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Autore: esme123    11/10/2016    0 recensioni
Tratto dal prologo:
"Cadevo
Non riuscivo a sentire niente. I miei sensi erano completamente ovattati, il mio corpo non si muoveva. Però, in qualche modo, sentivo che mi stavo avvicinando all’oscurità, lentamente, e non stavo facendo niente per fermare ciò.
Io stavo cadendo, e piano piano mi stavo avvicinando all’oblio. Ma non era quello il problema. Il problema era che io stavo cadendo, ma non me ne accorgevo.
Sono nata il 21 Marzo 2001.
Mia madre e mio padre erano fissati con i nomi finti-inglesi, per questo mi chiamarono Violet, un nome schifoso. Ho sempre odiato il mio nome. Che senso ha chiamare la figlia “Viola” in inglese? Nessuno. Soprattutto se sei italiana, il nome “Violet Esposito” non ha molto senso, o almeno credo."
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Cadevo
Non riuscivo a sentire niente. I miei sensi erano completamente ovattati, il mio corpo non si muoveva. Però, in qualche modo, sentivo che mi stavo avvicinando all’oscurità, lentamente, e non stavo facendo niente per fermare ciò.
Io stavo cadendo, e piano piano mi stavo avvicinando all’oblio. Ma non era quello il problema.
Il problema era che io stavo effettivamente cadendo, ma non me ne accorgevo.
 
 
Sono nata il 21 Marzo del 2000.
Mia madre e mio padre erano fissati con i nomi finti-inglesi, per questo mi chiamarono Violet, un nome schifoso. Ho sempre odiato il mio nome. Che senso ha chiamare la figlia “Viola” in inglese? Nessuno. Soprattutto se sei italiana, il nome “Violet Esposito” non ha molto senso, o almeno credo.
Non ho avuto una bella infanzia, anzi, posso dire che non l’ho avuta proprio. I miei mi tenevano rinchiusa in casa e pretendevano che io me ne stavo seduta in silenzio da qualche parte, senza dar fastidio. Se non facevo ciò, non si facevano problemi a picchiarmi. O meglio, mio padre mi picchiava, ma solo quando non c’era mia madre in casa.
Quando mia madre morì, nel 2009, non fui ne triste ne felice. Non sentivo niente, forse ero solo un po’ dispiaciuta, ma nient’altro. Mio padre, da allora, mi ha abbandonato. Lui vive da un’altra parte e viene da me solo per lasciami i soldi. Nient’altro.
Quindi, all’età di 8 anni, incominciai a responsabilizzarmi per sopravvivere. Ma lo facevo con un sorriso sulle labbra, sperando che, col passare del tempo, tutto sarebbe andato per il meglio. Non fu così.
Alle medie tutto cambiò grazie ai miei compagni di classe. Mi umiliavano e mi prendevano in giro, alcune volte mi picchiavano lasciandomi lividi e contusioni dappertutto. È stato il periodo peggiore della mia vita. Ero (e sono) senza amici, senza una famiglia e senza felicità. Fu allora, durante una mia crisi isterica, che capì. Era inutile piangere. Era inutile ridere, divertirsi, vivere nel terrore, arrabbiarsi per persone del genere. Era tutto inutile perché nessuno se ne fregava di me, quindi, perché far vedere le miei emozioni? Per farli felici? Non gli darò questa soddisfazione. No, non dovevo far vedere i miei sentimenti a nessuno.
Mi ricordo che il giorno dopo indossai una “maschera” fatta di ghiaccio, mi fingevo indifferente a tutto e a tutti. Continuavo a provare emozioni, ma non le facevo trasparire da nessuna parte del mio corpo. Fu difficile all’inizio, lo ammetto, ma poi mi ci abituai.
Ora, sto al terzo anno del liceo scientifico. Sempre bullizzata, certo, ma posso dire con certezza che la mia maschera è ancora intatta. Sono apparentemente apatica e fredda adesso, ma lo sono per scelta.
   
 
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