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Autore: Luna_Oscura    09/10/2016    1 recensioni
"Eppure tutti ti dicono che non puoi avere niente che non va, che è solo la tua pigrizia e la tua mancanza di forza di volontà. Che non vuoi correre. Che non vuoi vivere. Che non vuoi scegliere. Che non vuoi combattere."
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«Quando è cominciato tutto? Non saprei spiegarlo a me stessa, figuriamoci ad altri, so solo che è successo. È successo, e anche se si potesse tornare indietro non saprei come evitarlo.
Come è successo? La domanda giusta da fare sarebbe “perché è successo?”, e anche qui la risposta sarebbe “non ne ho idea, è successo e basta, e non si potrà mai fare nulla per cambiare le cose”.
Allora cosa puoi raccontarmi? Potrei raccontarmi.
Bene allora. Inizia. So solo che a quanto pare è colpa mia, colpa mia che non sono stata in grado di evitarlo, di evitarmi.
Evitarti? Sì, sono io la colpa di tutto.
A cosa ti riferisci? Lo sai. Me stessa. Avevo otto anni quando ho iniziato a capire.
Capire? Cosa potrà mai capire una bambina di otto anni? Esatto. Cosa potrà mai capire una bambina di otto anni? A quell’età i bambini ripetono quello che sentono in giro, magari dagli adulti, pensando sia giusto. Come potrebbe mai essere sbagliato qualcosa detto da chi ti ha messo al mondo?
Tua madre? Mia madre.
E cosa diceva di tanto illuminante anche per una bimba? Tante cose in realtà. E se ci penso adesso sono pure tante cose confuse, ma ad otto anni non si capisce, giusto?
Perché confuse? Perché alternava momenti in cui io ero la sua salvezza dalla pazzia a momenti in cui ero io la pazzia. Non ho mai avuto un bel rapporto con lei.
Nessun figlio ha veramente un bel rapporto con i genitori, perché tu dovresti essere speciale? Io non sono speciale, non sono nulla. Anzi, no, qualcosa lo sono anche io, me lo ripete spesso cosa sono.
E cosa sei? Stronza. Bastarda. Maledetta. Pazza. Senza un posto nel mondo, non ce l’ho mai avuto e mai ce lo avrò. E quindi perché? Se sono tanto inutile perché dovrei continuare?
Hai mai fatto qualcosa per migliorarti? Ovviamente. Ma non ci sono mai riuscita. Ho cercato diverse soluzioni, ma in dieci anni sono sempre riuscita a trovarne solo una.
Quale? Il suicidio. Se sono davvero tutto questo per la persona che mi ha messo al mondo cosa continua a fare qua? Qualsiasi cosa io facessi non sono mai riuscita a renderla felice, non come mia sorella. Lei era perfetta, “perché non puoi essere un po’ come lei?”. Semplice, perché io non sono lei. Non riesco nemmeno a somigliarle.
Non è questa la soluzione, te l’hanno mai detto? Solo di recente ho iniziato a parlarne con i miei amici, ma cosa credi che possano fare ormai? Una bambina di otto anni crede a quello che le dicono gli adulti, e io sono stata una bambina che ad otto anni ha iniziato a sentirsi ripetere cose che ancora non hanno trovato una fine. Forse perché la fine che devo trovare è la mia. Sai quante volte sono rimasta a casa da sola immaginando di farla finita prima che lei tornasse a casa? Troppe. Ma non ho il coraggio, sono una codarda.
Sì, lo sei. Sei una codarda perché credi di risolvere i problemi così. Non sono mai riuscita a trovare altre soluzioni. Mi faccio schifo per questo, e più mi faccio schifo più penso di farla finita. È un circolo vizioso, come un serpente che si morde la coda, non esiste una vera fine. Ho scritto decine e decine di lettere di suicidio, lettere che ho strappato poco dopo.
E lei non si è mai accorta di niente? Ma quale. Ho sempre cancellato le prove. Distrutto e buttato tutte le lettere, chiuso il gas, cambiato l’aria e spruzzato tonnellate di profumo, allontanato i coltelli. Quei meravigliosi coltelli che avrebbero potuto aiutarmi una volta per tutte.
Cosa ti ha sempre fermata? La mia coscienza.
Io? Tu. Insieme al pensiero di mia sorella sola con lei. Non permetterò mai che finisca per lei come per me.
Pensavo fossi gelosa di lei. Non sono gelosa, lo sai. Non ne avrei motivo, nessuno merita di vivere quello che sto passando io. Siamo due persone diverse, ma lei non è poi tanto diversa da me agli occhi di mia madre.
Ma come, prima hai detto tutt’altro. So cos’ho detto, e lo confermo. Ma per quanto lei sia perfetta e non si senta dire determinate cose un motivo per prendersela con qualcuno lo si trova sempre.
Hai mai provato a starle lontana? Tantissime volte! Le gite scolastiche sono la mia salvezza, ma non sono infinite. E non posso passare la mia vita costantemente fuori casa.
E quando non esci cosa fai? Mi chiudo in camera. Leggo, ascolto la musica, scrivo. Mi rilasso. Ma puntualmente, appena comincio a stare meglio, lei si fionda in camera e mi urla che non passo mai del tempo con lei, che sono sempre chiusa nel mio mondo col mio telefono, e che sono una figlia di merda. Lei non merita una figlia del genere. Ma ricordiamo che io l’ho salvata dalla pazzia, eh.
Salvata dalla pazzia? Ma davvero? A quanto pare. Bel modo di dimostrarlo, non trovi? Perché io sono stata la sua prima figlia, l’ho salvata dalla depressione quando appena sposata è partita per un’altra regione con mio padre per lavoro. Lei qui non aveva nessuno, e io le facevo compagnia.
E non hai mai provato a farle presente quanto si comporti da madre di merda? Ma per favore, non farmi ridere. Una madre di merda? Lei? Ovviamente, ma non lo vuole detto. Una notte mi ha sorpresa a piangere, quando le ho raccontato il motivo mi sono ritrovata cinque dita sulla guancia destra, e altri insulti. Quelli non mancano mai. Non merita una figlia di merda come me. Capito? Sono io la merda, quella che subisce, non lei. Poi ha dato la colpa nuovamente al telefono, alla musica che ascolto e ai film che guardo.
Che musica ascolti? In realtà un po’ di tutto, ma nessun genere di musica mi aiuta tanto come il metal, in particolare le canzoni di Marilyn Manson. “Ma non ti vergogni a dire in giro che ascolti quel tipo di musica? Poi è normale che le persone dicano che sei pazza e ti tengano alla larga”. Per non parlare degli horror. “Ma ti rendi conto di che gusti di merda hai? Guardi quello schifo che ti mangia il cervello, è normale che tu sia totalmente pazza”.
Ma hai finito di scrivere lettere, vero? Per ora. Non so se sono uscita veramente da questo inferno. L’ultima volta che ne ho scritta una avevo quindici anni. 22 gennaio 2014, ricordo ancora la data. Ero a casa da sola, nuovamente. Stavo male, avevo l’influenza, e lei doveva tenere compagnia a mio padre che doveva fare delle visite. E lì ho avuto l’illuminazione: ho preso un pennarello e ho iniziato a scrivere, ma su un foglio non erano abbastanza incisive. Sì, incisive, come la punta di un coltello. Ho scritto sul mio corpo tutto quello che mi sono sempre sentita dire e ho preso un coltello. Riuscivo a vedere la sua espressione nello scoprire cosa aveva causato e i giornali locali che riportavano la notizia come credevano. Ma non ho fatto nulla, sarebbe stata una vista troppo brutta per mia sorella, all’epoca aveva solo dieci anni. Ci ho messo ore per cancellare quelle scritte, ma credo proprio mi siano penetrate sottopelle, non mi hanno mai realmente abbandonata.
Perché mi stai raccontando tutto questo? Non lo so, forse avevo bisogno di parlarne con qualcuno un’ultima volta, e chi ti ascolta meglio della tua coscienza?
Un’ultima volta? Addio, vi ho voluto bene, anche se non sono riuscita a farmi ricambiare.»
 
E mi sento stupida a rileggere questa lettera a distanza di anni, l'unica lettera che non ho mai buttato, quella che ho sempre conservato e riletto pensando che, chissà, un giorno mi sarebbe servita. Ma quel giorno non è mai arrivato, adesso quasi ci scherzo su, so che ho sempre sbagliato ad avere certi pensieri. 
Poi un giorno ti rendi conto che esisti e che non c'è nessuno uguale a te. E il latte versato non è sprecato e il peccato è solo piangerne. E tu vuoi correre. E tu vuoi vivere. E tu vuoi scegliere. E tu vuoi combattere.
   
 
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