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Autore: DonnaBart    15/10/2016    2 recensioni
E se uno sfortunato incidente si rivelasse ciò che aspetti da sempre?
La spumeggiante Magda Liquore è un'artista del pasticcio e dea del danno. Mollata dal fidanzato e licenziata in tronco, vanta un bagaglio più ricco in corna che ex.
Proprio non è un caso che il padre la consideri un talento del fallimento, per non parlare della zia stralunata e sempre allegra, che le affibbia profezie sul futuro rosee in teoria ma disastrose nella realtà.
Insomma, parrebbe che fortuna e amore non fanno rima con Magda Liquore... sino alla svolta: trasferimento in Australia per un lavoro temporaneo ed un incontro tutto testosterone e antipatia; è Nathan Green, un concentrato di erotismo e diffidenza allo stato puro.
E chissà, che la lungimirante zia ci abbia azzeccato, stavolta?
Prepara le valigie e vieni a scoprirlo!
Romance contemporaneo autoconclusivo, un pot-pourRIRE di temi attuali e idee fantasiose racchiuse in un cofanetto romantico e brillante.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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"Devo portarmi a casa quest'affare. Lo mandi in malora e verrà rispedita dritto da dove è venuta. Chiaro?"
Trangugio d'un sorso il secondo bicchiere di vino raffinato e annuisco intimorita al vecchio bavoso e dispotico, tristemente noto come “capo”.
Seduta al tavolo del ristorante dov'è in corso la trattativa, sposto il mio peso da una natica sudata all'altra. Il terrore di un creare una chiazza in corrispondenza del mio didietro mi paralizza su una chiappa singola, in un'elegante posa da emorroidi.
Il capo, intanto, mi osserva come se avessi tre teste. Porca zucchina, ha osservato tutta la scena. E non sembra aver apprezzato i miei ondeggiamenti storpiati.
"Ma proprio a me la sciattona del gruppo..." Borbotta scuotendo la testa, le mani giunte in preghiera.
Alla faccia dei manager virili e sexy, il mio è un negriero schiavista e bastardo!
"Miss Magda, sono venuta a conoscenza del progetto di cui fa parte."
Simulo un sorriso per Madama Accordo Dorato, moglie del futuro—mi conviene, se voglio tenermi il posto—partner d'affari del mio capo.
"Dunque, come si trova in azienda?"
Dunque, lo vede il mio capo? Proprio una merda, mi trovo.
"Mi trovo proprio una mer...—lo sguardo del Negriero è eloquente: Ti sbatto fuori dal progetto, dall'Australia, peggio! Ti radio dal Sistema Solare, ora!— …aviglia! Mi trovo proprio una meraviglia."
Fra uno sguardo sdegnoso e l'altro, arriva la seconda portata: escargot raggrinzite, con tanto di improbabili tenagliette in acciaio, con cui... sventrarle? Sventolarle?
Nausea.
È un ristorante o il set di Saw l’enigmista?
Allungando il braccio verso l'altro capo del tavolo per afferrare il cesto di pane, ignoro i viscidosi nel mio piatto, che aspettano maligni il primo approccio errato.
"Cosa cavolo sta facendo?" Rimprovera il capo al mio orecchio. "Non sa che è maleducato propendersi sulle portate altrui? Non ha la lingua?" È indignato, ma ben attento a non farsi sentire dalla coppia di affaristi.
"La lingua?" Domando sibillina, l'alcol che mi rallegra, la testa che gira, la lingua che muove sconnessa dal cervello.
"Ma che lingua!" I commensali mi fissano inorriditi. "Il braccio è più lungo! C'arrivo prima, sa?" Accompagno il tutto da una dimostrazione pratica, mettendo in bella mostra il mio braccio disteso e scoppio in una fragorosa risata. Ma, sbaglio, o sono l'unica a ridere?
Mi dibatto come un'anguilla, ma Mr. Negriero non intende mollare la presa.
"Non è che una fallita, non si faccia più rivedere!"
Uno spintone e sono fuori dal ristorante. E, a quanto pare, dal progetto.
Mi pietrifico.
No, non può davvero mandarmi via! La prego!
"Se ne vada via, via! Sveglia!"
La voce del mio capo sfumò in toni più gentili, prettamente... femminili?
All'ennesimo spintone, spalancai gli occhi.
"Bella dormita!"
Due pupille nere, contornate da iridi verde cervone, erano a pochi millimetri dalle mie. "Fra cinque minuti, Sleeping Beauty, dobbiamo andarcene, se non vogliamo tardare. Toh." Esclamò Fabiana, appiccicandomi un fazzoletto su di un lato delle labbra.
"Provo già compassione per i miei talloni e dolore per i miei piedi" compianse, allontanandosi.
Con un po' di fatica ad orientarmi nella nuova sistemazione, scorsi il grande orologio quadrato, tutto nero, ravvivato dalle lancette fosforescenti, il solo ornamento per le mura pallide del salone-cucina.
Le sette di mattina in punto. Un incubo.
Era stato solo un incubo, realizzai, perché i primi cinque giorni di lavoro a Sidney si rivelarono ben distanti da quel sogno spiacevole.
"Cazzarola, è tardissimo!"
Mi ridestò la voce argentina di Lucrezia, che proprio in quel momento slittava sul pavimento bianco e liscio del corridoio, ripiegandosi su se stessa per sistemare rapidamente il collant. Per smagliarlo, a veder meglio.
"Mavvaffa..."
Mi sollevai dal divanetto magenta posto al centro della stanza, e mi avviai a prendere una tazza di caffè americano, celando un sorrisetto divertito.
"Siamo solo al quinto giorno, qui" emise la voce di Fabiana dalla terza stanza in fondo al piccolo corridoio. "Ma sarà un miracolo se arriveremo al week end, con questi tacchi."
Ecco spuntare di nuovo anche lei, saltellante su un piede, troppo concentrata ad infilare l'altra scarpa per accorgersi di Lucrezia, ancora chinata al centro del corridoio, finendo per rovinarle addosso con un urletto strozzato: ciò che mi si parò di fronte era un groviglio di braccia penzoloni, capelli lisci e scuri ricaduti in avanti, mescolati ai ricci rossicci di Lucrezia.
Sorseggiando il caffè, sghignazzai osservandole incolparsi bonariamente, ancora aggrovigliate l'una sull'altra: loro sarebbero state le mie coinquiline da lì a due mesi.
Le conobbi il giorno della partenza all'aeroporto di Pisa; il coordinatore — il signor Calli — consegnò ciascun membro del gruppo un foglio contenente la lista dei nostri nomi con i relativi coinquilini assegnati, indirizzi delle aziende presso cui avremmo lavorato e degli appartamenti dove avremmo vissuto a Sidney.
Fabiana aveva chiamato il mio nome nella sala d'attesa dell'aeroporto e dopo il cenno del mio braccio, levato in aria nella folla creata dal gruppo, era corsa con i capelli neri svolazzanti ed il sorriso solare per raggiungermi, seguita da Lucrezia, chioma riccia rosso fuoco e flemma tipica della ragazza che si aspetta sia Maometto a raggiungere direttamente lei, nessuna montagna.
Arrivammo a Sidney dopo ventiquattro, infinite ore di volo e scali plurimi, il che rimandava più un reality di sopravvivenza ad eliminazione: i primi avevano mollato tra il secondo e terzo scalo, il jet lag poi si occupò di radere al suolo la parte restante, appena giunti su suolo australiano.
Dopo aver sonnecchiato in taxi, fu la volta dell'appartamento. Nel suo aspetto era carino, benché semplice e spoglio nell'assetto: una stanza bianca adibita a salone e cucina, che dava ad un piccolo balcone, un corridoio corto, che dava alle nostre tre stanze. Riuscii a stento a scoprire che erano compagne di università, prima d'addormentarci vestite e sfinite sullo stesso letto.
Il giorno seguente, nonché primo a Sidney, ci dirigemmo a George Street, nei pressi della stazione dove avremmo incontrato il coordinatore Calli e le segretarie delle aziende presso cui avremmo lavorato, per affrontare il primo giorno di lavoro.
"Ce l'avete fatta ad arrivare!"
Richiamò la nostra attenzione la voce di un ragazzo, un brunetto fisicato, con la mano già tesa per le presentazioni, ma solo in mia direzione.
"Sono Michele, ma da oggi, se ti va, puoi chiamarmi Mike. È per calarmi meglio nella parte." Mi rifilò un occhiolino. "Australianizzare il nome è il primo passo verso il successo."
"Australianiché? Mic, dai, non è abituata alle tue stronzate, sparale gradualmente. Dalle tempo!" Lo abbracciò brevemente Lucrezia, in fare prettamente amichevole. Dopo la conoscenza di Michele e pochi altri del gruppo, ognuno si diresse alla sede aziendale con la segretaria aziendale di riferimento.
Ero un po' in ansia, non che lo fossi esageratamente, ma si trattava pur sempre del primo giorno di lavoro in una terra nuova, in un'azienda di dimensioni importanti, in una lingua che masticavo bene ma che dopotutto non era la mia. Grazia divina volle che al quarto giorno, per mia sorpresa, potei affermare non si trattava affatto dell’'ambiente lavorativo, quello a crearmi rogne: i colleghi erano sempre affaccendati e in corsa, ognuno sbrigava le proprie mansioni, ma la segretaria incaricata di seguirmi quando ne avessi avuto bisogno si era mostrata notevolmente disponibile, il suo inglese ed il suo accento facilmente comprensibili. Meglio di quanto sperato. Il solo, vero problema di quei giorni, dunque, si rivelarono… i chilometri.
"Mag, siamo in bagno!"
Strepitò energicamente Lucrezia, appena rincasata dal quarto giorno di lavoro. Le raggiunsi, placcandomi sulla soglia, lasciandole contemplare le dita dei miei piedi scrocchianti e malandate.
"Non ho mai desiderato un pediluvio così tanto..." sospirai, accedendo. Tutte avevamo bisogno di un pediluvio giornaliero e Lucrezia sembrava aver già provveduto, ora in tenuta casalinga: una semplice t-shirt rossa aderente, un pantaloncino nero con l'orlo arricciato e delle infradito in spugna blu. Sì, l'aveva appena fatto, usava solo dopo la doccia le ciabatte in spugna.
"Affogali pure coi nostri! Tanto, capirai, sono già morti per strada." Sbottò irritata e sarcastica Fabiana, mentre sedevo sul bordo della vasca in cui stava terminando la seduta d'urgenza per i suoi piedi.
"Ci conviene guardare il bicchiere mezzo pieno: rimedieremo corpi da modelle con questa maratona giornaliera." Suggerì allettata Lucrezia, un tipo molto attento a ciò che aveva a che fare con la bellezza. In effetti la sua semplice mise le donava neanche fosse un capo d'alta moda, ed era un semplice pigiama in cotone.
"Sì, beh, unica pecca, i piedi da hobbit. D'altronde nessuno è perfetto." Alzai di spalle.
"Le mie bolle concordano pienamente." Fabiana mostrò la pianta del suo piede, sicuramente reduce da un disastro nucleare nell'Area 51.
"Ragazze, sono infattibili due mesi in questo modo. Se ricordate, il signor Calli ci ha spiegato che il percorso alloggio-lavoro è calcolato strategicamente per distare, al massimo, venti minuti a piedi, per favorire la condizione di noi stagisti, così da arrivare a lavoro in orario, riposati e senza compiere peregrinaggi alla Compostela."
Aveva logica, in effetti. Una logica che per noi, però, non valeva.
"E invece, anche oggi ho impiegato un'ora e dieci per arrivare a casa." Confrontando le nostre esperienze, decretammo che eravamo messe maluccio. Lucrezia un'ora, ma il record lo detenevo io: un'ora e un quarto!
Quella stessa sera accennammo tutto al coordinatore Calli, il quale si interessò al caso, promettendo di contattarci l'indomani per aggiornarci sulla risoluzione al problema.
E, finalmente, l'indomani era giunto.
"Okay, pronte!"
Finalmente arrivarono alla porta della nostra nuova abitazione le mie coinquiline, Lucrezia con le calze ancora smagliate, celate dalla gonna del tailleur blu scuro, e Fabiana, ancora arrossata in viso nel punto in cui aveva tamponato la spalla di Lucrezia.
Nel corso della giornata, durante le pause a lavoro, ci tenemmo in contatto, ansiose di sapere se Calli avesse news positive, e fatta eccezione per gli acciacchi ai piedi che di tanto in tanto mi facevano grugnire, non riscontrai grosse difficoltà a lavoro. Qualche termine somigliava più al mandarino, ma nulla di ingestibile.
"Tra quindici minuti allo Stonehouse pub?" Scrissi un messaggio a Fabiana, appena uscita da lavoro.
"Sicuro! Vado un po' a rilento, ma quando riusciremo ad incontrarci, sarà bello sorreggerci l'un l'altra su questi maledettissimi trampoli. Hai notato che queste strade sono solcate da una miriade di buche invisibili?"
"Forse intendi affondarci l'un'altra sui maledettissimi trampoli." Digitai in risposta, continuando ad arrancare verso la meta, quando il trillo del cellulare segnalò l'arrivo del nuovo messaggio.
"Eureka! Calli ha appena comunicato a Lucrezia che ci raggiungerà stasera alle otto al nostro appartamento, dice di aver risolto il problema!"—"Ehi, ti vedo! Solleva la testa!" Seguì con due messaggi consecutivi.
Focalizzando meglio l'attenzione fra i passanti, scorsi il braccio di Fabiana a salutarmi, quindi proseguii frettolosa verso di lei, ricambiando il saluto con la stessa foga.
Stavo ancora scuotendo all'aria le braccia quando il terreno si fece più scosceso, ma lei mimava qualcosa in lontananza, mi ritrovai impegnata a decifrare la sua mimica al punto che ridussi l’attenzione dalla, fino a non avvertire più la terra su cui posare il passo. Rivolsi lo sguardo verso il basso appena in tempo per vedere una grossa, enorme, spaventosa buca, pronta ad inghiottirmi.
"Ahhhh!"
Pochi istanti di vuoto pauroso, seguiti dal tacco che si scontrò sul suolo, vibrò freneticamente da destra e sinistra, agitandomi come un prosciutto prima di infrangersi contro l'asfalto, lasciandomi rovinare tragicamente per terra, le braccia all'aria che avevano ormai perso equilibrio.
Appena il tempo di provare un dolore lancinante alla gamba sinistra, talmente forte, che tutto diventò improvvisamente... nero.

   
 
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