Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Nadine_Rose    08/10/2016    1 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 26

 

L’ora della verità

 

- I figli e le ferite del passato -

 

“I figli non conoscono la vita dei loro genitori. Quando sono giovani, non ci pensano perché il mondo è cominciato con loro. I loro genitori non hanno storia e hanno la brutta abitudine di parlare ai figli soltanto del futuro, mai del passato. È un grave errore. Non parlare del passato li rende simili a dei buchi spalancati”.

Jean Michel Guenassia

 


Image and video hosting by TinyPic

Immagine dal film “Rudderless”

 

Città di Fürstenberg/Havel, 30 giugno 1962

 

Nadine rimase seduta sul divano, inerme e sconvolta, a fissare con le lacrime agli occhi il tavolino ribaltato e i cocci di vetro sparsi sul pavimento, conseguenza di un’improvvisa verità: Andrej, diciassettenne, aveva scoperto per puro caso di essere stato adottato. Rovistando in soffitta alla ricerca spensierata della sua prima macchinina telecomandata, si era tragicamente imbattuto nella scatola in cui erano nascosti i documenti dell’adozione. Dopo lo shock e l’incredulità iniziali, la prima reazione fu di rabbia. “Avete fatto della mia vita un’intera bugia!” aveva urlato ai suoi genitori, prima di lanciare tutto in aria e andare via sbattendo la porta. Un gesto improvviso, violento, inaspettato da parte di un ragazzo tranquillo e gentile come Andrej. Un colpo al cuore per Nadine che, come un peso morto, si lasciò cadere sul divano mentre Werner gli corse dietro, pregandolo di fermarsi e ascoltare le loro motivazioni ma inutilmente. Con gli occhi pieni di lacrime e la testa come se volesse esplodere, sordo alle parole supplichevoli e sempre più ansimanti di suo padre, il ragazzo accelerò la sua corsa e Werner dovette arrendersi. A testa bassa e senza più fiato, frastornato da quella situazione imprevista che aveva reciso il loro equilibrio familiare, l’uomo tornò a casa da sua moglie e la trovò ancora lì, seduta immobile sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto dell’angoscia. Quante volte avevano tentato di raccontare ad Andrej la verità delle sue origini e del loro passato ma il coraggio era mancato. Quante volte avevano provato quel discorso alla ricerca delle parole migliori da dire e dei possibili atteggiamenti da assumere ma il momento non era mai quello giusto. Era sempre troppo presto ed Andrej non abbastanza grande per comprendere la sua e la loro storia e portare il peso degli sbagli di un’intera umanità. Volevano proteggerlo dal dolore che la scoperta della verità nei suoi tragici dettagli gli avrebbe procurato. Ma forse questa era soltanto una giustificazione per proteggere se stessi dai fantasmi del passato e dalla paura di perdere il loro bambino, la propria genitorialità. E adesso il senso di colpa per aver sbagliato tutto li aveva colpiti come un pugno allo stomaco. Si scambiarono un rapido e intenso sguardo atterrito, rassegnato, carico di rimorso per poi piangere di nascosto l’uno dall’altra il proprio dolore. Arrabbiato con se stesso, Werner si chiuse nella camera da letto sbattendo la porta mentre Nadine rimase sul divano, con la testa china e le braccia incrociate sul ventre, svuotata, strappata dell’amore di un figlio tanto desiderato. Entrambi consapevoli che l’uno non avrebbe capito il dolore dell’altra, così diverso e così uguale.

 

Werner uscì dalla stanza e, con le braccia conserte e lo sguardo cupo di preoccupazione, osservò le dita di Nadine indugiare sulla cornetta del telefono prima di sollevarla e comporre tremanti il numero di Kurt: era da lui che Andrej era solito rifugiarsi dopo un litigio con i genitori o un problema a scuola, nella certezza mai delusa di ricevere dal suo zio preferito una parola giusta di conforto e incoraggiamento. Almeno fino a quel momento. Era bastata una sola e semplice parola di Kurt, un “pronto” appena sussurrato con voce flebile e spezzata di lacrime trattenute a far capire subito a Nadine che qualcosa non era andata per il verso giusto. Questa volta il caro zio non era riuscito a consolare Andrej ma in compenso aveva ferito un altro giovane cuore, quello di sua figlia, il cuore di Brigit. Alla rabbia del ragazzo contro i suoi genitori, Kurt aveva risposto rivelando a sua figlia che anche lei era stata adottata. Una verità scagliata veloce come una freccia, quasi per sbaglio, ma subito sospesa a mezz’aria perché alle domande di Brigit rispose il silenzio di un padre paralizzato dai ricordi di un passato troppo difficile da raccontare, doloroso da rivivere. “Adesso non so più chi sono.” aveva biascicato la ragazza fra le lacrime tormentandosi le mani e la freccia scavava i cuori di entrambi unendoli nello stesso, seppur diverso, dolore. Kurt non riuscì a riempire quei buchi che lui stesso aveva spalancato e lasciò che la persona più importante della sua vita scappasse via, confusa e tradita. Solo Engel tentò di persuadere i due giovani ma inutilmente. Brigit ed Andrej fuggirono insieme portandosi dietro i loro bagagli di rabbia e delusione. “Mi dispiace, Nadine.” disse Kurt e non poté più trattenere le lacrime. Pianse con lei, quell’amica che aveva sempre capito e condiviso i suoi dolori. E ora più che mai.

 

Spreewald[1], 3 luglio 1962

 

“Proviamo a ragionare un attimo …” ribatté Brigit gesticolando nevroticamente, seduta a gambe incrociate su una vecchia poltrona “… Siamo rinchiusi da due giorni in questa topaia. Non sappiamo dove andare. Non abbiamo un soldo. Per quanto tempo ancora riusciremo a scappare dalla nostra vita?” Andrej rimase di spalle con le mani poggiate sui fianchi e, con un ghigno sarcastico, disse: “Sì, una vita costruita sulle bugie.” I due giovani avevano trovato rifugio in una baracca abbandonata vicino alla palude e iniziavano a mettere in discussione la loro scelta, Brigit palesemente mentre Andrej non ammetteva nemmeno a se stesso il suo ripensamento. “A me manca quella vita e manca la mia famiglia. Loro sono la mia famiglia e mi fa stare male pensarli in angoscia per me …” riprese la ragazza con voce sempre più spezzata ma sicura “… Ho deciso di tornare a casa perché non posso continuare a nascondermi da una verità che neanche conosco, non posso dimenticare tutto l’amore che mi è stato dato per diciassette anni. Ho bisogno di avere delle risposte ai miei tanti perché, ho bisogno di conoscere le mie radici e togliermi dal petto questa terribile sensazione di vuoto.” Le parole di Brigit erano un fiume in piena che spingeva sugli argini del risentimento nel cuore di Andrej, che restava immobile ma con le braccia lungo i fianchi di una decisione ormai compromessa. “Tu fai quel che vuoi ma io torno a casa.” concluse la ragazza, prima di alzarsi con uno scatto e uscire di corsa. “Brigit!” urlò Andrej.

 

Città di Fürstenberg/Havel

 

Nadine accompagnò i poliziotti alla porta e, per l’ennesima volta, li ringraziò scusandosi per il disturbo. “È il nostro dovere.” rispose uno dei due agenti con voce ferma e lasciarono prontamente l’uscio. Con estrema lentezza, la donna chiuse la porta: era stanchissima. Tutto il suo corpo tremava, ancora scosso dalle ore di preoccupazione e angoscia; le gambe non la reggevano più in piedi per i chilometri percorsi alla ricerca di suo figlio e di Brigit e l’incedere avanti e indietro per la casa; i suoi occhi bruciavano di sonno perso e lacrime versate e la testa sembrava esploderle per quel rincorrersi frenetico di pensieri e quel groviglio di ricordi che, a breve, avrebbe dovuto districare. Raccontare ad Andrej la verità le faceva paura. E lui era lì, seduto sul divano del soggiorno, con le gambe accavallate “a quattro” e le braccia incrociate, lo sguardo risentito e ostile come quello di Brigit che gli sedeva accanto ma con gli occhi coperti anche da un velo di lacrime. I due ragazzi avevano deciso di condividere il momento più drammatico e significativo della loro vita, insieme come se già sapessero di essere i protagonisti di una verità che accomunava e univa la vita dei loro genitori adottivi. Nadine non aveva dubitato nemmeno per un istante che ad interrompere quel silenzio, alternato ai deboli sospiri di Engel e ai vani tentativi di Kurt e Werner, sarebbe stata proprio lei. Anche questa volta le toccava essere forte, vestire la maschera del coraggio e prendere in mano una situazione che nessuno avrebbe smosso. Quanto le costava strapparsi quel peso dal petto, vincere quel nodo che le stringeva la gola, vincere se stessa per addossare il fardello del suo passato sulle spalle di due giovani figli, ferire e ferirsi. Ma quel dolore era necessario per risanare gli affetti e ricucire un equilibrio strappato dalla scoperta di verità taciute o dette a metà. Quelle parole avrebbero distrutto e ricostruito allo stesso tempo. “Andrej, ti ho sempre raccontato di essere stata a Ravensbrück soltanto durante l’ultimo anno di guerra ma ti ho mentito. Sono stata a Ravensbrück per ben cinque anni. Era il 2 luglio del ’39 e avevo appena compiuto diciannove anni …”

 

Tra di noi

non ci sono più ingannevoli parole

ma il mormorio degli anni

come onde che si infrangono nel sole.

 

Tiromancino, Tra di noi

 



[1]La Foresta della Sprea è una regione paludosa situata a sud-est di Berlino e attraversata dal fiume Sprea. È caratterizzata da canali, fiumi, paludi e foreste.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Nadine_Rose