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Autore: Il_Signore_Oscuro    17/10/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter five – White ‘n’ red.

Il khajiit sferrò un fendete, calando a picco l’ascia bipenne schiantandola contro lo scudo con un rumore sordo. Ressi l’urto a stento, ma lo scudo non cedette o avrei sicuramente perso un arto, vista la forza del colpo.
Scansai il khajiit con una spallata e, a malincuore, dovetti liberarmi dello scudo, ormai inutilizzabile. Presi a due mani Durendal, riuscendo così a gestirne meglio il peso e il bilanciamento. Mi misi in posizione di guardia, attendendo la prima mossa del mio avversario. Il khajiit era stanco, ma non sembrava in alcun modo intenzionato ad arrendersi; mi soffiò contro, mostrandomi le zanne giallastre, e portò un altro attacco simile al precedente, ma questa volta ero pronto: lo schivai, indietreggiando brevemente, e avanzai in un affondo: Durendal passò come in mezzo a un panetto di buro fuso, penetrando la corazza di cuoio, la pelliccia, i muscoli, la carne e le ossa del bandito khajiit, fuoriuscendo dall’altra parte tinta d’un rosso scarlatto.
Il bandito rantolò, sputando un fiotto di sangue, mi maledisse con il suo ultimo respiro, mentre l’ascia cadeva sulla neve e il suo corpo si accasciava inerte contro il mio.
Era finita, per la prima volta avevo ucciso un essere umano … okay, non proprio un essere umano, ma una creatura sicuramente più simile a me dei goblin, degli imp e delle bestie feroci che avevo affrontato fino ad allora.
Mi chiesi se Lucien aveva provato le stesse cose che provavo io in quel momento: un miscuglio di sensazioni, terrore, sollievo ed euforia. L’euforia mi spaventava più di ogni altra, pensavo fosse sbagliato provare euforia per cose simili ma, mio malgrado, il brivido della battaglia l’aveva accesa in me e bruciava nelle mie carni, facendomi battere forte il cuore. Quel bandito aveva una sua storia, forse aveva una famiglia, degli amici e adesso tutto ciò che lui era stato svaniva così: sulla punta della mia spada.
Avvertii un accenno di rimorso che mi risolsi a dissipare con il pensiero che era stato lui ad attaccarmi per primo, io mi ero solo difeso, eppure… l’avevo fatto con troppo entusiasmo, come se non aspettassi altro.
Mi ci volle un po’ per realizzare che ero a contatto con un cadavere, mi scostai subito, lasciandolo cadere accanto a me; Durendal scivolò fuori dal groviglio di carni con un sibilo che mi gelò il sangue nelle vene, più di quanto già non facesse il freddo.
Per qualche istante guardai la neve tingersi di rosso a poco a poco, spostai lo sguardo sugli occhi del felino, per poi distoglierlo subito dopo: avevo immaginato cosa stessero vedendo in quel momento, nel nulla assoluto in cui erano sprofondati.
Raccolsi lo scudo e mi diressi verso Bruma, incapace di parlare per l’esperienza che avevo appena vissuto.
Man mano che avanzavo, all’orizzonte si faceva più nitido il profilo frastagliato dei monti Jerall: pendici ripide incise nella roccia antica, picchi innevati che lambivano le nuvole nel cielo grigio di quella mattinata. Quei titani di roccia dividevano Cyrodill da Skyrim, avevano visto grandi eserciti, battaglie che avevano deciso la storia e cambiato la sorte di interi regni. Le sue radici si erano nutrite del sangue di tanti uomini, seppellendo sotto la neve le loro ossa inermi.
Ai piedi dei Jerall, diroccata e solitaria, si ergeva Bruma con le sue alte mura massicce. La vedevo in lontananza, ma anche da lì potevo notare gli stendardi sventolare ai picchi delle torri di guardia, con impresso il blasone dei Carvain: l’aquila nera in campo giallo.
Ai cancelli della città due focolari rimanevano sempre accesi, ravvivati con pece e sterpaglie ad ogni cambio della guardia. All’interno la città si sviluppava secondo una forma basso-conica, per non disperdere il calore; le case erano costruite con massicci tronchi di legno, impilati su solide fondamenta di pietra; le strade in lastricato collegavano i vari piani di cui era composta la città e venivano cosparse di sali di fuoco ad ogni crepuscolo, per evitare che si ghiacciassero durante la notte.
A differenza delle altre città di Cyrodill, abitate prevalentemente da imperiali, Bruma aveva la sua maggiore fetta di popolazione in persone di etnia nord: c’era chi viveva lì da generazioni o era giunto esule da Skyrim, del resto quest’ultima si trovava proprio lì, oltre i monti Jerall.

Varcati i cancelli, la prima cosa che feci fu fiondarmi nella locanda più vicina: era “lo Zippo e il Chiodo di Olav”. Olav, l’oste, non era esattamente la persona più gentile e cortese che avessi mai incontrato, ma i piatti che serviva alla sua tavola erano buoni e la tinozza per i bagni, nello scantinato, era riempita con acqua calda.
Fu una bella sensazione sentirmi finalmente ripulito dal sozzume e dal sangue rappreso che avevo addosso.
Quindi, fresco e riposato, andai a consegnare il mio equipaggiamento a un fabbro locale: credo si chiamasse Olfand o qualcosa del genere, al fine di farlo riparare. Gli consegnai lo scudo, ma quando vide la spada mi raccontò una storia curiosa, di cui non avevo mai sentito parlare prima di allora.
-Questa lama non perderà mai il filo. – Mi disse, riconsegnandomi Durendal, dopo averla ripulita dal sangue con uno straccio. – Vedi queste venature bianche nell’acciaio? Non ti ricordano uno specchio d’acqua?
-Direi di sì. – Risposi incerto, non capendo dove volesse andare a parare.
-Ecco, ne sono sicuro. Questo è acciaio Damasco!
-Acciaio Damasco? Cosa sarebbe?
Olfand si schiarì la voce e mi spiegò, con tono concitato.
-In giorni lontani, agli albori della prima era, un ordine di fabbri-stregoni rinvenne nel sottosuolo di Yokuda, terra d’origine dei redguard, un minerale dalle proprietà particolari, non manipolabile con i normali ferri del mestiere. Da questo minerale, attraverso il fuoco e la magia del sangue, ricavarono un acciaio di gran pregio, il cui aspetto ricordava la luce rifratta da uno specchio d’acqua. Nell’antica lingua redguard “Damasco” significa infatti “acquoso”. Con il Damasco, questa setta di fabbri forgiò armi magnifiche e letali, proprio come questa spada. Lame il cui filo non può essere smussato dal tempo inesorabile o dalle battaglie più feroci e la cui tempra non può essere disciolta neanche dalle lave dell’Oblivion. Vere e proprie opere d’arte!
-Esistono altre armi fatte dello stesso materiale?
-Certo, ma si contano sulle dita di una mano. Dopo che Yokuda sprofondò nel mare, i segreti dei fabbri stregoni andarono perduti insieme al minerale da cui ricavavano l’acciaio. Da quello che so’ gli unici altri esemplari di Damasco sono un pugnale, in possesso del nostro amato imperatore, e un’ascia, che il re di Hammerfell si tiene ben stretto. Custodisci quest’arma con cura, ragazzo, in molti farebbero di tutto per averla. Fai conto che il suo valore in septim equivale a quello dell’intera città di Bruma!
-Così tanto?!
-Già, comunque io ne so molto poco a riguardo, nel caso tu voglia saperne di più ti consiglio di parlare con Rohssan, nella Città Imperiale, ne sa molto più di me in merito all’acciaio Damasco.
-Grazie, se mi capiterà di passare da quelle parti ci farò un salto.
-Perdona il mio sproloquio, ma era la prima volta che vedevo un’arma del genere, finora ne avevo solo sentito parlare.
-Non ti preoccupare. – Dissi, con un sorriso comprensivo. – Non fa nulla.
-Per il resto dell’equipaggiamento ripassa pure fra un’ora, dovrei aver finito.
Salutai Olfand, lasciandolo al suo lavoro. Ero rimasto affascinato da tutta quella storia sull’acciaio Damasco e non vedevo l’ora di saperne di più, indagare più a fondo su questa questione ma, almeno per il momento, avrei dovuto dare la precedenza ad altri impegni, primo fra tutti: le raccomandazioni per la Gilda dei Maghi. Da quello che avevo sentito, a gestire la sede di Bruma c’era una donna, una bretone per la precisione. Il suo nome era Jeanne Fresoric. Volanaro (l’altmer con cui avevo parlato), dopo aver tentato vanamente di coinvolgermi in uno scherzo ai suoi danni, mi disse che l’avrei trovata nella sua stanza al piano di sopra, intenta a scrivere lettere, per ragioni che non volle spiegarmi, forse perché era rimasto offeso dalla mia mancata partecipazione ai suoi giochi.
Avevo sentito che la sede di Bruma era fra le più scadenti di Cyrodill, non potei che constatare quanto questa considerazione avesse una base reale e giustificata: a parte la grande penuria di libri, pozioni e ingredienti alchemici, l’offerta di incantesimi consisteva in sciocchezzuole dilettantistiche e la principale occupazione dei pochi membri di quella succursale sembrava consistere nel giocare squallidi scherzi ai proprio superiori. L’unica persona che mi sembrò un po’ più seria lì in mezzo era Selenia Orania, l’alchimista, che, pur avendo a disposizione poche risorse, lavorava con serietà e professionalità.
La decadenza della sede era imputata essenzialmente alla mancanza di competenze in fatto di incantesimi e amministrazione da parte di Jeanne, la domanda mi sorse spontanea: se nei fatti era un’incapace, come l’aveva raggiunta quella posizione all’interno della Gilda?
Salii le scale e quando entrai nella camera della bretone la trovai buia, rischiarata solo dalla debole luce delle candele sulla sua scrivania. Era un donna di bell’aspetto: i suoi capelli, di un biondo ramato, erano raccolti in un elegante chignon che faceva risaltare i gentili contorni del viso e la graziosa curva del collo. Mentre scriveva, aveva accanto a sé un calice di peltro, riempito per metà di un vino rosso dal colore vivo e intenso. Mi schiarii la voce perché si accorgesse della mia presenza all’interno della stanza, improvvisamente distratta da ciò che stava facendo, volse lo sguardo verso di me.
-Mi scusi, signorina Fresoric. – cominciai.
-Prego, caro. – Si affrettò a dire, indicando la sedia dall’altra parte della scrivania. – Accomodati pure.
-La ringrazio.
Mi sedetti, mi incantai a guardarla per qualche altro secondo: il volto della donna era opalescente al lume della candela, la sua pelle doveva essere molto chiara. I suoi occhi di un verde scuro si posavano su di me con delicatezza, accesi dalla fiammella riflessa nelle sue pupille. Sugli zigomi un poco paffuti, c’era un piccolo stuolo di lentiggini che le davano un’aria un po’ da bambina.
La sua voce era acuta, premurosa e molto dolce, pur non mancando di quell’accortezza (me lo sentivo sulla pelle) che doveva fare di lei un’abile e scaltra conversatrice. Iniziai a sospettare come avesse raggiunto la posizione più elevata nella Gilda di Bruma.
-Non ti ho ma visto da queste parti. – Disse, bevendo un sorso di vino e riempiendo un bicchiere anche per me. – Da dove vieni?
-Chorrol, signorina.
-Oh, bellissima città. Ci sono stata qualche volta, – si toccò le labbra con un dito, lasciandole poi scivolare lungo il mento, – la Grande Quercia mi ha sempre affascinato molto, ma immagino tu non sia qui per scambiare chiacchiere da viaggiatore. Sei qui per una raccomandazione, non è vero caro?
-S-sì, signorina Fresoric. – Risposi, nascondendo il rossore dietro il bicchiere che mi ero cacciato alla bocca.
Per qualche motivo quella donna mi metteva una soggezione tremenda, mi sentivo il viso avvampare.
-Oh, chiamami pure Jeanne. Possiamo essere amici tu e io. – Mi fece un occhiolino. – Tu farai qualcosa per me e io, in cambio, farò qualcosa per te.
Deglutii, continuando a guardarla senza sapere cosa dire.
-Come sicuramente saprai, per concederti la mia raccomandazione devo mettere alla prova le tue abilità e le tue competenze magiche, guarda caso ho una piccola commissione che si presta a questo scopo e che tu dovresti svolgere per me. – Riprese, in tono mellifluo.
-D-di cosa si tratta … Jeanne?
-Un mio caro amico, – disse, incrociando le gambe e portandosi un dito al labbro inferiore, – nei piani alti dell’Università Arcana, è da tempo alla ricerca di un oggetto molto particolare: un manufatto chiamato “Pietra del Sigillo” che proviene direttamente dall’Oblivion. Come sicuramente saprai, per un mortale è impossibile entrare in quella dimensione, almeno dai tempi dell’Imperatrice Alessia, ma si da il caso che un uccellino – si morse il labbro inferiore – mi abbia sussurrato che una Pietra del Sigillo si trovi nelle rovine Ayleid di Woland, poco più a Sud di Bruma, custodita da non-morti e altre strane creature.
-Immagino che dovrò andare lì e recuperarlo. – Intuii.
-Esattamente, so’ che è un compito pericoloso, ma sono sicura che riuscirai a svolgerlo senza problemi. – Mi rivolse un sorriso rassicurante. – Portami la Pietra del Sigillo e invierò immediatamente una raccomandazione all’Università Arcana e chissà, – disse, con un sorriso malizioso e mordendosi il labbro inferiore per l’ennesima volta – potrebbe anche scapparci un piccolo bonus. – Concluse, rivolgendomi un occhiolino ammiccante.


NOTE DELL'AUTORE
Ciao, se sei arrivato a leggere fin qui sono contento. Vuol dire che forse la storia ti piace o magari stai aspettando il momento giusto per iniziare a insultarmi, se così fosse grazie per non averlo ancora fatto! :D
Comunque, come i buoni e vecchi giocatori di TES IV Oblivion avranno notato, la quest di Jeanne è un pelino diversa da quella presente nel gioco, ma seriamente vi aspettavate che mettessi Ragnar a giocare a nascondino con J'skarr o lo condannassi ad assecondare l'ultimo scherzo idiota di Volanaro? Ho deciso di renderla un po' più interessante, così come ho scelto di rendere più interessante la stessa Jeanne (almeno per il mio punto di vista), infondo, sia questo personaggio, che quello del LORE originale, hanno notevoli doti affabulatorie e sono seghe con la magia (ma questo aspetto lo approfondiamo nel prossimo capitolo). Beh, che altro dirvi? Spero la storia vi stia piacendo leggerla quanto a me piace scriverla! Lettori silenziosi, non fate i timidi :3 parlate su' su'!

PS per l'acciaio Damasco mi sono ispirato all'acciaio Valyriano de "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", come il buon vecchio Zio George a sua volta si è ispirato all'acciaio di Damasco, da cui ho preso il nome ( e sì, vuol dire davvero "acquoso").

 
   
 
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