso. Qualcosa che gli impediva di giocare, qualcosa che il principe di vetro possedeva. "Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto. Atterrito dai suoi occhi decisi." Fanfiction interamente rivista, corretta e modificata. La trama di base è la stessa, ma arricchita con nuovi dialoghi, descrizioni e situazioni.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qui, a 15 giorni dalla laurea posto questo penultimo capitolino della mia ff, almeno ho l’animo in pace!^__^  perchè nei prossimi giorni sarò impegnatissima col discorso e lo studio della tesi;)
Sono davvero felice di essere arrivata qui con questa storia, di essere riuscita a modificarla tanto, dando finalmente ai personaggi lo spazio che si meritavano! Ringrazio soprattutto voi tutte ragazze che mi seguite, leggete e aspettate questi capitoli, vi voglio bene!! >////<
Kara, Mel, Eos, Haley, Ichigo, Nene e chiunque segue la ff!

Anche questo capitolo ha avuto un betaggio incrociato, mi sento onorata>////< Grazie Millissime a Ichigo e Berlinene per il loro lavoro nonostante tutti gli impegni! Siete uniche!

Ora vi lascio alle penultime battute... come andrà a finire fra il Kennino e Junnino? Fra il Balsamo (e non quell’altro soprannome, Kara >________<) e il Principe? Mah....


A voi... Buona lettura!





Il Cuore e il Pallone
VII Capitolo
Di releuse


Dopo l’ultima volta io e il principe non c’eravamo più scambianti nemmeno una parola, neppure una frase formale o un semplice cenno di saluto.

Entrambi riuscivamo abilmente ad evitarci, in ogni situazione, ad esempio entrando negli spogliatoi quando l’altro era già uscito, oppure evitando di trovarsi nello stesso gruppo. Sembrava fossimo riusciti a creare una sorta di equilibrio, talmente artefatto da risultare paradossalmente vero, eppure, sia io sia Jun sapevamo bene che si trattava solo di una falsa quiete, che stavamo camminando su una fragile lastra di cristallo pronta ad infrangersi e a ferirci da un momento all’altro. Quando eravamo a poca distanza, l’uno di spalle all’altro, avevo l’impressione che l’aria temesse i nostri movimenti e si acquietasse, fermandosi insieme al tempo.

Ormai il nostro rapporto aveva subito un corto circuito e niente sembrava più in grado di poterlo risanare: sapevamo che il minimo passo falso avrebbe rischiato di bruciarci entrambi e nessuno voleva correre quel pericolo. Preferivamo perciò che le giornate scorressero in quel modo, lasciando evaporare lentamente quel qualcosa che si era creato fra noi, senza cercare di afferrarlo, come se la cosa non ci toccasse.

Sembrava che, all’improvviso, il vulcano si fosse spento, ma, sotto i nostri piedi, in profondità, la terra continuava a tremare.


L’atteggiamento assunto da Jun non mi convinceva. Il principe era tornato ad indossare la sua maschera di vetro, quella attraverso la quale osservava la realtà circostante, evitando, però, di esserne coinvolto. Eppure... il suo sguardo non era più lo stesso, sul suo volto non c’erano più la medesima lucidità e la pacata freddezza di un tempo. Se prima Misugi usava quella maschera per studiare minuziosamente la realtà ed intervenire in essa con la migliore tattica possibile, ora avevo l’impressione che quella stessa maschera fosse diventata uno strumento per proteggersi dalla realtà stessa e sfuggirle. Per gli altri poteva tranquillamente apparire il Jun Misugi di sempre, il gentile e determinato numero ventiquattro della Nazionale, ma loro non lo conoscevano davvero, loro non sapevano quanto gli occhi del principe fossero in grado di dominare e di atterrire, di inchiodarti a terra privandoti della capacità di reagire, eppure capaci, allo stesso tempo, di placare qualsiasi inquietudine. Quello che c’era sul suo volto, ora, era l’espressione del vuoto più assoluto.

No, non era più Jun Misugi la persona che afferravo con i miei sguardi clandestini.

Già, perchè lo osservavo, dopotutto, il principe del calcio. Non potevo farne a meno ed usavo qualsiasi metodo larvato per evitare che lui se ne accorgesse. Anche se, ogni volta che coglievo la sua immagine, venivo travolto da una sensazione dolorosa e frustante, da un profondo senso di colpa. Quella era la mia punizione per averlo spinto fino a quel punto.

Quante volte sentivo riecheggiare nelle mie orecchie quella domanda, che il principe aveva formulata in ben due occasioni:

“Cosa vuoi da me, Wakashimazu?”  

Troppe volte, invece, mi ricordavo di non aver saputo rispondere e di aver taciuto, fino alla fine. Ed era per questo che avevo deciso di stare al suo gioco e di evitarlo: per non infierire oltre. Ma la spugna, no, non l’avevo ancora gettata. Il mio atteggiamento di distacco era ora motivato dal desiderio di capire che cosa volessi da lui, che cosa mi legasse alla sua persona.

Perchè avevo sentito il bisogno di baciarlo, quella sera alla pensione, davanti alla sua porta?

Da quando lui non mi stava più vicino era come se avessi perso la mia stabilità interiore, come se avessero strappato al mio corpo il suo centro di gravità, lasciandomi vittima di uno sproporzionato senso di vuoto.

E perchè, quando mi allenavo con lui sentivo un irrefrenabile bisogno di giocare?

C’era solo un momento in cui il mio equilibrio ritornava ed era quando, sul campo, sentivo lo sguardo di Jun posato su di me. Sapevo che dalla panchina il principe mi guardava, seguendo ogni mio movimento, dalle gambe che si davano lo slancio, alle mani che afferravano o respingevano il pallone. Gli allenamenti erano l’unico momento in cui lui poteva puntarmi gli occhi addosso senza suscitare alcun sospetto, senza dovermi dare alcuna spiegazione o soddisfazione, perchè comunque lui rimaneva sempre l’allenatore in seconda e aveva il dovere di osservare i giocatori. Ma io sapevo che, nonostante tutto, non poteva farne a meno.

Ed io stesso non vedevo l’ora di stare sul campo per essere valutato da lui.

Perchè il sentire il suo sguardo puntato addosso mi caricava, avevo come l’impressione di possedere una nuova forza, ero in grado di concentrarmi maggiormente. Le riconoscevo: quelle erano le stesse sensazioni che avevo provato durante gli allenamenti con lui, quando le mani prudevano e il corpo fremeva  per il desiderio di giocare. Quando volevo dimostrargli di essere il migliore.

Ed ogni giorno, durante gli allenamenti con la Nazionale, tali sensazioni si riproponevano, come quella volta. Tutta la squadra era in fermento, i miei compagni sembravano talmente carichi che, in quel momento, avrei giurato potessimo vincere qualsiasi partita. L'aria era tiepida, ma a causa dell'intenso sforzo fisico a cui eravamo esposti sembrava quasi torrida, come in piena estate. Sentivo il corpo accaldato, il respiro pesante, la gola completamente secca ed intanto udivo sul campo le voci dei ragazzi mescolarsi chiassose.

Poi più nulla, c’era solo Hyuga nel mio campo visivo, pronto a tirare in direzione della porta e, dalla sua foga, non sembrava volermi risparmiare. Nel giro di un istante il mio sguardo attraversò fulmineo le panchine alla ricerca di Misugi e subito lo individuò. Vidi che mi stava fissando. Non so se il principe riuscì a notare il sorriso che increspò le mie labbra, o a leggere le parole pronunciate senza voce.

“E ora stai a vedere, Jun”

Mi concentrai nuovamente su Kojiro che stava per tirare, focalizzandone ogni minimo movimento, il piede, il calcio, il pallone che, potentissimo, si avventava nella mia direzione. Infine balzai verso destra, riuscendo ad afferrarlo, bloccandolo, sentendo i palmi delle mani bruciare per la potenza che il capitano gli aveva impresso. Cavolo, c’era andato davvero pesante.

“Hai visto, Jun?”

“Hei capitano!” Gridai, rialzandomi. “Sei sottotono oggi, eh?” Scherzai, rivolgendogli un sorrisetto beffardo.
“Tsk, non darti troppe arie, Wakashimazu!” Il capitano rispose alla mia provocazione con un sorriso ironico, prima di voltarmi le spalle ed allontanarsi.

Intanto sul campo era calato il silenzio, vedevo i visi dei miei compagni stupiti e sorpresi. Poi, all’improvviso, un’esplosione si voci si scatenò da tutto il campo.

“Grande, Wakashimazu!”

Vedere i compagni così entusiasti mi riempiva di gioia e soddisfazione. E poi... cos'era quell'intenso battito che percepivo nel petto? Lo sentivo vibrare per tutto il corpo, sembrava scorrere nelle vene insieme al sangue... eppure non era il semplice affanno dovuto alla fatica e allo sforzo, no! Era divertimento, sì il calcio era nuovamente un gioco divertente per me. Ed era anche emozione, che avrei voluto condividere con lui.

“Il calcio è passione, Ken...”  

Eccole, all'improvviso, le parole di Jun riaffiorare nella mia testa.

E il cuore cominciò a battere ancora di più. Lentamente rivolsi lo sguardo verso Misugi, notando che il suo era sempre fisso nella mia direzione, ma i suoi occhi, ancora una volta, non lasciavano trapelare alcuna emozione. Vidi il mister Mikami rivolgergli la parola, probabilmente gli stava facendo qualche osservazione sull’ultima azione e notai lui annuire, sfoggiando un’espressione allo stesso tempo fredda e serena, frutto di quell’equilibrio paradossale che entrambi ostentavamo di aver raggiunto.

Eppure dentro di me qualcosa stava iniziando a cambiare...

Poi arrivò il giorno in cui anche il principe scese in campo.

“Preparati, Misugi!” Aveva detto Mikami, un attimo prima di iniziare gli allenamenti. “Oggi ti allenerai anche tu!”
“Va bene, mister!” Aveva esclamato Misugi, avanzando di un passo e nel suo sguardo lessi un intenso desidero di giocare. Già, doveva essere stanco di rimanere in panchina ad osservare i suoi compagni, senza poter giocare con loro.

“Ken... hai presente la frustrazione che provi nello stare in panchina, quella sensazione di impotenza che ti dilania dentro, perché non puoi essere in campo con i tuoi compagni?”

Sussultai impercettibilmente nel ricordare quelle sue parole.

“Ehi, tutto bene?” No, qualcuno aveva notato il tremore del mio corpo e quella voce bassa apparteneva a Hyuga.
“Sì, capitano, tranquillo...” Gli risposi, sforzandomi di sorridere.

Poi Mikami ci diede le formazioni per quella partita di allenamento e, ancora una volta, io e Misugi ci trovammo l’uno di fronte all’altro: rivali. Jun entrò fin da subito in campo con la raccomandazione di uscire non appena avesse avvertito un po’ di stanchezza. Ma, se conosceva bene il principe, il mister avrebbe dovuto sapere che abbandonava il campo solo quando era allo stremo delle forze.

La partita si accese fin dalle prime battute, dalla mia parte avevo compagni dotati di grande talento tattico come Matsuyama, Misaki e Nitta, sul fronte avversario imperversavano invece giocatori del calibro di Hyuga, Sawada, Jito e lo stesso Jun. Non potevo negare che ogni azione del principe era in grado di catturare facilmente la mia attenzione, non potevo impedirmi di ammirare l’eleganza dei suoi movimenti, quando intercettava la palla o dribblava gli  avversari e la precisione dei suoi passaggi.

“Forza, ragazzi!” Gridò Misugi, dopo essere riuscito a fermare Matsuyama pericolosamente vicino alla loro porta ed aver effettuato un passaggio in direzione di Izawa. “Avanzate!” Incitò ancora.

E solo in quel momento me ne resi conto: Jun non si era ancora avvicinato alla mia porta, neppure una volta. Stava giocando egregiamente, difendendo con una precisione impeccabile, ma non aveva mai superato la metà campo, trincerandosi dietro un ruolo esclusivamente difensivo. Ogni tanto lo vedevo avanzare e sembrava che finalmente avesse deciso di mettersi in gioco, ma, all’improvviso, il suo passo si arrestava e vedevo l’indecisione attraversare il suo sguardo. L’indecisione, per la prima volta negli occhi di Jun Misugi, mentre fissava quella linea di metà campo come se lo separasse da una voragine troppo profonda o da un terreno paludoso che avrebbe potuto inghiottirlo.

No, non sei più tu, Jun.

Poi un passaggio perfetto di Hyuga, messo alle strette dai nostri difensori.

“Vai, Misugi!” Il grido della Tigre che voleva vincere.

Vidi Jun stoppare il pallone di petto e poi lanciare ancora una volta lo sguardo a quella linea maledetta, ma solo per una frazione di secondo. Con uno scatto felino, il principe superò la metà campo, cominciando a correre, superando abilmente gli avversari, vincendo finalmente la battaglia dentro di sé. Ora sì che riconoscevo il principe e la sua determinazione.

Non potevo dimenticare quanto Jun amasse il calcio: non si sarebbe più fermato di fronte a nulla, tanto meno me.

Forza, avanza, principe del calcio.

Stava per arrivare, era sempre più vicino ed io sentivo il sangue ribollirmi nelle mie vene, il gusto della sfida farsi strada nel mio corpo. Potevo finalmente vedere gli occhi di Jun puntati su di me e percepire la sua rabbia, mentre avanzava; sapevo che ce l’avrebbe messa tutta pur di sconfiggermi. Entrambi ci sentivamo allo stesso tempo preda e predatore e, quella, era la nostra personale battaglia.

Lo vidi avvicinarsi, ancora, servire all’improvviso un passaggio a Hyuga, ormai smarcatosi, che sembrava voler tirare in porta. Ma ecco Misaki andargli incontro, mandando in fumo i suoi propositi. Kojiro, tuttavia, non si fece cogliere impreparato e, con grande velocità, riuscì ad effettuare nuovamente un altro passaggio, ancora una volta in direzione di Misugi, ormai vicinissimo alla porta.

La palla era ancora in aria quando Jun la raggiunse, calciandola al volo, dandole quel particolare effetto che solo lui e Tsubasa erano in grado di imprimerle. Sorpreso da quel tiro in aria, mi lanciai in ritardo, vidi il pallone superare la mia mano prima che potesse raggiungerlo, e dirigersi a tutta velocità verso la porta.

Io ero ancora a terra, quando alzai lo sguardo per capire che cosa fosse successo: la palla non era entrata in rete, aveva colpito la traversa, finendo in fallo laterale.

Tutti i compagni ed io stesso rimanemmo senza parole per quel tiro sbagliato, non era da Misugi.

Jun stava immobile, con le labbra schiuse e lo sguardo fisso confusamente verso la porta. Poi, lo vidi abbassare la testa, mentre le sue mani si stringevano in un pugno nervoso.

Come se fosse stato sconfitto dai suoi stessi sentimenti.

 Non disse una parola e, dandoci le spalle, cominciò ad avanzare verso l’uscita del campo.

Cos’era quell’angoscia che sentivo dentro?

 In quello stesso momento notai che Misaki, a poca distanza, mi guardava incerto, indeciso. Sembrava si aspettasse... qualcosa. Fu poi lo stesso Taro a correre verso Misugi, alzando un poco il braccio, cercando di fare quello che avrei terribilmente desiderato poter fare io.  

Il principe, a quel tocco, si fermò sul posto, ma la mano che si poggiò sulla sua spalla, bloccandolo, non fu quella di Taro, bensì la mia.

Avevo agito quasi senza accorgermene, d’impulso, colto da un forte desiderio di fermarlo, di non lasciarlo andare via in quel modo e le gambe si erano mosse da sole. “Misugi...” Riuscii solo a pronunciare il suo nome, senza sapere cos’altro dire. Credevo mi avrebbe strattonato il braccio, scansandomi bruscamente, come l’ultima volta, invece Jun si voltò, lento, rivolgendomi uno sguardo totalmente assente ed appannato, come se non riconoscesse chi aveva di fronte.

“Misugi, stai bene?” C’era Misaki al mio fianco che guardava con grande preoccupazione il compagno di stanza.

“Sì, Misaki, stai tranquillo...” Jun si voltò nella sua direzione e rispose con un sorriso, portandosi una mano sul petto ed afferrando un lembo della maglietta, stringendola con forza. “è solamente... il cuore...”

Ed il suo era un sorriso sofferto.

Poi Jun ci diede nuovamente le spalle avanzando da solo, infine raggiunse il mister e dopo aver scambiato con lui qualche parola si allontanò, ancora, in direzione degli spogliatoi. Non distolsi lo sguardo fino a che Misugi non sparì dal mio campo visivo e fissai il punto in cui era scomparso ancora per qualche secondo.

“Beh... mi sembra giusto... basterà far finta di niente...”

D’improvviso le parole di Jun mi travolsero, scuotendomi con violenza. E fu come se una voragine si fosse aperta sotto i miei piedi: il vulcano si era infine svegliato. In quel momento l’equilibrio che avevamo faticosamente creato si infranse, costringendoci a riconoscere la sua inconsistenza, il suo essere un semplice e fragile castello di sabbia.

Misaki, intanto, mi lanciò un’occhiata indecifrabile, prima di tornare sul campo e riprendere il gioco.

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La sera stessa, durante la cena, l’episodio accaduto nel pomeriggio sembrava ormai qualcosa di lontano. Misugi era seduto insieme ai ragazzi della Nankatsu, parlava con loro in tutta tranquillità, scherzando e sorridendo. Quando era entrato nella sala da pranzo dell’albergo, la maggior parte dei ragazzi gli era andata incontro per chiedergli come si sentisse e anche Hyuga si era avvicinato.

“Come stava Misugi?” Domandai al capitano, al suo ritorno, cercando di nascondere tutta la mia preoccupazione.
“Mah, meglio...” Rispose Hyuga, mentre prendeva posto al mio fianco. “Sembra non si sentisse bene questo pomeriggio, ha ammesso che forse doveva evitare di entrare in campo... deve starci attento o rischia di sentirsi male come quella volta...”Aggiunse Hyuga, scrollando le spalle, rassegnato a quell’atteggiamento del compagno. Anche lui, infatti, aveva avuto modo di conoscere la determinazione di Misugi sul campo, sapeva bene che il principe era il tipo da giocare fino allo stremo delle forze. Probabilmente aveva ancora impressa nella sua mente la partita in cui Misugi, dopo uno scontro diretto con lui, era crollato sul campo, colto da un malore.

Quando il principe entrava in campo solo il suo cuore era in grado di fermarlo.

“Già... non impara mai...” Risposi, tanto per dire qualcosa, anche se sapevo bene che quella volta non era lo stesso.

Non era certo quel cuore a fare male a Jun...

Ero contento che Jun fosse sceso per cena, nel pomeriggio, infatti, avevo temuto il contrario. A guardarlo così, da lontano, Misugi sembrava davvero tranquillo e vederlo ridere in quel modo alle buffonate di Ishizaki mi rasserenava.

“Io non lo trovo divertente. Quello deve sempre fare l'idiota.” Sbuffò Kojiro, addentando poi un pezzo di pane. Probabilmente aveva afferrato qualche battuta di Ryo.
“Ma dai capitano, non dire così.” Lo rimproverò benevolmente il povero Takeshi. “Ogni tanto fa bene ridere!”

Mi venne da sorridere per quel loro scambio di battute anche se, in quel momento, avrei preferito essere nel gruppo della Nankatsu, possibilmente vicino a Jun. Ormai non smettevo più di guardarlo, troppo spesso lanciavo occhiate nella sua direzione per cercarlo, osservare l’espressione del suo viso, ascoltare le sue parole. Era come se il disagio che avevo provato fino a qualche giorno prima nei suoi confronti stesse lentamente scomparendo.

... ed insieme ad esso la vergogna di essere attratto da lui...

Volevo guardarlo, volevo che mi guardasse, desideravo talmente tanto parlargli da sentirmi il cuore scoppiare ogniqualvolta mi era vicino, come in quel momento, che stava qualche posto più in là. Ma era difficile, davvero. Perchè quando Misugi incrociava il mio sguardo assumeva d’un tratto un’espressione infastidita, non voleva che lo guardassi, lo sentivo. Subito, poi, tornava ad essere quello di sempre, levava lo sguardo, finendo per ignorarmi. In quei momenti continuavo a chiedermi se sarei mai riuscito a chiarirmi con lui...

“Ehi, Ken, perchè non gli parli?”
“Cos...” La domanda a bruciapelo di Takeshi mi colse impreparato.
“Continui a fissare Misugi, se sei preoccupato per lui avvicinati e chiedigli come sta, no?” M’incoraggiò Sawada, sorridendo, pensando probabilmente che la mia fosse una reazione da buon compagno di squadra.
“Non... non ho grande confidenza con Misugi... io e lui non siamo neppure amici.” Risposi, nascondendo l’amarezza che mi pervadeva nel ripetere quelle parole che pochi giorni prima era stato Jun a rivolgermi.
“E che c’entra! Siete pur sempre compagni di squadra, no?” Takeshi non capiva, no, non poteva capire.
“Già, compagni di squadra...” Ripetei, sovrappensiero, quando d’improvviso notai lo sguardo di Misaki nella mia direzione.

Ci fissammo per alcuni istanti ed ebbi l’impressione che cercasse di attirare la mia attenzione.

Da quanto tempo mi stava guardando?

“Ehi, Taro, tutto bene?” D'un tratto la voce di Morisaki lo fece voltare nuovamente da loro.
“Sì, certo, scusatemi, mi sono distratto, dicevate?” Misaki risolse la situazione con uno dei suoi sorriso gentili, tornando a chiacchierare con i compagni.

Nel corso della serata più volte i nostri sguardi continuarono ad incrociarsi ed io ebbi sempre la medesima sensazione: possibile che Misaki volesse dirmi qualcosa? Lui era il compagno di stanza di Misugi e se Jun gli avesse detto... no, non era possibile. Non l’avrebbe mai fatto, tentai di convincermi, non avrebbe mai parlato di noi.

D’un tratto fui colto da un improvviso giramento di testa, una sorta di confusione che mi stordì per qualche istante, causandomi fastidiosi sibili alle orecchie. Ero stanco, me ne rendevo conto, sfinito da un insieme di cose: gli allenamenti, nei quali concentravo tutte le mie energie, molto più del solito, tenendo altissima la concentrazione; Jun... e tutto quello che comportava. Era normale che a fine serata avessi le batterie scariche.

 “Vado in bagno!” Dissi ai miei due compagni, mentre mi alzavo, convinto che una bella rinfrescata al viso mi potesse aiutare.

Mentre mi allontanavo, sentii nuovamente lo sguardo di Misaki seguirmi.

Stavo ancora pensando allo strano comportamento di Misaki, quando aprii distrattamente la porta, scoprendo che, intento a lavarsi le mani, stava proprio Jun. Il principe, nel vedermi, mi lanciò un’occhiata infastidita, probabilmente credeva lo avessi seguito. Io rimasi immobile sulla porta per qualche istante, incredulo, così distratto dai pensieri riguardanti Taro da non accorgermi che il principe si fosse alzato dalla tavola.  
Cercai di riprendermi dalla sorpresa iniziale, quindi chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai ai lavandini, tentando di rimanere calmo. Vidi il principe fissare intensamente lo specchio che aveva di fronte, ignorandomi con ostinazione. A pochi passi da lui, aprii il rubinetto lasciando che l’acqua scorresse, ancora e ancora, così come i pensieri che in quel momento fluivano nella mia testa. Cosa fare? Ignorarlo, sciacquarmi il viso ed allontanarmi, oppure cercare di parlargli? Jun continuava a stare immobile, fisso sullo specchio e se anche io lo guardavo attraverso di esso, lui non accennava a muoversi e faceva finta di non essersi accorto di niente.

Non ne potevo più, d’un tratto chiusi con forza il rubinetto, l’acqua smise di scorrere ed io mi voltai da lui. “Senti, Misu...”Non avevo ancora finito di parlare, che una voce mandò in fumo i miei propositi.“Ehi, portiere! Stai facendo faville, eh, in questi giorni?”

Shun Nitta era di fianco a Jun e io non l'avevo notato.

“Eh, nulla di eccezionale, mi sembra di fare il solito!” Risposi, alzando le spalle e cercando di sorridere.
“Ma guardalo!” Esclamò Nitta, guardandomi poco convinto. “Fa pure il modesto! Io, invece, penso che tu sia in gran forma questo periodo, non trovi anche tu, Misugi?”

Sussultai a quella domanda: Misugi interpellato su di me? Andiamo bene, pensai.

Inaspettatamente Jun si mosse, sciogliendosi dalla sua posizione rigida, come una statua che, all’improvviso, avesse preso vita. “Si, è vero. Ho notato dei progressi... eh, Wakashimazu?” Sorrise gentile, come quando era con Misaki il primo giorno del ritiro ed io, nel vedere ancora una volta quel sorriso dannatamente falso, sentii una lama trapassarmi il petto.

 “Beh, mi sto impegnando...”Risposi, lottando disperatamente contro sensazioni dolorose, contro il desiderio di afferrargli le spalle e gridargli di smetterla con quell’atteggiamento “non ho fatto grandi cose.”  

“Secondo me stai facendo qualche allenamento segreto al dojo della tua famiglia!” Insistette Nitta, lanciandomi uno sguardo sospettoso, nel tentativo di farmi sputare il rospo.
“Mah, può darsi!” Lo stuzzicai senza volerlo, anche se avrei preferito cambiare discorso.
“Però devi ancora provare uno dei miei tiri, Wakashimazu. Non sono di certo facili da parare! E se ce la farai mi sa che dovrò iscrivermi anche io al karatè, eh, eh!” Aggiunse spavaldo Nitta, quasi sbeffeggiandomi, mettendo in mostra i suoi canini affilati, dandomi un amichevole pugno sul fianco, mentre si avviava alla porta.
“Sono qui ad aspettarti, Nitta! Quando vuoi preparati alla sconfitta, e ricordati questa scommessa, allora!” Gli risposi, guardandolo con finta aria di sufficienza.

“Va bene! Mi piacciono le sfide!” Ironizzò infine l’attaccante.

Come Nitta chiuse la porta, percepii l’aria caricarsi nuovamente di tensione. Non ebbi il coraggio di voltarmi subito ma, appena lo feci, con la volontà di parlare davvero a Jun, la porta si aprì di scatto sbattendo sul muro.

“Aaah! Che mangiata ragazzi!” Ishizaki era entrato in bagno non proprio delicatamente, insieme a lui c’era Hiroshi Jito. Sospirai rassegnato, di certo parlare nei bagni non era la soluzione ideale.
Cogliendo l’occasione, Jun si asciugò velocemente le mani sotto il diffusore di aria calda ed uscì, rapido, senza degnare nessuno.

Per un attimo, fra me e i ragazzi calò il silenzio.

“Ma aveva qualcosa?” Ishizaki mi guardò interrogativo.
“No, non saprei.” Risposi, come se non mi fossi accorto di nulla, cercando di essere il più convincente possibile.
“Ah, va bene!” Esclamò lui. Fine della sua preoccupazione.

Intanto uscii anche io, incamminandomi a passo lento per il corridoio che conduceva alla sala da pranzo. Ero davvero stanco... in tutti i sensi. Non sapevo più che fare, non riuscivo a trovare una via d’uscita da quella situazione ogni giorno più pesante. Jun aveva alzato un muro nei miei confronti e non sembrava intenzionato ad abbatterlo; io, invece, mi sentivo disarmato e sfinito da quel suo atteggiamento, non sapevo più in che modo affrontarlo.

Che la soluzione fosse davvero dimenticare tutto? Sparire definitivamente dalla vita di Jun, cancellarlo a mia volta... no, non era quello che volevo. Io...

Mentre rientravo nella sala da pranzo, vidi Misaki avanzare nella mia direzione, sorridermi e farmi un cenno di saluto. Poi mi superò, con la massima naturalezza, dando l’impressione di essere sovrappensiero... eppure udii chiaramente quelle parole sussurrate:

“Stasera, alle 11, nel giardino dell’albergo...”
***

Quella notte il cielo era davvero limpido. Le nubi che avevo intravisto durante la giornata erano scomparse, lasciando il trono alla luna calante che lottava per non morire definitivamente in quel manto stellato. Mentre l’osservavo, scendendo le scale dell’entrata dell’albergo, cominciavo a sentirmi particolarmente irrequieto ed agitato, forse perchè non sapevo bene cosa aspettarmi dall’incontro con Misaki. Ero uscito dalla mia stanza senza dire niente ai ragazzi, approfittando del momento in cui Hyuga si faceva la doccia e Takeshi leggeva concentrato un libro; volevo evitare domande alle quali non avrei potuto rispondere, creando ulteriore sospetto nei miei compagni.
Sospirai, continuando ad avanzare verso il giardino, lungo quel tratto in cui giorni prima avevo incontrato Jun, scosso ad ogni passo da brividi che non sapevo riconoscere se generati dall’aria fresca o dalla mia inquietudine.

Poi, all’improvviso, intravidi Taro Misaki seduto su una panchina, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il viso sopra le mani: mi stava già aspettando e chissà da quanto. Non appena si accorse della mia presenza mi salutò con un sorriso gentile, com’era nei suoi modi. Io gli risposi con un cenno della mano, sedendomi accanto a lui, lasciando che il peso accumulato nelle gambe durante quel breve tragitto allentasse, facendomi sentire più leggero.

I primi secondi li passammo così, in silenzio, guardando un punto fisso di fronte a noi, mentre continuavo a chiedermi per quale motivo Taro mi avesse chiesto di vederci. Io e lui non avevamo grande confidenza, sì, avevamo giocato insieme ai tempi del Meiwa, ma anche lì lui se n’era andato ben presto e poi aveva legato più che altro con Sawada. Nelle successive occasioni ci eravamo sempre incontrati come rivali, a parte i ritiri con la Nazionale. Ora, invece, una cosa c’era ad accomunarci: lui era il compagno di stanza di Jun e qualcosa mi diceva che il motivo di quell’incontro fosse proprio...

“Sei molto agguerrito questo periodo, eh?”Esordì Misaki, improvvisamente, sorridendo ancora.
“Come?” Domandai, stupito.
“Sì, sul campo! Ti trovo molto bene, ho come l’impressione che tu ti stia impegnando con grande tenacia e i risultati si vedono...”
“Sì... in effetti mi sto impegnando molto” Ammisi, pensando a tutto quello che il mio impegno significava. “Voglio vincere l’amichevole con la Francia a tutti i costi!” Continuai, mostrando sicurezza, come per creare uno scudo difensivo. “Voglio, anzi, devo dimostrare le mie capacità, la mia bravura...”
“E lo fai... per Misugi?!”

Persi all’improvviso le parole nell’udire quella frase quasi sussurrata di Misaki; non capii se la sua fosse una domanda o una constatazione. Lo guardai, spiazzato.

“Ho notato...” Cominciò Misaki con un grosso respiro, “che ad ogni azione, ad ogni parata o anche quando subisci un goal, cerchi lo sguardo di Misugi...”

Trattenei il fiato, in preda all’agitazione per come mi stesse mettendo a nudo. Turbato nel profondo.

“Sembra quasi che tu cerchi la sua approvazione,” continuò Misaki “che tu voglia dimostrargli qualcosa, essere visibile ai suoi occhi...”

Ero... confuso dalle sensazioni che le parole di Misaki mi stavano suscitando, messo alle strette dalla loro cruda veridicità. Ogni giorno, sul campo, io cercavo Misugi, sempre: volevo che mi guardasse, che mi notasse, che si rendesse conto della mia presenza. Più lui era freddo e distante da me, più io cercavo di rendermi visibile ai suoi occhi, non volevo essere cancellato dalla sua vita.

“Misaki, io...” Non sapevo che cosa rispondergli, dentro di me si agitavano milioni di pensieri e le più svariate sensazioni, ma, alla fine, una riuscii ad afferrarla: che non volevo più fingere.

“È così... hai perfettamente ragione...” Sospirai infine, completamente disarmato, ma, forse, inconsciamente più  sollevato.

Misaki mi lanciò uno sguardo comprensivo e io capii che non era di certo lì per giudicarmi, non erano quelle le sue reali intenzioni. Fece poi una pausa di silenzio, prima di poggiare la schiena sulla panchina, rilassandosi, e continuare a parlare. “Io ho sempre ammirato Misugi...” Disse con sincerità “e non solo per la sua eccellenza sul campo, ma soprattutto per la tenacia e la determinazione che ha sempre dimostrato in ogni momento difficile, senza mai lasciarsi andare, affrontando ogni cosa con coraggio, uscendone sempre vittorioso e a testa alta. Mi ricordo il torneo delle elementari, quando aveva giocato per intero la partita contro di noi, convinto che fosse l’ultima. Aveva lottato fino in fondo, mettendo in gioco persino la sua vita. La sera, poi, era scomparso da casa... e nessuno riusciva più a trovarlo...”

“Davvero?” domandai quasi in automatico, concentrato su quel racconto che mi dimostrava ancora una volta chi fosse Jun Misugi.

“Alla fine era al campo da calcio. Se ne stava lì, da solo, appoggiato al palo della porta, convinto che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui lo avrebbe visto” Misaki sorrise a quel ricordo, continuando a parlare “Quella è stata la volta in cui ho pensato che Misugi stesse davvero soffrendo molto, anche se si rivolgeva a noi con il sorriso sulle labbra, come se tutto fosse naturale, mostrandosi sereno”

“...è vero...” Lo interruppi involontariamente “Jun... è proprio così...”

“Già... però ha continuato a lottare, ha affrontato con coraggio l’operazione e tutta la successiva riabilitazione ed infine ha vinto, riuscendo a tornare sul campo! Lui diceva che la passione per il calcio non poteva fare male al suo cuore, ne era convinto di ciò!” Le parole del numero undici della Nazionale si fecero improvvisamente più incisive, scandite con forte enfasi, ed io cominciai a capire dove volesse arrivare col suo discorso.

“Ora...sembra non avere più la stessa grinta, c’è qualcosa che gli sta sfuggendo di mano...”

Misaki aveva capito. Abbassai gli occhi, stringendo le mani in un pugno.

“Hai visto, oggi?” Domandò, guardandomi negli occhi.
“Quando... ha sbagliato il tiro?” Gli chiesi, abbassando la testa con amarezza.
“Sì... non è da lui. Uscendo dal campo, l’hai sentito anche tu, ha detto che era il cuore...”

Io annuii, in silenzio.

“Ed è la stessa risposta che mi ha dato qualche sera fa, quando gli ho chiesto che cosa avesse, perchè fosse così strano... ‘è il cuore’, ha risposto anche quella volta” Misaki era davvero preoccupato per Jun.

“Cosa intendi per ‘essere strano’?” Gli domandai, seriamente.

Taro precedette le parole con un sospiro “È da quando siamo qui che la mattina si alza sempre con uno sguardo cupo e turbato; è lo stesso anche quando va a dormire. Non parla  per niente, sai? Probabilmente sa che con me può non fingere come, invece, fa durante il giorno con gli altri ragazzi, perchè non gli chiedo niente, o comunque non insisto... e lui si sta logorando sempre di più”

Misaki rivolse lo sguardo davanti a sé, agli alberi bui che si erigevano davanti a noi.

“Fino ad ora il principe del calcio aveva sempre lottato contro il suo cuore di vetro, impedendogli di infrangersi, uscendone vincitore, ma, stavolta, c’è qualcosa che lo sta facendo soffrire più del suo cuore*... e quello sei tu!” Terminò, cercando poi il mio sguardo, leggendovi in esso il disorientamento per quelle parole, anche se erano la giusta e naturale conclusione di tutto il suo discorso.

Sì, ero davvero disorientato. “Te... te l’ha detto lui?” Domandai, ormai in stato confusionale.

    
Misaki sospirò, scuotendo la testa in un gesto di diniego. “Il tuo nome...” Disse poi. “Misugi ha ripetuto spesso il tuo nome nel sonno da quando siamo arrivati.”

Il cuore mi balzò in gola. “Io non...”

“Beh, Ken è un nome comune, in effetti... però è bastato osservarvi pochi istanti per capire quale fosse la verità...” Misaki mi sorrise bonariamente, facendo una breve pausa, mentre io mi sentivo dilaniare dal senso di colpa, avevo gli occhi che mi bruciavano, così come il petto.

“Per questo quando mi ha risposto ‘è il cuore’, l’altro giorno come oggi, ho capito che in quella frase c'era tutto. Sta molto male, Wakashimazu, credimi. Non l'ho mai visto così.”

“Lo so, Misaki...” Forse solo in quel momento mi resi conto davvero di quanto avessi fatto soffrire Jun. Di quanto lo stavo facendo soffrire con il mio mutismo, con il mio desiderio di fare finta di nulla.

“Per questo volevo parlarti” Aggiunse Misaki “mi rendevo conto che cercavi la sua attenzione. E che non te la dava, eppure ti pensa... sembra quasi che vi rincorriate in continuazione, ma che nessuno dei due sia disposto a fermarsi per ascoltare l’altro”

Eccola, la prima nube nel cielo, a coprire di passaggio la luna, oscurando i nostri volti per alcuni istanti, prima di allontanarsi e restituirci a quella luce pallida.

“Che cosa devo fare?” Era più una domanda rivolta a me stesso; portai le mani alla testa e la strinsi con forza.

“Vuoi bene a Misugi?” Domandò Misaki, alzandosi in piedi e mettendosi davanti a me. “Vuoi bene... a Jun?”

Io alzai lo sguardo e aspettai alcuni istanti, durante i quali raccolsi e concentrai le sensazioni in un unico pensiero, dandogli finalmente voce. “Sì, tantissimo, Misaki...”

Taro mi sorrise, davvero felice. “Allora parlagli, portiere! Tira fuori la grinta e vedrai che le cose andranno per il meglio. Sono certo che puoi farcela!” M’incitò il numero undici.

“Non è facile...” Gli dissi, sorridendo amaramente. “ Devo trovare il modo e l’occasione per parlargli, perchè rischio che lui mi eviti, dovrei...” All’improvviso, un’idea mi balenò in mente “E se...”Mi resi conto che quella era davvero l’unica soluzione possibile e, forse, l’ultima possibilità. “Misaki, avrò ancora bisogno del tuo aiuto!”

****



“Va bene... allora rimaniamo così!” Esclamò Taro, prima di avviarsi verso l’albergo. “E... in bocca al lupo per la prima fase!” Scherzò “Se sopravvivi a quella credo che dopo non ci saranno problemi!” Mi strizzò l’occhio, complice.

Io non nascosi un sorriso. “Già, speriamo in bene!”

Misaki si stava allontanando, da solo, verso l’albergo, ma prima mi poggiò una mano sulla spalla. “Ah, Wakashimazu!” Sorrise nel suo modo sempre gentile “Non farlo più soffrire, intesi? Misugi è un bravo ragazzo...”
“Te lo prometto, Misaki!” Risposi, sicuro di me.

Poi, ci separammo, Taro tornò all’albergo, io rimasi ancora qualche minuto nel giardino, lì, in piedi: desideravo stare un po’ da solo e riorganizzare i pensieri.


Non l’avrei mai ringraziato abbastanza, lo sapevo già da allora. Misaki era riuscito a farmi capire la profonda sofferenza di Jun, ad infondermi il coraggio per affrontarlo, mi aveva fatto riflettere sul significato delle mie azioni sul campo. Non era solo questione di farmi notare da Misugi, dimostrandogli di essere il migliore.

“Ma per te? Cosa c’è d’importante? Se non è il calcio, ci sarà qualcos’altro? Per passione intendo qualcosa che ti coinvolga a prescindere dai motivi. La passione è passione e basta, Wakashimazu...”

No, non era solo quello.

“Quando avrai trovato qualcosa a cui dedicarti senza un motivo specifico che non sia la passione, allora ti sentirai forte come me...”

In quei giorni le avevo ascoltate le mie emozioni durante il gioco. Avevo finalmente capito: non avrei mai potuto abbandonare il calcio, perchè lo volevo condividere con Jun. Volevo condividere i sentimenti del gioco con lui, la rabbia, la tensione, la preoccupazione, ma anche dimostrargli quanto mi divertisse il calcio, quanta emozione provassi nel concentrarmi su quel pallone che sfidava la mia porta, quanto amassi giocare con lui e contro di lui.

“Oppure dai, devi trovare un altro buon motivo per dedicarti al calcio, no?”

Ed io l’ho trovato quel motivo, Misugi.

Magari non è del tutto corretto dedicarsi al calcio senza una passione incondizionata come quella che prova Jun, ma le due cose sono indissolubilmente legate ed io non posso farci assolutamente nulla. Non avrei più rinunciato né al calcio né a lui.

Questo perchè io  amo il calcio.
Questo perchè io amo Jun.



FINE VII CAPITOLO


* Questa frase è di diritto di Haley, suggerita in una sua bellissima descrizione dello stato d’animo di Jun. Iinoltre mi ha dato il permesso di usarla ;p  Grazie cara!!

Nota: so che per tutta la ff avete pensato che Misaki stesse puntando Ken per altri motivi...anche nene cara si è spaventata mi saXD lo temono tutti XDD Alla larga da Misaki XD
  
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