Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: FioreDArgentoWattpad    08/10/2016    1 recensioni
Forse io mi ero sempre sentita diversa perché io il mio nome, a differenza degli altri, lo conoscevo. Quando ero sola, alcune volte lo sussurravo alle pareti grigie della mia stanza; lo ripetevo quanto bastava a ricordarmi di non essere solo una lettera simile alle altre.- Prologo
Nessuna origine.
Nessun nome.
Nessun appiglio.
Queste sono le caratteristiche che accomunano gli studenti dell'Heddem Institute, una scuola costruita su un'isoletta dell'arcipelago delle Bahamas, lontana da tutto e da tutti. Queste e un marchio nero sull'avambraccio.
Amira però è diversa, lo è sempre stata. Ha ricordi confusi della sua vecchia vita, ma il solo averli vissuti la separa inevitabilmente dai suoi compagni.
Riuscirà a soffocare le proprie emozioni o ne rimarrà sommersa?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo VI

Capitolo VI

"A? Non preoccuparti, sono solo Inez."

Rilassai di colpo i muscoli, il battito che ancora pulsava nelle mie orecchie. Era raro che il panico s'impadronisse in quel modo di me, annebbiando la lucidità con cui avevo imparato ad affrontare i problemi con il passare degli anni.

Cosa mi stava succedendo?

Sembrava che l'arrivo di Miss. Key avesse scatenato i fantasmi che popolavano da bambina i miei incubi, quelli da cui mi risvegliavo con le lacrime agli occhi e il cuore a mille.

Faticavo ad ammetterlo, ma negli anni passati avevo cominciato lentamente a considerare l'Heddem Institute una casa. Ed era la prima volta da molto tempo che, là dentro, non mi sentivo al sicuro.

"A? Ci sei?"

Un fascio di luce m'investì, strappandomi alle mie riflessioni e socchiusi le palpebre. Tesi una mano in avanti alla cieca, mentre i contorni della figura magra di Inez si facevano più definiti.

"Scusa." mormorò I colma d'imbarazzo. "Ti ho spaventata?"

"No, assolutamente. Avevo già in programma di rimanere quasi accecata." replicai ironica.

Le guance della giovane cameriera s'imporporarono e la torcia le scivolò via dalle mani sudate, spegnendosi e cadendo con un tonfo sul marmo delle scale.

"Me l'ha prestata C, non sapevo fosse così potente." farfugliò imbarazzata Inez.

Mi sollevai in fretta da terra, scuotendomi di dosso la polvere.

"Stai be--"

"Perfettamente." tagliai corto.

Soltanto in quel momento osservai Inez. Le ombre le scavavano il viso e serpeggiavano sui capelli chiari, raccolti sulla nuca. Uno strano pezzo di stoffa verde le avvolgeva le spalle, coprendo il pigiama dell'Istituto.

"Ma voi potete vestire degli indumenti che non siano l'uniforme o il pigiama con il logo dell'Istituto? C mi aveva raccontato che valeva pure per voi."

Inez sgranò gli occhi azzurri, con l'aria di chi è stato sorpreso nel commettere un furto.

"Con me puoi stare tranquilla. Non sarò certo io a farti la predica." la rassicurai, forzando un sorriso.

"È di mia madre. C l'ha trovato nella mia valigia e l'ha nascosto, in modo che sopravvivesse all'ispezione." riuscì a confessare, dopo qualche minuto di silenzio.

Stavo per aggiungere qualcosa, ma Inez m'interruppe con impazienza: "Dobbiamo andare. C ti aspetta."

"Dove?"

Inez non mi rispose. Voltò le spalle e iniziò a salire le scale, i capelli una scia albina dietro di sé.

La seguii interdetta.

"Puoi tornare a dormire, capisco che Corinne non si fidi della mia memoria ma ricordo dov'è collocata la sua camera."

Inez si fermò e respirò a fondo, lo sguardo stanco.

"C non dorme più lì. È stata promossa ad aiuto-cuoca. Quella è la stanza della nuova coordinatrice delle cameriera, e ti assicuro che uno scontro con lei non sarebbe piacevole."

Ricominciò a salire gli scalini, come se la spiegazione scarna bastasse a soddisfarmi.

"Dunque andiamo nella sua nuova stanza?" insistetti.

"No."

Ci ritrovammo presto al bivio dei due corridoi. Mossi con sicurezza un passo a sinistra, ma Inez mi afferrò per un braccio.

"A destra?" chiesi dubbiosa.

"Sì." Inez sciolse la presa, un rossore soffuso sulle guance. "Conosci la strada meglio di me."

Spostai l'attenzione sul corridoio, riempito da una fitta trama di tenebre.

"Vuoi dire che..." Mi bloccai, accorgendomi di essere l'unica nel corridoio. Inez se n'era andata.

D'altronde c'era solo una stanza da quella parte.

Presa da un'impazienza irrefrenabile, corsi a perdifiato lungo l'intero corridoio. Un'ondata di nausea mi assalì quando la scorsi, incastrata nella parete grigia, quella porticina sgangherata che da piccola consideravo il solo limite tra me e il resto del mondo.

Paura. Nostalgia. Affetto. Un fiume di sensazioni differenti m'invase.

Afferrai con mano tremante la maniglia, accarezzando con il pollice la vernice scrostata.

Quella stessa porta, un po' più levigata.

Quella stessa maniglia, un po' meno arrugginita.

Quella stessa bambina, un po' meno cresciuta.

Le lacrime offuscarono la mia vista, mentre immagini confuse scorrevano dinnanzi a me.

E fu con quei ricordi che si sovrapponevano nella testa, e quella confusione comune che regnava nel cuore, che io e quella bambina sospingemmo la porta.

Cercai a tentoni l'interruttore, finché la mia mano non trovò il piccolo riquadro.

La lampada si accese, emanando un bagliore instabile. Era appesa al soffitto da un filo di metallo sottile, così sottile che da bambina avevo temuto cedesse mentre dormivo.

La stanzetta mi parve ancora più piccola di quanto avessi memoria, giusto lo spazio perché una bambina di quattro anni riuscisse a respirare. L'aria viziata stagnava nella camera, l'unica finestrella circolare serrata. Doveva essere passata molto tempo dall'ultima volta in cui era stata aperta.

Sulle pareti spoglie, passate dal bianco originale a un giallino malsano, erano ancora visibili le sagome dell'antico mobilio.

Ebbi una stretta al petto. Delle scope spennacchiate e un secchio ossidato avevano sostituito il mio letto.

La mia vecchia camera era davvero diventata uno sgabuzzino.

"Sì, qualche mese fa Miss. Hedd ha deciso che non eri più a rischio e ha ordinato di buttare il tuo letto e l'armadio."

Un brivido mi percorse la schiena, nemmeno mi ero accorta di essermi espressa ad alta voce.

"Corinne!" la riconobbi.

"In persona."

Non feci nemmeno in tempo a voltarmi, che un abbraccio mi travolse.

Un abbraccio che odorava di limone e tranquillità.

Un abbraccio che, per quanto ne avessi esperienza, sapeva di famiglia.

Bastò quello a cancellare l'ansia che avevo provato per l'intera giornata.

All'improvviso C s'irrigidì e si staccò da me. I suoi occhi castani mi squadrarono vigili da capo a piedi, come a volersi accertare che ciascuna parte del mio corpo fosse al posto giusto.

"Inez mi ha riferito il tuo messaggio." enunciò alla fine, il tono incerto.

"Era sospettosa?"

"Perplessa, direi. Immagino lo sarebbe stato chiunque." ribatté C.

"Quale bugia le hai raccontato?" Sogghignai.

"Nessuna."

"Cosa?" Saltai su indignata.

"Calmati."

"Le hai rivelato tutto." sibilai a denti stretti, incredula.

"L'indispensabile." mi corresse Corinne indispettita. "Inoltre bisogno di aiuto. Inez manterrà il segreto."

"Come puoi esserne sicura?" la attaccai ostile.

"Non lo sono."

"Come posso esserne io?"

"Non lo sei." rispose. "È vero, di questo non sono certa nemmeno io, ma so che Inez è arrivata all'Istituto appena un anno fa. So che si è separata dalla sua famiglia d'adozione e dalla sua terra d'origine. So che ha lasciato in Svezia due fratelli e una sorellina in procinto di nascere. So che forse non la conoscerà mai. Ora dimmi, secondo te parlerà?"

Tacqui, non trovando nulla con cui replicare. Sapevo che Corinne aveva ragione, seppur la mia testardaggine m'impedisse di parlare.

"Terrà la bocca cucita." ribadì.

"Sembra affidabile." le concessi a bassa voce.

Soddisfatta C schiuse le labbra in un sorriso e domandò: "Di cosa dovevi parlarmi?"

All'improvviso mi sentii un verme. Ciò che fino a qualche attimo prima avevo ritenuto di vitale importanza, mi sembrò frutto di vaneggiamenti insensati.

"Ti ricordi il giorno in cui hai visto il mio marchio?" chiesi titubante.

La ragazza si morse un labbro, ma non rispose.

"Corinne...?" la richiamai.

Pareva essersi persa nei suoi pensieri, come quando da ragazza s'incantava nel decantare le meraviglie di un mondo che io non avevo mai conosciuto.

"Amira, giungi dritta al punto."

Ebbi un sussulto. Non ero abituata a udire il mio nome da una voce che non fosse la mia. Sebbene lo avessi svelato molti anni prima a C, lei lo usava raramente. Preferiva tenerlo per i momenti più solenni, quasi che pronunciarlo troppo ne riducesse il valore.

"Stamattina Miss. Key ci ha ordinato di scoprire il braccio destro. E io non l'ho fatto."

Corinne non si scompose di un millimetro, limitandosi a mantenere lo sguardo fisso nel vuoto.

"Hai qualcosa da dire o ti sembra un comportamento ordinario?" azzardai.

"Sì, avrei molto da ipotizzare o domandare. Ma penso che tu non abbia voluto incontrarmi qui perché ti confondessi ancora di più."

Si sedette sul pavimento impolverato, la schiena appoggiata a una parete. Anch'io mi accovacciai, le ginocchia strette al petto.

Restammo così un'infinità. Entrambe sapevamo che quella conversazione avrebbe pesato. Non sapevamo su cosa, non sapevamo in che modo, ma lo sentivamo.

Perché quei momenti cruciali, quei momenti che si ricordano per il resto della vita, si sentono. Anche quando non sono ancora arrivati.

"Amira?"

Forse era passata un'ora quando Corinne si azzardò a chiamarmi. Forse erano passati solo cinque minuti.

"Abbiamo rimandato troppo a lungo questa conversazione. Sappi che quello che conosco è davvero poco. Troppo poco." sussurrò.

"Non te ne faccio una colpa."

"Lo so." La voce di Corinne tremò. "Fammi una promessa. Promettimi che, qualunque cosa ti rivelerò, tu non commetterrai l'errore di sentirti imprigionata."

"Ma io sono imprigionata. In questo Istituto, in questa stanza, in questo marchio, in questa lettera." dissi con amarezza.

Corinne volse il volto verso di me, gli occhi lucidi di lacrime, i ricci appiccicati al volto.

"E lo sarai per sempre. Non smetterai mai di essere imprigionata. Ma promettimi che non concederai mai a te stessa di sentirti tale."

Sembrava così decisa, così disperata, che annuii senza riflettere.

"Bene." Si rasserenò e tornò la fiduciosa, ferma C di sempre. La sporgenza del dirupo a cui mi ero aggrappata per non cadere nel vuoto.

"Sono pronta."

"Bene." ripeté la giovane donna. "Da dove vuoi cominciare?"

"Dal Marchio. Perché si trova a sinistra e non a destra?"

Sfiorai inavvertitamente la pelle su cui, impresso come un disegno, c'era il marchio che mi perseguitava dalla nascita.

"Sai come siete chiamati, tu e il resto degli studenti?"

"Marchiati." risposi di getto.

"Il termine in realtà è inesatto. Per Marchiati s'intendono tutte le persone che portano quello scarabocchio sul braccio, su qualunque braccio."

Lo stupore si fece strada sul mio volto, mentre una strana adrenalina mi attraversava come una scarica elettrica.

"Questo significa che--"

"Sì A. Non sei da sola." m'interruppe, un sorriso malinconico dipinto sul viso.

"E gli altri dove stanno?" Mi trattenni a stento dall'urlarlo.

"Fuori. Esistono delle Comunità, a quanto so. Ma A, non è il posto dove si trova il Marchio a determinare la categoria a cui appartieni, quella è una mera formalità." spiegò Corinne.

"E cosa allora?" la incalzai, gli occhi brillanti d'entusiasmo.

"Come ne fai Uso." disse in un soffio.

"Uso? Significa che loro non trasformano la materia in...?"

"No, non trasformano la materia in non-materia. Loro..." Indugiò, mordendosi un labbro.

"Loro?"

Quell'attesa era esasperante.

"Loro si staccano dalla realtà." disse alla fine con un filo di voce.

"Non capisco." Agrottai le sopracciglia.

"Nemmeno io ne so tanto a dire il vero. Ho udito Miss. Hedd parlarne con i miei genitori, poco prima che venissi spedita qui." svelò a bassa voce. "Poi ho udito qualche conversazione occasionale, nulla più. Tra queste quella che si svolse tra Miss. Hedd e un professore di cui non ricordo il nome."

"Sul serio?"

"Sì. Dovevo portare una tazzina di caffé nell'ufficio di Miss. Hedd. Lui stava dicendo che saresti diventata una di loro, che se si apparteneva alla nascita a loro, si sarebbe appartenuti a loro fino alla morte." narrò Corinne.

"E Miss. Hedd?"

Corinne assunse un'espressione grave e distolse lo sguardo.

"Lei ha detto che ti sarebbe stato impossibile nell'Istituto, che lei te lo avrebbe reso impossibile." rispose dopo qualche minuto, riluttante.

Io aprii e richiusi la bocca, incapace di proferire parola.

Perché quel professore credeva che sarei diventata una di loro? Cosa avevo di diverso rispetto agli altri alunni, eccetto la posizione del Marchio che, a quanto sembrava, non aveva valore?

"A, non allarmarti. Ci sono io e ti aiuterò, qualunque sarà il tuo desiderio." promise, la voce traboccante di sicurezza.

"Penso sia tardi." mormorai fredda.

"A ma--"

"Penso sia tardi." ripetei con veemenza. "Devo tornare nella mia stanza, la solita."

"D'accordo." si arrese C, incominciando a frugare nelle sue tasche.

Io mi avvicinai alla finestra e la spalancai, forzando il meccanismo arrugginito. Il vento fresco filtrava nel mio pigiama leggero. Mi sarei beccata un raffreddore forse, ma non m'importava poi tanto. Avevo bisogno di respirare aria pulita, aria chiara, aria priva di punti interrogativi.

"Trovate!" esultò debolmente Corinne alle mie spalle, riportandomi alla realtà.

Richiusi la finestra con un colpo secco.

Corinne mi lasciò scivolare una chiave nella mano e con noncuranza aggiunse, le labbra accostate al mio orecchio: "Vengono chiamati Neroveggenti."

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: FioreDArgentoWattpad