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Autore: PawsOfFire    08/10/2016    5 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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“Herr Faust, la prego, esca da questa stanza.”
“Ma...”
“Sparisca, ora!”
Credo che il Generale non abbia gradito l’esito della nostra missione.
Dopo un’analisi nemmeno troppo approfondita della piastrina scoprimmo che il malcapitato in realtà era un tale Ilya Zhdanov, camuffato da tedesco al solo scopo di eliminarci in modo semplice e pulito.
“Lo avevo detto io, che aveva la faccia da bastardo bolscevico” commentò Maik con uno sbuffo sonoro mentre caricavamo il nostro prigioniero di guerra nel carro.
In effetti il viaggio in compagnia della testa fu piuttosto disgustoso. Per un po’ il freddo riuscì a contenere l’odore ma, quando il caldo divenne asfissiante, fummo costretti a gettare fuori dal portello la maleodorante testa del prigioniero di guerra.
Rischiavamo un’intossicazione o qualcosa di simile. Insomma, quelle cose che si prendono con i cadaveri.
Una volta riuscimmo a catturare un coniglio ma il rigido inverno russo non ci permise di accendere il fuoco. Lo mangiammo crudo e ci ammalammo.
Non vorrei ripetere l’esperienza.
Torniamo al principio. Quando mi presentai dal Generale non ebbi il coraggio di confessargli l’esito negativo della nostra missione.
Dopo essermi imbottito di farmaci come un aviatore suicida dissi, semplicemente, che il nostro giro di ricognizione era costato la vita ad almeno qualche centinaio di russi. Poi sfoggiai la mia espressione migliore. Modestamente ho un sorriso bellissimo. Con le donne non funziona, ma con i camerati disperati si riescono ad ottenere un sacco di favori molto...intimi.
Ma sono incorruttibile, io! Riesco a tenere lavoro e vita privata separate.
...Difatti non trombo da mesi.
Sono sposato con la patria, io. Non posso tradirla.
Sto divagando.
Dunque, mentre cercavo di addolcire la pillola il Generale si alzò in piedi, furente.
È davvero grosso, quell’uomo. Non che io sia basso (con il cappello arrivo tranquillamente al metro e ottantacinque) ma il mio diretto superiore riusciva sempre a farmi sentire una pulce insignificante.
“Sentire” è una parola grossa, in ogni caso. Nelle vene avevo più anfetamine che sangue, così la metà del discorso lo passai a sudare freddo con la percezione assoluta di avere il nemico alle spalle quando in realtà era di fronte a me, con la sua faccia ovale e le dita tozze che sbattevano con furia quasi omicida sulla scrivania.
 “Ha capito, signor Faust? Se non fosse per...insomma, lasci immediatamente l’ufficio prima che decida di sbatterla senza remore a Stalingrado, mi ha capito? Una cosa doveva fare...”
 “Ma signore, la Russia è grande e potrebbe essere ovunque-”
“Ma vada un po’ a cagare”
“Mancano i bagni, signor General-”
 


 

Credo di non aver mai ricevuto una batosta così forte. Uscii dall’ufficio strisciando. Le orecchie mi fischiavano come un treno ma, tutto sommato, me l’ero cavata egregiamente grazie a qualche sana e divertente battuta.
“Ho parlato col Generale. E’...filato tutto liscio” Annunciai ai miei sottoposti, trionfante.
“Vada a riposare, Herr Faust. Oggi è stata una giornata particolarmente estenuante.” Tom, il pilota, mi prende per un braccio, strattonandomi al suo livello e trascinandomi via.
“Che cazzo gli ha detto?”
“Sono il tuo diretto superiore, Weisz. Capisco che lei mi trovi anche attraente, ma torni nei ranghi...”
Conosco il suo sguardo. Potente, penetrante, uhm…
“Santo cielo mi ascolti una fottuta volta. Quante pasticche ha preso? Due. Tre? Non importa. Siamo talmente vicini ad un richiamo ufficiale che non mi stupirei di finire in un battaglione di disciplina.
L’ho visto, il Generale. Era furente”
È andato tutto bene, ma adesso mi molli, conosco il suo sguardo malizioso...”
Tom mollò bruscamente la presa su di me, allontanandosi velocemente ed imprecando a voce alta.
Solo dopo qualche giorno, quando l’effetto dei medicinali mutò da euforia a profonda depressione, capii che il giovane stava cercando di scuotermi, non di scoparmi selvaggiamente, anche se sono quasi sicuro che lo desideri. Lo leggo nei suoi occhi carichi di giovane disperazione. D’altronde, sono la migliore bottiglia della cantina del Reich-
 

 
“Soldati, si torna in marcia. Non ci lasceremo scappare il fuggiasco, costi quel che costi…
Non è più questione di mero orgoglio, è questione di vita. Ho commesso un errore, dunque è compito nostro rimediare.
Siete pronti a seguire il vostro capitano verso la vittoria, o morire con lui?”
Vi fu un grugnito unanime in risposta. Nessuno dei quattro alzò lo sguardo.
Credo mi odino, in qualche modo. Insomma, siamo da più di un anno assieme, ne abbiamo passate tante e sarebbe carino se mi mostrassero un filo di gratitudine. Molti dei nostri sono saltati in aria nel frattempo mentre noi siamo in perfetta salute.
Era il lontano 1941 quando ci incontrammo.
All’epoca avevamo un vecchio Luchs. Uno spettacolo. Faceva un rumore terribile, ma era un vero gioiellino. Aveva un lanciafiamme montato sul cannone principale. All’epoca io ero ancora un carrista piuttosto semplice. Specifico, ero il pilota. Andavamo veloci come il vento a bruciare campi e russi come un aratro che trebbia il grano maturo.
Un giorno esplose. Si, esplose. Prima di essere utilizzabile il carro va aperto per evitare l’esplosione dovuta al surriscaldamento.
Fui io ad accorgermene e dare ordine di allontanarsi. Stava iniziando a fare davvero troppo caldo lì dentro. E puzza. Odore di metallo che si scioglie.
Il capitano diceva fosse assolutamente normale che un vecchio mezzo come quello tendesse a surriscaldarsi e fare fumo.
Tranne Tom, gli altri c’erano tutti. Maik, Martin, Klaus...non so perché decisero di seguirmi.
O meglio, in realtà lo sapevo esattamente. Martin e Klaus non vedevano l’ora di uscire mentre Maik aveva un sesto senso per il pericolo.
Litigando, anche il nostro superiore decise di scendere. Mi avrebbe ammonito severamente per aver disobbedito ai suoi ordini.
Ed invece… il carro esplose per davvero. Fu incredibile. Non so come abbiamo fatto a rimanere illesi, ma è successo.
Ricevetti una medaglia al valore. E, qualche mese più tardi, una bella promozione a sergente. **
Per le mie grandi doti strategiche e belliche…
Divenni ufficialmente capocarro ed ebbi il mio primo cingolato.
Tutto mio, da comandare! Ero esaltato come un bambino in un negozio di giocattoli.
Un altro Luchs, certo...ma andava bene così.
Mi dispiace non avergli dato un nome a quel piccoletto. Ci accompagnò per diversi anni fedelmente fino all’arrivo di Tom che, ancora inesperto, lo parcheggiò nel fiume e lì rimase.
Credo sia questo che li spinga ad essermi fedeli. Mi devono la vita. Se avessero seguito gli ordini di quell’imbecille sarebbero tronchi di carbone ora.
 

 
Il giorno dopo, in ogni caso, eravamo già in marcia.
Il sole albeggiava sui fili di erba ghiacciati dalle notti rigide della foresta russa.
C’era qualcosa di piacevolmente magico in queste pianure boschive. Silenzioso ed ovattato, perfino il fischio del motore sembrava essere diminuito.
Col binocolo osservavo con atteggiamento dominante l’intera vallata, ritrovando solo betulle spoglie che si estendevano a perdita d’occhio fino alla linea dell’orizzonte.
Romantico, se non fosse per le file ordinate di elmetti che ogni tanto punteggiavano il manto nevoso.
Giungemmo ad un villaggio. Un posto davvero delizioso.
C’erano quattro case di legno ammuffito dalle finestre sfondate e le porte aperte. Ideale per una sosta.
Mi stavo preparando per mettere qualcosa sotto i denti quando Maik mi fermò, insistendo prima nel controllare che non ci fossero russi nei paraggi.
Casa per casa. Muore dalla voglia di ammazzarli. Credo abbia anche sviluppato una specie di macabro collezionismo: cappelli, medaglie, spalline, decorazioni. Se aveva la possibilità di strappare qualcosa alle sue vittime, lo faceva senza remore.
Avevamo quasi finito di ispezionare ogni catapecchia quando sentimmo dei rumori.
Con atteggiamento eroico feci indietreggiare i miei compagni e caricai la mitraglietta, trattenendo il respiro.
“Siete uomini morti!” Gridai, sfondando la porta decrepita con un calcio. Probabilmente era già aperta, ma desideravo da tutta la vita un’entrata del genere.
Inutile dire che non trovammo nulla.
“Sento dei rumori” disse Klaus, facendosi strada tra la mobilia rovesciata.
“E’ un bastardo comunista. Lo sento dall’odore” Grugnì Maik, caricando l’arma.
C’era un tavolo sfondato. E sotto...proveniva un rumore molto flebile, come un pianto…
Delicatamente mi chinai per spostare i legni, asse per asse. Qualcuno doveva essere entrato prima di noi in quelle case per lasciare una scia di morte e distruzione. Non mi stupirei se trovassi cadaveri in zona.
C’erano cocci di ceramica e schegge di legno marcio. Qualcosa di scuro, morbido.
Forse uno straccio... insolitamente caldo...
“Un cucciolo!”
Un soffice cuscino di pelo, praticamente. Il pelo marrone, gonfio e sporco, celava due occhietti tristi ed affamati. Chissà quanto tempo era rimasto lì sotto, povera creatura.
Lo presi immediatamente in braccio, stringendolo delicatamente al petto. Lo avrei infilato in tasca e protetto paternamente accanto al cuore
“Possiamo tenerlo?”
“Il Generale ci odia, non dovremmo compiere mosse azzardate...” Klaus era alquanto scettico a riguardo.
Mi interessava l’opinione dei miei uomini. Purtroppo, era differente dalla mia, così dovetti dar loro torto.
“Bene, recluta canina. Da oggi sarai il sesto membro dell’orgogliosa Furia. Guardate com’è carino, sa fare anche il saluto. Heil Hitler!”
Ancora una volta i quattro si scambiarono un occhiate rassegnate e capii, per l’ennesima volta, che non mi avrebbero preso sul serio.

 

   
 
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