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Autore: _Sherazade_    10/10/2016    5 recensioni
La storia di Cupido, il Dio dell'amore, che si invaghisce di un'umana, Psiche, acclamata da tutti per la sua ineguagliabile bellezza. Il Dio, a seguito di un sacrificio, rapisce Psiche, portandola nel suo palazzo, visitandola unicamente di notte e non mostrandole mai il suo volto. La ragazza inizialmente è impaurita, ma ben presto si innamora di lui, e i due vivono serenamente quelle brevi notti passate insieme.
Questo amore è però ostacolato da Venere, madre di Cupido, che prova un profondo rancore per Psiche, idolatrata dagli uomini al posto suo, e dalle due perfide sorelle della giovinetta, invidiose e maligne.
Riusciranno i due giovani innamorati a superare tutte le avversità che il destino ha messo sul loro cammino?
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Questa è la mia personale visione della storia che Apuleio narra ne "Le Metamorfosi".
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Questa storia partecipa al contest "The unsustainable beauty" indetto da Phae. sul forum di EFP
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Per aspera ad Amorem



Questo corpo vestito di rosso leggero
dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi
e saprò d'esser io: gettando un'occhiata,
mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
uscirò per le strade cercando i colori.
Cesare Pavese


«... Sospinta dal vento, la conchiglia trasportò a riva la nuova Regina dell'Amore, la Dea più bella di tutte: Venere. Una delle Ore, vedendo la Dea, si apprestò a portarle dei vestiti, mentre il vento caldo la riscaldava. Da quel giorno, la Dea elargì amore a Dei e uomini, ed è per questo che noi domani andremo al suo tempio, mia piccola Psiche.» raccontò l'anziana donna, guardando amorevolmente la nipotina di soli cinque anni.
«Ma è davvero così bella? La mamma dice che io lo sono molto di più e che il giorno in cui diventerò donna, tutti mi ameranno anche più della Dea.» La vecchia Elenia impallidì a quelle parole, e avvisò immediatamente la nipote: non avrebbe mai dovuto dire, e neppure pensare, a una cosa del genere.
«Mia figlia non ragiona, e in quanto regina dovrebbe mostrare più senno. Temo che possa educarti male e spingerti a comportarti in maniera sconsiderata. Noi amiamo e veneriamo gli Dei, ma li temiamo anche perché loro sono al di sopra di noi e possono fare ciò che vogliono con le nostre vite. Le Dee, come tutte le donne, possono essere vanitose, e gelose dei titoli che hanno guadagnato. Se tu, come sostiene tua madre, venissi acclamata come una donna bella ancor più della Dea della Bellezza e dell'Amore, solo Zeus potrebbe salvarti dalle terribili pene che Lei ti infliggerebbe.» La bambina guardò sospirando la sua adorata nonna.
«Devo quindi dire che sono brutta?» la donna sorrise, prendendola in braccio.
«Certo che no, mia adorata nipote, ma non devi mai scordare chi sei, e che devi onori e rispetto a tutte le divinità, e mai ergerti loro pari. Tu ed io avremo un duro compito: insegnare a tua madre a non dire stupidaggini, onde evitare l'ira della Dea.»
Il giorno successivo, Psiche si recò con la nonna all'antico tempio della Dea per festeggiare la Vinalia Rustica, e per rendere onore alla divina Venere. La madre e le sorelle, avevano troppo caldo per muoversi di casa e, nonostante le insistenze dell'anziana matriarca, nulla riuscì a smuoverle. Psiche però, che non voleva far irritare gli Dei, raggiunse il tempio con l'adorata nonna per offrire sacrifici anche per conto delle sue parenti.
La piccola si divertì moltissimo, imparando i misteriosi riti, svolgendo piccole mansioni, e pregando con devozione, per potersi assicurare un futuro sereno.
Mentre la nonna finiva di sistemare il tempio assieme alle altre donne, Psiche si recò lungo le sponde del lago vicino, rinfrescandosi e giocando allegramente con il fedele cane da guardia di Elenia.
«Posso giocare con te?» Psiche si voltò di scatto, trovandosi di fronte un fanciullo bellissimo, dai riccioli dorati e dagli occhi azzurri come il cielo.
«Va bene. Qual è il tuo nome?» chiese la piccola.
«Eros.»
«Come il Dio dell'Amore?»
«Sì. Come lui.» I due bambini giocarono a nascondino, si rincorsero e intrecciarono fiori fino a quando la vecchia Elenia non giunse a chiamare la nipotina.
«Se vuoi, puoi venirmi a trovare a casa mia. La mamma di certo non si dispiacerà.»
«Mi spiace ma non posso... mia madre non vuole che... mi allontani troppo da casa.» Eros sembrava quasi spaventato. «Ma se verrai ancora il prossimo anno, ti prometto che ci sarò!»
E così fu, per i successivi cinque anni. Psiche aspettava con ansia quel diciannovesimo giorno di Agosto, lo aspettava con trepidazione, solamente per vedere il suo amico. Ogni volta che lo incontrava, sentiva una morsa allo stomaco, e si chiedeva se anche lui provasse lo stesso.
Poi qualcosa cambiò. Psiche non era più una bambina, era sbocciata, divenendo una fanciulla di gran cultura e di animo nobile, la cui straordinaria bellezza fiorita da poco tempo trafisse il cuore di moltissimi giovani.
La madre e il padre andavano davvero orgogliosi del suo fascino; le sue sorelle, anch'esse di una bellezza notevole, erano invidiose di tutte le attenzioni che la giovane riceveva, ma nonostante questo erano riuscite a conquistare il cuore di due nobili re, a cui si unirono in matrimonio ottendendo così ricchezze e potere.
Da ogni dove arrivava gente per onorare la bellezza di Psiche, paragonandola alla stessa Venere e portandole addirittura dei doni.
«Madre, Padre, dobbiamo fermare tutte le voci che stanno circolando. La nonna lo diceva sempre: non dobbiamo elevarci a Dei, non lo siamo.»
«Sciocchezze, figlia mia. Mia madre, che la sua anima riposi serena nelle Isole Fortunate, esagerava. Tu sei bella come nessun'altra mortale prima di te, e forse è vero che sei bella quanto Venere, o anche di più. È giusto che la gente lo sappia, che ti acclami e veneri.»
«No, madre. Io non lo posso accettare. La vera bellezza è Venere, e non io. Padre,» Psiche si inginocchiò di fronte al genitore tanto amato, «almeno Voi, ve ne prego, datemi ascolto.»
L'uomo, che era saggio e buono proprio come la figlia, convenne con Psiche, ma gli era impossibile fermare le persone dal provare affetto e adorazione per lei.
«Venere capirà, mia adorata. Noi cercheremo di non avallare le voci, rifiuteremo con garbo le offerte che continuano ad arrivare.»
Psiche fu sollevata dalle parole di lui, ma ancora non sapeva a cosa stavano andando incontro.
Con tutte quelle persone che ogni giorno giungevano al loro palazzo, Psiche non fu più in grado di lasciare la sua stessa dimora, neanche per andare a rendere onore agli Dei nei loro templi, come faceva da piccola assieme alla nonna Elenia, come gesto di devozione e timorata riverenza.



Da ogni dove giungevano sempre più offerte e doni di ogni genere; chiunque avesse sentito parlare di lei, accorreva nella bella cittadina per poter ammirare Psiche e la sua bellezza divina, dimenticandosi così di dimostrare il proprio rispetto a Venere. I suoi bei templi erano stati dimenticati, nessuna offerta le era stata fatta in quella regione, mentre la fama di Psiche cresceva sempre di più.
Ma la sua incredibile bellezza, se è vero che attirava l'ammirazione degli uomini, era altresì vero che li allontanava, intimoriti da tanto splendore, a tal punto che nessuno aveva il coraggio di chiederla in moglie; proprio per questo, la giovane si disperava.
«Aveva ragione la mia adorata nonna: tutta questa adorazione ha portato alla mia rovina. Nessuno mi amerà mai, questa è la punizione che Venere mi ha inflitto per essere bella e per essere stata venerata al suo posto.»
L'unico motivo di sollievo per la giovane furono i ricordi legati al tempio di Venere, e a quei fugaci momenti vissuti insieme ad Eros, il bambino dai riccioli d'oro e gli occhi color del firmamento. Ma quando non pensava a lui, ecco che si spegneva, rifiutando persino di mangiare e dormire. I genitori, sempre più preoccupati per la sua salute, si recarono allora al famoso tempio dove dimorava un potente veggente, nella speranza di poter salvare l'amata figlia.
L'anziano oracolo gettò della polvere colorata nel fuoco sacro, e gli Dei gli concessero la visione. L'uomo fissò poi i due sovrani e con aria afflitta gli spiegò cosa aveva visto, osservando i due che cominciarono a piangere disperatamente.
Per Psiche non vi era nulla da fare: il suo destino era quello di essere sacrificata ad una creatura marina, in modo da placare la Dea Venere, delusa e offesa per ciò che le era stato fatto. La terribile creatura avrebbe preso in moglie la loro amata bambina, e loro non l'avrebbero mai più rivista.
«Se solo avessi dato ascolto a mia madre e alla nostra Psiche...» disse la regina scossa dai singhiozzi. «È solo colpa mia!» Il re cercò di consolarla, ma lui stesso era distrutto: Psiche era la sua figlia preferita, buona e dolcissima con chiunque. Sapere che la stava per perdere, era per lui un dolore così grande che era certo lo avrebbe portato alla morte.
Quando giunsero alle porte del palazzo, ritrovarono la loro figlia ad attenderli, e loro dovevano dirle la verità. La giovane, inaspettatamente, non ebbe alcuna reazione, non una lacrima, nessuna scena isterica.
«Lo sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Le mie nozze con la creatura abissale, altro non sono che una condanna a morte, io lo so. Non piangete per me,» disse loro con la sua solita dolcezza che non era stata scalfita dall'ombra di quel destino orribile e inevitabile, «un giorno ci rivedremo nelle Isole Fortunate.»
Psiche insistette affinché il rito venisse compiuto al più presto, e vi partecipò l'intera città e tutte le persone che amavano e che avevano venerato la fanciulla. In molti piangevano e levavano le loro preghiere al cielo, agli Dei e alla stessa Venere, chiedendo perdono e indulgenza per la dolce Psiche. Ella cercò di farsi forza per tutto il tragitto che l'avrebbe condotta alla sua fine, ma non poteva fingere in eterno di avere un coraggio che in realtà non possedeva. Quando infine venne lasciata sola lungo il dirupo che il veggente aveva indicato ai due sovrani, Psiche sfogò con un pianto disperato tutta la sua paura, temendo che la morte non sarebbe giunta subito, ma solo dopo atroci sofferenze.
Sola, e in balia dei suoi stessi singhiozzi, Psiche non si accorse di librarsi in aria, proprio come se fosse stata una piuma.
«Ma cosa succede?» Psiche venne trasportata in un luogo a lei sconosciuto, nascosto sotto la rupe e al riparo dagli sguardi indiscreti. Zefiro, il potente vento che soffiava dall'occidente, la spinse verso l'interno della cavità naturale, mostrandole così un meraviglioso palazzo nascosto tra le piante.
La bellezza di quei luoghi, lo sfarzo delle decorazioni e dei magnifici mosaici, e il modo in cui vi era giunta, erano indice di una cosa soltanto: era tutta opera di una divinità. Non poteva essere altrimenti.
Psiche era affascinata da tutto quello che vedeva, e si era dimenticata del motivo per il quale si era trovata lungo la rupe.
«Mia Signora,» una voce di donna interruppe i suoi pensieri, «sarete stanca per il lungo viaggio. Volete forse riposarvi?» Psiche si guardò tutt'intorno, ma non vi era nessuno accanto a lei.
«Chi siete? Perché non riesco a vedervi? Non siate timida, mostratevi a me.» disse Psiche dolcemente.
«Padrona, io son qui solo per servivi, vi sono accanto, ma non potete vedermi. Fidatevi di me, io vivo unicamente per servire la Signora di questo palazzo: Voi.»
«Come posso essere io la vostra Padrona?»
«In quanto moglie del mio Padrone. Tutto ciò che avete di fronte è di vostra proprietà. Io e i miei fratelli e sorelle, da oggi fino alla fine dei nostri giorni, vi serviremo con dedizione e solerzia.» Psiche capì dal tono della voce che chiunque essa fosse, era sincera e di animo buono. Non aveva ancora incontrato il suo sposo, una parte di lei temeva quel momento, ma l'altra si chiedeva: “Se lui mi sta trattando con ogni riguardo e delicatezza, può davvero essere un mostro orribile?”. Persa in quel dilemma, il dolce profumo di pane appena sfornato le arrivò alle narici e sentì lo stomaco attorcigliarsi: non mangiava da ore, da giorni in realtà, e stando in quel posto le era tornato l'appetito.
«Vi faccio strada, mia Signora. La sala da pranzo è a vostra completa disposizione.»
La grande sala da pranzo era ricca e luminosa. Meravigliose tende lattee venivano leggermente smosse dal caldo vento che spirava al di fuori; una dolce musica di flauti riempì la sala, mentre i piatti arrivavano, portati da altri servi invisibili. Era tutto delizioso, e Psiche gustò ogni pietanza con gusto. Era da molto tempo che non si sentiva così rilassata e... felice.
Da quando avevano cominciato ad accostarla alla divina Venere, Psiche si era sentita in colpa, persa, e afflitta da un dolore senza eguali. Non era lei quella che loro veramente adoravano, ma solo la sua bellezza. Si sentiva morire ogni volta che veniva acclamata. A causa di ciò, era deperita negli ultimi mesi, e la sua pelle aveva perso di colore, diventando così bianca da sembrare un cadavere. Eppure, dopo neanche poche ore, eccola lì, trattata come una gran signora, e il suo riflesso nelle posate preziose, mostrava una giovane donna splendida e in salute.
Lei avrebbe dovuto sposare una creatura orribile, eppure nessun mostro si era ancora fatto avanti. Forse avrebbe dovuto tenere la domanda per sé, ma non poté fare a meno di chiedere che fine avesse fatto il suo consorte.
«Arriverà più tardi, mia Padrona. Vogliate seguirmi nelle vostre stanze, abbiamo preparato per voi un bel bagno caldo.» Psiche si lasciò guidare ancora, e lasciò che le voci la svestissero, immergendosi nell'acqua calda che profumava di rose.
Psiche si abbandonò a quelle piacevoli sensazioni, dimenticandosi di tutto. Per un momento, nella sua mente, ricomparve la figura sfuocata del bambino che molti anni prima giocava con lei lungo le sponde del lago. Ricordava i bei riccioli dorati e lo sguardo vispo e birichino.
«Ah, Eros, se mia madre non mi avesse tenuta lontana da te, forse ti avrei detto del sentimento che provavo e forse, se tu mi avessi amata a tua volta, ti avrei seguito, sposandoti e vivendo un'esistenza felice al tuo fianco.» Quel suo primo amore, quell'unico e ingenuo amore di ragazzina, era un dolce ricordo del quale sperava di non scordarsi mai.
Stava per tramontare il sole e le invisibili ancelle la spronarono a coricarsi e a rilassarsi: il padrone stava per tornare finalmente a palazzo.
«Non abbiate paura, mia Signora. Vedrete che vi tratterà bene.»
Psiche si rannicchiò sul letto, tirando il leggero lenzuolo fin sotto il mento. Sentiva dentro di sé un grande tormento, lo stomaco attorcigliato, ma stavolta non per la fame; la testa quasi le vorticava, e il cuore aveva cominciato a palpitare come mai prima di allora.
“Mi tratterà davvero bene?” si chiedeva, “Userà con me gentilezza, o tutto questo era solo un trucco per farmi cadere in una crudele trappola?”.
Il vento scostò le tende, e Psiche notò un'ombra muoversi nella sua stanza. Ma non ebbe il coraggio di parlare, cercava solo di vedere di chi si trattasse, ma il buio celava la creatura ai suoi occhi, e la paura si fece sempre più pressante e fastidiosa.
Il letto cigolò e la giovane sposa sentì il respiro della creatura sfiorarle il collo. Per un momento sentì un profumo di rose solleticarle il naso, ma non erano le rose del bagno. Quelle erano rose particolari, di cui aveva sentito il prezioso aroma solo una volta nella sua giovane vita. Per un attimo vide lo sguardo di due occhi azzurro cielo posarsi su di lei, e sentì il suo corpo fremere.
«Non devi avere paura di me. Da oggi e per sempre sarai la mia amata sposa, e io il tuo devoto marito. Il mio cuore e il mio amore ti appartengono, o mia Psiche.» Le labbra di lui si impossessarono di quelle di lei, e in quella notte i due sposi, per la prima volta, scoprirono l'uno il corpo dell'altra.
Prima ancora dell'alba, lo sposo se n'era andato, lasciando la moglie alle cure delle fidate ancelle.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, i due si amarono, e anche se lei non aveva mai visto il suo volto, crebbe l'amore e la complicità fra i due fedeli sposi.



Se però Psiche era felice, nella sua vecchia casa scorrevano ancora fiumi di lacrime. Un dolore inconsolabile stava consumando i suoi genitori. Erano così affranti che le sorelle maggiori di Psiche dovettero fare ritorno al loro palazzo.
Ogni giorno si recavano afflitte lungo la rupe dove la sorellina era stata ghermita dal mostro, pregando e piangendo la scomparsa della loro compianta Psiche. Le loro voci giunsero attraverso la cavità naturale nel Palazzo ove viveva serena la sorella.



«Mio amato marito,» Psiche giaceva serena accanto a lui, dopo aver condiviso ancora una volta i piaceri coniugali, «oggi mi sono arrivati gli echi dei pianti delle mie sorelle. Lassù la mia famiglia piange ancora la mia morte... ma io non sono morta. Io sto bene, non posso farglielo sapere?»
«Mia dolce, dolcissima Psiche, il tuo cuore è buono, e l'animo tuo è nobile quanto quello delle divinità, ma non posso dire lo stesso delle tue sorelle. Vedo un'ombra su di noi e, soprattutto, su di te. Lasciale stare, prima o poi supereranno la tua perdita.» L'uomo baciò con ardore l'amata moglie e le sfiorò poi il ventre. «Ora, in particolar modo, dobbiamo essere molto più responsabili.» Psiche sorrise nell'oscurità della notte, e cercò la mano del marito, portandosela alle labbra.
«Aspetto con ansia il giorno in cui nostro figlio verrà al mondo, perché così potrò vedere nei suoi, i tuoi occhi; nel suo sorriso, potrò scorgere il tuo... Amore mio, spero che anche la mia famiglia possa ritrovare una serenità, perché accanto a te, io ho trovato la mia.»
I due amanti si scambiarono un altro bacio, e una altro ancora, sfiorandosi e esplorando ancora una volta l'una il corpo dell'altro, proprio come se fosse stata quella la prima volta.
Ogni notte con ardore le loro anime si amavano e i loro corpi si fondevano, elevando le loro grida d'amore al cielo stellato. Separarsi all'alba era doloroso per Psiche, ma sapeva che ogni notte, il suo amato, sarebbe tornato da lei.



Anche quel giorno, la giovane sposa sentì le grida disperate delle sorelle; cercò di ignorarle, ma non le fu possibile. In passato le era parso che le sue sorelle provassero gelosia nei suoi riguardi, ma sentirle così affrante e addolorate per la sua perdita, la fece ricredere.
«Non v'è modo di chiamare il mio sposo e di chiedergli di farmi vedere le mie sorelle? Anche solo per pochi istanti.» chiese allora Psiche alle sue ancelle.
«Perdonateci, mia Signora, ma non possiamo disturbare il nostro Padrone.» La voce era titubante, e nel vedere la Padrona del palazzo così triste, la spinse a darle un suggerimento. «Potrete richiederlo al Padrone questa sera. Ma non subito, godete del vostro tempo insieme, e solo dopo, quando sarà calmo e soddisfatto, ponetegli la Vostra domanda. Lui si preoccupa per la Vostra incolumità, ma son certa che se gli spiegherete che volete rivederle solo per poco tempo, lui Vi accontenterà.»
Psiche sembrò rifiorire di fronte a quel consiglio, e lo seguì alla lettera.
Al calar del sole, il suo sposo entrò in camera, come di consueto. I due si amarono e coccolarono a lungo, e poco prima che lui la lasciasse sola di nuovo per ripartire, lei gli chiese ancora una volta di esaudire quel piccolo desiderio.
«Non ne avevamo parlato già ieri sera?»
«Sì, lo so, ma avresti dovuto sentirle: Novia, e persino Ursa hanno lanciato delle grida così disperate da lacerarmi l'animo... Come posso io che sto bene e son felice accanto a te, mio adoratissimo sposo, continuare la mia esistenza serena, sapendo che c'è chi ancora soffre a causa mia?» Psiche sentì il suo sposo sbuffare.
«Psiche, tu hai un cuore d'oro, ma le tue sorelle, che tanto in passato ti hanno fatto soffrire, come spesso mi hai riferito, cercheranno di certo di metterti contro di me, e di indurti a scoprire il mio volto, e tu sai che se ciò avvenisse, il nostro matrimonio avrebbe fine.» Psiche, che, dopo le prime notti di paura, aveva da tempo superato i suoi timori, e si era abbandonata completamente al marito, cercò di rassicurarlo.
«Nonostante le mia inquietudine, io non ho mai cercato di svelare il tuo segreto. Non m'importa chi o cosa celi il buio,» disse prendendo fra le mani il viso del marito, «io ti sarò per sempre fedele. Chiedo solo di poter riabbracciare le mie amatissime sorelle, anche solo per un giorno.» La mano di lei indugiò nello sfiorare i lineamenti del marito e lui, sentendo crescere in sé di nuovo il desiderio, cedette alla richiesta della moglie.
«E sia, Zefiro le porterà qui, e tu potrai anche donare loro oro e gioielli... ma non dire mai loro chi io sia né che non hai mai visto il mio volto, poiché esse, che di certo ti invidieranno ancora, proveranno a indurti a seguire la cattiva strada. Tu non cedere, ti prego.» Psiche lo abbracciò e lo baciò teneramente, felice per il meraviglioso dono che lui le aveva offerto, decisa a rispettare le sue volontà.



Il giorno dopo, Novia e Ursa si recarono ancora sulla rupe, e ancora piansero la perdita di Psiche, ma la sorella minore aveva già chiesto al fedele Zefiro di prendere le due e di portarle da lei.
Le due donne, spaventate nel vedersi fluttuare in aria, cominciarono a gridare, trascinate verso il fondo della rupe, ma a un tratto sentirono una voce che diceva loro di calmarsi. E presto la videro, videro la loro amata sorella, in forze e vestita di abiti sontuosi e ornata da gioielli di rara fattura.
«Miei Dei, sei davvero tu? Sei la nostra Psiche?» Ursa aveva le lacrime agli occhi tanta era la felicità. Zefiro depose le due sorelle al suolo e Psiche si inginocchiò al loro fianco.
«Sì, e non ho potuto fare a meno di udire i vostri lamenti, tanto che ho provato una grande pena, come se io stessa stessi patendo il vostro stesso tormento.» la giovane aveva gli occhi colmi di lacrime. «Zefiro ha provveduto a portarvi da me, e io ho anche dei doni per voi.» disse, mentre le ancelle invisibili trasportavano i preziosi doni che Psiche aveva personalmente scelto per le amate sorelle e per i genitori. «Questa è la mia casa, e io son felice, ma non posso esserlo totalmente se voi state soffrendo così tanto. Tornate dai nostri genitori, e dite loro che io sto bene, che presto verrà alla luce un nipotino. Io non posso muovermi da qui, o il mio sposo ne soffrirebbe molto, ma ora che mi avete vista, in salute e serena, potrete vivere con la consapevolezza che anche io sto bene.»
«Sapere che tu non sia stata divorata dalla bestia degli abissi è un grandissimo sollievo,» disse Novia abbracciandola, «e i nostri genitori ne saranno di certo rallegrati. Ma dicci, dov'è il tuo sposo? Perché tanto mistero? Non gli interessa conoscere la famiglia della sua sposa?» chiese la sorella maggiore con acidità. Psiche, che ricordava molto bene i moniti del marito, decise di mentire alle sorelle, ma per una giusta causa, dato che amava il suo consorte, più di qualunque altra persona al mondo.
«Lui è un cacciatore, ed è sempre impegnato durante il giorno. Spesso si muove e si sposta nelle città per vendere quello che riesce a procacciare, ed è per questo che non è ora in casa.» la giovane sposa chiamò Zefiro, e gli disse di portare via le sorelle.
«Siate felici mie care, non siate più in pena per me. Ora che sapete, potete fare ritorno alle vostre dimore e godervi la vita coi vostri amati mariti. Spero che anche voi possiate essere felici quanto lo sono io.» Ursa e Novia cercarono di protestare, ma Zefiro le aveva già trascinate sulla rupe assieme ai doni di Psiche.
«Hai visto sorella le sue vesti?» chiese Ursa, la maggiore delle tre.
«Perché, tu non hai forse notato la meravigliosa tiara sul suo capo?» rispose Novia velenosa.
«Non solo era la più amata in casa, tutti amavano la piccola Psiche.» Ursa guardò con astio il dirupo, sputando fuori tutto il veleno di cui era capace, «Quella piccola intrigante che tutti hanno amato e venerato! L'hanno acclamata come Dea, e adesso non è così lontana dall'esserlo. Psiche ha comandato Zefiro... ti rendi conto?» la maggiore sembrava essere sul punto di andare in piena crisi.
«Mio marito è un perdente, è un bell'uomo, ma non vale nulla. Psiche avrà di certo un marito affascinante e divino, e suo figlio sarà di certo un Dio!» Novia giocherellò con una delle collane dono della sorella.
«Tutte le fortune a lei, che disgrazia! Anche mio marito è una piaga, cara sorella. Il tuo è almeno piacente, il mio non sarebbe male, se ogni tanto mi toccasse. È annoiato da tutto e non vuole nemmeno giacere con me... o con altre donne. Che matrimoni sfortunati che abbiamo avuto! E Psiche...» Ursa, che stava sfiorando una delle sue nuove vesti, dalla rabbia la stracciò e guardò negli occhi la sorella minore. «Psiche ha tutto, e non è giusto!»
«Gli uomini si stancano in fretta, cara Ursa, e gli Dei anche di più.» Novia la guardò maliziosa, «Forse, se il marito di lei ci vedesse, potrebbe aver voglia di provare qualcosa di nuovo, e di più audace di una sciocca ragazzina che non ha che pochissima esperienza.» Le due sorelle risero malignamente, e decisero che il giorno dopo sarebbero tornate alla rupe, chiamando e invocando la sorella, fino a spingerla a portarla di nuovo al di sotto della rupe. Non si sarebbero accontentate di vederla, l'avrebbero convinta a portarle nella sua casa, e così avrebbero cercato il misterioso marito di lei.



Psiche, quella sera, raccontò soddisfatta al marito quanto era accaduto, e gli riferì inoltre che aveva fatto come lui aveva richiesto, nascondendo alle sorelle il loro segreto.
«Molto bene, mia cara, ma sappi che i problemi sono appena iniziati, perché ora che sanno che stai bene e vivi serena al mio fianco, vorranno di più. Scommetto anche che domani si faranno di nuovo presenti alla rupe e ti invocheranno.» il marito prese le sue mani fra la proprie e la implorò, «Non cedere ai loro richiami. Te ne prego, ora che le hai viste e hai potuto ricongiungerti a loro, non dare loro modo di ferirci, o sarà la fine per noi.» Psiche cercò di tranquillizzarlo, dato che lei stessa aveva detto alle sorelle di non cercarla più.
«Ora che loro sanno, non hanno più motivo di cercarmi, e se lo dovessero fare, io cercherò di starmene qui, buona e tranquilla. Anche e soprattutto per il bene del bambino.»
Ma Psiche non sapeva quanto le sue sorelle potessero essere ostinate e caprbie.



Ursa e Novia si recarono nuovamente alla rupe e invocarono invano il nome dell'odiata sorella.
La chiamarono a lungo e concitatamente, ma Psiche non rispose, perché così aveva promesso al suo sposo. Tuttavia, non aveva previsto l'ostinazione delle due sorelle.
Le due serpi, vedendo che Zefiro non era giunto a prenderle, presero una decisione, certe che Psiche non le avrebbe abbandonate: gridando, si gettarono dalla rupe. La sorella le fece prontamente soccorrere dal Dio del vento d'Occidente. La giovane sposa si sentì in colpa per essere venuta meno alla sua parola, ma non poteva permettere alle due di suicidarsi.
Il Vento di Ponente le depose al suolo, e Psiche le condusse verso il suo meraviglioso palazzo, dove le fece lavare e dove offrì loro il più sontuoso dei banchetti. La sua generosità, tuttavia, non fece altro che accrescere l'acredine che era già vivo nel cuore delle due sorelle maggiori.
Ursa chiese ancora del marito della sorella, e Psiche, che non era solita a mentire, si era già scordata di ciò ce aveva detto loro, e riferì che il marito, noto vasaio, era andato in città per vendere le sue opere preziose.
Psiche le riempì nuovamente di doni, e le fece trasportare via da Zefiro, sperando di non dover più essere costretta a mentire loro.
«Piccola intrigante bugiarda! Psiche ci ha mentito spudoratamente... solo che non è molto capace, e si è smentita da sola.» commentò Novia.
«Ieri era un cacciatore, mentre oggi è un esperto vasaio... Per me non ha mai neanche visto il marito! Sai questo cosa significa?» Ursa pregustava già il momento in cui l'indomani avrebbero intaccato il matrimonio della sorellina.
«La spingeremo a tal punto che la sciagurata divinità che ha pensato di prenderla in moglie, la ripudierà, preferendo la compagnia di donne di un più alto livello morale.»



«Psiche, mia diletta, ti prego di ascoltarmi attentamente.» quella sera il suo sposo era molto più agitato del solito. «Le tue sorelle, io lo so, non ti credono, e domani faranno di tutto per metterti contro di me. Ma tu non lasciarti ingannare. Non permettere loro di rovinare la nostra unione, che è felice e benedetta dall'arrivo di una creatura che di certo sarà meravigliosa quanto te. Quelle arpie faranno di tutto per spingerti a scoprire la mia identità, ma tu non devi fidarti di loro. Un giorno, quando giungerà il tempo, sarò io a rivelarmi a te, ma non prima.» Psiche lo rassicurò ancora una volta, dicendogli che mai, per nessuna ragione al mondo, avrebbe infranto l'unico tabù che lui le aveva imposto, ma lei, che era buona e ingenua, non sapeva quanta cattiveria si celasse nel cuore di Novia e Ursa.



Le due sorelle scesero ancora nel palazzo di Psiche, grazie all'ennesimo pianto ininterrotto e al grido di Ursa di non voler più vivere a causa del marito. La Padrona del Palazzo chiese a uno spazientito Zefiro di portarle da lei. Il vento obbedì, ma non prima di metterla in guardia, rammentandole le parole del marito.
«Non preoccuparti, il mio amore non è in discussione, voglio solo capire cosa è capitato alla mia cara sorella per ridursi in uno stato così pietoso.»
Ursa rivelò alla sorella dei problemi che aveva col marito e di come lui preferisse la compagnia maschile alla propria. Sembrava anche che il marito stesse intrattenendo svariate relazioni clandestine, le quali erano sulla bocca di tutto il popolo, rendendola così lo zimbello della loro città. Psiche, e anche Novia, non sapevano come risollevare la povera Ursa che continuava a piangere disperatamente.
«Oh, voi sì che siete fortunate, care sorelle. I vostri mariti non hanno segreti con voi.» Ursa continuò a lamentarsi e a struggersi, tanto che Psiche, impietosita da quella vista, decise di rivelare loro il suo segreto, in modo da alleviare le sofferenze della sorella maggiore.
Ma fu proprio quello lo sbaglio: rivelando loro che lei non conosceva l'aspetto del marito, le due sussultarono, e si scambiarono delle strane occhiate, che a Psiche non sfuggirono.
«Sorelle, cosa sono quegli sguardi impauriti che vi lanciate?»
«Forse dovremmo...»
«O forse sarebbe meglio di no. In certi casi è meglio non sapere affatto, Novia.» Ursa e Novia stavano dando così inizio alla seconda fase del loro funesto piano: indurre Psiche nel dubbio.
«Vi prego, ditemi che cosa sta accadendo. Cosa mi state nascondendo?»
«Molti anni fa,» cominciò a narrare Ursa, «un'altra giovane venne offerta a una creatura abissale, per placare l'ira della bestia. Si dice che la giovane venne salvata e trattata con ogni cura e con ogni delicatezza da una servitù impalpabile; le erano stati offerti ogni agio, ogni ricchezza e un palazzo meraviglioso. Di lì a poco, la giovane era rimasta gravida. Sembrava felice, ma qualcosa non andava.» Ursa guardò prima Psiche, che la fissava sempre più impaurita, e poi Novia, che continuò a a narrarle quella macchinosa storia che le due avevano inventato.
«La giovane, che era quasi giunta al termine della gravidanza, cominciò a sentirsi male, e, quando partorì, si accorse di aver dato vita a una creatura deforme e malvagia. Il suo sposo, che lei, come te, non aveva mai visto e che lei aveva creduto essere un bel giovane e una brava persona, si rivelò essere un mostro terrificante, facendo poi a pezzi il suo corpo.» La più giovane delle tre cominciò a singhiozzare: quello che le sorelle le avevano raccontato era terribile. La vicenda di quella povera fanciulla era molto simile alla sua... E se il suo sposo si fosse anch'egli rivelato essere un mostro orribile? Psiche però cercò di non dare peso a quelle parole, ricordandosi di quanto suo marito si fosse preso cura di lei, delle attenzioni e di come l'avesse sempre messa in guardia.
Lui era sempre buono e gentile nei suoi riguardi, cosa che le sue sorelle non sempre furono negli anni trascorsi.
«Mi spiace per quella ragazza, ma non è questo il mio caso. Zefiro vi porterà via, ma sappiate che dopo oggi noi non ci vedremo più.» disse lei seria. Per essere sicura di non avere più modo di soffrire a causa loro, o di permettere alle due di insinuare dubbi nel suo cuore, Psiche aveva deciso di inventare una nuova bugia, e disse loro che lei e il marito erano in procinto di trasferirsi.
Le due maligne sorelle sapevano che la sorella stava mentendo, ma erano anche sicure che il seme del dubbio era stato piantato e che, nel giro di poco tempo, lei avrebbe ceduto alla curiosità, e avrebbe cercato di vedere il viso del marito. Lui l'avrebbe rifiutata, e allora loro avrebbero avuto una possibilità di diventare sue pretendenti.
«Allora, cara Psiche, se mai avessi modo di passare nelle nostre terre, vieni a farci visita, ne saremmo molto liete.» Psiche annuì, le colmò di doni e chiese a Zefiro di portarle via un'ultima volta.



«La piccola c'è cascata»
«Sì,» disse Ursa, «e presto lei perderà tutto quanto, com'è giusto che sia. Lei non sa nemmeno cosa farsene di tutte quelle ricchezze. Fossi io padrona del suo bel palazzo, sai quante feste che farei?» le due risero malignamente, lasciando la rupe e avviandosi verso il palazzo dei genitori.



Psiche continuava a pensare alle parole delle perfide sorelle, e anche quando il marito arrivò nel suo letto, la giovane non riuscì a placare del tutto il suo malessere.
«Mia adorata, sei triste perché hai dovuto mentire, allontanando per sempre Ursa e Novia?» la giovane non poteva certo dirgli che lei stava sospettando di lui e delle sue reali intenzioni, così annuì, dicendogli che si sarebbe sentita un po' sola, non potendo più avere nessuno con cui parlare, oltre alle fedeli ancelle e agli altri invisibili servitori del palazzo. Il marito allora l'abbracciò, ricordandole che presto avrebbero avuto un figlio e che lei non si sarebbe più sentita sola.
L'uomo si adagiò sulle lenzuola, invitando la moglie a fare altrettanto. Psiche appoggiò la testa sul petto di lui, attendendo il momento in cui lui si sarebbe addormentato.
Quando il respiro di lui si fece regolare, la ragazza uscì svelta dal letto, prese una candela e la accese, avvicinandosi lentamente al loro talamo, rimanendo stupefatta di fronte a una tale visione celestiale.
Aveva sempre saputo che il marito non era un comune mortale, ed era certa che fosse una creatura divina, ma mai avrebbe creduto che fra tutti, proprio Cupido l'avesse presa come moglie.
Il giovane, che le ricordava il ragazzino con cui era solita giocare da bambina, lungo le sponde del lago vicino al tempio di Venere, era di una bellezza sconfinata. I riccioli di un biondo scuro, i lineamenti delicati, il corpo atletico e le splendide ali bianche che spuntavano sulla sua schiena. Psiche si avvicinò per vederlo meglio, ma una disgraziata goccia di cera, sfuggì alla sua vista, e cadde sul corpo dell'amato, bruciandolo e facendolo svegliare di soprassalto.
«Psiche, che delusione che mi hai dato!» Cupido si alzò dal letto, scacciando Psiche lontano da sé. «Io ti avevo detto di non dar peso alle parole infami delle tue sorelle, e ora son costretto a separarmi da te a causa delle leggi divine.» la giovane sposa lo implorò di perdonarla, e il dolore che lesse negli occhi dell'amato fu peggiore di ogni possibile punizione. Le parole di lei non potevano più far nulla, e il Dio spiccò il volo, lasciandola sola nella stanza.
Psiche pianse fino all'alba, ammettendo i propri sbagli e giurando di far qualsiasi cosa pur di rimediare al proprio errore. Avrebbe cercato il marito in lungo e in largo, implorando ogni Dio e ogni Dea di concederle una possibilità di redenzione.
La giovane e affranta sposa, si fece trasportare da Zefiro in cima alla rupe, e il vento le rivelò che aveva sentito le parole indegne di Ursa e Novia.
«Io ho peccato di ingenuità, ma anche loro hanno peccato nei miei riguardi. Prima di essere considerata di nuovo degna moglie di Cupido, devo rimediare al torto che ho subito.» Il vento allora le indicò la strada per giungere dalle sorelle, che avevano fatto ritorno ai loro palazzi.
Psiche visitò prima una e poi l'altra, dicendo ad entrambe che il marito l'aveva ripudiata per il suo tradimento e perché aveva visto in Novia, o in Ursa, una sposa assai più degna di lui.
Le sorelle si finsero indignate, ma in realtà furono estasiate di sentire una così buona novella, dimenticandosi completamente di quanto Psiche fosse una pessima bugiarda. Le due serpi lasciarono le proprie dimore al calare della notte, a distanza di qualche giorno l'una dall'altra, per recarsi in fretta e furia alla rupe. Lassù, invocarono il nome di Cupido e, gettandosi, chiamarono a sé Zefiro, per librare in aria come avevano già fatto. Ma il vento non rispose, ed entrambe, prima una poi l'altra, incontrarono l'abbraccio della Morte, punite per la loro arroganza, per la loro invidia sconsiderata e per la superbia dimostrata.



Mentre Psiche viaggiava in cerca del marito, Venere curava le ferite del figlio, ammonendolo per aver amato la mortale sfacciata che l'aveva offesa.
«Madre mia, lei non Vi ha mai recato offesa. A differenza della madre e delle sorelle, lei Vi ha sempre reso gli onori dovuti, intimando la gente a non riverirla. Non è colpa sua se la gente non ha avuto riguardi nei Vostri confronti.» disse Cupido, mentre Venere gli applicava l'ennesimo impacco freddo sulla pelle scottata dalla cera.
«Tu sei il mio figlio più amato, Cupido, e quella è solo una misera mortale. Potresti avere molto di più!» Venere non poteva accettare quell'unione che tanto la rendeva infelice. «Lei, inoltre, non ha rispettato il tuo volere, e ti ha pure ferito... No, io non la posso perdonare in alcun modo. Neanche per te, mio figlio adorato.»



Psiche viaggiò per giorni, visitando città e cercando invano un tempio dedicato al marito, ma non ne trovò neanche uno; tuttavia si fermò a fare visita a quelli delle altre divinità. Con umiltà e solerzia, rese onore ad ognuno di loro, pulendo gli altari e recando loro offerte di cibo e dei bei fiori appena sbocciati, invocandoli e chiedendo il perdono e la possibilità di potersi ricongiungere all'amato.
Cerere e Giunone, in particolare, rimasero colpite dalla tenacia della giovinetta che si trascinava per l'intera nazione, con il ventre che cominciava ad allargarsi.
«Venere, cara e vecchia amica, non credi sia giunto il tempo di confrontarti con tua nuora?» chiese Cerere, porgendole un dolce.
«La poverina ha sofferto a sufficienza, e ha reso onore anche a te, nel grande tempio a te dedicato. Dovresti dar ascolto alle parole di tuo figlio,» Giunone cercò di convincere la Dea dell'Amore e della Bellezza, «e parlare con Psiche.»
«Quella giovine mi ha offesa, ergendosi mia pari, autodefinendosi più bella di me.»
«Altri l'han fatto, ma non lei... Se tanto ti dà noia, perché non metterla alla prova? Se dimostrerà pazienza, coraggio e correttezza, accettala nella tua famiglia, e permetti ai due di essere felici. Non ti costa nulla provarci.» Venere sbuffò, ma l'idea di Giunone le piacque, e decise di seguire il suo consiglio.
«E va bene! Ma saranno prove di incommensurabile fatica... Vedremo quanto ama mio figlio, e se davvero supererà ogni ostacolo, io le permetterò di continuare a stare con lui.»



Mentre Psiche si trascinava nella regione, per visitare l'ennesima città, Venere mandò da lei le sue ancelle, le quali la scortarono dolcemente nel suo Palazzo. Al cospetto della Dea, una tremante Psiche si gettò ai suoi piedi, implorando perdono e pietà.
«Tu mi hai resa scontenta in molte occasioni, prima con la tua “deificazione” da parte del popolo e poi ferendo mio figlio, il mio adorato Cupido.» la povera ragazza si sentì male di fronte a quelle parole, ma era ahimè vero ciò che Venere le stava dicendo. «Giunone e Cerere hanno insistito affinché io ti dessi almeno una possibilità. Ti metterò alla prova, e se riuscirai a portare a termine tutto quello che ti verrà richiesto, verrai premiata.» Psiche la ringraziò per la sua misericordia e generosità e le disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di poter riabbracciare l'amato marito.
Venere fece allora portare dalle sue ancelle delle ciotole e un sacco pieno di frumento, miglio, orzo, ceci, lenticchie e altri prodotti della terra. Li fece mischiare, e ordinò alla povera Psiche di separare ogni singolo chicco e di smistare il mucchio entro sera.
La giovane donna fissò impaurita quella massa di semi, sapendo bene che non sarebbe mai riuscita a svolgere il suo compito nei tempi prestabiliti. Con le lacrime agli occhi, però, la ragazza si mise ugualmente al lavoro, cercando di svolgerlo con ogni attenzione.
Il bimbo nella sua pancia scalciò e Psiche sorrise: «Non importa quanto sarà faticoso: per te, per me e per il tuo papà, riuscirò a portare a termine questa difficile impresa.» disse accarezzandosi la pancia.
Una formichina, vedendo la giovane in difficoltà, decise che non poteva starsene lì a guardare mentre la ragazza faticava per quell'ingrato e impossibile compito. Venere era stata ingiusta con Psiche, ma la ragazza si era messa a lavorare ben sapendo che non sarebbe mai riuscita a smistare tutti i chicchi e i semi entro il calar del sole. La formica chiamò allora le sue sorelle e insieme si diressero verso la ragazza, disponendosi in fila e aiutandola nel suo intento.
Quando finirono, era quasi il tramonto, e Psiche le ringraziò tutte, scoppiando in lacrime.
«Grazie, nobili creature. Grazie a voi, sarò un po' più vicina al momento in cui rivedrò il mio sposo. Grazie di cuore.»
Quando Venere arrivò rimase di stucco nello scoprire che la ragazza era riuscita a portare a termine la prima prova. Era certa che lei non avesse fatto tutto da sola, ma non poteva dimostrarlo, così dichiarò il compito superato, e la mandò a dormire dato che si era fatta notte.



Il giorno successivo, Venere portò Psiche in un campo, indicandole una radura dove stavano pascolando delle pecore, il cui vello dorato era assai pregiato. La sua seconda prova consisteva nel raccogliere dei fiocchi di quel meraviglioso mantello, in modo da poterlo filare e ottenere il tessuto per un nuovo e maestoso abito per la Dea.
La giovane cercò di avvicinarsi, ma si chiese se la mansione che Venere le aveva affidato non fosse troppo semplice.
«Ah, fanciulla,» Psiche udì una voce provenire dal fiume che scorreva accanto alla radura, «la Dea Venere ti ha affidato un compito assai arduo.»
«Chi è che parla?»
«Sono lo spirito del fiume, e voglio aiutarti. Devi sapere che quelle che in apparenza sembrano bestie innocue, in realtà sono assai feroci nei confronti degli uomini. Devi solo attendere il calar del sole e, non appena le pecore si saranno allontanate, tu entra nella radura, e scuoti i cespugli: vedrai che troverai tanti di quei fiocchi di lana, che nemmeno Venere avrà da ridire.» e così ella fece, attendendo con pazienza, mettendosi a lavorare di buona lena non appena le pecore se ne andarono.
Ancora una volta, Venere capì che qualcuno aveva aiutato la giovane, ma poiché il lavoro era stato portato a termine, la prova venne dichiarata superata.
Il giorno seguente, Venere chiese alla giovane Psiche di recuperarle l'acqua che sgorgava da una sorgente in un luogo in apparenza inaccessibile, sulla cima di un'aspra vetta, e di portargliela al più presto. Le consegnò inoltre una brocca di finissimo vetro, intimandole di non romperla e nemmeno scheggiarla, o non avrebbe superato la prova, perdendo così per sempre il marito.
Psiche, rimasta sola, provò ad arrampicarsi lungo la parete rocciosa della vetta, ma scivolava, e la giovane temeva di mettere così a rischio la vita del suo bambino.
«Questa volta non c'è proprio modo per me di arrivare fin lassù. Come potrò mai fare per riavere il mio amato sposo?» la giovane, che fino a quel momento non si era persa d'animo, cominciò a dubitare di sé, ma dall'alto udì una voce che le portò una buona novella.
«Cara e dolce Psiche,» disse l'aquila di Giove, «io mi ricordo bene di te. Fin da bambina, durante le festività di Giove, eri solita lasciare una piccola offerta anche per me, in quanto fedele servitore del Signore dei Cieli. Ora che mi si presenta l'opportunità, voglio restituirti il favore. Venere lo sa bene che tu non potresti mai e poi mai giungere in cima, ma non ha detto che tu non possa chiedere a me di andare a raccogliere l'acqua per te.» il nobile rapace prese la brocca trasparente e si levò alta in cielo, giungendo fino in cima alla montagna. Tornò poco dopo reggendo la caraffa ricolma d'acqua.
«Grazie infinite.» Psiche attese il ritorno della Dea, che era visibilmente scocciata nell'apprendere che anche quella prova era stata superata, con la caraffa intatta e ricolma dell'acqua della sorgente inaccesibile.
«Bene, non mi resta che chiederti un ultimo favore, ma bada, se non lo supererai non rivedrai mai più mio figlio.» Psiche annuì e si lasciò condurre fino all'altro dell'Averno.
«Queste focacce sono per Cerbero, e le due monete per Caronte. Consegna questa scatolina a Proserpina, dicendole che sei lì in mia vece. Non perdere tempo e muoviti.»
Psiche discese allora nel regno di Plutone e Proserpina, i misteriosi Signori del Sottosuolo. La giovane consegnò la prima moneta a uno sconcertatissimo Caronte: raramente le anime dei vivi discendevano in quel regno, ma vedendo la giovane preoccupata, decise di non fare le sue solite battute. Una volta scesa dall'imbarcazione, la ragazza lanciò tre delle sei focaccine all'enorme mastino che controllava le anime che varcavano i neri cancelli.
Una delle ninfe avernali accolse la ragazza, conducendola al cospetto di Proserpina, che le offrì cibo e acqua, ma la ragazza rifiutò, essendo pietanze provenienti dal regno dei morti, destinate solo ai suoi sudditi. Accettò solo del pane nero, l'unico cibo della superficie.
Proserpina, che già conosceva le vicende della povera Psiche, prese la scatola, la aprì e lasciò scivolare dentro una polverina bianca contenuta in un sacchetto di seta.
«Questa è la mia formula segreta di bellezza.» le disse lei, «Si tratta solo di una particolare mistura che induce chiunque a un sonno ristoratore. Basta inalarne poco per cadere a terra e dormire per ore. Mi raccomando, fai attenzione e non aprirla, o Venere non ti consentirà più di vedere tuo marito.» la Dea non era solo incredibilmente affascinante, ma anche estremamente gentile.
«So che significa temere di non rivedere più il proprio sposo, ed ecco perché ti aiuterò, indicandoti una strada segreta che ti condurrà più in fretta in superficie.» La Signora degli Inferi la accompagnò personalmente, facendole superare Cerbero, che si dimostrò più tenero di fronte alla sua padrona, e la fece salire in fretta sull'imbarcazione di Caronte.
«Mio nobile Caronte, per piacere, guida in fretta la tua barca, e aiuta la giovane a uscire presto alla luce del sole.» l'uomo annuì, e, giunta sull'altra sponda, Psiche ringraziò sia il vecchio che l'intero regno sotterraneo. Nonostante fosse un'intrusa, non era stata per questo maltrattata, ma accolta con ogni onore.
Psiche corse verso l'uscita, ma un masso la fece inciampare, e cadendo a terra, la scatolina si aprì, rovesciando parte del contenuto. Inalandolo, Psiche si addormentò profondamente, mentre il tempo a sua disposizione era sempre di meno.
All'improvviso, giunse una figura divina avvolta nell'ombra, che tuttavia non apparteneva all'Averno...
«Mia adorata, sono così orgoglioso di te. Hai commesso uno sbaglio, ma non ti sei persa d'animo e hai provato in tutti i modi di redimerti pur di riunirti a me... Svegliati ora, e porta il dono a mia madre. Presto potremo di nuovo stare insieme.» La divinità, che in segreto non aveva mai smesso di vegliare su di lei, baciò la sua amata Psiche e sparì prima ancora che la giovane si svegliasse.
La fanciulla si guardò intorno con la consapevolezza di essere stata aiutata, e conscia del fatto che era stato proprio il suo adorato Cupido.
«Riconoscerei ovunque questo profumo.» Il bambino nel suo ventre scalciò, e la ragazza si alzò, raggiungendo l'uscita e consegnando il prezioso dono alla suocera.
«Perdonatemi se Vi ho fatto attendere, e Vi chiedo ancora perdono se Vi ho recato offesa in passato. Sono consapevole di essere stata fonte di fastidio per Voi, e motivo di grande dolore per Vostro figlio; e sono consapevole di non avere portato a termine questa ultima prova come mi era stato richiesto. Questo, però, non cambia l'amore sincero che io provo per Cupido... per Eros. Sì, anche se lui non me lo ha detto mai, so bene che era lui il giovane “Eros” che conobbi molti anni fa e che rapì il mio cuore quando ero solo una bambina. Il mio unico amore... senza di lui la mia vita non avrebbe alcun senso. Vi prego, oh Dea dell'Amore, non tarpateci le ali e permetteteci di vivere insieme. Vi imploro!» disse con voce spezzata, chinando il capo.
Venere finse di non essere stata toccata dalle parole di Psiche, ma a stento trattenne una lacrima di gioia. Il suo cuore era stato smosso: la toccante confessione di Psiche, le fece capire quanto amore ci fosse fra i due. In quanto Dea dell'amore, non poteva di certo ostacolare quell'unione sincera. Tuttavia, come ultima provocazione nei confronti di Psiche, cercò di non scomporsi e proclamò con superbia che la mortale aveva superato anche quell'ultima prova.
«Sono una Dea di parola, per cui seguimi, che ti condurrò da Cupido.»
Psiche, felice come mai prima di allora, la ringraziò, assaporando già il momento in cui avrebbe finalmente riabbracciato l'amato sposo.



Cupido e Psiche si strinsero teneramente, giurandosi che non si sarebbero mai più separati.
Venere offrì a Psiche una meravigliosa veste rossa, e dei gioielli meravigliosi per celebrare la sua rinascita.
Psiche, quella giovane umana che aveva conquistato il cuore di Cupido, era morta, per rinascere come una nuova Dea, ammirata da Dei e uomini.
Di lì a poco sarebbe nata anche la loro splendida bambina, Voluttà, amata teneramente da entrambi i genitori.



Il tempo passò, e Cupido portò Psiche lungo il lago dove si erano visti quella prima volta quando la nuova Dea era ancora una bambina.
«Amata sposa, tu lo sapevi?»
«In cuor mio, sì, ho sempre saputo che eri tu il mio “Eros”. Il mio cuore palpitò nel momento in cui ti vidi qui nel prato, lungo le sponde di questo stesso lago. La nostra prima notte di nozze, riconobbi un profumo che mi era familiare, e il mio corpo ti accolse perché sapeva che eri l'unico al mondo in grado di possederlo.» disse lei baciando il marito.
«Mi amerai per sempre?»
«Sarei disposta a superare altre mille prove pur di stare con te, mio unico amore.»
Illuminati dalla luce del sole, Cupido e Psiche si baciarono con dolcezza, stringendosi e amandosi con passione per tutta l'eternità.



 
L'angolo di Shera♥


Eccomi di nuovo qui, con questa nuova storia.
Questo Contest mi ha dato modo di rielaborare il mito, secondo il mio personale stile.
Certo, ho tenuto accanto a me la mia versione di "La fiaba di Amore e Psiche" di Apuleio, e l'ho consultata spesso per non dimenticare i fatti principali, ma ho deciso di aggiungere, o di togliere, ciò che ritenevo superfluo per la MIA storia. Spero di essere riuscita nell'intento di rendere un po' personale questa meravigliosa storia. Ho provato ad adottare anche un linguaggio che non è mio, per sperimentare e vedere cosa riuscivo a fare ^^.
Sono piuttosto soddisfatta del lavoro, per come mi è uscito.
È diventata la mia Shot più lunga, persino de "L'eredità di Lut Shian". Adesso non mi resta che andare avanti con la stesura della storia di Poseidone e Anfitrite, sì, l'ho cominciata, e ancora grazie a un altro contest che mi ha spinta a scrivere anche di quest'altro mito (nella mia lista da un anno praticamente)

A presto, e grazie per avermi seguita ♥

Shera♥

 
  
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