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Autore: ale93    16/10/2016    5 recensioni
Guardando dritto davanti a sé, Castiel mormorò quasi a se stesso “non sei obbligato a restare.”
[Fic Gap, ep: 09x06, Heaven Can't Wait]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Penso a Danyal, a volte. Ci penso molto spesso, a dire il vero, specialmente durante la notte, o alle prime luci del mattino, quando non riesco a riposare.
Ricordo che ci eravamo appassionati ad una piccola larva, la prima volta che vedemmo la Terra. Si trattava di un minuscolo erebide con cui giocavamo e a cui avevamo dato un soprannome; ci divertivamo ad accarezzarne la peluria pruriginosa. Passavamo la maggior parte del nostro tempo a stupirci del meraviglioso funzionamento di quell' organismo perfetto, per quanto piccolo.
Ci disperammo quando parve che fosse morto, quando si raggomitolò in un bozzolo e non si mosse per giorni.
Danyal chiese a nostro padre come avesse potuto dare vita così breve ad un essere così indifeso e perché prodigarsi tanto nel donargli una corazza velenosa se neanche quella poteva salvarlo. Lui sorrise serenamente e ci disse “nulla muore veramente, in questo mondo che ho creato.” All'inizio nessuno di noi capì cosa volesse dire. Ma ora so cosa significavano quelle parole, ora so cosa intendesse mio padre: che il mondo si muove in un ciclo continuo, che avviene un cambiamento ogni volta, come quando il ghiaccio ritorna acqua. E aveva ragione.

In pochi giorni, l'erebide divenne crisalide, e da quella crisalide uscì una farfalla che spiccò il volo.

 





 

on the dry and dusty road (follow the sun)




How lucky I am to have something that makes saying goodbye so hard.
-A. A. Milne

L'aria nell'abitacolo dell'auto gli sembrava irrespirabile. Durante l'intero tragitto avevano scambiato sì e no venti parole, per lo più mezze frasi impacciate e vuote di contenuto. Dean continuava a stringere il volante scrutando la strada che si snodava nel buio, e Castiel scrutava lui.
“Puoi lasciarmi alla stazione di servizio, te l'ho detto”, disse ad un certo punto. Era del tutto inutile: Dean non lo aveva degnato neanche di uno sguardo le ultime tre volte che se l'era sentito dire, non lo avrebbe fatto neanche adesso.

Come se avesse sentito fisicamente lo sguardo di Castiel su di sé, Dean prese un profondo respiro e, a denti stretti, disse “ho visto un motel alla prima uscita dell'autostrada.” Poi accese la radio su una stazione che trasmetteva vecchie canzoni da balera e si rinchiuse di nuovo nel suo silenzio. Castiel smise di fissarlo.

Dean rallentò nei pressi di un'insegna al neon. Spense il motore nel parcheggio e fece per scendere dall'auto; sembrava indeciso. A disagio, nei panni della controparte allegra del duo che formavano. Aveva un'espressione sul viso che Castiel conosceva a menadito: una mescolanza di tristezza e sconforto che rendeva la linea della sua mascella più contratta e i suoi occhi più cupi. C'era sempre qualcosa che serpeggiava nel suo sguardo, una zona d'ombra dalla quale Dean allontanava chiunque. Soprattutto lui.

Guardando dritto davanti a sé, Castiel mormorò quasi a se stesso “non sei obbligato a restare.” Nessun risentimento in quelle parole. Forse, solo un po' di amarezza nelle maniche macchiate di sangue della sua camicia, nella smorfia sulla bocca di Dean, e nello strano connubio che incarnavano quelle due figure che erano loro due, seduti al buio di un'auto che entrambi, anche se per motivi diversi, consideravano una casa.

“No, Cas, non lo sono.”

Dean pagò per l'unica stanza rimasta -per un discutibile senso dell'umorismo cosmico si trattava di una doppia, ma nessuno dei due disse nulla a riguardo- e gli fece strada al secondo piano del motel, con vista sul primo svincolo autostradale per Rexford. Di tanto in tanto diceva qualcosa a proposito di Sam e dei progressi di Kevin, del modo straordinario in cui si stava rimettendo in piedi nonostante la sua giovane età e la poca attitudine alla vita di caccia. Per qualche strana ragione, Castiel ripensò alla prima volta che aveva mangiato ad una mensa per senzatetto e alle parole del pastore che lo aveva accolto: “mi sembri un brav'uomo in cerca delle scarpe migliori per percorrere la sua strada”, gli aveva detto. Immaginò che anche per Kevin valesse. Che valesse lo stesso per tutti loro.

Appena entrati in camera, Dean aveva sfilato la pistola dalla cintura dei pantaloni e l'aveva posata sul comodino. Castiel, riconoscente, aveva percepito quanto nonostante tutto si sentisse al sicuro lì con lui. Almeno per quella notte.
Non sapeva quanto quelle cose gli fossero mancate: un letto comodo, l'eccentrico arredamento di un qualsiasi motel sull'interstatale, l'odore di pelle e umidità nell'Impala. Sapeva quanto gli era mancato Dean. Di quello era più che certo.

“Hai fame? Avrei dovuto prendere qualcosa-”

Castiel scosse la testa e si lasciò cadere su una sedia. Provò a massaggiare il polso e la mano destra, ma erano tumefatti, e il solo pensiero di muovere le dita lo lasciava con lo stomaco contorto e la sensazione di dover vomitare da un momento all'altro.

Dean prese posto sul letto e “fammi vedere” mormorò, le linee d'espressione accentuate sulla sua fronte e le mani esperte attorno a quelle di Castiel a tastare la ferita, a fare il veloce inventario dei danni. Castiel strinse i denti e non permise a se stesso di emettere neanche un lamento, purché Dean non si allontanasse. Non ancora. Dovette prendere fiato, prima di rispondere.

“Non importa- ”
Ma Dean lo interruppe. “Prendo il kit dalla macchina. Deve essere bendata.”

Castiel restò seduto a fissarsi le mani, quando la porta si richiuse alle sue spalle. Finse di non sentire nelle orecchie il suo stesso battito accelerato o che il suo cervello non stesse contando i secondi che Dean avrebbe impiegato per accendere il motore e lasciarlo in quella stanza. Sapeva che non lo avrebbe fatto, ma per la prima volta in tutti quei mesi, Castiel afferrò la chiave di lettura della sua esperienza: ciò che sin da subito lo aveva reso vulnerabile, e quindi più umano, era il dubbio.
Lungo la strada che aveva percorso, aveva imparato a convivere con la fame e il freddo e i mal funzionamenti di un sistema immunitario debilitato. Aveva imparato a convivere con i rimorsi. E non si era mai sentito più esposto di quanto il dubbio di essere ormai inutile lo avesse reso. E forse si trattava proprio di questo, forse la presenza di Dean gli ricordava tutto quello che aveva perso, amplificava la solitudine.

Poteva starsene seduto in quella stanza, convincendosi che l'indomani sarebbe tornato al suo lavoro, alla sua minuscola routine di periferia, senza che quella notte potesse scalfirlo in alcun modo. Il mattino successivo, avrebbe ricominciato a mangiare nachos e a bere acqua dal rubinetto del bagno della stazione di servizio, sarebbe stato tra le persone e avrebbe provato ad essere uno qualunque tra loro. Ma Dean era rimasto quella notte, e quella soltanto: l'indomani sarebbe già stato troppo lontano. E Castiel non avrebbe più potuto fingere.

La sensazione si espanse nell'esatto istante in cui Dean rimise piede in camera e prese a medicargli la mano ferita con una delicatezza che, Castiel lo sapeva, non avrebbe potuto dimenticare. Dean non sembrava rendersene conto.

“Guarda quello che sto facendo. Devi imparare” gli sussurrò, gli occhi fissi sul bendaggio imbevuto di pomata. Era l'abitudine a guidare le dita di Dean sul suo polso, e l'esperienza, più che l'affetto e la tenerezza, naturalmente, ma Castiel realizzò che non aveva importanza per lui. Per un attimo, sentì il forte bisogno di ringraziare Dean. Per quella fasciatura precisa, per la gentilezza delle sue mani, per quella stanza, o per essere rimasto, nonostante tutto. Persino per quel modo che aveva di prendersi cura delle persone. Di lui.
Che importava se fosse stato solo per quella notte? Dean era proprio lì, distante solamente qualche centrimetro, a studiare le sue reazioni e le possibili espressioni di dolore sul suo viso, mentre appuntava la benda con una spilla da balia.

Ci volle un lungo momento perché Castiel si rendesse conto che Dean aveva terminato, che erano semplicemente rimasti a fissare l'uno le mani dell'altro. Prese un profondo respiro.

Dean si schiarì la voce, ricominciò a parlare di molte cose poco importanti, probabilmente solo per riempire tutti quei silenzi che lo mettevano in imbarazzo. Castiel lo ascoltava, partecipando alla conversazione con sguardi attenti. Alle tre del mattino, se ne stava ancora seduto su quella sedia di paglia a ricevere gli ultimi dettagli della vita al di là di Rexford dalla voce di Dean.

“Quindi ora sai ...tutto” disse Dean, sorridendo amaramente a se stesso. Non era vero. “Continua a tenere un profilo basso, non fare l'eroe.”
“Se anche dovessero arrivare a me, non permetterei che tu e Sam finiste in pericolo.”
Dean sospirò, guardando per un lungo momento dritto davanti a sé. Poi deglutì, come cercando le parole giuste. “Non è solo questo. Cas- stai fuori dal radar. Bada a te stesso. Resta... resta al sicuro.”

 

§

 

Danyal era curioso e testardo nel cercare risposte a questioni che noi angeli non potevamo comprendere. Fu il primo angelo a cadere. Vide l'umanità una sola volta e fu perduto: non solo se ne innamorò, ma rinnegò tutto se stesso pur di farne parte. 
Voleva per sé la stessa libertà di scelta che fu concessa all'uomo, la stessa volontà di potenza, la stessa ingenua curiosità di scoperta. Voleva un'anima.
Chiese a nostro padre perché a noi non fosse permesso niente del genere, perché proprio noi, i suoi stessi figli, non potessimo godere di tutti quei frutti. Non fu Lui a cacciarlo: Danyal cadde per sua scelta. Sua volontà. Nostro padre gli disse: “non ti ho impedito di provare quello che prova un uomo, ma tu non sapevi di esserne in grado.”
Vidi le ali di Danyal bruciare per tre giorni. Quando toccò terra, lo sentii cantare per l'ultima volta con la sua voce: era un canto di gioia. Diceva, “ho vissuto un solo giorno, ma ho vissuto.” Poi, morì.
Per molto tempo ho provato a comprendere cosa Danyal stesse cercando in quell'umanità piena di sofferenze e dolore e corruzione. Per molto tempo non lo capii.

Fino a quando, anche io, ho vissuto.
 

§

 

“Perché è venuto da te? Il dispensatore di eutanasia, dico.”
“Non è venuto per me, ma per Tanya. Io sono stato solo un... ostacolo per la sua missione.”
Dean guardava distrattamente il televisore. Di tanto in tanto, le sue dita si stringevano a formare un pugno e poi tornavano a rilassarsi ritmicamente. “Pensi di mentirmi ancora per molto?”
“Non ti sto mentendo, Dean” disse, ma la risposta più adeguata sarebbe stata: lo farò solo fino a quando sarai nei paraggi. Dean si limitò ad annuire sarcasticamente un paio di volte e a bere un sorso di birra.
Restarono ad ascoltare il ronzio delle voci di un vecchio programma tv per qualche minuto. Poi Castiel accettò la birra dalle mani di Dean.

“Lo sai, sei più bravo di così a dire cazzate, Cas.”

Castiel lasciò passare un lungo minuto, prima di rispondere, più duramente di quanto volesse: “sono troppo stanco.”
Dean serrò la mascella, senza dire un'altra parola e senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

 

§

 

A fatica, Castiel cercò di liberarsi della camicia con la sola mano sinistra, lasciandosi sfuggire mezzi sbuffi di frustrazione. Il sangue era ormai asciutto sul cotone, ma Castiel non voleva vederlo.
Dean era rimasto semidisteso sulla discutibile ottomana sistemata al centro della stanza, fino a quando aveva iniziato ad imprecare a mezza bocca e “e che cristo. Vieni qua”, aveva detto con un tono lievemente stizzito. Castiel si era arreso e si era lasciato aiutare.

Dean finì di sbottonargli la blusa guardando in basso, un leggero velo d'imbarazzo ad arrossargli il collo e le orecchie. La prossimità fisica che non avesse implicazioni sessuali aveva sempre messo Dean di cattivo umore. Castiel non ne aveva mai capito il motivo, fino a quel preciso momento, fino a quando non sentì il respiro di Dean sulla sua guancia e il calore dei suoi palmi anche attraverso la stoffa, in maniera così teneramente umana. Così vivida.
Come ogni sensazione che aveva provato fino a quel momento, lo investì e lo lasciò confuso prima che potesse classificarla: quel contatto era familiare e caldo e gentile, gli faceva sentire la sua carne viva. Ma lo esponeva, lo rendeva vulnerabile. Aveva bisogno di toccare Dean. Lo aveva sempre avuto, ma solo ora riusciva ad afferrarne il motivo.
Si costrinse a concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fossero le sue terminazioni nervose e lasciò che Dean gli sfilasse le maniche. Lo vide fermarsi all'improvviso, con un leggero scatto all'indietro, quando si rese conto del tatuaggio sul suo fianco, lo stesso che lui nascondeva sulla parte sinistra del petto.

Dean osservò il disegno per qualche secondo, poi lo sfiorò con il dorso dell'indice, una smorfia sulle sue labbra: “carino. Ci rimorchi le ragazze, con questo?”
“Evidentemente no” esalò.
Evidentemente”, gli fece il verso, “non hai la giusta tecnica, o non ti applichi abbastanza, Cas.”
“Suppongo sia così.”
Dean tirò via la mano dal suo fianco. “Dovresti, invece. Dovresti trovare qualcuno.” Castiel evitò di guardarlo in viso, perché sapeva cosa ci avrebbe letto.

Dean finì di aiutarlo in silenzio, poi, "metti questa", mormorò, infilandogli sulla testa una vecchia t-shirt di chissà quale gruppo musicale.
"Posso farne a meno. Non importa."
"Cas. Dai."
Castiel si guardò il torso mezzo scoperto e notò un livido scuro. Smise di replicare. Finì di vestirsi velocemente con la mano buona, senza guardare Dean.

Dean lo rimproverò per la sua magrezza. Finse di contargli le costole e si diede di nuovo dello stupido per non aver comprato del cibo, come se Castiel non fosse in grado di pensare a se stesso, come se sentisse ancora la responsabilità di insegnargli a stare al mondo. Avrebbe voluto dirgli che tutto questo non era necessario, che sapeva cavarsela, che non era davvero arrabbiato con lui. Capiva quali circostanze avessero portato Dean ad allontanarlo, perché in tutta la loro conoscenza c'era sempre stato qualcosa a pararsi tra loro e quello che avrebbe dovuto essere. E nonostante questo si fidava del suo giudizio.
Avrebbe voluto dirgli tutte queste cose, ma quello che gli uscì di bocca fu invece: “cosa stai facendo”, e non assomigliava ad una domanda, non ne aveva neppure il tono.

“Che vuol dire, che sto facendo. Ti sto aiutando perché hai un polso fuori uso e sei piuttosto impedito in questo momento.”
“Intendo dire che stai facendo qui, stanotte, in una stanza di motel a Rexford, quando avresti potuto percorrere qualche altro miglio, fermarti a dormire a metà strada verso il Kansas.”

Dean si umettò la bocca cautamente, azzardò uno sguardo verso di lui. “Pensavo ti facesse piacere la compagnia di un amico.”
Castiel mantenne gli occhi nei suoi. Non rispose subito, semplicemente perché non c'era nulla che potesse dirgli, nulla che lui sarebbe stato a sentire. Dean era sempre stato molte cose, ma non stupido. Sapeva che Castiel si sarebbe aggrappato a quella notte abbastanza a lungo da consumarne il ricordo fino a quando si sarebbero rivisti. Lo sapeva, anche se non potevano dirselo; c'era sempre stato qualcosa di singolare nel loro modo d'intendersi anche senza parole. Ma non era colpa sua se Castiel aveva fatto in modo che il suo mondo ruotasse intorno a lui. Non aveva mai chiesto tutta quella devozione, o quel bisogno.

“Cas-” ricominciò, nella voce una sfumatura di agitazione, “quello che è successo... io-”
Castiel lo interruppe. “Non devi spiegarmelo, Dean. Lo capisco. Voglio solo sentirti dire perché sei qui, adesso. So cosa stai facendo e non ce n'è bisogno. Sono in grado di prendermi cura di me stesso.”
Dean si allontanò da lui, voltandogli le spalle. Castiel avrebbe voluto allungare una mano al centro della sua schiena. Rassicurarlo, in qualche modo che neanche lui sapeva. Invece, aspettò che ritrovasse le parole. “So che sei in gamba e non hai bisogno di me o di chiunque altro. È solo che. Avevo solo bisogno di -”

Dean respirò profondamente, a spalle basse, crollando a sedere sul bordo del materasso. Alzò lo sguardo nel suo. Si fissarono nel silenzio della camera.

Castiel capì. Avevano solo bisogno di. Soltanto per quella notte.
 

§

 

Cadere, per noi figli di Dio, equivale ad un'esplosione di cui siamo uniche vittime e unici spettatori. Siamo stati creati nella convinzione che non esista nulla dopo di quello, dopo l'esilio. Ma non è così.
Non caddi per superbia, o perché fossi alla ricerca di qualcosa che non potevo trovare nella mia natura di angelo.
Caddi perché, come Danyal, feci una scelta. Iniziai a cambiare come l'erebide cambia in crisalide. E non successe quando mi furono tolte le ali o quando la mia grazia incenerì, né quando chiusi inconsapevolmente le porte del paradiso.
Successe all'inferno, quando mi chiesi perché dovessi salvare un uomo da quella perdizione, con l'unico scopo di costringerlo ad un destino che non aveva scelto. Successe quando quell'uomo si fidò di me. E quando mi chiesi che senso avesse usare come pedine quelle creature che avremmo dovuto proteggere.
Caddi la sera in cui io e Dean condividemmo una bottiglia di birra e lui mi guardò dall'altra parte del tavolo, per assicurarsi che stessi bene.
Precipitai un'infinità di volte, e in un'infinità di modi, prima che potessi rendermene conto.
A volte, mi chiedo se io non sia caduto nel primo istante in cui il nome di Dean Winchester venne pronunciato in paradiso.

 

§

 

 

Si scambiarono qualche parola su quale fosse il modo migliore per tenersi in contatto senza che qualcuno potesse intercettarli; poi Castiel chiese di Sam ancora una volta. Dean fu più evasivo del solito.
Non era rimasto altro che potessero dirsi, così restarono appollaiati sui bordi dell'unico letto della camera, fingendo che non ci fosse nessun imbarazzo all'idea di condividerlo. Dean fu il primo a sdraiarsi a caviglie incrociate sulle coperte, facendo leva con il tallone contro il bordo del letto per sfilarsi gli scarponi. Castiel gli si stese accanto evitando il suo viso, lo sguardo fisso sul soffitto pregno d'umidità. S'impegnò a contare le macchie più vecchie d'intonaco per un ragionevole lasso di tempo.

Dean lasciò la tv accesa, nonostante non l'avesse guardata o ascoltata per tutta la sera; le sue palpebre si abbassavano e si riaprivano lentamente. Disse: “ti meriti più di questo” in un bisbiglio. Castiel ispirò lentamente, il silenzio sembrò dilatarsi come una bolla di sapone intorno a loro. Si guardarono di traverso, la mano di Dean straordinariamente vicina alla sua. Avrebbe dovuto aggiustarsi solo di qualche centimetro, e si sarebbero toccati ancora.
“Dean-”, mormorò. Le sue dita si mossero appena, incontrarono l'indice di Dean a metà strada in una bizzarra e scomposta carezza.
“Ti meriti una casa... e una bella vita... e-” Dean lasciò scivolare il pollice sul palmo di Castiel e deglutì a fatica. Indugiò qualche istante sul centro della sua mano. Castiel provò a ricambiare la carezza. Dean smise di sfiorarlo; si allontanò appena.
Le dita di Castiel si chiusero in un pugno.

Ti meriti che io ti lasci andare.
 

§

 

Stare al mondo mi ha insegnato che ogni più piccolo mutamento avviene in circostanze impossibili da predire o replicare. Talvolta, ciò che muore rinasce in qualcosa che non siamo in grado di capire. O di vedere. Non per questo, vuol dire che sia perso per sempre.
Credo di avere ancora uno scopo, su questa Terra.

 

§

 

Quella notte sognò la mano di Dean, calda nella sua stretta. Sognò di tenerla per sé ancora per un po', prima che svanisse un'altra volta. Questo, poteva concederselo.

   
 
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