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Autore: Oblio    15/10/2016    1 recensioni
Una storia che forse parla di me, e di quello che succedeva quando di notte la luce non rimaneva accesa.
Una storia che parla troppo di me. Scritta in momenti di rabbia e noia.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiuse gli occhi un'altra volta.
Forse ora se ne sarebbe andato.
Li riaprì a fatica.
Era brutto. Spaventoso. Orribile.
No, non se ne era andato. Restava lì, appena dietro la porta della sua camera, aspettando.. Cosa? Forse neppure Lui lo sapeva.
Era quello che si chiedeva sempre davanti ai film di "paura". Insomma, che male poteva fare un fantasma? Spaventava e poi? Dal punto di vista narrativo, inoltre, il personaggio di un fantasma non era mai veramente stabile, perché non aveva motivazioni vere.
"Infliggerò agli altri il mio dolore", "sono un fantasma è faccio paura" o "io non sono cattiva è solo che il mio lenzuolo mi fa così".
Nulla aveva senso...
Eppure Lui era lì.
Aveva letto da qualche parte che tante, tante e tante persone avevano paura dell'Uomo Nero, anche gli adulti. Boogie man, lo chiamavano alcuni.
Il nome derivava dal modo in cui una volta chiamavano le persone che vivevano nei ghetti o una cosa del genere. Già, le madri inglesi minacciavano i figlioletti che se non si fossero comportati bene, l'orco cattivo sarebbe venuto a prenderli. Un metodo esemplare su come educare i bambini, insomma.
Be, lui non aveva paura del Buio. Nemmeno dell'uomo nero, di Boogie Man o dell'uomo di sabbia.
No, quelle paure non lo toccavano.
Una volta, da piccolo, aveva persino sognato di fare un viaggio insieme all'Uomo Nero.
Non era poi così male, nel Mondo di Sabbia. Ma il suo giudizio non valeva: lui era da sempre il bambino "diverso".
Lui, che era affascinato dal buio, dal... Male.
Ma non quel male che veniva anche troppo colorato e costruito nei film dell'orrore. Oh, no. Quello no.
C'erano una volta degli zombie che uccidevano persone, lasciando per ultima una bionda con la maglietta scollata, che prima di morire in modo stupidissimo urla e rimane in reggiseno.
C'era una volta una bambola indemoniata, anzi no. Una bambola con l'anima di un assassino, che uccide persone.
Non aveva senso.
Quella non era paura. Quella era confusione.
E le urla, più di tutto, gli davano un sacco fastidio.
Se mai fosse morto in un attacco zombie, lui avrebbe cercato di non urlare. Almeno per non disturbare gli altri, che tanto sarebbero morti dopo di lui.
No. Quella non era paura.
Si voltò. Persino Lui annuì.
Ricordò Marlowe, quello che tutti chiamavano "l'uomo nero". Non era male.
Quando aveva cinque anni lo vedeva spesso.
Era un periodo brutto.
Dormiva sempre senza la coperta, anche d'inverno.
-sai, al freddo si fanno più incubi- gli disse Marlowe, sorridendo con gli occhi d'oro.
-lo so- rispose lui, con grande stupore dell'Uomo Nero. -ma va bene così.. io ho solo quelli-
Marlowe sorrise. -sei diverso- disse ridendo.
Lui però si offese. -me lo dicono tutti...-
-sai... Lo dicono anche di me-
E gli occhi dell'Uomo Nero erano così belli che lui non riuscì a non sorridere.
-ti va di venire nel mio regno?-
-anche per sempre...-
L'Uomo nero si stupì di nuovo.
-non vorresti tornare? Di solito i bambini mi implorano di tornare da là..-
-io voglio andare a casa-
-ma tu sei già a casa-
-questa non è "casa". Portamici tu, per favore, o lo chiederò all'altro-
-quale altro?-
Marlowe sembrò quasi dispiaciuto.
-vieni- gli disse prendendolo per mano.
Lui allora lasciò cadere per terra la coperta e lo seguì dentro il buio. Sotto al letto...
-diverso non significa sbagliato, piccolo-
-diverso non significa sbagliato- ripeté lui per non dimenticarselo.
-benvenuto nel Mondo di Sabbia, mio piccolo amico-
E davanti a lui, si aprì una schiera di rose nere, le spine intrecciate a formare un ponte. Un lungo e stretto ponte.
-sali- gli disse Marlowe con gentilezza.
-e tu?- chiese lui notando che c'era spazio solo per uno.
-io so volare-
Camminarono, e volarono, insieme lungo il ponte.
-vorrei essere come te- gli disse il bambino a un certo punto.
-nessuno me l'aveva mai detto. Ti ringrazio-
-tu sai volare, sei un re e puoi essere chi vuoi...- continuò il bambino, con un accenno di tristezza.
-sai cos'altro può fare un re qui?-
-cosa?-
Arrivarono alla fine del ponte.
-questo- e, raccolta della sabbia da terra, Marlowe la gettò davanti a sè.
-puoi buttare la terra... Per terra?-
-guarda.- e subito era cresciuto davanti a loro un narciso, nero.
Il bambino spalancò gli occhi. -tu sai fare cose bellissime-
-grazie- rispose Marlowe, mentre il bambino si avvicinava al narciso.
Lo toccò con un dito.
-è davvero bello- disse ancora. E il suo tocco, il suo fragile e piccolo tocco, fece colorare il narciso di un bianco panna.
-nessuno aveva mai toccato le mie creazioni prima d'ora- disse Marlowe. Ma non sembrava arrabbiato.
-perdonami-
-e perché? Tu hai guardato oltre. Hai reso bello questo fiore e lo hai liberato dal suo male-
-ed è una cosa giusta?-
-le persone buone si riconoscono perché vedono la bontà negli altri, e quando non c'è, la creano...- e indicò il narciso.
-ed è una cosa giusta?- chiese ancora il bambino.
-per il tuo Mondo, a volte no- si limitò a dire Marlowe.
L'Uomo Nero gli fece cenno di seguirlo.
-ecco il mio regno- disse presentandogli, dalla cima di una piccola collina, terre piene di narcisi e, in fondo alla valle, un palazzo di cristallo.
-vorrei tanto che questa fosse "casa"- disse il bambino.
-può esserlo- rispose Marlowe, -se resti-
-non è così semplice..-
-no?-
-no. Casa non è il posto in cui vivi. Casa è il luogo che ti manca quando sei lontano-
-e tu come fai a saperlo? Sei piccolo-
Il bambino guardò in basso. -a me non manca nessun posto.-
Marlowe lo portò fino al castello, a bordo di una slitta trainata da cavalli neri.
-sono dolci- disse il bambino ridendo quando uno dei cavalli gli leccò la mano.
-sono incubi-
-a me piacciono gli incubi- e riprese ad accarezzare il cavallo. Il manto dell'animale era nero, più nero della notte, e la criniera di un buio più triste della solitudine, tempestato di piccole lacrime che brillavano come diamanti.
-entra-
Le porte del palazzo di aprirono e il bambino vide un meraviglioso e gigantesco salone, decorato di diamanti e sculture d'oro massiccio.
Nei vasi c'erano i narcisi, tranne in uno.
Nella boccia sul tavolo al centro della sala, non c'erano narcisi.
-una rosa?-
-già-
-perché c'è una rosa?-
-penso che tu lo sappia..-
-i narcisi sono paura, la rosa... È un sogno.-
-sì, è il sogno più puro mai esistito-
Il bambino guardava la rosa, rossa come il sangue, studiandone ogni particolare.
-è tua, se decidi di restare... Tu sarai il piccolo principe di questo regno, e lei la tua bella rosa.-
-non posso-
-perché non puoi?-
-la rosa non è mia... Io ho bisogno di una rosa tutta mia.-
Marlowe annuì.
-la tua rosa sarà ancora più rossa di quella. Sei puro... Perché allora ti piace il buio?-
-non lo so... Ho paura-
Marlowe si avvicinò.
-non devi. Non devi averne paura-
-tu sai di cosa ho paura?-
-sì, io sono il re del Buio. Conosco le paure... Non devi aver paura di te stesso.-
-io potrei essere malvagio-
-ma non lo sei-
-se mi lasciassi andare, potrei essere cattivo-
-ma non lo sei-
-se non mi fermassi, potrei non provare rimorsi...-
Marlowe rimase in silenzio.
Agitò solo una mano, gettando a terra una manciata di sabbia.
Subito uno specchio comparve davanti al bambino.
-cosa vedi?- chiese l'Uomo Nero.
Lo specchio si riempì di nebbia. Il bambino socchiuse gli occhi per vedere meglio.
C'era un mostro, poi un uomo. Un'ombra, e poi un ragazzo.
-cosa vedi?-
Il bambino esitò. -me-
-esatto-
Marlowe riportò il bambino nella sua camera.
-tu puoi scegliere. Finché tu non lo vorrai, Lui resterà dentro. Non farà niente. La scelta, è solo tua...-
L'uomo nero rimboccò le coperte al piccolo amico.
-addio Marlowe- disse il bambino mentre il re del Buio spariva.
-addio-
 "Finché tu non lo vorrai, Lui resterà dentro" si ripeté per farsi coraggio.
Lui, mostrando solo la faccia, sembrò sorridere.
Gli si fece vicino, e lui lo guardò.
Si guardò. Nei frammenti di specchio che componevano il volto del mostro si vide sorridere.
-non devi avere paura di te stesso- disse il suo demone custode.
   
 
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