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Autore: DianaSpensierata    10/10/2016    1 recensioni
"Mi mancava non sapere che cosa dire, mi mancava essere spiazzata dal suo irresistibile modo di fare, mi mancava il suo sguardo che sapeva e il suo sorriso che non necessitava parole, mi mancava avere qualcuno con cui poter parlare a quel modo. Mi mancava lui, in tutto il suo complicato e affascinante essere, a volte così forte che non riuscivo nemmeno a darmi della stupida."
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jackson Family, Martin Bashir, Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6. Heaven can wait but I can't




Mi ripresi dal mio piccolo coma parecchie ore più tardi. Intuii la luce del sole al di là di palpebre, coperte e finestre, senza trovare la forza di affrontarla.
Non sono mai stata una di quelle persone per le quali lo svegliarsi coincide con l’alzarsi, è una di quelle cose capaci di rovinarmi l’intera giornata. Non ci posso fare niente, il mio cervello si mette in moto con preoccupante lentezza la mattina, e al mio corpo non è mai dispiaciuto assecondarlo.
Perciò, sebbene avessi realizzato quasi subito di essere ospite in casa d’altri (anche se non proprio subito chi fossero quegli “altri”), rimasi a crogiolarmi nel dolce tepore delle coperte che aveva come poche altre cose al mondo il magico potere di rendermi serena. Non pensavo a nulla in particolare; lasciai che alcuni momenti del giorno precedente affiorassero in superficie per poi limitarmi ad osservarli come le ultime scene di un film che vedi prima di addormentarti, soffici flashback che fatichi a collegare tra loro. Ma, così immersa in quel paradiso di stoffe pregiate, calde e profumate, trovavo piacevole anche quel piccolo squarcio di oblio… fui sul punto di riaddormentarmi più volte, finchè una voce familiare non mi riportò alla realtà.
– Mamma, svegliati, c’è il sole fuori! –
– E la luna? – risposi automaticamente, con una voce che avrebbe fatto invidia alla risata finale di “Thriller”.
– Non c’è, ho controllato personalmente – sentii il suo corpo non troppo leggero arrampicarsi sul materasso e poi su di me. – Vieni giù, siamo già tutti alzati! –
– Ma che ore sono? –
– Le otto e mezzo –.
L’alba! – E perché sareste già tutti in piedi? –
– Perché ci sono i cartoni animati alla tivù, e poi Michael si alza molto presto di solito, e quindi anche Paris –.
Troppe informazioni. Un errore fare domande, solo sapere che ore erano aveva rafforzato il mio legame affettivo con quel materasso. – Dì agli altri che arrivo tra una mezz’oretta…– sì, sì, lo so, ero un’ospite cafonissima, ma ve l’ho detto, mi è impossibile di costituzione alzarmi appena sveglia. E lo faccio per il bene di chi mi circonda, anche.
– Ho detto a Michael che avresti risposto così perché sei una dormigliona. E lui ha detto che se non venivi giù saremmo venuti tutti qui a fare colazione nel tuo letto –.
Scoppiai a ridere, mentre mi venivano riportate le briciole della mia dignità. Ma in fondo Ronan aveva ragione, non potevo di certo lamentarmi se era abituato a essere sincero… riemersi finalmente da sotto le coperte. Lo guardai con gli occhi socchiusi e le sopracciglia inarcate. – Sii sincero, come sono messa da uno a dieci? –
Riflettè.  – Ti do un sei solo perché ti voglio bene –.
Risi di nuovo. – Cattivo! Sono così brutta? –
– No, ma hai l’aria troppo stanca! –
– Ma io sono stanca, Ron. Stanca e vecchia – replcai, mentre mi alzavo a cercare i miei calzini.
– Non vieni giù così, vero? – fece lui, dopo aver evidentemente esitato un bel po’.
Lo guardai, insospettita. – Che intendi? Come dovrei scendere? –
– Non lo so… ma secondo me a Michael piaci di più con…– si fermò nel vedere il mio mitico sopracciglio sinistro schizzare in alto. Arrossì un po’.
– Cos’è questa storia del piacere a Michael? –
– Niente – ovviò, scappando in corridoio e, in un tempo straordinariamente breve, fino al piano di sotto.
Divertita, mi apprestai a raggiungerlo, dando prima un’occhiata allo specchio. Effettivamente, non avevo proprio l’aria da risveglio delle pubblicità, le mie occhiaie tendevano a una graziosa sfumatura di viola e i miei capelli sembravano reduci dai giochi notturni di un gatto un po’ troppo fantasioso. Ma in fin dei conti, era mattina presto e la famiglia Jackson si sarebbe dovuta accontentare del mio sforzo per stare in piedi.
Imboccai il corridoio e lentamente iniziai a scendere le scale, mentre in un crescendo di suoni potevo sentire la famiglia Jackson e mio figlio chiacchierare insieme. Quando giunsi nella stanza principale e più spettacolare della casa, quel quadretto mi fece sorridere, per poco dimentica di che ore fossero.
– Claire! – esclamò Michael, il primo ad accorgersi di me nonostante mi voltasse le spalle. Questo udito da musicista… gli rivolsi un sorriso, incerta se avvicinarmi finchè non mi invitò lui stesso sul divano dove stavano facendo colazione. – Serviti pure. Se vuoi qualcos’altro, puoi chiedere alla cuoca…–
– Non faccio colazione, ma grazie lo stesso –.
MI guardò stupito. – Come mai? –
– Il mio stomaco dorme ancora…– replicai accarezzandomelo con fare teatrale come se stessi coccolando un gattino.
Lui rise. – Me lo diceva Ron che eri una dormigliona –.
– Ehi! Non è affatto vero! Sono semplicemente un’amante del sonno, il che è diverso –.
Mi squadrò come a dire “sì, certo” mentre mi sedevo accanto a lui, che come me non sembrava essersi molto preoccupato di mettersi in tiro, anzi notai che tutta la famiglia era in pigiama. Non so come sia possibile, ma vi giuro che realizzai solo in quel momento che anch’io ero scesa in pigiama… in pigiama. A casa di Michael Jackson. Senza un filo di trucco.
Cazzo!
Okay, avevo iniziato a svegliarmi.
Ma non c’era marcia indietro a quella piccola tortura, sì perché già era difficile stare sotto gli occhi di Michael dopo aver passato ore davanti lo specchio a rendersi decenti, figurarsi nello stato in cui ero quella mattina…
– Di solito sono conciata meglio, lo giuro – feci per rompere l’imbarazzo che il suo sguardo incrediblmente fisso e lucido mi provocava; non mi aveva dato un attimo di tregua da quando ero arrivata lì.
– Di cosa parli? Mi piaci. Hai l’aria molto dolce – si vedeva benissimo che stava trattenendo una risata. Caro, lui…
– E tu sei molto gentile. Però non troppo bravo a mentire – lo stuzzicai.
Non mi rispose, nascondendo ancora peggio quella risatina impertinente. Odiai ammetterlo a me stessa, ma mi aveva già messo di buon umore… – Cosa volete fare oggi? –
– Beh, pensavo di rubare un po’ di argenteria e poi togliere il disturbo…–
Scoppiò a ridere, più fragorosamente di quel che mi sarei aspettata. Buon segno, se non avesse capito lo scherzo avrei potuto trovarmi placcata da un centinaio di guardie del corpo - che, ne ero sicura, si erano mimetizzate lì da qualche parte, in quella stanza. – Andiamo, Claire…–
– Okay, ce ne andremo senza souvenir… ma solo per questa volta! –
– Papà, possiamo giocare a nascondino con Ronan? – ci interruppe Paris.
– Tesoro, Claire stava parlando con me – la riprese tranquillo suo padre.
– Michael, non fa niente, d…–
– Scusami, Claire… –.
– Ecco, adesso però mi hai interrotto di nuovo! – scherzai. Scoppiò a ridere insieme a suo padre, che le scoccò un bacio in fronte.
– Va bene, andate, ma rimanete in casa –
– Okay! – e sparirono.
Michael tornò a dedicare, disgraziatamente, tutta la sua attenzione su di me. – Allora, che scusa stavi per accampare prima? –
Finsi di lanciargli un’occhiataccia. – Nessuna scusa questa volta… devo lavorare nel pomeriggio – in realtà avrei dovuto lavorare il giorno successivo, ma come da tutte le cose belle che si rispettino, sentivo il bisogno di scappare… avrebbe perso ogni briciolo di verosimilità, se fosse durato ancora qualche ora, quel paradiso.
Inarcò le sopracciglia, sorpreso. – Sul serio? E che lavoro fai? –
– Mi occupo della casa della mia vicina –, lo trovai più elegante di dire che facevo le pulizie, ma era effettivamente così, la signora Mable viveva dei soldi del suo nipote di successo concedendosi vacanze di ogni tipo, tanto di guadagnato per me, che per una pulizia completa della casa mi prendevo quattrocento dollari.
– Oh, è malata? –
– Peggio, è ricca. Senza offesa… – lo stuzzicai.
Michael scoppiò a ridere. – Ho capito, ho capito… allora ci possiamo vedere domani? –
– In realtà, lavoro anche domani…–
– Oh, d’accordo…– lo vidi piuttosto deluso.
– Però venerdì non ho impegni – aggiunsi di slancio.
– Purtroppo li avrò io… e non so quanto mi porteranno via… forse un mese, o più…–
Toccò a me essere delusa. Con una forza che non avrei nemmeno lontanamente immaginato. – Davvero?... quante case hai da pulire? – scherzai.
Abbozzò un sorriso. – In realtà ospiterò un giornalista per un documentario sulla mia vita…–
La cosa mi sorprese non poco. Credevo avesse chiuso con il mondo dei mass media - niente di più comprensibile… o comunque che non fossero le persone che gli piaceva introdurre in casa sua. Forse non si trattava di una scelta oculata come credevo. Forse anch’io ero lì… così, tanto per. Quel pensiero non potè fare a meno di trasmettersi al mio volto, che spense il sorriso acceso al risveglio. O meglio, quando avevo visto lui. – Non me l’aspettavo – ammisi. – Mi sembra un po’ contradditorio…–
– Che intendi? – faceva pure il finto tonto adesso?
– Intendo dire che… è un giornalista, Michael. Perché apri la porta a chi è da una vita che te la sfonda per sbirciarci dentro? – il tono risultò più acido di quanto avessi voluto, ma ero scioccata.
Scosse la testa con decisione. – Lui è diverso, Claire. L’ho già incontrato diverse volte, abbiamo già girato. Lui vuole raccontare la verità… entrambi lo vogliamo. Sarà solo un documentario. –
– Va bene, va bene. La vita è la tua. – mi odiai per quel mio tono, ma qualcosa in quella storia mi infastidiva. Forse il mio istinto mi stava dicendo che quello di Michael sarebbe stato un errore… o forse, semplicemente, ero una bambina capricciosa. E in quel momento era l’unica ipotesi plausibile, cosa che, neanche a dirlo, mi innervosì ancora di più.
Mi alzai dal divano quasi di scatto, facendo leggermente sobbalzare Michael. – E’ meglio che vada a ritirare le mie cose – e infilai di corsa le scale per sfuggire dalla mia stessa stronzaggine.
– Claire – mi fermò però la sua voce. A fatica mi voltai, impossibile reggere il suo sguardo mentre lo sentivo venire verso di me. – Tutto bene? –
Alzai le spalle. – E’ mattina. Mi capita spesso di essere strana… non te la prendere. –
– Non me la prendo. Mi preoccupo…– mi incorniciò il viso con le sue grandi mani, ora costringendomi a guardarlo.
La mia dignità cadde ai suoi piedi, e richiamarla a rapporto fu inutile. – Anch’io, Michael. Per te… e per me, che dio solo sa che fine farà questo sorriso se non ti vedo per un mese…– oh signore, ma dove avevo la testa? Tra le sue maledette, dolcissime mani che sembravano intaccarne pericolosamente il consueto funzionamento. Sarebbe stato meno imbarazzante se gli fossi saltata addosso.
Mi lasciò andare, ma solo per spostare le mani dal volto ai fianchi, nell’atteggiamento meno paterno che potessi immaginare. Avvertii un leggero capogiro… lui sembrava tranquillo, e insomma, non è che mi stesse toccando il sedere, ma quel gesto… mi fece impazzire. Sembrava una di quelle scene pre-bacio da film, in cui andiamo, tutti sanno cosa sta per accadere…
Ma Michael era Michael e si limitò a dirmi: – Lasciami il tuo indirizzo. Verrò a trovarti. – che okay, di per sé era già una frase da far tremare le ginocchia, ma maledizione alle mie aspettative… si allontanò di nuovo e mi diede una sorta di “pacca sulla spalla”, ritornando l’uomo di ventitrè anni più grande di me che non era che gentile nei miei confronti. Una trasformazione che odiai… mi diressi di nuovo verso le scale, impedendo alla mia dannata bocca di aggiungere qualsiasi cosa, finchè, ormai quasi arrivata in cima, una voce disse: – Anch’io lo voglio rivedere presto, quel sorriso…– ma una volta trovato il coraggio di voltarmi, Michael era sparito.
In preda a fin troppe emozioni, cercai di distrarmi raccattando le poche cose che avevo lasciato nella stanza che mi aveva ospitato. Vi avevo passato a malapena cinque minuti da sveglia, eppure mi resi conto con stupore che l’avrei ricordata con nostalgia, non tanto come una dormita serena e confortevole, ma come la promessa di un risveglio diverso, migliore.
Neanche a dirlo, mi si inumidirono gli occhi. Dannazione! Ero troppo emotiva. Insomma, non ci avevo speso dei mesi. Ero di passaggio, non aveva senso legarsi così tanto a qualcosa né soprattutto a qualcuno che, tra l’altro, sembrava non dare tutto quel peso a chi invitava lì…
Mi diedi doppiamente dell’idiota. Non ero assolutamente nessuno per poter mettere il becco nella vita di Michael, e in fin dei conti non ne sapevo nemmeno niente, di lui, di quel giornalista, della sua vera storia. E avrei fatto meglio a farmi gli affari miei.
È che… mi aveva colpito, lui. Era una di quelle persone con cui inizi con un ciao e non ne esci più… mi aveva portato lentamente nella sua vita e tra le dolci spire della sua personalità e più ne sapevo, più ne diventavo avida… mi incuriosiva, no anzi: mi attraeva. Erano bastati tre giorni a legarmi a lui, e sebbene la mia vocina razionale mi ripetesse che non c’entravo niente, questa si faceva sempre più piccola lasciando spazio alla convinzione che, con Michael, non sarebbe finita tanto facilmente.
E quella prospettiva mi trasmise un brivido così violento ma piacevole da sconvolgermi.
– Mamma, posso nascondermi qui? –
La voce di Ronan mi fece sobbalzare. Incontrai il mio riflesso quasi viola nello specchio, recuperando con calma il controllo. – Mi hai spaventato a morte ma sì, puoi. –
– Scusami! – sussurrò, accovacciandosi dietro il letto. – Grazie… cosa stai facendo? –
– Metto via le cose, è meglio che andiamo a casa adesso –.
Si alzò in piedi di scatto. – No, mamma! Per favore, rimaniamo! –
Il suo tono mi stupì. Non era mai stato un bambino capriccioso, eppure c’era qualcosa di veramente supplichevole nella sua voce, quasi di allarmato anche. – Tesoro, non possiamo disturbare Michael… lui dice il contrario, ma non è molto educato parcheggiarci qui per tutte queste ore… lo capisci? – risposi tranquilla, sperando di essere convincente.
Ronan si riaccasciò per terra. – Sì… è che sto davvero bene qui con loro…–
Dire che lo capivo era dire poco. Mi sedetti accanto a lui. – Lo so, Ron. Anch’io ho passato una giornata magnifica, ci stavo giusto pensando prima. Non mi sentivo così da…– scossi la testa – anni. Abbiamo avuto in dono un po’ di paradiso. Però abbiamo anche una casa – sorrisi, scherzosa solo in parte.
– Sarebbe sbagliato scegliere il paradiso? –
Scoppiai a ridere e lo abbracciai. – Penso di sì, Ron. Penso di sì. –

Lasciare casa Jackson fu assurdamente difficile. Michael si scusò di non poterci accompagnare a casa, ma preferiva stare con Blanket che la mattina aveva avuto delle coliche. Così ci salutammo, un biglietto con il mio indirizzo, un rapido abbraccio giusto per non rimpiangere di non averlo fatto, ma non abbastanza lungo da torturare il mio povero cuoricino suscettibile; qualche sorriso, e i cancelli di Neverland scomparvero man mano dalla nostra vista.
Non sapevo cosa aspettava, né me, né Michael. Non sapevo nulla.
Ma provavo l’impellente desiderio di premere il tasto “avanti veloce” e arrivare al momento in cui me lo fossi trovato davanti di nuovo, a farmi sorridere e arrossire, a parlarmi di tutto e a farmi troppe domande.
Perché, per la prima volta, volevo rispondere…
Per la prima volta, sentivo di aver trovato una risposta.

   
 
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