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Autore: Melabanana_    22/10/2016    1 recensioni
SPY ELEVEN AU. Spinoff, Gazel-centric.
Gazel è un ragazzo cupo e disilluso, senza famiglia, né amici. Quando uno sconosciuto gli offre un posto in un centro d'addestramento per ragazzi "speciali", Gazel accetta perché non ha nulla da perdere, ma questa decisione potrebbe rivelarsi molto più di una semplice svolta. È un punto di rottura: la sua vita sta per cambiare per sempre. Rating arancione per: tematiche delicate, violenza.
Autrice: Roby
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Un buio soffocante, asfissiante.
Tese le mani in avanti e cercò freneticamente un’apertura, ma non c’era nulla. Nessuna porta, nessun muro da buttar giù. Ora che ci pensava, non sentiva nemmeno il pavimento. Perché non cadeva? Si protese di nuovo in avanti e un dolore acuto gli trapassò la schiena.
Un filo era stretto intorno alla sua gola e lo teneva su, su, su.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Afuro Terumi/Byron Love, Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Act.7 – Robot


«Guess what? I’m not a robot, I’m not a robot.»
(I’m not a robot – Marina & The Diamonds)


 
Era incredibile come Atena riuscisse a scavare nelle rocce a mani nude, pugno dopo pugno: la sua pelle era diventata dura come corteccia, attraversata da striature scure.
Gazel sospettava si trattasse delle vene gonfie per lo sforzo; Atena aveva distrutto quasi tutti i massi caduti in poco meno di mezz’ora e, sebbene sembrasse reggere bene la pressione, cominciava chiaramente a stancarsi. Come molti dei ragazzi presenti nel centro, Atena non aveva il pieno controllo del proprio potere. Non era capace di indurire completamente il proprio corpo, ma solo alcune parti di esso per volta, e l’operazione gli costava un enorme sforzo mentale e fisico. Inoltre, la pelle che non era stata corazzata era vulnerabile, facilmente ferita dalle schegge di roccia che schizzavano intorno a loro ad ogni colpo inferto alla parete.
Atena aveva sul volto già tre graffi, che spiccavano rossi e rabbiosi in contrasto con il colore pallido della cicatrice da tempo chiusa, e altri piccoli tagli sulla parte superiore delle braccia.
Hepai lo osservava, cupo e attento, appoggiato contro una parete dal lato opposto. Al momento sembrava non volesse muoversi, ma più di una volta Hiroto e Afuro avevano dovuto trattenerlo dal lanciarsi su Atena per fermarlo. Hepai si era dimenato, poi rassegnato, e stringendo i denti aveva ripreso quell’attesa logorante. Gazel era sicuro che non fosse il solo a mal sopportare la situazione, lui stesso si sentiva sottoposto ad una forte pressione, impotente.
Ma a giudicare dalle condizioni devastate in cui versavano sia la roccia che Atena, la situazione stava per sbloccarsi. Una fessura iniziava ad aprirsi nella parete e si allargava, gradualmente, sempre di più; a poco a poco, la roccia si sbriciolò come sabbia ed un varco si aprì, rivelando però qualcosa che non si aspettavano.
-Ma cosa diavolo…?!- sbottò Hepai, incredulo.
Davanti ai loro occhi si stagliavano le imponenti radici di un albero: occupavano quasi l’intero spazio dell’arco, rendendo impossibile risalire in superficie. Poca luce riusciva a filtrare attraverso le fessure lasciate dalla pianta.
-Impossibile- soffiò Hiroto. –Siamo passati per questo tunnel solo un’ora fa… Questo albero non dovrebbe essere qui…
Sembrava d’un tratto molto più nervoso di prima, e guardandosi intorno Gazel vide che era un sentimento condiviso da tutti. C’era qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione, li stava gettando nel panico. Qualcuno più degli altri.
-Non ci posso credere…- un mormorio cupo venne dalla sua sinistra, e Gazel si girò di scatto verso Atena. La sua fronte era coperta di sudore freddo, le guance erano rosse e il respiro ansante mentre stringeva forte i pugni lungo i fianchi, affondando le unghie nei palmi fino a farli sanguinare. Sulle sue labbra c’era il fantasma di un sorriso: per un attimo, forse, aveva pensato di avercela fatta e ora esso si era bloccato sul suo volto, come pietrificato per lo stupore. Non c’era allegria in quell’espressione, né soddisfazione, ma solo sconfitta, l’amara consapevolezza che, nonostante tutto il lavoro compiuto, era arrivato a stento a metà dell’opera.
Un grido basso e rabbioso risalì dalla gola di Atena mentre si scagliava contro una delle grosse radici che gli faceva da ostacolo. Aveva intenzione di continuare benché fosse ormai esausto. Gazel intuì il movimento prima ancora di vederlo davvero e per questo si slanciò istintivamente in avanti per bloccarlo prima degli altri.
-No, fermo!- esclamò. Avvolse le proprie braccia intorno alla vita di Atena, cercando di trascinarlo all’indietro, o almeno di trattenerlo, ma l’altro iniziò subito a scalpitare.
-Lasciami! Completerò ciò che ho iniziato! Non sono ancora… Posso ancora…- farfugliò Atena con il volto paonazzo. Sembrava completamente fuori di sé e, mentre si divincolò con foga, riuscì quasi a colpire Gazel nel fianco con una gomitata, che il ragazzino evitò invece per un soffio. Intervenendo in aiuto di Gazel, anche Nagumo si gettò su Atena per bloccarlo, mentre Afuro gridava:- Atena, fermati!
Atena si immobilizzò immediatamente, incapace di disobbedire all’ordine dato da Afuro. Le sue braccia tremavano, ancora sotto l’effetto del proprio dono; Afuro se ne accorse.
-Hiroto… Per favore, pensaci tu- affermò. Hiroto sospirò, si avvicinò ad Atena e gli strinse delicatamente il polso con una mano, così da annullare il suo potere.
-Hai fatto un ottimo lavoro, Atena, non puoi sforzarti oltre i tuoi limiti. Riposa un po’, lascia a noi il resto- gli disse con una voce gentile, rassicurante. Gazel osservò il lento ma deciso processo attraverso cui lo strato corazzato che ricopriva la pelle di Atena si ritirava, squamandosi quasi come un serpente. Presto le braccia del ragazzo tornarono normali e Gazel e Nagumo lo sentirono quasi accasciarsi nella loro stretta: persa la possibilità di continuare a combattere, Atena pareva non essere nemmeno più in grado di reggersi in piedi.   
-Ehi, appoggiatelo qui, a terra- s’intromise Hepai, indicando un punto accanto a sé.
Gazel e Nagumo si scambiarono una rapida occhiata, poi annuirono e fecero quanto chiesto; non appena Atena fu steso a terra, Hepai gli fece appoggiare la nuca sulle proprie gambe e cominciò a medicargli i numerosi graffi su viso e gambe con il suo potere.
-En-chan… Sapevo che non eri cambiato… Sei ancora gentile- sussurrò Atena. Fece una debole risata, i suoi occhi erano velati di lacrime e sembrava che a stento riuscisse a tenerli ancora aperti. Hepai evitò il suo sguardo e serrò la mascella.
-Non importa. Non sono stato in grado di aiutarti quando serviva, e ora ti ritrovi con questa…- rispose, mentre le sue dita percorrevano leggermente la cicatrice rosea, con un’espressione combattuta. Atena parve confuso e disse qualcos’altro, ma la sua voce era talmente bassa che Gazel non riuscì a distinguere le parole; inoltre, il loro cominciava ad apparire come un discorso intimo, privato, e il ragazzino decise che non era più il caso di stare ad ascoltare. Sarebbe stato come origliare, sembrava sbagliato, fuori luogo. Gazel si voltò, dando loro le spalle, e si mise ad osservare le radici dell’albero.
Se Hiroto aveva detto la verità, e non aveva alcun motivo per non farlo, la pianta doveva essere sbucata fuori all’improvviso. Era totalmente improbabile in natura che accadesse una cosa simile; tuttavia, da quando era entrato in quel centro di addestramento, Gazel era abituato a pensare che l’impossibile potesse diventare possibile. C’era infatti un’unica spiegazione logica al perché quell’albero si trovasse lì: qualcuno lo aveva fatto crescere, possibilmente con l’uso di un qualche potere. Doveva trattarsi di un drifter – quello era il termine che Chang Soo aveva usato, talvolta, per definire le persone con un dono che non erano sotto il controllo e la supervisione delle Spy Eleven. Ma perché avrebbero dovuto farlo?
A meno che… Gazel fu colto da un pensiero improvviso e, osservando le espressioni dei suoi compagni, gli apparve chiaro che tutti avevano avuto la stessa idea, solo che nessuno desiderava dirla ad alta voce. A meno che non abbiamo un nemico, qualcuno che aveva progettato di rinchiuderci qui dentro… A meno che i crolli non fossero parte di un piano più grande. Gazel lanciò un’occhiata di sbieco a Hepai e Atena e si morse il labbro inferiore.
Non siamo in grado di combattere se qualcuno ci attacca.
L’unica soluzione era uscire dalla trappola al più presto e per farlo dovevano per forza abbattere l’albero. Ma come? Gazel si trovò a riflettere rapidamente. Lui non aveva alcun potere, mentre quelli di Hiroto, Afuro e Hepai non erano adatti ala situazione… Rimaneva solo…
-Nagumo- chiamò, infine. Il ragazzo sussultò e si girò a guardarlo; non appena i loro occhi s’incrociarono, Gazel seppe che aveva capito, tuttavia lo disse ugualmente ad alta voce.
-Devi bruciare le radici dell’albero.
Nagumo si morse l’interno della guancia, spostò il peso da una gamba all’altra. Sembrava a disagio, come se stesse cercando un’altra soluzione in mente, ma non riuscisse a venirne a capo. Tutti nel gruppo sapevano che Gazel aveva ragione. Anche Nagumo lo sapeva e proprio questo sembrava metterlo in difficoltà.
-Posso tenere vive le fiamme solo per dieci minuti, se mantengo la massima concentrazione. E inoltre…- disse Nagumo, con un tono di voce basso, quasi cauto, che Gazel non gli aveva mai sentito fare. Nagumo abbassò lo sguardo, si morse il labbro inferiore, aggiunse in un soffio:- Non sono in grado di controllare bene il mio potere. Se anche Hiroto mi bloccasse, se le fiamme si fossero già propagate, allora…
Tacque, ma tutti conoscevano il resto.
-Sei l’unico a poterlo fare- disse Afuro. –Abbiamo fiducia in te e ti supporteremo.
-Sì, lo so. È proprio questo a preoccuparmi- mormorò Nagumo, poi si infilò tra Hiroto e Gazel e mise un piede oltre il varco di roccia, sollevando il viso verso l’alto per studiare la situazione.
-State tutti indietro, non vi avvicinate per nessun motivo- avvertì.
Dapprima le sue braccia iniziarono ad emettere solo una flebile luce, poi pian piano il bagliore diventò più intenso e più caldo; la pelle di Nagumo si arroventò, prendendo il colore rosso ardente di un ferro battuto sul fuoco, e ben presto le sue mani furono avvolte da fiamme fino alla punta delle dita. Per la seconda volta Gazel si trovò irresistibilmente attratto dalla luce e dal calore che quel fuoco emanava, terribile ed affascinante al tempo stesso.
Poi Nagumo afferrò la punta di una radice ed il fuoco divampò, iniziando lentamente a propagarsi. Dopo un po’ di tempo, il ragazzo strinse i denti e diede un maggiore input alle fiamme, dando loro il silenzioso ordine di scatenare la loro voracità e divorare ogni cosa. Una serie di piccole esplosioni percorse il lungo ramo e il fuoco si estese ad un’altra radice vicina.
Erano passati appena due minuti, ma Nagumo stava già sudando moltissimo. Rivoli di sudore scorrevano lungo la mascella serrata e gli bagnavano il mento, inzuppando il collo della maglietta. Gazel fece un passo esitante di lato, senza avvicinarsi troppo, per cercare di sbirciare il viso di Nagumo.
Il suo sguardo intenso e brillante lo fece quasi rabbrividire: era come se le sue iridi dorate ci emettessero lo stesso bagliore del fuoco. Il potere di Nagumo non si manifestava solo all’esterno, ma scorreva dentro di lui, nel suo corpo. A giudicare dalla quantità di sudore e dal colore porpora della sua pelle, Gazel era certo che la sua temperatura corporea avesse raggiunto dei valori che avrebbero ucciso un comune essere umano.
Dopo circa cinque minuti, ci fu un’altra piccola esplosione e il fuoco raggiunse anche le radici più profonde, quelle nascoste nel buio del tunnel, dietro le più grosse ed evidenti. Alcuni pezzi di busto cadevano dal soffitto, sbriciolandosi in granelli di cenere e polvere; i capelli di Nagumo ne erano pieni. Una radice si frammentò completamente e, quando cadde rovinosamente al suolo, un fascio di luce proveniente dall’alto entrò nella grotta: era fievole, segno che probabilmente di sopra si stava già facendo sera, ma ugualmente confortante. Gazel cominciò a percepire, finalmente, un po’ di speranza.
Poi, d’un tratto, le fiamme raggiunsero un fianco dell’albero e divamparono con un’energia maggiore a quella che Nagumo si aspettava. Il ragazzo sobbalzò e fu costretto a chiudere gli occhi per evitare che ci finisse della cenere.
Prima di poterci ripensare, Gazel scattò in avanti e stese le braccia sopra la testa e la schiena di Nagumo, coprendolo in modo da proteggerlo dalla pioggia di cenere e schegge di legno e roccia. Un mucchio di terriccio scivolò dall’alto e cadde su di loro, e Gazel tossì rumorosamente mentre scuoteva il capo. Il movimento attirò l’attenzione di Nagumo, che si volse di colpo.
-Cosa stai facendo?! Ti ho detto di stare indietro!- gli gridò.
-Idiota! Se qualcosa crolla, ti cadrà dritta in testa! Sei troppo esposto!- ribatté Gazel a tono.
Da così vicino riuscì a notare che le spalle di Nagumo tremavano leggermente, e le sue pupille sembravano essersi dilatate. Stava avendo problemi a mantenere la concentrazione.
-Pensa solo a ciò che devi fare!- disse Gazel, serio. –Al resto penserò io!
-Non capisci…! Non puoi starmi… così… vicino…!- sibilò Nagumo tra i denti.
Gazel aprì la bocca per replicare, ma in quel momento una parte del tronco si staccò e crollò su di loro, producendo un enorme nuvola di polvere. Gazel avvertì un dolore lancinante al braccio destro, ma la terra era ovunque ed aprire gli occhi sembrava impossibile; quando finalmente ci riuscì, la prima cosa che vide fu un angolo di cielo che sbucava tra due radici annerite. Scorgendolo, Gazel si sentì confortato, nonostante il dolore al braccio e la difficoltà a respirare.
-Ehi, stai bene?- chiese Nagumo con voce sommessa. Alle sue parole seguì un colpo di tosse, anche lui doveva aver inalato della polvere.
Gazel abbassò lo sguardo. Non riusciva a vedere bene, perciò cercò a tentoni la schiena di Nagumo con una mano. Le sue dita trovarono il tessuto bagnato della maglia, all’altezza della nuca sudata, e poi scesero fino a fermarsi, a distendersi tra le scapole di Nagumo. Lo sentì sussultare sotto il proprio tocco.
-Sto bene. Riesco a vedere il cielo…- disse piano. Sperava che il pensiero potesse rassicurare Nagumo, così come aveva fatto con lui.
S’interruppe mordendosi le labbra quando una fitta di dolore gli attraversò nuovamente il braccio. Qualcosa non andava, non sapeva dire cosa fosse successo; forse una roccia lo aveva tagliato, perché la pelle gli bruciava fortissimo, al punto che sembrava sul punto di aprirsi in due. Gazel represse un verso sofferente, riducendolo al minimo, ad appena un singulto. Dal momento che erano praticamente appiccicati, però, Nagumo, sembrò udirlo lo stesso, o forse lo percepì. Gazel non era certo che la propria mano sulla sua schiena non stesse tremando.
-Ti sei ferito…?- domandò Nagumo.
-Non lo so… Ma non è importante ora, in ogni caso non vedo niente- rispose Gazel.
Nagumo rimase in silenzio per un po’, poi bofonchiò:- Oh, vaffanculo.- E, solo un attimo dopo, dalle sue mani esplose una vampata di fiamme che avvolse tutta la superficie dell’albero, fin dove riuscivano a vederlo. Poi Nagumo iniziò ad arretrare, spingendo Gazel a fare lo stesso. Qualcuno li afferrò entrambi per le maglie e li trascinò fuori di lì mentre ciò che restava dell’albero crollava al suolo, pezzo dopo pezzo, e continuava a bruciare.
Gazel si costrinse a distogliere lo sguardo da quello spettacolo e sollevò il volto per vedere chi l’avesse salvato; non si sorprese di scoprire che era stato Afuro. Nagumo era seduto accanto a loro, appoggiato con la schiena contro le gambe di Hiroto; doveva aver perso l’equilibrio quando il compagno l’aveva tirato via, ma non sembrava in vena di protestare. Stava fissando le proprie mani, ancora rosse ed incandescenti.
-Wow, sono passati solo sette minuti- osservò Hepai senza fiato. Gazel non comprese se dovesse essere un complimento o meno. In meno di dieci minuti, Nagumo aveva trasformato quel posto in una cerchia infernale. Ora stava fissando le proprie mani, ancora incandescenti e livide, come se non le avesse mai viste prima.
-Sapevo di poterlo fare, ma… Non avevo mai provato ad usare tanta energia in un solo attacco- ammise a voce bassa, roca. Non sembrava per niente felice di quel successo. Rimase ancora un po’ con il capo chino, poi lo sollevò di scatto, come colto da un’idea improvvisa.
Il suo sguardo vagò su Gazel, con una tale intensità di metterlo a disagio, e nella sua espressione balenò un lampo di allarme.
-Cazzo- soffiò, poi continuò a bofonchiare soltanto improperi per una manciata di secondi. Il suo respiro era irregolare, affaticato, come se fosse stato preso dal panico. Hiroto poggiò le mani sulle spalle di Nagumo per calmarlo.
-Nagumo? Cosa c’è che non va? Inspira ed espira lentamente, solo dal naso, non respirare dalla bocca- gli disse, allarmato. Nagumo scosse il capo con foga.
-Il suo braccio…- sbottò con voce strozzata. –Cazzo… cazzo, il suo braccio…- Non riuscendo a dire altro, alzò una mano tremante e fece un gesto per indicare Gazel. Il ragazzino sentì immediatamente gli occhi di tutti addosso e, sebbene timoroso di cosa avrebbe visto, si forzò ad abbassare lo sguardo. Trattenne bruscamente il fiato: la pelle dell’avambraccio era scorticata, piena di bolle e di un color rosso scuro, quasi violaceo, che non aveva per niente un aspetto sano. Si era ustionato; ecco da dove proveniva quel dolore fortissimo. Bastò ripensarci perché cominciasse a bruciare di nuovo, e Gazel si lasciò sfuggire un gemito.
Hepai spostò dal proprio grembo Atena, che pareva essersi ripreso un pochino, e si avvicinò rapidamente a lui, chinandosi per osservare la ferita da vicino. Si rialzò poco dopo e fece una smorfia. –È una brutta ustione- commentò. –Con il mio potere posso a stento lenire il dolore.
-Qualunque cosa tu possa fare, falla- replicò Afuro, osservando preoccupato l’espressione di Gazel, che era diventato pallido e sudava freddo.
-È colpa mia, è colpa mia, è tutta colpa mia- ripeteva Nagumo sotto voce, il respiro sempre più affannoso. Hiroto continuava a spiegargli come respirare, ma l’altro non lo ascoltava, completamente sopraffatto dai propri sensi di colpa.
-Sta zitto, non è colpa tua- lo rimbeccò Gazel, torvo. Non aveva praticamente voce, la sua gola era secca, arida. Sentiva un sapore di bruciato sulla lingua, come se la sua bocca fosse stata piena di cenere, e l’odore di bruciato che veniva dalla propria pelle lo nauseava. Benché il dono di Hepai gli procurasse un certo sollievo, non era per niente sufficiente a far passare il dolore.
-Non è colpa tua, falla finita!- ringhiò. Era arrabbiato con Nagumo, non sapeva perché; non sapeva dire se fosse semplicemente irritato dal fatto che stesse avendo un attacco di panico mentre quello ferito era lui, o furioso perché voleva addossarsi tutta la colpa. A stento riusciva a sopportare la propria angoscia, non poteva farsi carico anche di quella di Nagumo.
La sua frustrazione scatenò la reazione di Nagumo.
-Falla finita tu! Si vede che stai malissimo, non dovresti parlare!
-Ho scelto io di avvicinarmi- sbottò Gazel, esasperato.
-Tu…- Nagumo non riuscì a completare qualsiasi insulto avesse in mente perché in quel momento una luce accecante li colpì, costringendoli a chiudere gli occhi. Gazel osò sbirciare e intravide la silhouette di un drago strisciare sul terreno proprio tra lui e Nagumo, per poi risalire lungo le pareti e gettarsi fuori dal buco nel soffitto. Poco dopo, delle figure si affacciarono.
-Ah, meno male, siete tutti salvi- disse una voce stanca, seria. Gazel riconobbe a stento Chang Soo dal timbro; non l’aveva mai sentito parlare con tanta gravità.
La Spy Eleven osservò il cerchio di fiamme e si accigliò.
-Avete combinato una bella confusione, mm- disse, poi scomparve e, dopo un paio di minuti, al suo posto apparve Endou.
-Ragazzi! Ora vi tiro tutti fuori, va bene? Non vi spaventate e non vi dimenate!- gridò loro. Hiroto si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, sembrava sapesse già cosa stesse per accadere.
-Ehi, Gazel, Afuro ed Atena sono feriti, porta fuori prima loro!- rispose all’amico, che fece un cenno di assenso col capo.
Gazel guardò con stupore la mano composta di pura energia che discendeva nel tunnel. Ricordò che, tempo prima, Endou aveva parlato di una nuova tecnica che voleva creare, ma in quel momento la sua mente era annebbiata dal dolore e non riusciva a farsi venire in mente i dettagli. Si lasciò stringere in pugno dall’enorme mano, non faceva male, anzi lo faceva sentire cullato e protetto; il pugno lo sollevò e lo portò con delicatezza fuori dalla grotta, depositandolo sull’erba fresca. Chang Soo e Jung Soo gli furono subito accanto ed iniziarono a medicargli il braccio. A detta di Chang Soo, si trattava in un’ustione di secondo grado e ci avrebbe messo almeno due settimane a guarire; disse anche qualcos’altro, tuttavia Gazel ascoltò a stento una parola su dieci, perché il dolore gli aveva svuotato la testa e aveva reso impossibile concentrarsi su qualcosa per più di cinque secondi consecutivi. Ad un certo punto Chang Soo si alzò e si allontanò, lasciando semplicemente che fosse Jung Soo ad occuparsi del resto. Gazel fece del suo meglio per non lamentarsi, ricacciando indietro le lacrime e stringendo i denti ogni volta che il braccio veniva attraversato da una fitta di dolore tanto forte da farlo tremare tutto.
Solo quando Jung Soo gli avvolse la ferita con della garza, Gazel riuscì a sentirsi un po’ più leggero: le fasciature erano abbastanza strette da bloccare il dolore, o piuttosto da fargli perdere in buona parte la sensibilità del braccio.
Rimase seduto con le gambe stese in avanti e finalmente si concesse di guardarsi intorno. Dopo di lui, Endou aveva tirato fuori dalla buca tutti i ragazzi. Nonostante fossero Afuro ed Atena quelli feriti, neanche gli altri tre avevano un bell’aspetto. Nagumo aveva ripreso a respirare in modo normale, ma era visibilmente scosso, la sua espressione ancora cupa e sopraffatta dal senso di colpa; Gazel notò che evitava insistentemente di guardare nella sua direzione, e distolse anche lui lo sguardo.
Afuro venne a sedersi accanto a lui sull’erba. Per fortuna, anche la sua mano era stata medicata e fasciata in modo decente. Gettò un’occhiata al viso di Gazel e fece un’espressione sorpresa ed intenerita; sollevò la mano sana e cominciò ad accarezzare la schiena di Gazel con straordinaria delicatezza, come se avesse avuto paura di romperlo.
-Ehi- disse, serio –stai bene?
Per un momento, Gazel si limitò a sbattere le palpebre, confuso. Poi una lacrima calda gli scivolò lungo la guancia, e poi un’altra ancora ed un’altra finché i suoi occhi non iniziarono a bruciare ed il suo respiro a farsi affannoso. Gazel s’immobilizzò, non sapeva cosa fare: non aveva mai pianto davanti a nessuno. Fino a quel momento, aveva permesso alle proprie lacrime di uscire solo durante la notte, durante i sogni, ed anche allora le aveva nascoste, premendo a lungo il viso nel cuscino, sfregandolo con i lembi delle lenzuola. 
Quando gli sfuggì un singhiozzo che gli fece tremare le labbra, si portò istintivamente una mano alla bocca, come se in qualche modo fosse stato possibile rimangiarselo. Gazel sapeva che molti lo stavano fissando, e cominciò a scuotere forte il capo.
-Guarirai presto. È stato orribile, ma ora va tutto bene- gli disse Afuro.
Erano semplici parole di conforto, eppure parvero sufficienti a sciogliere un nodo, un peso che per tanto tempo Gazel aveva portato sul petto.
Avrebbe dovuto essere normale, realizzò, essere confortati in quel modo quando si ha paura o si è tristi, invece lui non aveva mai ricevuto quella gentilezza e aveva cominciato a credere di non meritarla. Quando aveva cominciato a guardare il mondo così negativamente, a pensare che i sentimenti non fossero importanti? Convinto che non importassero a nessuno, aveva smesso di mostrare le proprie emozioni, nascondendo agli altri le proprie lacrime, le proprie paure, i propri sogni. Aveva imparato a reprimere ogni cosa, al punto da non riuscire più a credere che le persone potessero essere gentili senza mentire.
E ora questa verità gli appariva improvvisamente davanti in modo così banale, così schietto.
Fidarsi degli altri non era da stupidi, o da ingenui; era anzi l’atto più coraggioso che una persona potesse compiere.
-Ah, come nelle fiabe- commentò Chang Soo, e la sua voce arrivò a Gazel nitidamente nonostante l’uomo si trovasse piuttosto distante da lui. –Il robot ha mostrato ciò che c’era nel suo cuore ed è diventato umano.
Gazel sollevò il volto verso il cielo serale: i colori e le prime stelle gli apparivano morbidi, flebili e nebulosi e decise che gli piacevano di più così. Senza più tentare di nasconderle o di trattenerle, lasciò che le lacrime gli scorressero lungo le guance ed il mento, bagnandogli il collo, e poi chiuse gli occhi. Inspirò a fondo, lasciò andare l’aria in un respiro tremulo, lasciò andare tutto.
È così, si disse, sollevato. Non sono un robot.
La luce gli era sfuggita per così tanto tempo.
 
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Chang Soo aveva infine deciso di tornare nelle gallerie da solo e congedare i ragazzi, lasciandoli liberi di lavarsi, cenare e poi andare dritti a dormire. Benché fosse certo di poter crollare da un momento all’altro, Gazel si trascinò fino allo spogliatoio insieme agli altri; il loro gruppo era stato l’ultimo a rientrare per via dell’incidente, quindi le docce erano a loro completa disposizione. Anche in sala mensa erano praticamente da soli, fatta eccezione per qualche ragazzo rimasto a chiacchierare, o a giocare a carte. Tra questi c’era Endou, che stava aspettando Hiroto. Gazel mangiò due ciotole piene di riso: il lungo pianto l’aveva lasciato indebolito e spossato, ma senza dubbio anche molto affamato. Il loro gruppo, ad eccezione di Atena, che si trovava ancora in infermeria, mangiò allo stesso tavolo, sfuggendo agli sguardi increduli e curiosi di esterni. Effettivamente, visto che i loro rapporti non erano mai stati dei migliori, doveva apparire strano che Hepai si fosse seduto con loro. All’inizio Gazel pensò che dovesse essere troppo stanco per protestare; mentre tornavano alle loro camere, però, Hepai si fermò, accennò un breve e rigido saluto e deviò per andare in infermeria, e Gazel realizzò che l’esperienza appena vissuta aveva cambiato qualcosa anche in Hepai: sembrava aver perso ogni voglia di essere cattivo, di sputare provocazioni. Gazel capì anche che quella doveva essere una forma di difesa, di barriera che Hepai metteva tra sé ed il resto del mondo, ferire per non essere ferito. L’improvvisa consapevolezza di non essere poi così diversi, sebbene non bastasse a perdonargli gli insulti verso Afuro o altri affronti, di certo aiutò Gazel a non odiarlo.
Nagumo evitò il suo sguardo per tutto il resto della serata, a stento lo salutò prima di andare a dormire. Gazel si chiese se, invece di essersi avvicinati, non avessero fatto molti passi indietro.
Appena tornati in camera, Afuro si stese sul proprio letto e attese che Gazel lo raggiungesse, come ormai erano soliti fare, ma questa volta Gazel fece cenno di no col capo e si arrampicò docilmente sul letto superiore. Era ora di smettere di scappare. In quel momento, il solo pensiero di poter contare su Afuro sembrava bastare a dargli coraggio.
 
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Qualcuno stava cercando di svegliarlo scuotendolo per le spalle. Gazel mugugnò, affondò il volto nel cuscino nel vano tentativo di aggrapparsi al residuo di sonno che ancora gli restava, ma già distingueva chiaramente la voce di Afuro da qualche parte sopra di lui, senza nemmeno aprire gli occhi. Rotolò su un fianco, aprendo a stento un occhio, ed i capelli dell’amico gli solleticarono la guancia
-Gazel, è quasi ora di pranzo. Ci hanno lasciato dormire fino a tardi, ma ora devi alzarti- lo informò Afuro, dandogli un’altra leggera scossa. Gazel continuò a fissarlo mentre la sua mente assonnata cercava di elaborare le sue parole. Se era già ora di pranzo, allora aveva dormito almeno nove ore, ma non si sentiva per niente riposato, anzi per qualche motivo gli pareva di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. Non era pronto a lasciare il letto, decise, e si scrollò di dosso le mani di Afuro con l’intenzione di voltarsi e tornare a dormire.
-Gazel, no, non puoi- esclamò Afuro. –Ho appena incontrato Chang Soo e ha detto che vuole vederci appena possibile nel suo ufficio, perciò devi assolutamente muoverti.
Il ragazzino sbuffò, rotolò sulla schiena e finalmente aprì entrambi gli occhi. A quanto pareva non aveva proprio scelta: era pronto a scommettere che Chang Soo sarebbe venuto di persona a buttarlo giù dal letto se non si fosse presentato alla convocazione.
Di malavoglia, quindi, scese dal letto e si vestì. Afuro gli aveva lasciato una maglietta e un pantalone già pronti in cima alla cassettiera ed insistette per applicargli due mollette tra la frangia. Quando uscirono in corridoio, Afuro chiuse a chiave la porta e disse:- Vado ad avvisare Hiroto, tu puoi pensare a Nagumo? La sua stanza è quella a destra delle scale, appena si scende.
Gazel era ancora assonnato e, quando comprese la richiesta, era troppo tardi per protestare. Afuro si era già avviato verso la direzione opposta: attraversò tutto il corridoio, svoltò a sinistra e sparì dietro un angolo. Gazel sospirò e s’incamminò verso le scale a chiocciola. Per fortuna, accanto a queste ultime c’era soltanto una porta, per cui era difficile sbagliarsi su quale fosse la camera di Nagumo.
Il problema era che si sentiva ancora a disagio, e non sapeva se voleva davvero vedere Nagumo. Era quasi certo che Nagumo non volesse vedere lui.
Bussò un paio di volte, quasi sperando che l’altro stesse dormendo ancora.
-È aperto- gridò da dentro una voce roca, esausta.
Gazel inspirò profondamente e si diede dello stupido. Perché diavolo era tanto nervoso? Lui e Nagumo non erano mai stati veramente amici, dopotutto. Non stava perdendo nulla. Doveva soltanto dirgli di raggiungerli da Chang Soo, e basta… Finalmente si decise ad abbassare la maniglia; aprì la porta giusto un poco, il necessario per infilare la testa e guardare dentro.
La stanza era leggermente più piccola di quella di Afuro, o forse appariva ridotta solo perché il pavimento era pieno di vestiti che limitavano la possibilità di movimento. Aleggiava anche una lieve ma pungente puzza di sudore, che avrebbe fatto arricciare il naso a chiunque. Nagumo doveva essere il peggior incubo di una persona ordinata e pulita. Ma, se l’ambiente appariva trasandato e caotico, di certo non era trascurato; al contrario, dava la sensazione di essere terribilmente personale, e di avere una determinata personalità. A giudicare dal letto singolo, Nagumo era l’unico inquilino, per cui si era preso la libertà di appiccicare dei poster con il nastro adesivo su tutte le pareti. Gazel scorse soprattutto cose legate al calcio, ma anche a gruppi musicali e vecchi film.
Nagumo era seduto sul bordo del letto, con i capelli scompigliati, gli occhi semichiusi ed una mano sotto la canottiera, a grattarsi la pancia. Aveva l’aria di essersi appena svegliato anche lui, e certamente non di buonumore. Quando vide chi era entrato, sbatté rapidamente le palpebre e d’un tratto parve molto più sveglio. Guardò Gazel con meraviglia, quasi scioccato, chiedendogli quasi telepaticamente perché si trovasse lì.
Gazel si schiarì la voce. -Chang Soo ha detto ad Afuro di andare nel suo ufficio- disse, fece una pausa e, anche se Afuro non glielo aveva detto specificamente, aggiunse:– Penso riguardi quello che è successo ieri.
Nagumo sbatté un altro paio di volte gli occhi, forse cercando di mettere bene a fuoco la stanza. Rimase in silenzio mentre registrava le parole, poi annuì.
-Sì, ha senso- borbottò. Sbadigliò senza preoccuparsi di coprirsi la bocca, si stiracchiò con calma e finalmente si alzò, muovendosi tra la scia di vestiti con l’agilità di una biscia nell’erba alta. Gazel osservò con una punta di disgusto mentre Nagumo raccoglieva da terra una maglietta dei Bump of Chicken scolorita e la studiava, probabilmente valutando se poteva indossarla ancora una volta, anche senza averla lavata; dopo una manciata di secondi, però, parve rinunciarci, la gettò sulla ringhiera di ferro del letto e si voltò per tornare verso la cassettiera. In cima al mobile, conservata in una cornicetta semplice, quadrata e di plastica nera, c’era una fotografia che rappresentava Nagumo bambino con una donna dai corti capelli rossi. Si somigliavano molto, Gazel immaginò dovesse trattarsi della madre di Nagumo.
Mentre Nagumo, seduto sui talloni, frugava nel cassetto più basso in cerca di vestiti puliti (circa), Gazel cominciò a sentirsi inquieto. Si domandò se avrebbe dovuto aspettarlo, o chiudere semplicemente la porta e cominciare ad avviarsi. Dopotutto, Afuro lo aveva mandato da Nagumo per avvisarlo, non per fargli da accompagnatore.
Ma Nagumo sembrava molto meno nervoso del giorno prima, e Gazel si disse che, a quel punto, nemmeno lui aveva motivo di esserlo. Dopo aver esitato per una manciata di secondi, Gazel decise di restare. Chiuse la porta e ci si appoggiò contro la schiena.
Intanto Nagumo aveva trovato un paio di bermuda ed una t-shirt completamente bianca, su cui campeggiava la scritta “Burn This Down” (terribilmente adatta a lui). Continuava a muoversi con tranquillità, apparentemente senza far caso al fatto che Gazel fosse entrato nella stanza. Mentre lui si spogliava e rivestiva, Gazel si mise a fissare insistentemente una delle pareti, facendo finta di studiare ogni particolare di un poster di un vecchio film di samurai, sebbene niente di ciò che vedeva gli rimanesse davvero impresso.
-Ehi… posso farti una domanda?
Gazel si girò di scatto verso Nagumo: il ragazzo stava seduto sul letto con il capo chino, una scarpa al piede e l’altra ancora slacciata.
-Certo- rispose Gazel, cauto.
Nagumo non diede segno di voler continuare ad allacciare la scarpa, era come se l’avesse dimenticata. Stava fissando il pavimento con intensità, accigliato o forse impensierito.
-Ti sei messo in prima linea per aiutarmi, anche se era pericoloso… Sei rimasto fermo anche se avresti potuto farti male… come infatti è successo. Perché lo hai fatto?- domandò, secco.
Gazel notò che aveva la mascella serrata, le spalle curvate in avanti come se avesse voluto farsi ancora più piccolo, tutti segni che Nagumo era nervoso. Ormai Gazel aveva imparato a riconoscerli.
Istintivamente si toccò il braccio dove aveva la fasciatura e di colpo si sentì confortato dalla lunghezza delle maniche, che la nascondevano agli occhi altrui, e soprattutto a quelli di Nagumo.
-Sono stato io a suggerire quel piano… Sono stato io a spingerti a farlo. Come avrei potuto restare a guardare? Ho sentito che dovevo aiutarti, anzi volevo aiutarti- affermò, fece una pausa. Se devo essere sincero, tanto vale esserlo fino in fondo, pensò, inspirò a fondo.
–Sembravi in difficoltà, non sono riuscito a star fermo. Mi sono mosso d’istinto. Credo… Credo che non volessi vederti ferito- disse, e di nuovo il volto di Nagumo manifestò sorpresa. La sua espressione era aperta e vulnerabile, i suoi occhi limpidi. Era probabilmente strano sentirsi dire una cosa del genere da qualcuno con cui non hai grande confidenza, realizzò Gazel. Confuso e imbarazzato dalla sua stessa ammissione, abbassò lo sguardo.
A questo punto Nagumo parve riscuotersi: si allacciò frettolosamente la scarpa e si alzò in piedi, evitando per un soffio di dare una testata al letto superiore. Invece di andare alla porta, però, cominciò a frugare nella cassettiera. Ne tirò fuori un oggetto rettangolare e lo lanciò a Gazel che, pur essendo stato colto alla sprovvista, riuscì ad afferrarlo grazie ai suoi riflessi: le sue dita affondarono in qualcosa di morbido e ruvido e, quando le distese, il suo sguardo si posò su un pacchetto di sigarette.
-Mi stai invitando a fumare con te? Perché in tal caso ti dico subito che non ho mai…
-Guarda meglio, cretino- lo interruppe Nagumo, sbuffando. Gazel si accigliò: in una situazione normale si sarebbe offeso dell’insulto, ma stavolta Nagumo non sembrava averlo detto con malizia. In effetti, bastava un’occhiata più attenta per accorgersi che il pacchetto era ancora sigillato: non era mai stato aperto ed anzi appariva perfettamente intatto, se non per gli angoli spiegazzati, tumefatti, e per la scritta Marlboro ormai scolorita.
Gazel alzò di nuovo lo sguardo su Nagumo, cercando spiegazioni.
-Erano di mio padre- rivelò il ragazzo, titubante. –Aveva un tumore polmonare, gliele ho rubate prima che venisse ricoverato e gli venissero proibite… Sono entrato di nascosto nella sua camera, di notte, e gliele ho rubate. Ero solo un bambino stupido, pensavo di poterlo proteggere semplicemente togliendogli le sigarette.
Gazel non disse nulla, non aveva intenzione di mettersi a fare domande. Evidentemente Nagumo non si aspettava che ne facesse.
-Dopo la sua morte, io e mia madre siamo stati costretti a trasferirci molte volte... Avevamo speso quasi tutti i nostri soldi per le cure mediche e mia madre non riusciva a trovare un lavoro fisso... Beh, questo era solo uno dei motivi per cui ci spostavamo di continuo.
-Ero molto arrabbiato…- Nagumo deglutì. -Ero arrabbiato con mio padre, con i medici, con le persone che ci trattavano come fossimo spazzatura... I miei poteri esplodevano di continuo. Mia madre era la sola capace di calmare i miei attacchi di rabbia, ed era costretta a nascondere le ustioni dagli occhi della gente.
-Abbiamo dovuto spostarci spesso per evitare che le persone collegassero gli incidenti a noi, a me…  Ma mia madre nonostante tutto non mi ha mai incolpato, anzi mi ha sempre protetto.
Nagumo rimase in silenzio per un po’ e Gazel capì che adesso poteva parlare.
-È per questo che sei venuto qui? Per lei?- chiese. Nagumo annuì.
-Voglio… anzi, devo diventare più forte- rispose. Chiuse le mani a pugno e le fissò come se stesse richiamando a sé una grande forza di volontà. –Il mio dono non ha fatto altro che causarle problemi, ma se mi permetterà di diventare qualcuno e di darle una vita migliore in futuro, allora non esiterò a seguire questa strada.
-Chang Soo mi ha trovato mentre mi trovavo a Okinawa. Eravamo là da quasi un anno, abbastanza perché fossi riuscito ad ambientarmi e a farmi qualche amico… Una mia amica è come me, sai… ma il suo dono è completamente diverso dal mio. Lei può guarire le persone, io so solo distruggere.
-Questo non è vero- ribatté Gazel, d’impulso. -Hai usato il tuo potere per aiutarmi.
Nagumo sussultò e lo guardò, stupito.
-Cosa?
-Laggiù, nei tunnel… Ricordi quando ti ho detto che non mi piace il buio? Ecco, io…- Gazel si sentì arrossire per l’imbarazzo, ma deglutì e proseguì. –Io… ero spaventato, okay? Ma tu hai usato il tuo potere per aiutarmi e mi sono sentito meglio. Se non ci fossi stato tu, avrei ceduto al panico. E poi… Poi hai aiutato tutti noi ad uscire da quella situazione, no? Insomma, con i tuoi poteri puoi distruggere le cose, e allora? Non significa che tu sia cattivo, o che tu sappia fare soltanto questo.
Gazel alzò lo sguardo e vide che Nagumo lo stava ancora fissando con un’espressione sorpresa. Non sembrava riuscire a trovare le parole per replicare.
-Io non ho mai avuto una vera famiglia e non ne so molto, ma non credo che tu abbia causato soltanto problemi a tua madre- aggiunse Gazel, di getto. -Anche se ci sono stati momenti difficili, non è stato sempre così, giusto? Sicuramente le hai dato anche molti ricordi felici… Se siete arrivati fin qui, se tu sei qui adesso, è perché siete andati avanti insieme.
Quando si accorse di non riuscire più a sostenere lo sguardo dell’altro, Gazel abbassò gli occhi sulle sigarette. Si rigirò il pacchetto tra le mani ancora per un momento, poi lo tese a Nagumo con l’intenzione di restituirglielo e togliere il disturbo al più presto.
Con sua grande sorpresa, però, Nagumo scosse il capo.  
-No. Voglio che lo tenga tu- affermò con decisione. Gazel si innervosì maggiormente.
-Cosa? No. È una cosa importante per te. Perché dovrei tenerlo io?
-Perché ho deciso così- insistette Nagumo, testardo. Si avvicinò per poggiare una mano su quella di Gazel e chiudergliela attorno al pacchetto; Gazel cercò invece di spingergli le sigarette contro lo stomaco, deciso a restituirle.
-Non capisco…- bofonchiò. –Non capisco proprio perché le stai dando a me!
-Aaah, che palle! Sta zitto e prendile, okay?!
Nagumo perse la pazienza e gli afferrò anche l’altra mano per bloccare i suoi movimenti. Gazel, stizzito, si preparò a dirgliene quattro, ma, non appena incrociò lo sguardo serio di Nagumo, capì che non l’avrebbe avuta vinta.
-Perché?- soffiò Gazel. Nagumo esitò, mordendosi l’interno delle guance.
-Detesto il pensiero che sia stato io a ferirti- ammise in un sussurro. –Se le terrai per me, ogni volta che ti vedrò mi ricorderò di quello che è successo… E non ti farò mai più del male.
Le sue orecchie erano così rosse che sembravano andare a fuoco. Gazel temeva che il proprio viso non fosse di un colore tanto diverso, tuttavia, stranamente, quell’invasione del suo spazio personale non lo turbava.
-Nagumo- sussurrò, deglutì. –Noi… siamo amici…?
Nagumo sbatté le palpebre, apparentemente confuso. I suoi occhi guizzarono in basso, verso le labbra semichiuse di Gazel, e tornarono velocemente a incrociare quelli dell’altro.
-Non… Non lo so- rispose, con un vago tono interrogativo.
Con il cuore in gola, incapace come Nagumo di formulare una risposta adeguata, Gazel seguì i propri istinti e si avvicinò un po’ di più. Nagumo sussultò, le sue dita si strinsero forte su quelle di Gazel; fece un passo avanti, arrivando praticamente a toccare la punta delle scarpe di Gazel con le proprie, ed i loro nasi si urtarono con delicatezza.
-Che stai facendo?- bisbigliò Gazel, ma non si spostò.  
-Smettila di parlare- lo rimbeccò Nagumo a voce altrettanto bassa.
-Smettila tu- replicò Gazel e, sporgendosi in avanti, premette le labbra contro quelle di Nagumo. O meglio, avrebbe voluto, ma non riuscì a prendere bene la mira e lo baciò solo all’angolo della bocca; il gesto sembrò comunque sortire il suo effetto, perché Nagumo trattenne bruscamente il respiro e si zittì di colpo. Gazel si ritrasse lentamente e Nagumo lo inseguì facendo sfiorare le loro bocche chiuse per alcuni secondi. Le labbra di Nagumo erano spaccate, ruvide e molto, molto calde. Gazel scoprì che non gli dispiaceva.
Quando sentirono qualcuno bussare alla porta, i due ragazzi si staccarono così rapidamente che per poco Nagumo non sbatté nella cassettiera, mentre Gazel si addossò al muro, stringendo il pacco di sigarette tra le dita con così tanta forza che ebbe paura di schiacciarlo. Si scambiarono un’occhiata allarmata, piena di interrogativi destinati a rimanere irrisolti, almeno per il momento, perché poco dopo aver bussato Afuro aprì la porta ed entrò.
-Ah, Nagumo, sei pronto! Bene, bene, allora muoviamoci tutti- esclamò, mentre con la mano faceva loro segno di uscire dalla stanza. Con lui c’era anche Hiroto.
Gazel sgusciò fuori dalla camera il più in fretta possibile, cercando di accantonare quanto era appena successo in un angolo della mente, per rifletterci in seguito. Aveva ancora le guance calde.
 
xxx
 
Hepai, Atena, Nagumo, Afuro, Hiroto e Gazel – i sei ragazzi che erano rimasti intrappolati nelle galleria erano tutti in piedi, in fila uno accanto all’altro, davanti alla scrivania di Chang Soo. Avevano tutti atteggiamenti molto differenti. Afuro ed Atena sembravano essersi rimessi abbastanza bene e avevano un’aria tranquilla. Al contrario, Nagumo e Hepai apparivano nervoso e tenevano lo sguardo basso. Hiroto e Gazel facevano del proprio meglio per non lasciar trasparire alcuna emozione particolare.
Chang Soo entrò dopo di loro e chiuse la porta. Aggirò i ragazzi, si sedette e restò in silenzio a sfogliare alcuni fascicoli, come se loro non fossero lì. Dopo un po’, si alzò di nuovo, infilò tutti i fogli in una scatola e la chiuse, spingendola in fondo ad una scaffale, dietro alcuni libri. Quando tornò alla scrivania, non si sedette, ma cominciò a camminare avanti e indietro con le mani intrecciate dietro la schiena.
-Come certamente sapete, ieri sera ho ispezionato personalmente le gallerie. Molti avvenimenti strani si stanno succedendo in questi giorni, ultimo tra tutti ciò che avete dovuto sopportare voi tutti. Per questo, mi scuso sinceramente con ognuno di voi. Non avrei mai voluto che i miei allievi corressero un tale pericolo. Vi sembrerà strano, considerata la mia, ah, tendenza a sottoporvi a prove complesse, tuttavia, credetemi, penso sempre al vostro bene. Voglio rafforzarvi, non spezzarvi. La prova di ieri non avrebbe dovuto essere in alcun modo pericolosa. Ora, vorrei chiedervi di raccontarmi l’interezza dei fatti.
Si fermò e si appoggiò alla scrivania, fece un gesto verso Hiroto.
-Kiyama- lo chiamò – comincia tu.
Così Hiroto iniziò a raccontare la propria versione dei fatti e, dopo di lui, Chang Soo volle ascoltare ognuno di loro. Non voleva soltanto il riassunto degli eventi, ma anche le loro impressioni, le loro sensazioni. Gazel ebbe la certezza che tutti, non solo lui, avevano avuto il presentimento di essere osservati, in un momento o in un altro. Era difficile, osservando il volto di Chang Soo, capire cosa stesse pensando: non faceva mai commenti, si limitava ad annuire con un’espressione seria ed indecifrabile.
Quando Hepai, l’ultimo interrogato, finì il proprio pezzo, Chang Soo rimase in silenzio a riflettere per alcuni minuti.
-Bene. Ora vi devo chiedere di non parlare mai a nessun altro di questi fatti- disse infine.
-Questa mattina ho parlato con la Spy Eleven di questo territorio e siamo giunti ad una decisione: l’indagine deve proseguire in vesti private. Finché non avremo maggiori informazioni, nulla deve trapelare all’esterno. Per cui, sono costretto a chiedervi di giurare.
Li squadrò uno ad uno con intensità. Gazel si sentì quasi rabbrividire, e qualcun altro deglutì.
-Giurate di non parlare con nessuno di quello che è accaduto ieri?- domandò Chang Soo, tagliente. Attese le loro risposte, ma era chiaro che non avevano davvero scelta. I ragazzi annuirono, giurarono ad alta voce su richiesta e solo allora fu permesso loro di andarsene.
 




 
**Angolo dell'autrice**
Buon pomeriggio c:
Scrivere questo capitolo è stato faticoso, ma sono soddisfatta... Gazel è maturato tanto nel corso di questa fic, spero di avervi trasmesso questo cambiamento. Anche il suo modo di rapportarsi agli altri è cambiato; in questi ultimi capitoli, ho cercato di focalizzarmi soprattutto su Nagumo e Gazel. Si sono avvicinati tanto, più di quanto loro stessi si rendano conto, ma è difficile definire con precisione la loro relazione: non sono propriamente amici, ma non hanno nemmeno un rapporto veramente romantico, non ancora. Insomma, la loro relazione non ha dei contorni chiari e netti, è in bilico ed è ancora così anche in Inazuma Agency.
Inoltre, come desideravo fare, in questo spin-off sono riuscita a dare anche un background personale a Nagumo e ne sono sollevata. Non sarei mai riuscita ad inserire tutto ciò in Inazuma Agency, visto che le priorità di quella fic sono altre :'D
(Peraltro, forse qualcuno l'aveva intuito, ma l'amica a cui Nagumo fa cenno è Maki.)
La scena in cui Atena chiama Hepai "En-chan" è una delle mie preferite del capitolo. Forse l'avete già capito, ma quei due sono amici d'infanzia. Nel prossimo capitolo spiegherò meglio il loro rapporto ;)
Buona giornata e al prossimo aggiornamento ♥
  Roby
   
 
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