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Autore: AlenGarou    21/10/2016    1 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Prologo

 

New York State, 1907

 

D

ahlia gemette. Si rigirò nuovamente nel letto, cercando una posizione in grado di conciliarle il sonno. Tuttavia, tale traguardo sembrava essere diventato irraggiungibile, quasi avverso negli ultimi giorni. Sgradevoli sensazioni avvolgevano il suo corpo raggomitolato contro un materasso all’apparenza marmoreo e i guanciali, ruvidi come corteccia, le pizzicavano la pelle delicata del viso. Eppure era consapevole che tale malessere non era altro che un’illusione; una proiezione del suo disagio. Da quando la signorina Pennington li aveva separati, non riusciva più a riposare bene. Dopo nove anni passati insieme, l’assenza di Dorian le risultava inconcepibile. Più una punizione che una necessità per le buone maniere alle quali le giovani di buona famiglia dovevano sottostare.

A Dahlia certi canoni etici non importavano. Voleva solo stringere la mano del suo fratello gemello prima di addormentarsi, in modo da sapere che tutto andava bene; che erano al sicuro.

Anche se non era altro che un’ingenua menzogna.

Chiuse gli occhi, nascondendo il viso nel vecchio orsacchiotto di pezza che teneva tra le braccia; una delle poche cose che le avevano permesso di portare con sé dopo che la signorina Pennington li aveva presi sotto la sua tutela. Poteva ancora avvertire il profumo della madre intriso nelle cuciture che lo tenevano insieme. Non perfette e accurate, ma intrise d’amore, un sentimento che Dahlia e Dorian potevano solo ricordare.

La tristezza arrivò in onde amare che si propagarono gelide nel suo corpo. Dahlia scosse il capo e si costrinse a non rammentare il passato. Lei e Dorian erano ancora insieme. Era l’unica cosa contava.

Con quel pensiero ben focalizzato nella mente si rilassò e il tempo incominciò a trascorrere lento e inesorabile, scandito dai rumori notturni: il vento che scuoteva le vecchie assi di legno della casa, il tintinnio del vetro, il ticchettio dell’orologio.

Stava quasi per cedere alla stanchezza quando lo udì.

Era solo un fruscio, un suono appena accennato, ma i suoi sensi scattarono in allerta. Si mise seduta, osservando l’oscurità che alleggiava nella stanza come un manto soffocante.

E attese.

Forse aveva frainteso. Era una casa grande e vecchia, i rumori e gli agghiaccianti scricchiolii erano all’ordine del giorno. Ma non fece nemmeno in tempo a finire quel pensiero che avvertì di nuovo quel rumore.

E poi ancora.

Il suo sguardo spaventato corse all’orologio posato sul comodino.

Non era possibile. Era troppo presto.

Un altro suono, questa volta più forte. La prima porta del corridoio era stata aperta.

Uno schiocco.

Poi il boato di una detonazione.

Il terrore s’impossessò di lei, ghermendola con i suoi velenosi artigli. Istintivamente, si nascose sotto le coperte, paralizzata. Il respiro le fuggiva dalle labbra in piccoli ansiti sommessi, diventando sempre più palpabile mentre la notte avanzava e incombeva su di loro come portatrice di mala sorte.

Lo scricchiolio si fece più vicino, una cadenza di passi interrotta dall’eco incessante dei boati.

Dorian…

Nel suo letto di ferro battuto, Dahlia cercò di rimanere immobile, nonostante i tremiti che le scuotevano il corpo. Chiuse gli occhi e incominciò a mormorare la nenia che la loro amata e defunta madre cantava per loro quando erano spaventati. Aveva sempre funzionato; li aveva confortati nel dolore della perdita, nell’accettazione del lutto e nei primi momenti di smarrimento dovute alle espressioni degli altri ragazzi di cui Mrs. Pennington era responsabile; sguardi sforzatamente gentili che nascondevano il dubbio e la ritrosia verso il diverso, la novità. Ma poi tutto sembrava essersi disteso in un quieto tempo, dove la tipica spensieratezza infantile era riuscita a portare con sé un barlume di letizia. Finché non era arrivato lui.

Gli scricchiolii continuarono, sempre più tangibili. Dahlia rabbrividì e proseguì imperterrita a mormorare quella litania sconosciuta e al contempo famigliare.

Poi la porta si aprì e la bambina si pietrificò.

Il cigolio s’interruppe. Nella stanza calò un silenzio opprimente, quasi soffocante, ma Dahlia sapeva che c’era qualcuno con lei.

Quel momento precario si spezzò quando una mano afferrò le lenzuola e gliele strappò di dosso. La bambina stette per urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, ma piccole dita si serrarono attorno alla sua bocca, prevenendo il segnale che li avrebbe fatti scoprire.

«Ssh. Tranquilla, sono io.»

Dahlia guardò il riflesso del suo volto attraverso le lacrime. Capelli neri come la pece, naso leggermente aquilino, incarnato ambrato e un piccolo neo sotto l’occhio sinistro. Dorian.

Annuì lentamente, facendo capire al gemello che avrebbe risparmiato il fiato. Poi gli strinse le mani sul braccio.

«È… quello che penso? Come può essere già qui?»

Dorian scosse il capo, poi scattò sull’attenti.

«Vieni, dobbiamo sbrigarci!»

«Aspetta! Non dovremmo…?»

Dorian non perse tempo a risponderle. I passi ripresero, questa volta più vicini e veloci.

Prese per mano la sorella e la condusse verso l’armadio posto dall’altro capo della stanza. Nascosta dai cappotti e dai vestiti, una piccola fenditura percorreva il pannello interno. Dorian fece pressione e scostò il legno finché il passaggio non diventò abbastanza grande per farli passare. Non dovette nemmeno voltarsi per dirle cosa fare.

Dahlia s’infilò dentro e incominciò a strisciare tra lo spazio vuoto dei muri, mentre Dorian richiudeva dietro di loro le porte dell’armadio. Subito dopo ritornò al suo fianco.

«Da che parte?» mormorò Dahlia, facendo attenzione a non produrre il benché minimo suono.

«È inutile tentare di raggiungere il piano inferiore. Procedi verso le scale di servizio. Dobbiamo trovarlo.»

La bambina annuì confusa, dato che la loro destinazione si trovava dalla parte opposta al corridoio dove erano allestite le camere per i bambini, ma seguì le sue indicazioni. In quel labirinto di cunicoli polverosi e marci, Dahlia non riusciva a muoversi liberamente, costretta com’era in quello spazio angusto. Ben presto incominciò a sentire il petto pesante a causa della claustrofobia, ma si costrinse a proseguire.

Erano quasi arrivati al corridoio nord, quando Dorian afferrò per un braccio la sorella e la fermò.

«Aspetta.»

Si avvicinò alla parete, osservando attraverso una piccola crepa nell’intonaco l’ambiente circostante. Il corridoio era vuoto. Le porte delle stanze dei ragazzi chiuse. Non c’era alcuna traccia della sua presenza.

«Andiamo» supplicò Dahlia appena udibile.

Dorian non la badò, certo di aver sentito un rumore. Con il cuore in gola, gli occhi sgranati e i visi pallidi per la tensione, i due gemelli rimasero in attesa per qualche secondo, poi l’udirono.

Le pupille di Dahlia si dilatarono per il terrore. Si protese verso il fratello, ma una mano macchiata di nero penetrò l’intonaco e si chiuse sulla testa del bambino prima che lei potesse afferrarlo. Lo trascinò via, attraverso il muro, attraverso l’oscurità e Dahlia rimase da sola, lì, nel buio.

Giusto il tempo per tornare a giocare a nascondino.

 

  
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