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Autore: Il_Signore_Oscuro    08/10/2016    4 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter two – Fire ‘n’ ashes

Recisi la testa dell’ultimo imp con un colpo secco, zittendo il suo pigolio, mentre le alette e il corpicino si accasciavano a terra con un tonfo sordo. Non potei nascondere una certa soddisfazione: gli imp erano fra le creature più fastidiose che si potessero incontrare nella macchia verde che circondava Chorrol: i loro incantesimi, anche se di debole entità, lasciavano scottature che ci mettevano giorni a guarire del tutto. L’ultimo che avevo ucciso, poi, era stato il più ostico: oltre che fastidioso era pure veloce, ma alla fine l’avevo avuta vinta io.
Gli aprii la cassa toracica con la punta del pugnale e con le mani guantate cavai fuori la disgustosa gelatina in cui era contenuto il fiele di imp: un ingrediente alchemico di una certa importanza per Teekeeus, l’argoniano a capo della gilda dei Maghi a Chorrol. Il lucertolone non mi ispirava molta simpatia, era un tipo parecchio spocchioso ma volevo unirmi alla Gilda dei Maghi come Apprendista, e ottenere una raccomandazione da parte sua era l’unico modo per entrarvi. Avrei anche optato per la Gilda dei Guerrieri, ma per unirmi a loro avrei dovuto avere sedici anni, come minimo, mentre al tempo ne avevo da poco compiuti quattordici.
Riposi il fiele nella sacca di iuta, ormai umidiccia di gelatina e sangue, trattenendo l’ennesimo conato di vomito per l’odore che emanava. Decisi che qualche minuto di riposo era più che meritato, mi sedetti sotto un albero e iniziai a curarmi le ferite che avevo in pratica ovunque.
Sospirai di sollievo nel sentire il tocco fresco della magia che ricomponeva la pelle e schiariva il rossore, ma mi accorsi fin troppo presto quanto fossi stato imprudente a rimanere lì nella Great Forest più di quanto fosse necessario.

Dietro un vecchio albero caduto chissà da quanto e coperto quasi interamente dai muschi, sentii dei passi e un verso rauco. Quando scattai in piedi mi venne quasi un infarto nel vedere la figura macilenta di un goblin. Se gli imp erano più che altro un fastidio, i goblin rappresentavano un pericolo: si spostavano in branchi, erano intelligenti e crudeli; sapevano maneggiare ogni tipo di arma e, come se non bastasse, avevano una grande forza fisica.
Quello che avevo di fronte poi, oltre a sembrare parecchio incazzato, era davvero brutto a vedersi: il mento con un forte prognatismo, gli occhi piccoli simili a quelli di un rettile, le orecchie a punta e la pelle di un verde che ricordava le acque salmastre di una palude. Fra le mani stringeva un’ascia sbeccata ma ancora capace di far male e uccidere.
La mia unica fortuna era il fatto che fosse solo, avevo sentito che ultimamente un contingente di soldati era stato mandato a liberare forte Ash da quelle creature, dopo che alcuni viandanti erano stati attaccati mentre percorrevano la Black Road (la strada che collegava Chorrol alla Città Imperiale). La missione era stata un successo, grazie anche ad una discreta collaborazione della Gilda dei Guerrieri, ma evidentemente quell’esemplare doveva essere sopravvissuto. La sua sete di vendetta non tardò a palesarsi e dopo un grido di guerra mi attaccò, non avevo protezioni e anche un singolo colpo poteva risultare fatale. Dovevo contare sulla velocità. Quando calò l’arma scartai di lato e alzai la guardia, per quanto la scarsa lunghezza del pugnale rendesse quella difesa alquanto inutile e, difatti, quando tentò un altro attacco, indietreggiai con un salto che mise a dura prova il mio equilibrio.

Dovevo trovare un modo per cavarmi fuori da quella situazione: potevo usare la magia ma, per usufruire delle proprietà offensive del Recupero, avrei dovuto avvicinarmi, con il rischio di farmi tagliare una mano o peggio, il pugnale stessa cosa … se solo Takeeus mi avesse dato una qualche cavolo di pergamena di incantesimi o, meglio ancora, se mia madre si fosse decisa a donarmi finalmente la spada di mio padre.

La stoccata del goblin mi tolse il fiato e quando caddi per terra, lo vidi caricare l’ultimo fendente, quello che mi sarebbe stato fatale.
Finiva davvero tutto così? Morto senza neanche aver avuto la possibilità di combattere per la mia vita? No, questo non l’avrei accettato. Non quel giorno, non così! Con tutta la forza che avevo stampai un calcio sul ginocchio della creatura: lo vidi sbilanciarsi, la gamba tendersi e distendersi cedendo sotto il suo peso. Gemette per il dolore e il suo verso, se possibile, si fece ancora più rabbioso e selvaggio.
Era la mia occasione, dovevo svignarmela, se avessi corso abbastanza, avrei fatto perdere le mie tracce e se il colpo che gli avevo dato era anche riuscito ad azzopparlo, tanto di cappello. Scappare non mi piaceva, ma nella mia situazione non c’era un’altra scelta possibile.
Ogni mio piano fu vanificato dal lampo di luce verde che prese la creatura in pieno petto, facendola cadere come un sacco di patate, rigida e immobile come una statua. Vidi Lucien saltare dal dorso di Mere e calarsi come un’ombra sul goblin, squarciandogli la gola in un gesto secco e deciso.
Morì lentamente, con il sangue che fuoriusciva a fiotti dal collo, scuro come pece. I suoi occhi gialli non si staccarono per un istante da me, mentre la luce che li animava si spegneva: erano pieni di rabbia, arsi da una sete di vendetta a cui neanche la morte poteva portare pace. Mi sentii dispiaciuto per quella creatura, era certamente crudele e meschina, ma sentivo dentro di me come una risonanza al senso di perdita che doveva aver vissuto, nel vedere il suo clan distrutto dalla mano degli uomini. Una fine che si meritavano (alla fine se l’erano cercata) eppure, non potei fare a meno di guardarlo morire, come se essere cosciente del suo odio fosse un modo per non lasciarlo solo.
Lucien ripulì la lama del pugnale d’argento, usando un fazzoletto di stoffa che portava nella tasca interna della giacca. Mi guardava con uno sguardo di rimprovero.
-Sei forse diventato stupido? Andare nella Great Forest completamente solo e senza un’arma decente?! – Era visibilmente preoccupato, mi ricordava un po’ mia madre.
-Dovevo sbrigare una commissione per Teekeeus – cominciai, ma lui mi interruppe.
-Beh, potevi almeno venirmi a cercare! – poi, un po’ più calmo. – Sali, ti riaccompagno a Chorrol.
Si avvicinò a Mere, quietandola con una carezza: la puledra doveva essersi agitata alla vista del sangue, ma al suo toccò si calmò immediatamente.

Lucien Lachance era cresciuto parecchio in quegli anni: si era fatto più alto, pur rimanendo più basso di me, il suo corpo era diventato più robusto senza perdere l’elasticità e lo slancio dei muscoli da ragazzino. Non aveva perso la sua parlantina, anche se crescendo aveva sviluppato una certa malinconia, non so bene dovuta a cosa: non credo ci fosse un motivo in particolare ma avevo sentito che leggere molto può provocare certi cambiamenti nel carattere di una persona e la sua cabina, nella baracca adiacente al Priorato, si era riempita di libri sui temi più svariati: dalle favole per bambini ai resoconti di spedizioni, aveva anche alcuni tomi che teneva nascosti, con la copertina scura e i titoli raschiati, perché non fossero leggibili.
Da quello che sapevo, la relazione con la figlia dei Bruiant era una storia chiusa, un giorno era tornato al Priorato con un occhio pesto, chiudendosi nella sua stanza e rifiutandosi di parlare con chiunque. Ci era voluto un po’, ma alla fine mi aveva spiegato cos’era accaduto: il fratello della ragazza li aveva scoperti, dopo avergliene date di santa ragione gli aveva fatto una promessa “Avvicinati ancora a mia sorella e mio padre saprà”, sottintendendo che il pestaggio sarebbe stata ben poca cosa, rispetto a quello che il signor Bruiant gli avrebbe fatto passare.
Avevo ascoltato il tutto con un brivido dietro la schiena, riuscendo a stento a credere a ciò che sentivo: perché mai qualcuno si sarebbe dovuto comportare in quel modo?
Lucien dopo quell’evento cambiò, in modo impercettibile per gli altri, lui riusciva a ingannarli tutti … ma non me: io lo conoscevo meglio di chiunque altro e sapevo che alla malinconia si era unito qualcosa di più amaro, oscuro e terribile.
Qualcosa nascosto nel suo sguardo, nella sua voce; al tramonto i suoi pensieri forse diventavano ancora le fantasticherie e i sogni di qualche anno prima, ma non venivano palesati, rimanevano in silenzio con la sua bocca, mentre strigliava Mere, voltandosi ogni tanto verso il crepuscolo in arrivo.

Scendendo verso sud-ovest, per immetterci nella Black Road, attraverso il terreno impervio ai piedi della Great Forest, vedemmo un cavaliere galoppare verso la città di Chorrol: vestiva una lucente armatura d’acciaio e al fianco pendeva una spada lunga inforcata in un fodero nero, dall’elsa doveva trattarsi di una lama in argento, da quel poco che si riusciva a vedere attraverso la lunga cappa che sventolava alle sue spalle. Riconoscevo l’azzurro intenso di quel mantello, quel cavaliere era un membro della Gilda dei Maghi e, a giudicare dalla fretta con cui si muoveva, doveva trasportare un messaggio importante.
-Cosa sarà successo? Un mago-guerriero da queste parti? – Chiese Lucien.
-Ne so meno di te, – risposi – seguiamolo.
Avevo una brutta sensazione. Non lanciammo Mere al galoppo. Anche se avrebbe potuto facilmente raggiungere l’altro cavallo, non volevamo che il cavaliere ci notasse, solo capire cosa si nascondeva in fondo a questa storia. Con velocità sostenuta percorremmo la Black Road e, approfittando della tranquillità, tentai una conversazione.
-Quell’incantesimo di oggi, che cos’era?
-Paralisi. – Rispose Lucien, laconico.
-Sei già arrivato a quel punto?
-Già. – Il suo tono era duro, come se-
-Non dirmi che ce l’hai ancora con me per la storia degli Imp?
-Sì, invece. – Ci fu un tremolio nella sua voce, tremolio che calmò con qualche istante di silenzio. – Rag, sei l’unico amico che io abbia mai avuto e non voglio perderti per un’azione stupida e incosciente come quella di oggi. Hai rischiato di farti ammazzare, quando avresti semplicemente potuto chiamarmi.
-Lo so, Lucien. – Dissi, dispiaciuto – E ti chiedo scusa. Anche tu sei un fratello per me, lo sai, ma non ci avevo pensato, non credevo sarebbe stato tanto pericoloso.
-Beh, avresti dovuto, invece. – Sospirò, cercando di ricomporsi.
Lucien quando ci si metteva sapeva davvero farti pesare anche il più piccolo sgarro, non era il caso di farglielo notare, non in quell’occasione almeno.
-Già, avrei dovuto pensarci. Scusa. – Lo assecondai.
Mugugnò qualcosa e poi di nuovo quel silenzio. Avvertivo la tensione, cercò di dissiparla parlando di altro.
-Come mai poi vuoi unirti ai Maghi?
-Beh, sono ancora troppo giovane per quella per i Guerrieri e poi, sai, mi servono un po’ di soldi e le commissioni vengono pagate.
-Soldi per cosa? – Chiese lui, incuriosito.
-Beh, vorrei comprare Arborwatch.
-Arborwatch? – Mi chiese, un po’ incredulo.
-Sì, la tenuta in vendita nel quartiere della Grande Quercia.
-Oh. – Il suo tono lo sentivo carico di delusione, mi affrettai ad essere più specifico.
-E’ una casa bella grande, con tanto spazio. Potremmo starci tutti e tre senza troppi problemi. Certo, andrebbe messo un po’ di mobilio e quello costa, ma sono sicuro che Jauffre ci darebbe una mano.
-Un bel progetto, non c’è che dire. – Disse Lucien, adesso più rilassato. – Tua madre dove lavorerebbe?
-Ho già provveduto anche a questo. Hai presente Seed-Neeus?
-L’argoniana del negozio “Merci e Prodotti del Nord”?
-Precisamente.
-Beh?
-Ha una bambina a cui badare ed era in cerca di qualcuno che l’aiutasse con gli affari, mi sono già messa d’accordo con lei perché tenga il posto per mia madre. – Infondo lei sapeva tener di conto e aveva esperienza nel campo delle contrattazioni, non c’era persona più adatta per aiutare un mercante.
-Fantastico, comunque siamo arrivati.
Le porte di Chorrol erano di fronte a noi: imponenti con il vessillo della quercia bianca impresso sugli stipiti. Lasciammo Mere all’ingresso della città, accanto alla cavalcatura del tizio con la cappa blu. Le guardie appostate lì vicino avrebbero scoraggiato qualsiasi ladro.
Quando raggiungemmo la Gilda dei Maghi incrociammo il cavaliere, il quale non ci degnò che di un’occhiata, lasciando intendere che la fretta con cui era arrivato era la stessa con cui intendeva andarsene.
Appena entrati nella sala, notammo che erano tutti agitati. Teekeus stava consultando un rotolo di pergamena con impresso il sigillo ufficiale della Gilda, quella comunicazione arrivava direttamente dall’Università Arcana. Dopo aver concluso la lettura passò il messaggio ai suoi sottoposti e si diresse verso di me.
-Ragnar, ti devo parlare. – La solita cadenza sibilante. – Da solo. – Aggiunse, ammiccando verso Lucien.
-Di che si tratta? – Chiesi, allarmato.
-Parliamone nel mio studio.
Rivolsi un’occhiata interrogativa a Lucien che mi fece cenno di andare, mi avrebbe aspettato lì.

Lo studio dell’argoniano era grande quanto uno stanzino, con un letto sul fondo e una scrivania al centro, sul pavimento di pietra. C’erano vari fogli sparsi e tomi che mi davano l’impressione di essere abbastanza antichi, su uno di questi mi cadde l’occhio e lessi “Dita della montagna” in mezzo ad altre parole, senza capire a cosa si riferisse. Dovevano essere sue ricerche private. Su un altro foglio, stavolta decisamente più recente, credo vi fosse una lettera di diffida verso una certa Earana: un’altmer che avevo visto nella sala della Gilda più volte e con cui evidentemente qualcuno doveva avere degli screzi.
-Signore, le ho portato le fiele. – Dissi, appoggiando il sacchetto maleodorante sulla scrivania.
-Ti ringrazio, Rag. – Lo posò sul pavimento, accanto alla sedia, senza neanche darci una controllata, la cosa un po’ mi infastidii, visto che ci ero quasi finito secco per raccoglierle. – Ma adesso abbiamo questioni più serie di cui parlare.
-Sarebbero? – Chiesi, mentre la preoccupazione dentro di me formava un groppo che mi risaliva in gola.
-Si tratta del tuo ingresso come apprendista all’interno della gilda, temo che non basterà più la mia raccomandazione.
-Cosa?! – Chiesi, mentre la paura diventava rabbia, sbattendo un pugno sul tavolo. – Ho passato due anni a sfacchinare per guadagnarmi un posto in questa cavolo di gilda e ora mi dici che la tua raccomandazione, tral’altro più che guadagnata, non basterà? Cos’altro devo fare? Portarvi la testa di un drago?! – Ormai stavo urlando.
-Calmati ragazzo, calma. Come stavo dicendo: non dipende da me – poi si affrettò ad aggiungere – o meglio, non solo da me. Per entrare a pieno diritto nei ranghi della Gilda, dovrai ottenere le raccomandazioni dalle succursali di ogni città di Cyrodill. C’è stato un cambio di regime ai piani alti dell’Università Arcana: c’è un nuovo arcimago.
-E chi cazzo sarebbe?! – Chiesi, sempre più irritato, con le lacrime agli occhi.
-Modera il linguaggio ragazzo. – Suonò più come una frase detta per abitudine, che come un vero e proprio rimprovero. – Si tratta di Hannibal Traven.
-Non so chi sia. – Dissi, più calmo (ma solo all’apparenza).
-Un messaggero ha consegnato qualche minuto fa le nuove direttive, ecco perché c’è tutto questo subbuglio. Tutto ciò che posso fare per te è spedire la mia raccomandazione all’Università, per il resto ho le mani legate.
Non riuscii a parlare, non subito almeno: uno sconosciuto, lontano da qui, nella torre dell’Arcimago, aveva distrutto in pochi secondi il lavoro a cui mi ero dedicato per due anni, mettendo a rischio anche la mia stessa vita. Non so perché l’avesse fatto, se per capriccio o per una reale esigenza, fatto sta che in quel momento non c’era persona al mondo che odiassi più di quel Hannibal Traven, di cui non conoscevo neanche il volto.
-Grazie. – Dissi, non riuscendo ad aggiungere altro ed uscii dallo studio a testa bassa.
Fuori da lì mi aspettava Angalmo, mi guardava con gli occhi impietositi. Aveva saputo delle nuove direttive e sapeva quanto mi fossi impegnato per raggiungere uno scopo che adesso si era fatto più lontano. In due anni eravamo diventati quasi amici, io e lui, cercò di consolarmi (per quanto un altmer fosse capace di consolare) dandomi delle lievi pacche sulle spalle.
-Non temere Ragnar, vedrai che ce la farai. Tieni, questo è per la commissione di oggi, insieme a un piccolo bonus.
Mi sorrise e con un certo sforzo io feci lo stesso: stavo male, ma questo non doveva farmi dimenticare le buone maniere verso chi faceva bei gesti nei miei confronti. Angalmo, poi, mi aveva insegnato le basi del Recupero e almeno un “grazie” glielo dovevo.

Lucien notò subito che il mio umore era nero, sloggiamo da lì mentre nelle sale della Gilda l’aria si stava accendendo per una discussione fra alcuni Evoker.
Ci sedemmo sulle panche di fronte alla Grande Quercia, il sole attraversava le foglie proiettando le loro ombre sul lastricato.
-Che è successo? – Mi chiese Lucien, visibilmente preoccupato.
-Che è successo?! Che tutto il mio lavoro è andato a farsi benedire!
Gli raccontai nei dettagli ciò che Teekeeus mi aveva detto, tentando di non scoppiare in lacrime.
-Dai, vedrai che troverai un altro modo, ne sono sicuro.
-La fai facile. Gli associati vengono pagati una miseria, sono poco più che portaborse per i capogilda. – Alzai lo sguardo verso Arborwatch, riabbassandolo subito dopo con una lacrima tiepida che mi percorreva la guancia. – Tenti di fare qualcosa, lavori tanto per ottenerla, ma loro distruggono tutto. Distruggono sempre tutto! – Strinsi un pugno, lo fissai intensamente. – A te non rimane che cenere, tutte le volte. – Sentii la magia scorrermi attraverso il braccio, la pelle farsi bollente. – Tutte le volte… - dissi, mentre una fiamma mi lambiva la mano, senza bruciarne la carne.

 
   
 
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