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Autore: Princess_Klebitz    18/10/2016    1 recensioni
Amici fino alla morte ed oltre; nemici controvoglia. Musica, amore e morte nella metà sbagliata degli anni '90, scaraventati avanti volontariamente per non poter più tornare indietro.*
La tregua tra la Ragione ed il Caos durava da troppo tempo; quando si accorsero dell'errore, corsero ai ripari, e l'Immemore e l'Innocente si trovarono faccia a faccia, dopo anni di ricerche, per riportare la situazione in parità.
Un errore troppo grosso, la persona sbagliata, un imprevisto che non doveva assolutamente accadere.
Storia scritta nel 1997, e l'epico tentativo di riscriverla senza snaturarla.
Spero qualcuno apprezzi.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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50. Un lago di tempo
 
Fu così che nel pomeriggio del 31 dicembre 2002 Katryn si trovò piacevolmente distrutta e finalmente in procinto di rilassarsi nella vasca da bagno del mini-appartamento da scapolo di Justin, mentre questi era uscito nella tormenta atlantica che stava affrontando l’Irlanda.
 
Dal suo arrivo era stata incessantemente coinvolta: dalla festicciola di benvenuto di mezzanotte dei ragazzi al suo arrivo ad un sobrio party di congratulazioni da parte della Sony per il successo di ascolti al Saturday Night Live ed infine a quella che Dorian chiamava ‘ un’adunanza di ordinanza’: nella fattispecie una sbronza quasi completa in un pub vicino agli studios di Ringsend Road.
 
Un segno che la vita per gli altri Interferences stava andando avanti e per il suo fidanzato no, lavorativamente parlando,  fu il fatto che Dorian avesse chiamato in tono concitato proprio poche ore prima per pregare letteralmente il suo vocalist di andare a provare di mettere una pezza ad una linea vocale nel santo giorno della Vigilia, mentre Justin dal suo arrivo non aveva accennato a scollarsi neanche con una leva; ovvio che lei adorava averlo attorno o mai si sarebbe accollata un viaggio tra Natale e Capodanno, quando aveva già poco tempo anche solo per stare con la sua famiglia, ma a volte Justin non sembrava conoscere la nozione di ‘lasciar spazio’.
 
Katryn già dalla prima sera aveva odorato trappola di Dorian, quando aveva visto Justin prendere una pastiglia prima di andare a letto, ma il fatto non si era ripetuto e quando l’altro giorno si erano sbronzati per bene in un anonimo pub era stato lui a portare fuori lei e fermare un taxi, trascinarla per le scale e prepararle un caffè, facendola quantomeno non sbattere contro il bordo di qualche mobile con la testa, segno che di certo non si era intossicato con qualcosa che avrebbe amplificato l’effetto dell’alcool.
 
Che Justin si fosse messo in qualche guaio non era un fatto così assurdo visto quanto aveva potuto conoscere Katryn del suo passato, ma che Dorian avesse chiamato lei per risolverlo sembrava la cosa più stupida che lei potesse concepire; negli anni passati, specialmente nei periodi on the road nei quali era passata di piano da artista di culto a successo commerciale, era stata spesso e volentieri toccata dall’insonnia e dalla paranoia generata dall’ansia più o meno di continuo in varie misure e spesso senza una ragione apparente che, in modo totalmente contrario a Dorian che tentava di capire alla radice le cose, contrastava in modo tipicamente americano com’era ormai lei di adozione
Non stava ad analizzare il guaio, cercava la soluzione più rapida; e la soluzione più rapida e a portata di mano erano i farmaci, di cui sia lei che Monik avevano avuto accesso e uso in modo efficace.
 
Mai droga.
Mai per un periodo significativo, solo a bisogno che spesso si dissolveva in qualche giorno.
Mai più di un farmaco e mai mescolati con l’alcool.
 
Per quello non vedeva nessun pericolo nella pillola che Justin aveva ingoiato quattro giorni prima e, se anche se si fosse trattato di un uso più ravvicinato, non avrebbe trovato nulla di così anormale.
 
Su questo stava riflettendo, e sul fatto che Dorian era una gran testa di cavolo ad essere in studio alla Vigilia e trovarsi nelle peste per una linea vocale tanto da dover chiamare Justin in mezzo ad una tormenta di neve, vento ed acqua ghiacciata che stava imperversando su Dublino.
E sul fatto che fosse doppiamente testa di cavolo perché a quell’ora sarebbe dovuto essere piuttosto a preparare la festa, sia mai che avesse organizzato tutto prima, sia MAI.
Si parlava di Dorian, che cazzo!
 
Su quelle cose e sulla cosa meno preoccupante, che dei suoi capelli ormai sfibrati da qualche tentativo di acconciatura maldestra in casa se ne sarebbe finalmente preoccupata una professionista da lì a qualche ora, similmente al trucco, e avrebbe smesso di sembrare una rifugiata per almeno un giorno.
 
Sull’onda di quei radio segnali sempre più annebbiati e ormai sfocati come lucine rosse e gialle in lontananza, in un nero avvolto da un fumo via via più denso, scivolò lentamente col sedere nell’acqua calda dell’anonima vasca da bagno e si addormentò beata, senza un vero pensiero al mondo che aspettare serena il sicuro ritorno del suo grande amore.
*
*
Si svegliò quasi subito ad occhi chiusi, con una sensazione di soffocamento e un pensiero passò accecante e di certo più rapido di un lampo
Mio dio sto annegando
senza poi lasciare traccia quando prese finalmente una boccata d’aria.
 
Ad occhi chiusi scosse la testa, per liberarsi di misteriose gocce d’acqua che sentì levarsi da lei, dai capelli che avrebbero dovuto essere fradici, ma che non c’erano veramente.
Non era bagnata, di sicuro.
E di sicuro aveva freddo, percepì senza pensare mentre si abbracciava il torso con le braccia, aprendo gli occhi.
 
Il tutto era durato meno di due secondi, ma il panorama era decisamente cambiato, tanto in fretta e tanto alieno a dove si trovava prima di quell’assurdo risveglio che altro non poteva essere che un sogno.
In quale altro posto avrebbe potuto risvegliarsi ai bordi di uno specchio d’acqua su un verdissimo prato curato, coperta da una sola sottoveste di cotone bianca e con l’alito che le si condensava nel fiato, arrivando dall’ urbanissima vasca di bagno piastrellata di beige, calda ai limiti della sopportazione e nuda, se non in un sogno?
Non capiva se ci fosse un sole accecante che si rifletteva sull’acqua a lei vicina o se il cielo fosse effettivamente bianco, di certo la luce era intensissima e il freddo secco anche.
 
In tutto questo si sentiva come quando si era addormentata, pochissimo fa: tranquilla, come se la sua mente fosse in un placido liquido amniotico tiepido, dove i pensieri arrivavano come onde radio lontanissime, fuori portata e a volume quasi azzerato.
C’erano, ma non ci dava peso; sapeva di essere col corpo e col novanta per cento della mente a Dublino, immersa nell’acqua calda (tanto calda che Justin due giorni prima le aveva chiesto se volesse anche un po’ di spezie per autocucinarsi meglio) e quindi di godersi il sogno.
Già il fatto che potesse permettersi di pensarlo lo faceva classificare come sogno lucido; non che ne sapesse poi così tanto o che sapesse quanta percentuale del suo cervello fosse impegnata in quel momento.
 
Non era in pericolo di affogare, non era in ritardo –aveva puntato la diabolica sveglina del cellulare per un limite massimo di ammollo- e quello strano prato verde si trasformava in piastrelle bianco-azzurrine tipiche di un bagno anni ’80 che andavano sparendo gradualmente nel lago in cui si tuffavano.
 
Decise di aspettare che succedesse qualcosa, ma poiché niente si decideva ad accadere e lei stava lentamente congelando, decise di alzarsi, notando le strane calzature a fantasmino di cotone antidiluviane, e camminare attorno a quella strana acqua intrappolata da ceramica.
 
Decise senza un vero pensiero di andare verso sud, non che qualcosa cambiasse.
Forse alle sue spalle si ergevano delle montagne con vette aguzze, ma quella luce intensa che le feriva quasi gli occhi le impediva di vedere chiaramente, ma evidentemente la sua mossa era stata azzeccata poichè dopo neanche una decina di passi venne raggiunta da una voce che sembrava agitata e parecchio trafelata.
 
“Ehi, ehi, ferma! Non di là, non di là! Devi venire di qua!
-Il mio bianconiglio personale…-, pensò lei, divertita, ma quando si voltò non c’era niente di divertito sul viso del giovane che le stava venendo incontro dalle spalle da dov’era sbucato all’improvviso.
“Non di là!”, ripetè ancora il ragazzo, ancora agitato ma un po’ meno trafelato ora che l’aveva fermata e la stava per raggiungere.
 
Katryn si prese mezzo secondo per osservarlo.
Un bel ragazzo bruno con occhi assolutamente scuri, tanto convenzionalmente bello quanto anonimo, poco più alto di lei, stava assestandosi su una camminata dinoccolata, non smettendo di fissarla in un modo inequivocabile.
Quasi riuscì a indovinarne i pensieri sotto la bella faccia quasi scocciata e arrossata dalla corsa, qualcosa come ‘rincoglionita’ e ‘perché sta andando di là?’.
 
Quasi a volerle leggere per davvero nel pensiero, il bel ragazzo adesso fermò ad un passo da lei ripetè, stavolta con un moto di impazienza:” NON di là, oca. Ti ficcherai in un lago di guai che neppure ti immagini. Per tutto ciò che sta sopra, quanto sei lenta!” 
“Cosa?”
Era riuscito a scuoterla, finalmente, ma per la miseria si sentiva veramente lenta! Come se stesse scuotendosi da un’anestesia locale.
Dal canto suo Katryn pensò se avesse sentito male o avesse davvero detto un lago di guai.
 
“Forza, andiamo.”, le disse il tizio, allungando un braccio per afferrarle la spalla. “Non abbiamo molto tempo e non so perché tu sia qui, ma se sei qui chiunque tu sia, non puoi andare di là bensì di qua.”
“Ma io non so se voglio venire.”, si spaventò Katryn, lì per lì. “Voglio dire, ci saranno cose che mi faranno male?”
 
Il tizio inclinò la testa e sembrò veramente pensarci su, mentre gli occhi si perdevano nel bianco accecante del cielo.
“Non lo so. E non dovrebbe importarmene.”, disse, lentamente, per poi scuotersi. “Voglio dire, a me dovrebbe importare di te? Diavolo, no! A me importa solo che questa brutta storia si chiuda senza grossi danni per tutti. Cosa che ormai sarà impossibile.”, ridacchiò quasi sbarazzino.
“Oh.”, riuscì solo a produrre una flebile vocine Katryn, tentando poi di incavolarsi senza molto risultato. “Grazie della considerazione.”
 
Il tizio la guardò, ora con un misto di compassione e benevolenza, come se percepisse che la sua rabbia era svanita come l’anidride carbonica di una lattina aperta un anno prima.
“Oh, ora non prenderla a male. Non hai nessuna colpa, se non quella di essere piombata qui. Qualcosa deve averti fatto da guida tra i piani.”, e si fermò, inclinando ancora la testa. “O qualcuno. C’è sempre un rompiscatole in queste cose. Uno che va contro le regole. Ma un’interferenza simile non si era vista da… secoli. Minimo. “, e ridacchiò di nuovo, stavolta imbarazzato.
“Lieta di aver rotto l’imbattibilità.”, mormorò Katryn, che percepì i primi sintomi del disagio sotto i segnali radio ovattati.
 
D’improvviso il tizio scattò e le artigliò il braccio, tirandola verso di sé.
“Non c’è molto tempo. Andiamo.”, e iniziò a trascinarla da dov’era venuto, ove improvvisamente sembrava apparsa una collinetta di pochi metri, sufficienti a non mostrare cosa ci fosse dall’altra parte.
“Non so cosa tu ci faccia qua, da secoli non vedevo visitatori in questo luogo ed anche secoli fa, quando la battaglia infuriava molto più sovente, erano relativamente rari.”, e questo pensiero sembrò colpirlo proprio mentre si accingevano a salire il morbido prato che ricopriva l’altura, tanto da fermarlo. “Secoli. Proprio così.”, per poi ridacchiare stavolta in modo sbarazzino, come un ragazzino che osserva un disastro fatto da un fratello prevedendo la reazione dei genitori.
“Non so chi, nella battaglia, ma qualcuno è davvero un gran casinista!”
“L’hai già detto.”, lo riprese Katryn, che si lasciava trascinare passiva.
Oh, scusi, madamoiselle Oca!”, le rispose gioviale il tizio, che nonostante tutto non riusciva a starle antipatico.
 
E neppure simpatico.
Solo indifferente: dopotutto era la sua guida, non era pagato per essere simpatico, no?
Ma pagato da chi? E come? E per…
“Rallenta i pensieri, tanto non ne capirai nulla.”, la colse in fallo il tizio, mentre arrivavano quasi a metà della collinetta, che era alta forse cinque metri. “Non è neppure colpa tua, sia chiaro, anche se sei terribilmente lenta. Ma piombare in un cinema dove il film è proiettato a metà non è mai una grande idea.”
E si fermò di nuovo, colpito da quell’idea.
“Perciò, chi vorrebbe portarti qui a metà del film? Anzi, quasi alla fine? Qualunque essa sia, perché sia chiaro io non protesterò, ma una fine ci sarà e lontana non sarà.”, assentì con la testa, ricordandole per un attimo uno Yoda più arzillo.
La afferrò per entrambe le spalle, stavolta, e la girò di centottanta gradi.
 
“Cosa vedi, signorina Oca?”
“Un…polverone.”
Il tizio rise.
“Ah, hai ragione in verità e non ce l’hai! Perché polvere c’è e altra non è che polvere dei secoli: ove vi è l’Immemore essa non può non esserci. D’altra parte l’Innocente porta con sé la polvere nel suo sangue, vi è ammantata per distruggere il sole e lo circonda. Ma non è polvere quella che vedi.”, e la girò verso di sé, a portata di bacio, gli occhi illuminati di un riso quasi incontenibile.
 
“Quella che vedi è l’aura della battaglia che in realtà è già decisa ma deve essere combattuta. Niente essa vale, alla fine, eppure per coloro che la combattono vale tutto poiché è la loro natura, altro non hanno.”
“Chi sono?”, chiese Katryn ancora girata, affascinata suo malgrado da quello che le sembrava un polverone che intenzionalmente stesse nascondendo qualcosa.
“Te l’ho detto,  ma che sei veramente una madamoiselle Oca?!”, sventolò le mani, disgustato.
 
“L’Immemore e l’Innocente, così sono stati chiamati per ciò che sono, che combattono la loro battaglia.”, e quando Katryn si girò lo trovò con un sorriso grazioso e birichino sul volto.
“Oh, combattono una grande battaglia senza vedersi e senza premio alcuno che la sopravvivenza. Grande perché la battaglia è dentro di loro.”, e rise con un tintinnio argentino, quasi contagioso. “Quando sarà il momento neppure si vedranno e zac!”, mimò un taglio netto della gola col dito, inequivocabile.
“Uno cadrà e l’altro forse neppure lo saprà. O lo saprà se lo saprà dentro.”
 
“A cosa serve, tutto questo?”, non riuscì a non chiedere Katryn, affascinata seppure non riuscendo a capire.
“A cosa non serve.”, replicò spazientito il tizio. “Adesso andiamo.”, e la riprese per il braccio, trascinandola in due passi oltre la cresta della collinetta.
 
Katryn notò che i suoi occhi si erano fatti nel frattempo sempre più brillanti, forse ristorato dal fatto che lei non costituisse un pericolo o forse persino rinfrancato dall’avere compagnia da molto tempo.
 
“Ecco. Qui.”, disse infine il tizio, lasciandole il braccio.
 
Ai piedi dell’altra parte collinetta si stendeva lo stesso corto prato che, piastrellato, si gettava in un lago identico a quello che si erano appena lasciato alle spalle.
 
“Ma... Non è cambiato nulla!”, si sorprese ad obiettare, senza troppa veemenza.
“Oh sì, invece.”, rispose il tizio giovialmente, e nuovamente la prese per le spalle, per spingerla avanti a vedere meglio quel nuovo lago.
 
“Cosa vedi?”
“Vedo l’identico lago, l’identico prato, le stesse piastrelle…”, e aguzzò la vista, facendosi anche schermo con una mano in quella luce ed osservando a lungo, prima di parlare.
Non aveva voglia di essere ancora sferzata da quella lingua lunga del suo accompagnatore, seppure non si sentisse particolarmente ferita da quell’atteggiamento, ma non era particolarmente portata per mangiare merda.
“Non vedo il polv… la battaglia che c’era nell’altro lago.”
“Che acume!”, nitrì quasi una risata il tizio, e poi quasi la spinse, volendo forse incoraggiarla.
“Vedi altro?”
“Qui la luce è forte, ma… E’ meno intensa?”, provò.
 
E si sentì il cuore quasi alleggerito quando la sua guida rise di approvazione.
“Esatto! Qui il tempo è stato consumato, la battaglia è nei tempi andati, la luce stessa è migrata.”, e si fermò ancora per pensare. “Quantomeno nel mio tempo. Tu la vedrai ancora a lungo, dovessi restare qui.”, e la girò di nuovo verso di lei. “Il tempo è differente, spero che anche un’oca come te se ne renda conto!”
“Me ne rendo conto.”, rispose, stavolta con una punta di irritazione.
Ma non più di una punta, poiché aveva notato un altro tizio che stava venendo verso di loro, stavolta emergendo senza essere bagnato dal lago che ora avevano davanti.
 
Era scheletrico, con i capelli neri ondulati e lunghi e grandi occhi verde scuro contornati da lunghe ciglia scure, e si rivolse direttamente al suo accompagnatore.
 
“Salve, Caiel.”, mormorò, fermandosi a poca distanza da loro, non notandola e mantenendo la posizione curva che aveva caratterizzato il suo cammino.
“Aichal.”, lo salutò di ritorno il tizio bruno, che teneva ancora le mani sulle spalle di Katryn, quasi sporgendola verso di lui. “Come vedi il Tempo non si è ancora esaurito.”
 
“Che assurdità.”, mormorò questi, stringendosi le braccia ossute addosso al magro torace. “Si è esaurito due secoli umani fa. Nel 1804 persi il mio esterno e non capii mai perché fuggì al suo compito.”, ed alzò un dito tremante e bianco come una candela, come ad ammonire.
“Non ripetermi la stessa cosa, Caiel. Non quando hai un visitatore, qui.”, e finalmente guardò di striscio Katryn.
“C’entra cosa con quello che sta succedendo nella polvere dei secoli?”
“Non chiamarla così anche tu.”, fischiò tra i denti il tizio bruno, irritato. “Non c’entra. Non c’entra come non c’entriamo noi. Per quello l’ho portata qui.”, e lasciò finalmente cadere le braccia, esausto.
 
Il tizio nuovo arrivato alzo le spalle scheletriche in un gesto di noncuranza, senza guardare nessuno.
“Non m’importa. Il mio tempo è stato. Ed anche il tuo.”, e si voltò verso il lago che chiamavano ‘esaurito’, con un’espressione di lontana sconfitta.
“Verrai?”
“Ovviamente.”, disse il tizio suo accompagnatore, superandola e poi fermandosi subito, come avesse dimenticato qualcosa, ma non parlando.
 
Katryn aspettò che le dicesse qualcosa ma il tizio rimase semplicemente fermo, mentre l’altro iniziava a scendere la collinetta per dirigersi verso il lago.
Infine si decise a prendere la parola, rischiando un’altra rimbeccata, ma a che pro?
 
Non era forse un sogno?
Inizia a sospettare che fosse qualcosa di più, ma qualcosa di più anche di lei, forse.
Qualcosa a cui davvero non avrebbe potuto assistere, ma a cui sarebbe stata costretta.
 
“Cosa… ehm…Cosa devo fare io?
Il tizio si girò con un’espressione stupita, come se si fosse già quasi scordato di lei.
Tu?”
“Sì, ehm… perché sono qui?”
 
Il tizio parve rabbuiarsi e si portò di nuovo a tiro di bacio, fissandola intensamente con occhi improvvisamente quasi neri.
“Tu non  dovevi essere qui.”, e si concesse una pausa, sembrava per trattenere la rabbia, quasi.
“Tu sei un errore.”,le disse, sillabando lentamente. “Il mio compito era che non mettessi in pericolo la battaglia e così ho fatto. Ora non dipende più da nessuno se ci saranno errori.”, e indicò con un cenno del capo l’altra parte della collinetta.
“Neanche da loro.
 
Con queste parole si voltò per scendere verso il lago, improvvisamente muto e con un aspetto polveroso.
-Esaurito.-, pensò Katryn, non sapendo in realtà di pensare.
-Come il suo tempo. Esaurito. Senza potere.-
 
E mentre il tizio si immerse senza rumore nelle profondità del lago, che rifletteva la luce accecante ma in fondo che permetteva di vedere qualcosa, Katryn si voltò e iniziò a risalire la collinetta.
 
Quando si sentì scuotere pensò che inevitabilmente il tizio era tornato e stava per dirle qualcosa di sferzante che l’avrebbe ancora un poco –oh, ma pochino, pochissimo, niente in confronto di quanto si sarebbe incazzata nella realtà- annicchilita, ma imperterrita continuò a salire la collinetta, arrivata ormai alla cima.
*
*
E si ritrovò nella vasca da bagno, nell’appartamento di Justin a Dublino, con lo stesso che la stava scuotendo, vagamente preoccupato.
 
“Ragazza, ti vuoi svegliare? Non so neanche come si faccia ad addormentarsi in questa vasca, dovrei proporti per un guinness!”
“Mmm…”, emerse lentamente dal suo sogno Katryn, accorgendosi di essere ormai emersa solo di metà testa, quel tanto che le consentiva di respirare senza fastidio.
“Signorina?”, provò scherzoso Justin, allora, sentendo finalmente un verso vitale anche se assonnato. “Mademois…”
“Non sono un’oca.”, protestò lei con un moto di vigore, sollevando le braccia a mò di protesta e aprendo gli occhi.
Justin sgranò gli occhi e smise di scrollarla, facendo cadere la mano pigramente nell’acqua schiumosa.
“Potrei pensare diversamente da quanto è calda quest’acqua.”, sospirò scherzosamente.
 
A quel punto Katryn si svegliò veramente, fissando i suoi occhi negli occhi maledettamente trasparenti e sui capelli danneggiati dallo stravento di Justin.
 
“Non crederesti mai al sogno che ho fatto.”, affermò, iniziando a cercare con gli occhi una salvietta.
“Prova a raccontarmelo.”, si offrì il più gentilmente possibile Justin, mentre le porgeva un accappatoio che si era fermato a comprare proprio nel ritorno.
Katryn lo notò, lo guardò con affetto e fu sul punto di aprire la bocca e raccontare effettivamente tutto, quando qualcosa (o qualcuno. ‘Fanno sempre qualche casino’ o qualcosa di simile, aveva detto quel tizio.) la fermò dal narrargli la sua assurda avventura onirica.
 
E poi Justin stava letteralmente battendo i denti dal freddo, gentilezza o no.
 
“A dire la verità non me lo ricordo più…”, ed era una mezza verità. Come mezza era la verità sulla polvere dei secoli che portava la battaglia.
“Qualcosa a che fare con Brad Pitt.”, mentì, mentre accennò ad alzarsi e Justin visibilmente sollevato si tirò in piedi, facendo schioccare le ginocchia e iniziando a togliersi la camicia nera evidentemente fradicia.
 
“Non posso lasciarti sola un po’ che mi tradisci.”, sospirò, dandole una mano ad uscire e candidandosi a posizionarsi per almeno qualche mezz’ora sotto il pelo dell’acqua calda.
 
“Hai proprio ragione.”, lo rintuzzò allegramente Katryn, strofinandosi vigorosamente la testa e nascondendo dietro i capelli e l’asciugamano i suoi pensieri.
Anche se non so in che modo.
   
 
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