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Autore: Aniadellacqua    16/10/2016    2 recensioni
Capitò per caso. Come solo possono capitare le cose migliori. Lui mi guardava attraverso la sala del caffé. Avrei dovuto prestare attenzione alla dolce Jannet, mi aveva chiesto di uscire perché deveva chiedermi qualcosa di importante ma... lui mi guardava e mi sorrideva. Per cortesia forse. Per caso. Non ho mai sentito ciò che Jannet voleva dirmi perché quel lontano giorno, inaspettatamente e contro qualsiasi logica, mi ero innamorato. Considerando gli anni, forse avrei dovuto interrogarmi sul perché, proprio lui. Un ragazzo poco più piccolo di me. Un ragazzo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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E gli sorrisi

 

Capitò per caso. Come solo possono capitare le cose migliori. Lui mi guardava attraverso la sala del caffé. Avrei dovuto prestare attenzione alla dolce Jannet, mi aveva chiesto di uscire perché doveva chiedermi qualcosa di importante ma... lui mi guardava e mi sorrideva. Per cortesia forse. Per caso. Non ho mai sentito ciò che Jannet voleva dirmi perché quel lontano giorno, inaspettatamente e contro qualsiasi logica, mi ero innamorato. Considerando gli anni, forse avrei dovuto interrogarmi sul perché, proprio lui. Un ragazzo poco più piccolo di me. Un ragazzo. Ma non ci riuscivo. Sapevo che se mi avessero scoperto, mi avrebbero come minimo cacciato di casa. Sapevo che il mio mondo sarebbe andato in pezzi al sapere che l'erede dei Fitzmaurice faceva l'amore ogni volta che poteva con un uomo. Lo sapevo e per questo non ho mai pensato di lasciarlo. Ogni crepa creata nel mio rigido mondo di regole, era una pennellata di colore, di novità, di freschezza. Ho trovato la mia fede, sulla bocca di James. Ho trovato il Paradiso nella sua risata di artista. Sfasciava il mio mondo, giorno dopo giorno e lo rendeva migliore.

Andava di moda, nel mondo di James, la droga. La sua arte sbocciava tra quelle strane sostanze che mi rifiutavo di assumere. A me non servivano, a me bastava ascoltare le sue poesie, mi bastava seguirlo mentre ebbro mi invitava a ballare nella sua minuscola stanza caotica. In quei quattro anni che vissi l'amore attraverso James, scoprì la bellezza del mondo e desiderai con tutto me stesso poterlo rendere migliore. Confessai alla mia famiglia che avrei concluso il mio corso di studi in economia, che mi sarei occupato dell'azienda fin tanto che mio fratello minore non mi avesse raggiunto, a quel punto avrei ripreso gli studi. Volevo diventare un avvocato per i diritti civili così che un giorno, James, l'uomo della mia vita, ed io avremmo potuto veder riconosciuta la nostra unione. Fu un giorno di fuoco in casa. Un giorno terribile ma alla fine, alla mia famiglia si presentavano solo due scelte. Perdermi o accettarmi. Penso che tentarono con una via di mezzo. Mi tollerarono e gliene fui grato. Avrebbero capito, ne ero sicuro. Un giorno avrebbero compreso anche loro. Ma quel giorno non arrivò. Non per la testardaggine di mio padre. Non per il bigottismo di mia madre. Furono forze di causa maggiore. James cominciò a tossire il 10 novembre del 1987, due giorni prima del mio compleanno, all'età di ventré anni. Un mese dopo, a ridosso del Natale, anche io cominciai a stare male. Avevo sentito che la promisquità portava con sé una terribile malattia ma non me ne curai. Né io né James avevamo mai intrattenuto rapporti con altri. Mai. Me lo giurò ed io gli credetti senza riserbo alcuno. Spintonai mio padre quando lo accusò di avermi ucciso. Urlai contro mia madre quando lo maledisse. Avevo l'AIDS, ce l'avevamo entrambi. Come? Perché? Riuscivo solo a pensare che nonostante stesse divenendo sempre più magro, nonostante i suoi meravigliosi capelli neri stessero cadendo, rimaneva comunque bellissimo. Stavamo male. Così male che alle volte piangevamo, ma eravamo insieme. Pregai Dio di non farmi resistere un solo secondo più di James.

Una notte, non riusciva a smettere di tremare, delirava a causa della febbre, diceva che Dio lo aveva maledetto. Che lo aveva punito. Non avrebbe mai dovuto avvicinarmi. Mi pregava di perdonarlo. Ogni parola mi uccideva il cuore. Lo scongiurai di non dire certe cose nonostante sapessi che erano causate dal dolore. O almeno, così mi ero convinto. Si era fatto convincere da certi suoi amici. Una siringa, per una nuova droga dall'America. Una siringa riutilizzata da cinque persone. Mi aveva ucciso. Nonostante mi amasse più di qualsiasi altra cosa. Vorrei dire di non sapere che cosa provai, che cosa sentii. Ma la verità è che mentre lo stringevo a me, mi ritrovai ad odiare con ogni fibra di me James. Aveva ragione, mi aveva ucciso. Si spense il mattino seguente, alle sei e quarantadue minuti del 12 marzo del 1988. Io lo seguì la sera di quello stesso giorno. Morire non mi fu di alcun conforto. Avevo passato le ultime ore della mia vita ad odiare l'unica persona che mai avessi amato. Avevo maledetto i suoi amici. La mia famiglia per non averlo mai trattato come un vero essere umano. Gridando sulla dannata America e le sue droghe assassine. Avevo odiato, come non credevo di essere in grado di fare.

Mi ritrovai seduto all'interno del caffè dove avevo incontrato James anni prima. Nel luogo in cui la mia vita aveva preso vero senso. Seduto al mio tavolo non c'era Jannet, sposatasi con un rispettabile medico di Londra. No. C'ero io, piagato dall'AIDS, gli occhi gonfi, i capelli radi, macchie nere sulle mani e sul collo. Potevo rinnegare tutto. Non capivo. Dov'ero, perché non stavo soffrendo, non ero più in casa mia. Ero morto? Puoi tornare indietro, mi dissi. Ma dovevo fare prima una cosa. Dovevo rinnegarlo. James, in fondo alla sala mi sorrideva, una sigaretta tra le dita. Potevo riprendere a respirare, sistemarmi con una buona moglie, godermi il prestigio del mio nome, condurre una quieta ed appagante vita. Tutto quello che dovevo fare era incolparlo, distruggere quel suo sorriso che mi aveva abbagliato, fin dal primo istante che i nostri occhi si erano incontrati. Come potevo farlo. Eppure, avevo il terrore di tornare ad essere quel fantasma di me che mi sedeva davanti. Sarei stato in quella forma, con quel terribile dolore, per l'eternità? Dio mi stava offrendo salvezza attraverso una versione di me? James non era più entrato in chiesa da che aveva scoperto la sua omosessualità. Pensava di essere indegno. Come aveva urlato la sua intera famiglia, destinato a bruciare nelle fiamme dell'Inferno. Ma io, con lui, ne ero stato così certo, avevo trovato quell'immenso amore che tante volte avevo sentito predicare esistere in Dio, per tutti i suoi figli. Non mi sentivo sporco. Non mi sentivo un peccatore. Quell'amore mi aveva reso migliore. James mi aveva reso migliore ed io... io per lui che cosa avevo fatto? Così semplice guardarlo sotto gli effetti delle droghe. Così facile sussurrargli nelle orecchie che era bellissimo. Avrei dovuto impedirgli di assumere delle sostanze che lo vedevo, distintamente, che gli facevano male, dopo i momenti di estasi. Invece di lasciarlo solo, le domeniche mattine, sarei dovuto andare a casa sua, prenderlo per mano e portarlo in chiesa. Ma non l'avevo fatto, perché nessuno sapeva di me ed, anche quando così non fu più, non l'avevo mai ricondotto in un luogo dal quale si sentiva rifiutato. Da James avevo preso tutto. Piangevo, davanti al suo immobile sorriso, in quel bar. Avevo preso tutto da James ma nulla gli avevo dato in cambio. Il Signore non era arrabbiato con me perché amavo un uomo. Era arrabbiato con me perché tanto avrei potuto fare per lui e nulla avevo fatto. Io ero il mio Inferno. La mia insicurezza. La mia indecisione. Quella versione di me che mi ritrovavo ad odiare e non per l'aspetto, non per la malattia ma per la debolezza. Anche James era malato ma non aveva il conforto di una famiglia come la mia. James era solo. E cosa avevo fatto io? L'avevo odiato. Perché mi sorridi così. Gli gridai. Abbandonai il tavolo ed il mio aspetto fu quello che aveva spirato sul letto della mia camera. Mi gettai ai piedi di James. Perché mi sorridi così, perché non mi maledici? Il mio Inferno, la consapevolezza di essere indegno della sua dolcezza, della sua dedizione. In quattro anni, tutto quello che aveva fatto, l'aveva compiuto per essere migliore ai miei occhi. Perché dunque.

Non so se questa mia lettera sarà mai letta da qualcuno in grado di credere che oltre la vita che conosciamo ce n'è davvero un'altra. Non so nemmeno se spaventerà qualcuno o verrà registrata come una semplice opera di fantasia. Quello che spero, l'unica cosa che vorrei è che potesse lasciarvi questa mia vita è che non basta, dire ti amo. Non basta crogiolarsi nell'amore di coloro di cui ci innamoriamo. Non basta chiedere perdono a loro. Ogni mancanza, ogni ferita che infliggiamo alla persona che amiamo è nostra. James mi amava, per questo mi sorrideva, per questo mi perdonava ogni sbaglio, nella speranza che anche io potessi farlo. Sono seduto al suo tavolo, adesso, mentre concludo questo mio lascito. James continua a sorridermi come il giorno in cui lo incontrai ed io sto cercando dentro di me la forza per perdonare a me stesso tutto quello che di sbagliato ho commesso contro di lui e contro me stesso. Dio non ci odia. Dio non odia nessuno. E' la seconda scoperta che ho fatto quando sono morto. In me risiede il mio Inferno, in James il mio Paradiso. Prendetevi cura della persona che amate e imparate a perdonarvi.


 

Wilhel Fitzmaurice

   
 
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