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Autore: john pranzo    08/10/2016    0 recensioni
Amicizia o manipolazione? Famiglia o manipolazione? La vita di tutti i giorni, le abitudini, le credenze popolari non sono altro che una maledizione per Jerry Drake, un bambino solo all'apparenza come tutti gli altri.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Potete chiamarmi Jerry Drake, un ragazzo come tanti che, sin dall’età di 6 anni, aveva l’abitudine di sgaiattolare in cantina per fare in modo di rendere reale ciò che non poteva esserlo. O almeno così mi dicevano. La dottoressa Leonor Harrison era la psicologa che di tanto in tanto veniva a farmi visita a casa. Era una ragazza molto competente, almeno così diceva la sua fama ( e i suoi ammiratori ), ma non riusciva ad afferrare il mio concetto. Semplicemente, non volevo dimostrare niente a nessuno, volevo solo avere qualcuno con cui parlare.  Qualcuno che non ti guardasse in modo distaccato come quel so-tutto- io di Martin Coleman, o come quel coatto perso di Henry Greyback. Qualcuno che sapesse veramente ascoltare e che non fraintendesse i miei pensieri. La Harrison non credeva minimamente che l’essere che si nascondeva nell’ombra, un essere totalmente intangibile, fosse un amico. Secondo lei, bambini come me avevano solo bisogno di altri bambini con i quali parlare. Ma ripeto, non avrei mai voluto avere né amici secchioni né coatti. Vorrei andare a scuola e guardare i miei amici proprio con la sua stessa intensità. E quell’amico che ho in cantina era buio, tenebroso. Oscuro, avrebbe detto qualcuno. Ma cos’è il buio, cosa sono le tenebre? Cos’è l’oscuro? Sono solo parole assegnate a qualcosa. Perché dovremo ancora credere alle credenze popolari secondo le quali il gatto nero è presagio nefasto ? Perché dovremmo credere alle streghe come delle pazze solo perché eretiche ? Semplicemente, avevano pensieri diversi. Proprio come nel mio caso. La signora Harrison, dopotutto, cercava di inculcarmi da tempo di non affidarmi più all’ oscurità, a qualcosa di intangibile, ma di parlare con qualcuno che mi avrebbe potuto capire. Ed io mi domandavo più e più volte se avessi mai trovato qualcuno che avrebbe potuto riuscirci senza alzare la voce o contraddirmi. Forse sì, forse no. Quel giorno la dottoressa Harrison aveva un sorriso talmente smagliante che di certo mio padre non avrebbe fatto fatica a notare. Dopotutto, Jeremiah Drake era sempre stato noto per il suo essere un Don Giovanni e mia madre, una povera donna di casa, se ne stava zitta, muta, a leggere dei quotidiani letti e riletti. Sì, probabilmente anche di qualche settimana fa. Ma la vera scusa di mamma non erano le notizie bensì cercare di sorvegliare mio padre. Era una continua battaglia. Mamma che sorveglia papà e papà che, in un modo o nell’altro, le nascondeva i suoi migliaia appuntamenti “clandestini” alle ore più scandalose della notte. Ecco uno dei motivi per i quali mia madre odiava la notte. Semplicemente perché in quel lasso di tempo non avrebbe potuto sorvegliare mio padre nel migliore dei modi. Solo un paio di notte notò la sua assenza dal letto ma, come sempre, ha voluto tenere il naso lontano dai suoi “ affari” notturni. Mio padre era un famoso giornalista del paese e il ritrovarsi pieno di donne attorno era per lui inevitabile. Probabile che avesse anche qualche amante, chissà. Tornando a noi, Miss Harrison era appena giunta a casa e di certo non era venuta qui solo per me. Mia madre, all’ angolo della cucina, immersa nella lettura di un vecchio giornale impolverato, fingeva di prendere spunto dalle parole della psicologa. Annuiva ma si notava chiaramente che non ascoltava, al contrario di mio padre che, pur di mettersi in mostra, avrebbe venduto me e tutta la sua famiglia. Ma per fortuna a quel punto ancora non ci era arrivato. E la sua ipocrisia trasudava da ogni poro, ve lo posso assicurare, una cosa che davvero odiosa.
“ Lei sì che è una donna intelligente. Ce ne sono pochissime come lei. Lei sembra la persona ideale per la cura di mio figlio. “ Sì, “ mio” figlio e non “nostro “ figlio. E avrete notato il termine “cura” sebbene non fossi malato ma purtroppo mio padre la pensava così.
Jerry, tuo padre ha ragione, dobbiamo smetterla di rintanarci nei nostri incubi. Loro sono il male, Jerry, mentre tu sei un piccolo ragazzo bisognoso d’aiuto. E io ti darò tutto l’aiuto che vorrai “ Avrei voluto risponderle che se avesse voluto aiutarmi realmente avrebbe dovuto fare le valigie e filare via per sempre, ma solitamente ero garbato quindi finsi un sorriso.
Allora, Jerry, nel nostro ultimo incontro mi hai parlato di come tu abbia bisogno di quel mostro. Ma ora ti pongo una domanda: come mai un bel bambino come te necessita di un essere crudele?” Ogni volta che pronunciava il termine “mostro” mi faceva una rabbia che avrei voluto spaccarle qualcosa in testa. Magari un vaso, o magari un piatto. O una bottiglia, qualunque cosa che le avrebbe sicuramente fatto passare un brutto quarto d’ora. Stavo per risponderle quando si rispose da sola, come fa sempre dopotutto. “ Perché dovresti farti degli amici. Ognuno di noi, alla tua età, si rifugiava nei sogni pur di trovar conforto. Ma una volta maturato, abbiamo capito di aver bisogno di qualcosa o qualcuno che sia veramente tangibile. Che si possa toccare, sentire. Che ci possa spiegare. “ Mio padre si avvicinò alla mia testa e, passandomi una mano tra i capelli folti, la baciò dolcemente. “ E’ ciò che farai, Jerry, non appena tornerai a scuola. Le vacanze estive stanno per terminare e nuovi amichetti ti aspettano alla Major School di Blackstone. “
Ed ovviamente l’acconsentire della psicologa, come una vecchia civetta, non poteva mancare.
“ Fantastico, se fossi nei tuoi panni, Jerry, mi sentirei onorata di far parte di quell’istituto, dicono che sia meraviglioso. “
“ Lui non è un mostro “
Stanco di tutta quell’ipocrisia, fissai con durezza il volto della psicologa, ignorando completamente mio padre. L’idea non mi allettava, ma dovevo risponderle per le rime. Mio padre, capendo l’antifona, si pose tra me e lei. “ Capisco che per te possa sembrare strano, ma non è altrettanto strano sgaiattolare nel cuore della notte in cantina per parlare con un essere che non potrà mai essere tuo amico?” Fosse stata la psicologa a dirmelo, le avrei risposto con un ceffone ma con mio padre era diverso. Non lo avevo mai colpito, non avevo voglia di mettermi nei casini da solo. Eppure, non potevano trattarmi da insano. No, quello non lo accettavo.
La signora Harrison è qui per aiutarti. Sai, anche io da piccolo ho avuto bisogno di aiuti, proprio come tua madre ed eccoci qui, una famiglia sana, senza irregolarità, senza problemi. “
Sana? Senza irregolarità? Senza problemi? Ma di cosa stava parlando? Fui colpito in modo pazzesco da quelle parole che mi alzai dallo sgabello e presi per andarmene quando mio padre mi trattenne per un braccio. “ L’incontro non è terminato. Credo che la signora Harrison voglia farti qualche domanda al riguardo “
“ La ringrazio per la sua bontà e la sua raffinatezza, ma mi è venuta una bella idea. Credo che sia inutile continuare a parlare di qualcosa che non è tangibile. Perché, invece, non spostiamo il prossimo incontro dalle tre di pomeriggio …. Be’, direi, che alle tre del mattino sarebbe l’ideale “
Fu proprio in quel momento che mi ricordai di avere una madre. Tossì almeno cinque volte. Cinque colpi di tosse. Ovviamente forzati. Ed anche lei, come me, aveva una sola domanda: perché proprio a quell’ora? Una seduta notturna? “ Mi spiego subito, signor Drake. So bene che è un orario poco opportuno … “ Be’, direi!!!! “Ma credo che per vostro figlio questo sia importante. Che ne dici, Jerry, se andassimo insieme a parlare con questo tuo essere? “ La mamma tossì di nuovo e stavolta mi parve di udire anche qualche parolina di troppo da parte sua che la psicologa comunque non afferrò. Apparve davvero troppo presa dal sottoscritto e da quell’ idea. Ma avrei scommesso su chiunque che Miss Harrison aveva pianificato tutto sin dal principio. L’idea, tanto per cambiare, piacque molto a Jeremiah Drake. “ Credo sia favoloso. Anche mia moglie è d’accordo perché, come dice lei, questo per mio figlio è davvero importante. E se è importante, è da farsi “
L’appuntamento notturno venne assegnato per la settimana prossima. Sette giorni ed avrei scoperto se si sarebbe mostrato agli occhi di un’estranea. Sì, fino a quel momento non aveva comunicato che con me. Ed avevo paura. E se si fosse spaventato? Se l’avesse aggredita? Se qualcuno si fosse fatto male? Scansai quelle ipotesi soltanto quando andai a dormire. Il sonno fu talmente profondo che non mi svegliai. Non ebbi incubi e il sole del mattino seguente mi riportò a pensieri un po’ più tranquilli. Sarei passato alla casetta sul lago assieme al padre per qualche oretta dopodiché sarei tornato a casa con la speranza, quella sera, di riuscire a svegliarmi nel bel mezzo della notte in modo da poter rivedere il mio amico in cantina. La casetta sul lago era stata costruita da mio nonno materno, Harnold, con lo scopo di essere poi tramandata ai suoi due figli, mia madre e la sorella Jessica con i quali aveva tagliato i rapporti da tempo. Fu proprio Jessica il motivo per il quale la madre non amava quel luogo. Sapeva perfettamente che l’avrebbe incontrata spesso da quelle parti e quindi aveva preferito evitare. Tuttavia, credo che le avrebbe fatto bene rincontrarla a distanza di anni. La casetta, composta da un salone, un bagno ed una camera da letto, era stata tappezzata da ogni genere di cianfrusaglia. “ Quella vipera di Jessica si è data da fare “ Ecco, se c’è una cosa che odiava mio padre era l’essere anticipato da qualche familiare. E tra lui e Jessica non era mai corso buon sangue. Detto questo, mentre mio padre continuava a farneticare sulla zia, il mio sguardo ricadde su un dipinto dall’aria piuttosto inquietante. Era stata dipinta la casa sul lago con un enorme buco nero proprio nell’area del cortile. E all’interno di quel buco nero, gli parve di vedere … Qualcosa muoversi … Qualcuno muoversi … “ Jerry, su, che stai guardando? Non c’è niente da fare qui. Muoviamoci!!! “ Avrei voluto fermare il tempo ma, siccome non potei, dovetti acconsentire. Durante il viaggio, ripensai molteplici volte a quel dipinto con la speranza di capirci qualcosa e l’unica soluzione era parlare con lui. Avrei dovuto parlargli direttamente. Mi avrebbe sicuramente dato delle risposte. Tornando a casa notai una serie di ragazzi giocare a basket nel cortile di casa, altri tirarsi dei gavettoni in modo anche piuttosto imbarazzante ed altri chiacchierare animatamente all’interno di una piccola auto che sembrava più vecchia di mio padre. Non provai assolutamente niente. Io stavo bene così. Avevo tutto quello che volevo. Non avevo bisogno di qualcuno che per divertirsi doveva per forza bere, ascoltare musica o lanciarsi dei gavettoni come degli imbecilli. Una volta messo piede a casa, notai mia madre ferma, immobile contro la finestra. Lo faceva spesso a quell’ ora del pomeriggio. Guardava fuori come se non potesse viverlo, come se oltre la porta di casa ci fosse un altro mondo. “ Jessica è qui, Tay “ A quelle parole, mia madre tossì iniziando a sputare nel lavandino. Era nervosa. Troppo per parlare di una sorella con la quale aveva tagliato i ponti da tempo. Jeremiah le passò un bicchiere d’acqua che però la mamma rovesciò a terra e, senza neanche preoccuparsi di pulire, lasciò la cucina e tornò in camera. Sentii delle grida e dei lamenti piuttosto importanti provenire dalla sua camera. Era in atto una delle sue crisi isteriche che l’avrebbero tenuta lontana dalla cucina per almeno mezza giornata. Non capivo perché facesse così, non capivo sinceramente a cosa servisse, forse voleva sfogarsi, o forse era un modo per cercare di distruggere il ricordo della sorella. Sta di fatto che la situazione andava avanti da tempo, oramai. “ Tua madre serba ancora del rancore nei confronti della zia. Ci conviene non tornare per qualche tempo “ Nonostante avessi dieci anni, non riuscivo a capire perché mio padre, che non teneva affatto a mia madre, cercasse in tutti i modi di dare una spiegazione ai suoi comportamenti. Spiegazioni che, personalmente, ritenevo inutili visto che quelle crisi sarebbero continuate chissà per quanto altro tempo. Probabilmente, per sempre. A cena, la mamma si presentò con delle occhiaie pazzesche ma, a quanto pare, aveva tutta l’intenzione di continuare a sorvegliare papà, tanto che prese posto sulla poltrona della sala, laddove lo avrebbe notato se fosse uscito in orari poco appropriati. Mangiammo un paio di panini a testa dopodiché, sbadigliando a non finire, mio padre mi accompagnò in camera. Mi diede una pacca sulla schiena e, preso dal momento, gli chiesi: “ Cosa c’è che non va nella zia Jessica?” Papà rimase quasi paralizzato da quella domanda. Non glielo avevo mai posta nonostante fossero passati anni. Jeremiah Drake si fece davvero piccolo, avrebbe voluto smaterializzarsi, ma ahimè, era comunque un babbano. “ Lei e tua madre hanno avuto dei problemi al livello famigliare. Insomma, non si sono mai piaciute, hanno continuato ad odiarsi per svariati motivi. Ecco perché ti suggerisco di non tornare in quella casa. La zia Jessica non è una brava persona “ Oramai, la storia della brava e cattiva gente era passata di moda e, sebbene non fossi un esperto di vita, l’avevo appreso da tempo. Volli chiudere gli occhi, ma il ricordo di quel dipinto mi tenne sveglio fino a che crollai. E mi ritrovai davanti alla casetta sul lago. Era notte. E dinnanzi ai miei occhi un enorme buco nero. C’era qualcosa che si muoveva. Mi inchinai per capire di chi si potesse trattare e non appena lo vidi, venni come catapultato, di nuovo, tra le lenzuola del mio letto. Che mi fossi veramente svegliato o meno, guardai l’orologio che recitava le 3 del mattino. Bene. Era il momento di andare a farci una bella chiacchierata con LUI. Mia madre era sulla poltrona, voltata di spalle e probabilmente dormiva. Nessun movimento. Abilmente raggiunsi la porta della cantina e, scendendo cautamente la rampa delle scale, capii di non essere solo. No, non lo ero. L’oscurità mi avvolgeva. Il chiaro di luna illuminava qualche piccolo spazio della cantina, ma lì, nell’angolo più lontano, c’era qualcuno che si nascondeva. Qualcuno mi stava fissando. Avvolto dall’ oscurità. “ Devo chiedertelo. Sto sognando?” Degli occhi si mossero e capii la sua risposta. Era tutto reale. Accennai ad un sorriso. “ Devo avvertirti di una cosa. Tra sette giorni avremo una visita. La mia psicologa, Miss Harrison verrà a farci visita. A me … E a te “ Mi interruppi. L’essere era scomparso. Qualunque cosa ci fosse nel buio, si era nascosto. Eppure, lo sentivo. Sentivo la sua presenza. Il suo respiro. Si stava per avvicinare quand’ ecco che qualcuno accese la luce dello scantinato. Alle mie spalle, la sagoma della mamma mi fece rabbrividire. Aveva gli occhi spenti, le stesse occhiaie del giorno prima e i suoi movimenti sembravano rallentati. E cadde, di fronte ai miei occhi. Urlai. Non lo aveva mai fatto così prima d’ora. Non mi volsi verso l’essere. No. Urlai. E caddi anch’ io.
“ E’ stato solo uno sbalzo di pressione, Jeremiah. Nulla di cui preoccuparsi. “
La dottoressa di famiglia, la signora Teresa Dyer, mi era sempre piaciuta. Con lei non ti dovevi aspettare niente di strano, era semplice, diretta, niente maschere. Era quel che era. E non sembrava nascondere nulla. Per quello l’avrei definita la mia migliore amica, se solo avesse avuto una trentina di anni in meno. “ Lo faccia bere molto e, soprattutto, non lo porti con sé in giro troppo spesso. “
Papà mi guardò come se avessi stampato in faccia la casetta sul lago. Digrignò i denti e, accennando un sorriso non troppo vero, mi si avvicinò sussurrandomi. “ Ora torniamo a casa e ti riposi nel tuo bel lettuccio. Grazie, dottoressa, passi una buona giornata “ Sì, mi trovavo nella casetta abbandonata della dottoressa tanto che mi parve di intravedere il suo enorme cane di montagna, BearJack. Un nome tutto un programma. “ La mamma era davvero molto preoccupata, sai? Ti ha trovato lei steso a terra. Per l’ultima volta, Jerry, ti imploro, non andare più in quel posto. Sai, non mi piace quando te ne vai in giro di notte per casa. Non ti fa bene e questa sera penso tu l’abbia capito. Non c’è motivo di svegliarsi di notte all’improvviso. Non fa bene “
La mamma. La mamma. Lei era lì, davanti ai miei occhi. Ed era caduta. Com’è possibile tutto quello? Com’è possibile che mio padre non se ne fosse accorto o comunque che non gli avesse dato importanza? “ Papà, ma la mamma come sta “ Non riuscii a trattenere quei pensieri. Mio padre mi guardò come se non capisse o forse come se non gliene importasse più di tanto. “ La mamma sta bene, perché? “ Stavo per raccontargli quello che effettivamente era accaduto in cantina quando all’improvviso qualcosa (e sinceramente non chiedetemi cosa) mi fece cambiare domanda. “ Perché era lì, alle tre del mattino, in cantina? “ Mio padre non rispose ma sapeva perfettamente perché. Jeremiah avrebbe avuto un appuntamento, uno dei suoi soliti incontri notturni con qualche giornalista o con qualche giovane ragazza di città. I miei pensieri vennero interrotti dalla presenza della mamma all’ingresso di casa. Non aveva più quelle occhiaie, non aveva più quello sguardo perso che gli avevo visto prima dello svenimento. Mi abbracciò come se non mi vedesse da anni e, nonostante quanto le era successo, si comportò in maniera del tutto normale. Era felice. Forse perché papà aveva fallito il suo “progetto notturno”, o forse per me, chi lo sa. Nei giorni a seguire, non scesi più in cantina, come se qualcosa mi voleva tener lontano, o probabilmente perché non ne sentivo la ragione. Avrei voluto dirlo ai miei genitori, avrei voluto giurargli che non ci sarei mai tornato ma sarebbe stata una spudorata bugia. Perciò, come sempre faccio, mi tengo tutto dentro o quasi e vado avanti. Non combatto, mi limito a dei cenni con il capo, per esempio quando papà mi dice “ Per fortuna che l’hai capito “ Riguardo alla cantina, ovviamente. Ma nel mio annuire non c’era felicità. Era come se qualcosa mi impedisse di tornare giù, forse era terminata la mia curiosità, ma il problema è che l’indomani sarei sceso nuovamente e stavolta non lo avrei fatto da solo. E, paradossalmente, era questa l’unica cosa che mi terrorizzava. Il sapere di non sapere cosa sarebbe potuto accadere. Lui era un essere della notte, abituato così tanto a quel luogo e mi sarei domandato come avrebbe potuto reagire la Harrison alla sua visione. Ma più trascorreva il tempo e più la mia testa cozzava contro una serie di duri scogli. Scogli che rappresentavano il confine con le mie risposte. Quella sera, la mamma, che in quei giorni era apparsa più tranquilla che mai (nessuna crisi fortunatamente), andò a dormire molto presto, forse stanca e pensierosa per la nottata del giorno seguente. Mancava ancora un giorno intero al “grande appuntamento” come lo chiamava mio padre. Ed ogni volta che accennava a quell’incontro mia madre commentava ironicamente “ Non vedo l’ora di conoscere quale grave problema affligge MIO figlio “ Be’, irriverente nei confronti di mio padre, poco ma sicuro. Jeremiah però è troppo sicuro di sé per rispondere a queste battute che lui considera di poco conto. Una volta sprofondato nel sonno, venni catapultato nelle tenebre della notte. Mi ritrovai di nuovo davanti la casetta del lago. Ma stavolta nell’enorme buco nero non c’era nessuno. Mi guardai attorno e capii che quella non era la mia dimensione, assolutamente no. Quello era …… Il dipinto stesso. Ero nel dipinto. Guardai la luna e la vidi praticamente colorata di uno strano acquerello giallognolo. Vidi gli alberi che andavano a circondare la casetta colorata di un pastello color nero pece, vidi le finestre, semplici rettangoli di un nero meno forte e vidi un volto. Probabilmente non lo avevo notato nel dipinto o nell’altro sogno, o molto più probabilmente non c’era mai stato. Tentai di avvicinarmi alla sagoma ma fui come bloccato. Le mie mani, le mie gambe non erano quelle di sempre; no, come dire, ero un pupazzo, o meglio, era come se anch'io facessi parte del dipinto, come un essere inanimato, privo di alcun valore. E qualcosa mi manteneva al suolo. Con la speranza che il volto, probabilmente femminile visti i lunghi capelli, mi rispondesse, le gridai “Mi scusi, potrebbe aiutarmi? “ La sagoma scomparve improvvisamente alle mie parole. Quando tornai a guardarmi i piedi, vidi che ero finito dentro l’enorme buco nero ed era come se galleggiassi. Non cadevo, come avevo fatto qualche giorno prima. No. Stavolta ero lì, immobile, fermo. Cercai di muovere un passo e, contrariamente a poco prima, mi mossi in avanti. Un altro passo e di nuovo ancora. Volevo raggiungere la casa, ma giunto al confine del buco nero capii di non poter andare oltre. La sagoma ricomparve, all’interno della casa. Ed ora era molto più visibile sebbene al buio. Era una donna dall’aspetto giovanile, un sorriso grazioso e dei capelli lunghissimi. La donna, finalmente, parlò. “ Lui è lì ad osservarti, di giorno e di notte. Ma il problema è che lui non la vuole. E tu … Tu la vuoi? “ Un rombo di moto mi svegliò di soprassalto. La prima cosa che vidi fu la sveglia che recitava le 10:45. WOW, non dormivo così da tempo immemore, se mai lo avessi fatto. Di solito alle sette ero sveglio, era come se quel sogno fosse speciale. Cos’è che non voleva LUI? La risposta la fissò nella sua agenda. Era il giorno prestabilito. Quella notte, la psicologa sarebbe venuta a casa per quella seduta bizzarra. Mio padre, disteso sul divano, si fumava una sigaretta mentre mia madre, di nuovo sorridente, preparava un uovo e del formaggio.
Dormito bene, figliolo? Caspita, sarai prontissimo per stanotte “Annuii senza dar molto peso alla presenza di mio padre. Quello era il suo giorno di riposo, il peggiore della settimana, in poche parole. Jeremiah Drake stava per aprir di nuovo bocca quando il telefono squillò e mia madre, preparata la colazione, si precipitò a rispondere. Stavo per azzannare il mio formaggio quando mamma mi comunicò che c’era qualcuno al telefono per me. Non mi disse chi, non che avessi molte persone con cui parlare. “ Pronto? “ Chiesi un po’ timidamente. “Non dire nulla.. Ti ho visto questa notte, ti ho visto nel dipinto. “ La voce era quella di una donna. Un tonfo al cuore è dir poco. Mi dovetti sedere, avevo paura di crollare. Era come se quella donna emettesse una sorta di forza antagonista alla mia. Ma soprattutto come faceva a sapere del sogno e del dipinto? “ Dimmi che non eri te. Dimmi che quel bimbo, immerso nell’oscurità, non eri te. “ Sbarrai gli occhi non sapendo che rispondere. Come poteva conoscere il mio sogno? Non c’era alcuna spiegazione razionale. Forse stava sognando, forse … “ Jerry, chi è al telefono? “ Feci cenno a mamma di non preoccuparsi e risposi alla misteriosa donna. “ Cosa ne sa del dipinto? “ Dissi sottovoce in modo che i miei non potessero sentire. “ La bocca del male non è altro che l’ingresso verso l’inferno. Ed il dipinto non è che la galleria verso la bocca del male. Spero tu non abbia aperto la porta. Dimenticati di LUI e dimenticati di tutto questo. O non ne uscirai mai più ……. “ Fu la mamma ad impedirmi di capire cosa volesse dire la donna visto che mi strappò letteralmente la cornetta dalla mano e in modo abbastanza teso e irritato comunicò alla donna di smetterla di darmi fastidio, tanto che riagganciò immediatamente. “ Chi era, Jerry? “Mi guardai le mani e vidi che erano tutte imbrattate, come se al posto della cornetta di un telefono avessi afferrato un dipinto. Erano i colori del dipinto, il blu sul pollice che raffigurava il cielo notturno, il nero dell’enorme buco e della casa e il giallognolo della luna. “ Taylor, che cavolo state facendo? Venite a vedere “ Continuando a guardarmi le mani raggiunsi con mia madre il salotto dove mio padre stava guardando la televisione. Il telegiornale recitava “ Donna ritrovata carbonizzata al Saint Park Lake “ E immediatamente mi vennero in mente le immagini della donna del sogno. Alcuni paramedici stavano trasportando via il corpo carbonizzato di una donna da dei lunghissimi capelli, proprio identici a quella del sogno. E cercai di ricollegare il tutto con le parole della donna del telefono. “ SPERO TU NON ABBIA APERTO LA PORTA “ No, non era affatto possibile. Come potevo aprire un qualcosa di reale in un sogno? Come lo avrei potuto fare? Dovevo  tornare alla casetta sul lago, dovevo farlo a tutti i costi!!! Quel pomeriggio, una volta finito il pranzo, chiesi a mamma di prestarmi la sua bicicletta da passeggio per un giretto nelle vicinanze “ Mi raccomando attento alla strada “  Me lo ripeteva da sempre e da sempre la detestavo. Ci misi poco più di mezz’ora per arrivarvi, in una mezz’ora dove il sole aveva lasciato posto ad enormi nuvoloni neri. Dimenticandomi del tempo meteorologico ed armato di binocolo, vidi la mia casetta in lontananza. Il ritrovamento del corpo, a quanto parve, era avvenuto circa mezzo km ad est della dimora che appariva disabitata. “ E’ solo un sogno “ Una voce gli suggeriva ma l’altra non era così confortante “La donna sa chi sei. E’ colpa tua. Hai aperto la porta. Hai aperto la bocca del male “ Infischiandomi di quest’ultima vocina, mi diressi in direzione della dimora e notai in lontananza la presenza di tre veicoli della scientifica ancora parcheggiati a pochi metri dalla riva del lago. Nessun enorme buco nero, nessuna donna nella dimora (né tantomeno di zia Jessica) , niente di niente. Era solo un dipinto, nulla di più e quella donna doveva essere una pazza. La porta di casa, tuttavia, era semiaperta il che puzzava visto che si ricordò di come suo padre l’avesse chiusa. O meglio, a questo punto, non ne era molto sicuro. Probabile che la zia fosse in casa. Lo scricchiolio lo fece sobbalzare ma avrebbe dovuto saperlo, quella dimora non veniva utilizzata da anni oramai, se non fosse per alcune pareti recentemente tappezzate dalla zia. Il salone era la stanza maggiormente tappezzata della dimora, con tanto di tavolini sparsi qua e là ed un piccolo scivolo che faceva la sua inutile figura all’interno di una casa disabitata. Una casa fantasma, aggiungerei. Che ci faceva quello lì? La puzza di stantio e la polvere erano comunque gli unici due elementi che riuscii a percepire, almeno fino a che non prese la via della cameretta, rimando a bocca aperta. Un piccolo lettino che avrebbe giurato non esserci fino a qualche giorno fa era lì, davanti ai suoi occhi, come se qualcuno lo avesse posizionato proprio quella mattina. A differenza della stramaggioranza di quella casetta, il letto non era impolverato. Sembrava che qualcuno si avesse preso la briga di comprarlo in tempi piuttosto recenti. L’altro giorno, la dimora sembrava molto più elegante e meno puzzolente, quel giorno invece sembrava che nessuno la usasse da anni. Era come se la casa avesse voluto far capire a mio padre che non c’era trippa per gatti, che quella dimora era di proprietà di Jessica, di mia zia. Stavo per andarmene quando volsi il mio sguardo verso lo specchio e realizzai di non essere solo. Al mio fianco, una ragazza dall’aria simpatica mi sorrideva come se fosse veramente felice di vedermi. Ma non appena mi voltai, non c’era nessuna ragazza sorridente. Solo io. Nessun altro, completamente solo. Riguardai lo specchio e notai stavolta che la ragazza era diventata donna, eppure non sorrideva più, al suo posto l’aria stanca di chi aveva paura del domani, di chi si sentiva minacciata da qualcuno … O da qualcosa. Mi mise una mano sulla spalla. Eppure, io la sentivo, la percepivo. Sentivo le sue dita stringersi attorno alla mia spalla, e la cosa strana fu che quando mi voltai era di nuovo sparita. Se fosse stato uno spettro, non l’avrei dovuta neanche sentire. Sta di fatto che proprio in quel momento un enorme boato mi fece rinsavire. All’esterno un temporale di proporzioni gigantesche era l’unico protagonista della mia concentrazione e mi ci volle qualche secondo per ricordarmi di come avevo un disperato bisogno di tornare a casa. Quella notte avrei mostrato, seppur controvoglia, il mio amico alla dottoressa Harrison. E non potevo mancare. Scesi le scale piuttosto rapidamente quando all’improvviso sentii dei rumori provenire dal bagno. Avrei voluto andarmene, ma i singhiozii di quella donna mi ricordarono quelli della mamma. Sì, erano gli stessi identici singhiozii della mamma. Forse era la zia Jessica. Dovevo farla smettere. Non ci sarebbe stato mio padre ad interrompermi. Dovevo farla smettere. Ad ogni costo. Come in preda ad un attacco d’ira, entrai nel bagno a forma di uovo e vidi la figura della stessa donna che avevo visto in precedenza. Solo che questa volta sembrava aver paura di lui. “ T-tu non … Non sei il benvenuto !!! Vai via, via, via!! “ E con uno spintone mi allontanò dal bagno che, come per magia, si richiuse all’istante. Cozzai il cranio contro la parete e notai del sangue alla zona della tempia. Quella donna, la cui identità  rimase allora sconosciuta, non voleva saperne del mio aiuto. Diedi una fugace occhiata al mio orologio e realizzai che forse era giunto il momento di andarsene. All’esterno, per fortuna, il temporale era leggermente diminuito e così, approfittandone, mi diressi verso casa, senza la consapevolezza di aver appena assistito alle cose più incredibili della mia vita. Non ne ero consapevole, no, forse ancora non avevo intuito cosa fosse successo in quella casa. Poi rammentai un elemento fondamentale ai fini della mia ricerca. Mi ero completamente dimenticato del dipinto. O meglio, era come se qualcuno lo avesse spostato. Quella donna, che poteva essere zia Jessica così come poteva non esserlo, doveva sapere molto riguardo quella vicenda, forse voleva evitare che ficcassi di nuovo il naso. Non appena tornai a casa, però, appresi che qualcosa era andato storto durante la sua assenza. Non c’era nessuno. Era praticamente improbabile trovare la sua dimora totalmente vuota. Come se fossi stato richiamato, scesi le scale e mi imbattei in qualcosa che avrei potuto vedere solo in un sogno. L’enorme buco nero era lì, nell’angolo dove solitamente c’era LUI. Era lo stesso del sogno. Rimasi totalmente terrorizzato da quella visione che mi precipitai verso il piano terra per andarmene da casa quando la voce di mia madre mi riportò alla realtà. “ Sei ancora sceso, Jerry?!!! “ Non risposi, sapevo a cosa sarei andato incontro. Mio padre entrò in quel momento e capì che la storia doveva essere chiusa. “ Anche di giorno??? Ma ti sembra normale??? “ Ma stavolta risposi con tutta la volontà che avevo “ Cosa c’è di male a scendere di giorno in cantina??? C’è qualcosa che mi tenete nascosto?? Perché non posso mai metterci piede??? “ Fu in quel momento che venni sbattuto contro il muro da mio padre il quale si accanì sul mio povero stomaco con una serie di ganci niente male. Crollai al suolo toccandomi l’addome e sputando a dirotto di qua e di là. Mia madre mi si avvicinò e, invece di aiutarmi a rialzare, mi diede uno schiaffo. Uno di quelli che ti lasciano lo stampo. Vi giuro che in tutta la mia vita non avevo mai ricevuto una lezione del genere. Né da quegli stronzi dei miei ex compagni di scuola né tantomeno dai miei stessi genitori. I miei mi lasciarono lì, in un angolo remoto della casa, in preda ad una marea di dolori gastrici piuttosto forti. E nella mezz’ora che seguì non mi degnarono nemmeno di uno sguardo, proprio come se fossi inesistente. Fu ad ora di cena che, invece di mangiare, me ne tornai in camera per dormire quelle poche ore che mi distanziavano dal famoso incontro. Era una settimana che aspettavo quel momento. E il tempo stava per terminare. Mi tornò in mente l’enorme buco nero per non parlare della donna che mi toccava la spalla, per finire con quella in carne ed ossa in bagno. Erano le tre che il campanello di casa suonò. Mio padre non si era per niente cambiato e, in jeans e maglietta, andò ad aprire. La psicologa, la dottoressa Harrison, quella sera, non emetteva alcun sorriso. Era particolare vederla così chiusa in sé, poco collaborativa, tanto che mio padre stesso non riuscì a rendersi simpatico ai suoi occhi. I dolori allo stomaco li avevo ancora, e vi giuro che facevano un male cane boia, ma per ora avrei dovuto sopportarli. “ Jerry, prima te “ Sussurrò quasi impaurita la psicologa. La vedevo parecchio strana. E la cosa puzzò enormemente dopo quello che avevo visto il giorno prima. Mi aspettai di vedere l’enorme buco nero, ma ovviamente qualcuno mi aveva preceduto. Nessun buco. Nessun rumore. Mio padre, armato di torcia, cercò di illuminare lo scantinato il più possibile ma avrebbe fatto più luce una fiammella. “ Dov’è, dov’è, Jerry? “ Indicai nel solito angolo dove solitamente LUI amava stare. Non a caso l’angolo più buio della cantina. “ Prega che non lo veda, prega che non lo veda “ Mio padre mosse la torcia in quella direzione ma nulla. Soltanto l’oscurità della notte. La psicologa emise un sospiro di sollievo. “ E’ questo il tuo amico, Jerry? “ Non sapevo se risponderle, ma c’era qualcosa in me che mi costringeva a farlo. Dovevo farlo. Dovevo farle del male. Mi voltai verso la psicologa ma proprio nell’istante nel quale avrei voluto aggredirla sentii dei passi lungo le scale. Anche papà se ne accorse tanto che riuscimmo a scorgere la sagoma di un bambino. Era più o meno della mia stessa altezza. La psicologa tuttavia incapace di trattenersi diede una spinta a mio padre giungendo prima di tutti davanti alla sagoma del bambino. Non appena salimmo, di lei non era rimasta che la cenere. Carbonizzata viva???!!! Stavo per gridare ma mio padre mi abbracciò in modo che non potessi farlo. NO! Non poteva essere LUI. Lui non era malvagio. Quel bambino, invece, quel bambino è il demonio! La cosa strana di quella nottata da incubo fu l’atteggiamento passivo di mia madre. Era come se se lo aspettasse. Una donna carbonizzata in casa sua e lei che fa … Niente. Impassibile. Quella la segnai come la giornata più terrificante della mia vita, ma questo fu solo l’inizio di qualcosa che di certo non potrei spiegare in poche parole. Chiamatemi pazzo, ma volevo far capire a chiunque ci fosse dietro che non avrei interrotto le mie ricerche proprio ora. La donna trovata carbonizzata al Saint Park Lake si chiamava Nadia Erkin e, a quanto pare, abitava a pochi metri di distanza dalla mia casetta. Il caso Harrison, invece, venne chiaramente chiuso all’istante visto che nessuno aveva visto niente e non c’erano prove a sufficienza per incriminare nessuno. Nella sua agenda personale non era stata registrato alcuna seduta alle tre del mattino a Casa Drake e questo fu un evento a loro totalmente favorevole. Se qualcuno lo avesse saputo, se qualcuno l’avesse vista a quell’ora della notte, sarebbe stata la fine della mia famiglia. Questi due casi, al mio occhio inesperto, vennero legati da un elemento comune: il dipinto. Quell’enorme buco nero doveva veramente rappresentare la bocca del male ed il dipinto doveva essere la galleria. E feci così tante ricerche sulla possibile identità di quell’essere che ci persi ore ed ore, dimenticandomi perfino di godermi l’estate. Ma dopotutto nessuno si sarebbe goduto niente quell’estate dopo quanto occorso. Trovarsi una persona carbonizzata all’istante in casa non è da tutti, dopotutto. Sicuramente vi stareste chiedendo che fine abbia fatto il corpo. Be’, il camino ha semplificato notevolmente la restante parte del lavoro. Fu da quella nottataccia che non rimisi più piede in cantina, nonostante a volte la voglia e l’interesse sembravano quasi spingermi a tornare giù. Forse sarei dovuto tornare a quella casetta sul lago, forse …. “ Jerry, Jerry, domani sera ti accompagnerò personalmente nell’ufficio del signor Downsey “ Tra le tante cacchiate di mio padre, emerse una frase che personalmente non mi avrebbe detto nulla se non gli avessi chiesto chi fosse … “ Il preside della Major School di Blackstone, e chiaramente mio amico fidato. Non ci sarebbe un Mr Downsey senza la mia pubblicità “ Fu in quel momento che mi ricordai che la vita sarebbe andata avanti. Che LUI era il passato e che nuove persone avrei incontrato nella mia inutile vita. Da quella notte da incubo, nessuno dei miei due genitori aveva la benché minima voglia di tornare sull’ argomento. Eppure, perché c’è un eppure, quando ti trovi una persona carbonizzata all’istante in casa qualche domandina te la dovresti porre. Eppure niente di niente, come se volessero solo dimenticare. “ Sai Papà dovresti scrivere un bell’articolo su quel che abbiamo visto l’altra notte. Potresti farci tanti soldi. Magari ti metti a scrivere un libro “ Ma sapete una cosa? Finalmente mi sentivo libero di poter dire ciò che pensavo. Fu una sensazione assurda. Mi sentivo finalmente … Libero. Mia madre svuotò il suo piatto in men che non si dica, lo stesso fece mio padre che, però, restò nelle vicinanze quasi non avesse terminato con me. Una volta andata via la mamma, papà mi guardò in cagnesco. “ Tua madre non sta bene per quella vicenda e tu continui  a parlarne? Ti sembra rispettoso? “ Poi si strinse la cravatta e, alzandosi da tavola, mi lanciò un’ultima occhiataccia. Una vocina nella mia testa mi disse di seguirlo,  di capire dove sarebbe andato. Mentre l’altra, come mio solito, era restia a fare cose fuori dall’ordinario. Il problema era che qualcuno doveva farlo smettere con quegli appuntamenti clandestini. Non ci misi più di due minuti per stabilire un piano. Lo avrei seguito, in un modo o nell’altro. E, sapendo di dover affrettarmi, scegli il piano più rischioso. Mi catapultai, di nascosto, nel portabagagli dell’auto, proprio qualche istante prima che Jeremiah Drake uscisse di casa tutto vestito a puntino. Mi sentii sobbalzare più e più volte durante il tragitto. Sentii mio padre per la prima volta canticchiare nervosamente qualche canzone dei Beatles per poi fermarsi, dopo una decina di minuti, in quello che appariva come un ambiente umido. In effetti, sentivo freddo. Ma dovevo restare in silenzio o mi avrebbe sicuramente scoperto. Percepii immediatamente di non aver sbagliato sugli appuntamenti clandestini di mio padre. C’era qualcuno, o meglio qualcuna con lui, ma nessuno dei due parlò. Anzi, i passi si dileguarono e, dopo qualche secondo di attesa, aprii il portabagagli e uscii all’ aria aperta. Accompagnato da una leggera brezza che, dolcemente mi sfiorava la pelle, mi accorsi della loro presenza qualche metro più a ovest. I due si tenevano per mano. Un brivido mi percorse la schiena, dopotutto vedere mio padre con un’altra non sarebbe stato un evento facile da sopportare. Dovevo restare calmo e mantenere il sangue freddo. I due piccioncini si fermarono davanti ad un pozzo e mi accorsi di non essere poi così distante dal Lago. Mi avvicinai sempre di più fino a percepire persino le loro voci delinearsi nella notte. “ Ha aperto la porta, Jeremiah. Dobbiamo fare qualcosa. “ Quella voce … No. La voce della donna al telefono. Oh mio dio … “ Ho fatto delle ricerche sulla Harrison, a quanto pare, aveva scoperto del dipinto e voleva un modo per aprire anche lei la porta. Ma è stata uccisa, Jessica. “  Cosa??? Jessica??’ Sua zia??? E papà era già a conoscenza di tutto??? Che significa voleva aprire la porta???? “ Jerry è venuto a casa, l’altra volta. E temo che LEI  lo abbia visto. Sai che significa, vero? “ Fu ad un tratto che Jeremiah iniziò a fare avanti ed indietro quasi impazzendo. “ Non dirmi che lo ha toccato, sai benissimo che significa. Non mi dire che il bambino che ha ucciso la Harrison è stato ….. Lui “ Jessica lo strinse forte a sé, come per rincuorarlo. “ Com’è possibile che abbia visto il dipinto? “ Jeremiah iniziò a spiegare come da anni oramai suo figlio scendeva in cantina per parlare con LUI. “ Credi che LUI lo abbia contaminato? Credi che gli abbia trasmesso parte dei suoi poteri per individuare la galleria? “  Papà annuì ed il mio cuore non riuscì a smettere di battere all’impazzata. Stavo per esplodere ma dovetti rimanere calmo. “ Jessica, Jerry non è un bambino come tanti. Secondo te perché avrebbe visto un dipinto che non può esistere? Perché avrebbe visto quel buco nero? La colpa non è sua. Non è del suo interesse. La colpa è la mia. “
Jessica cercò di trattenerlo. “ Ti ha ingannato. Taylor, pur di eliminare la parte che odiava di sé, ti ha usato ed ha dato alla luce tuo figlio. Dopodiché ne è uscita pulita ma con la consapevolezza che la vita di suo figlio non sarebbe mai stata normale. E’ stata un’egoista. Ha salvato sé stessa per dar vita ad un mostro. Non ricordi che diceva mio padre? La procreazione con un uomo puro ti salva dal peccato ed elimina la componente maligna della tua anima.“ Un momento. Che significa la componente maligna della tua anima? Cosa significava tutto quello? Volevo saperlo dai diretti interessati ma, non appena mossi un ramo, qualcuno mi trattenne. Volli strillare a squarciagola ma non riuscii a farlo perché quell’ essere era lì. LUI. Il suo piccolo e sottile braccio carbonizzato mi stringevo l'arto superiore mentre i suoi due occhietti mi obbligavano a non far altro che tacere. Fu in quel momento che capii. LUI. LUI ERA ME. IO ERO LUI. Era la mia parte maligna. La componente maligna. Quando mi voltai sia Jessica che mio padre erano svaniti come neve al sole. Ma quella sera, avevo capito tutto, anche se di razionale c’era ben poco. Ma il momento dei ragionamenti terminò non appena mi sentii di nuovo libero. L’essere era lì, immobile, di fronte a me, immerso nella semioscurità di quel fitto bosco. “ Sei te la mia parte cattiva, non è vero? “ L’essere si mosse in avanti e mi si prostrò per intero. Stava leggermente modificando il colore della propria pelle. Man mano che passava il tempo, diventava sempre più identico al sottoscritto. E per un attimo, seppure un attimo soltanto, ebbi come … Paura. “ Cos’è che vuoi da me? Si può sapere perché hai ucciso quella vittima innocente??? “ Ad un tratto mi ritrovai nella casetta sul lago. Dell’ essere nessuna traccia. Dei rumori sospetti, tuttavia, provenivano dal piano di sopra. Lamenti di puro godimento. Non mi ci volle molto a scoprire di chi si potessero trattare. Jeremiah Drake e Jessica Clayton erano lì, due corpi nudi avvinghiati l’uno sull’ altro durante un atto d’amore. Eppure, notai che il volto ed il corpo di mio padre era differente. E Jessica era quella donna sorridente che mi aveva appoggiato una mano sulla spalla. Che LUI m’avesse teletrasportato indietro nel tempo per farmi capire come nessuno è così innocente più di tanto? Ma certo, voleva mostrarmi la verità. Mio padre e Jessica erano amanti, molto probabilmente. Come se avessi visto abbastanza mi ritrovai in cantina insieme a LUI che, a differenza delle altre volte, si presentò in tutta la sua forma. Era praticamente uguale al sottoscritto. Era come me.  Alle mie spalle, degli scricchiolii testimoniavano la presenza di mio padre … E di mia madre. E di Jessica. Non mancava proprio nessuno. Mio padre mi si avvicinò indicando l’essere. “ Jerry, LUI non è come potresti pensare. Ti avrà mostrato ciò che vuole perché LUI è in grado di manipolare la mente altrui. E vuole rovinare la nostra famiglia per essere l’unico erede.”
Taylor, mia madre, mi raggiunse accarezzandomi i capelli. “ Tutti commettono degli errori. Ma questo non significa che tu sia un errore, Jerry. Tu sei Jerry Drake, sei mio figlio. “ Jessica tentò di sorridere ma  tossì in modo abbastanza nervoso. “ E così fai la vittima, Taylor? Ma sentila, Jerry, fa la vittima adesso! Ha ingannato tuo padre, ti ha procreato solo per salvare sé stessa ma lo sai cosa ha fatto al tempo stesso? Ha creato una parte di te che non la sopporta, ha creato una parte di te che non dovrebbe esistere. “ Ma Taylor scuote il capo e si volse verso la sorella. “ Sai bene cosa significa visto che ne hai una anche te. LEI è parte di te, Jessica. E perché non spieghi a mio figlio perché ne hai una? Jerry, ascoltami, questa donna che dovrebbe essere mia sorella, ha peccato nel suo passato. Sai perché ha una LEI? “ Ma fu la stessa Jessica a togliermi ogni dubbio. “ Ho comportato la morte dei miei genitori. E’ una cosa di cui mi vergogno, lo ammetto. Ma sto pagando ogni giorno della mia vita, puoi starne certo “ Cercò di respirare con calma ma vidi chiaramente come quei ricordi la affliggevano più che mai. Eppure, era come se l’unico persona che avessi mai conosciuto in quella stanza era il mio amico. Non esiste tutto quello. Mentre lui, oramai, è sorto. Lui ora è qualcuno con cui posso parlare. Qualcuno che posso toccare, che posso sentire, percepire. E finalmente, lo ho al mio fianco. E no, non è mio padre. Lui ha peccato. Ha avuto rapporti con la zia che di certo non è una santa. La dottoressa Harrison ha ficcato il naso dove non avrebbe dovuto. E mia madre, be’, mia madre mi ha dato alla luce solo per salvare sé stessa. Non lo ha fatto per me. Avrei potuta perdonarla per il fatto di avermi dato un amico per sempre. Un amico … Come LUI. Ma non riuscii a resistere alla mia sete di vendetta. Volevo che tutto quello finisse. Non feci in tempo a schioccare le dita che di mia madre, di mio padre e di mia zia non rimase che cenere. Perché per me resteranno solo cenere. Loro sono stati peccatori per tutta la vita. Mi hanno voluto proteggere dal diventare felice. Mi hanno voluto stancare con i loro detti popolari, con le loro credenze. Hanno fatto in modo di dar la colpa dei loro problemi ad un essere indifeso solo perché diverso. E forse anche io vedevo della diversità in lui per via del suo aspetto. Ma adesso … Be’, adesso lui è come me. Come se fossimo due gemelli. L’ho fatto perché i miei genitori non avrebbero potuto mai più guardarmi in faccia se mi avessero acconsentito a tenere LUI con me. Ed ora sarò io a non guardarli mai più in faccia per avermi impedito per anni di avere un vero amico come LUI al mio fianco. L’unica cosa che ricorderò di loro saranno i loro corpi carbonizzati, lo giuro sulla mia futura tomba. Perché tutto quello che vi voglio far capire è che io non ho mai avuto bisogno nient’altro che di un solo amico E lui. LUI sì che sarà per sempre … MIO AMICO.
  
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