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Autore: Midori Kumiko    22/10/2016    0 recensioni
Ormai era deciso. Sarebbe cominciato quel periodo di terrore, angoscia e paura. In questo gioco mortale avremmo dovuto partecipare come alleate, pur possedendo caratteri diversi, anzi opposti. Avremmo dovuto fare la stessa fine di tutti gli altri...o forse no? Storia scritta a quattro mani: da me e dalla mia migliore amica (Questa è la nostra prima fanfiction)
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 6: Scontro al buio
                                                                                                                                                                           
P.O.V. AISU
 
Trovare quegli occhiali era stata una mano santa: con quelli, era possibile distinguere ogni singolo dettaglio all’interno della casa. Ciarpame. Ecco da cosa era composta quell’abitazione: nient’altro che ciarpame: libri dall’antiquata e polverosa rilegatura con le pagine spiegazzate, disgustose trappole per topi disposte a ogni due passi, assi di legno alzate dal pavimento e sedie e mobili rovesciati. Tutto quel disordine, molto simile a un percorso a ostacoli, però, non sembrava naturale: sembrava quasi che qualcuno avesse fatto in modo di occupare ogni singolo spazio sul pavimento pur d’impedire un libero passaggio. La porta d’entrata casualmente chiusa a chiave al nostro ingresso, poi, contribuiva a rinforzare la mia ipotesi: doveva esserci qualcun altro all’interno. E di certo non aveva intenzione amichevoli. Ma, d’altronde, nemmeno io. Quegli occhiali da visione notturna, tra l’altro, discordavano totalmente con il resto della casa: era come vedere un smartphone all’epoca di Cesare. Tutto in quel malandato edificio, poi, era ricoperto da un sottile strato di polvere, mentre quegli occhiali sembravano appena usciti dal negozio. Era tutto fin troppo innaturale, costruito, palese. Era meglio tener d’occhio il telefono, per essere pronta a ogni evenienza.
 
All’improvviso, mi accorsi che c’era un silenzio fin troppo profondo e rilassante: mancava qualcosa, una componente di disturbo, morbosa e fastidiosa. Ah, già: non sentivo la voce della mammoletta. Che si fosse decisa a chiudere quella fogna stagnante? Magari era caduta, aveva battuto la testa ed era morta: sarebbe stato un sogno che diveniva realtà. Ma era alquanto improbabile che fosse accaduto ciò: se fosse stato vero, l’eco della sua testa vuota rimbombare in tutto il Giappone.
 
Proprio in quell’istante, dei pesanti rimbombi, riconoscibili come passi sul parquet vecchio e lercio, si diffusero per l’edificio, facendo vibrare le pareti: sembrava quasi che un rinoceronte stesse scendendo le scale. Afferrai il telefono, aprendo immediatamente la pagina delle note, mi accostai con la schiena contro una parete, in modo tale da avere una visione totale della scena, senza dovermi aspettare attacchi alle spalle. Mi sarei senz’altro arrangiata con una delle centinaia di cianfrusaglie a terra. Chiunque fosse, di certo non avrebbe passato una bella nottata. Ma perché mai, dopo essersi sforzato tanto con tutti quei dettagli, il fantomatico nemico sarebbe dovuto uscire allo scoperto così all’improvviso? Senza nemmeno impegnarsi per un assalto a sorpresa? Tutto si chiarì quando, anziché un potenziale avversario, comparve nella sala quell’idiota con gli occhi sbarrati come un pesce e pieni di lacrime. Ma non poteva rimanersene in disparte, magari cercando il gatto senza rompermi le palle? Avanzava correndo in modo strambo, quasi avesse una dislocazione alle rotule, facendosi luce con il display del telefono e superando a malapena il percorso a ostacoli creato a terra, inciampando un paio di volte e facendo scattare diverse trappole per topi. Ma quella tipa proprio non concepiva il concetto di silenzio?
 
-Aisu..!- piagnucolò lei, avvicinandosi pericolosamente, così io mi spostai prontamente da un lato, evitando un suo potenziale abbraccio zuccheroso e stritolante. Dopo essersi ritrovata con la faccia al muro, letteralmente, la mammoletta si girò in mia direzione con ancora i lacrimoni agli occhi: ci mancava solo che si mettesse a piangere e lamentarsi come una neonata. –Aisusonounassassinaeunapersonaorribileiononvolevomamihamessopauraqueltipocredevofossitumanonloerael’hocolpitointestaedecadutoe..- le tappai la bocca con il palmo: ma era scema?! Stava praticamente urlando, e non si capiva un accidente di ciò che diceva. Non ero una maestra d’asilo, non dovevo farle da balia e, se non si fosse calmata, avrei finito per darle una testata in fronte. Era il caso di mettere le cose in chiaro, altrimenti sarei finita ammazzata anch’io appresso a lei.
 
-Taci, cogliona. O vuoi per caso ritrovarti agonizzante a terra? Magari con un bel bozzo sul cranio? O preferisci con la mascella dislocata? Non è una brutta idea, almeno non potresti più parlare..- non so come fosse possibile, ma riuscii a vedere il colore defluire dal suo viso nonostante la sfumatura verde che aveva assunto ogni cosa attorno a me. Quando sembrò essersi finalmente ammutolita, tolsi la mano e pulii il palmo sulla stoffa dei pantaloni: non volevo essere contagiata dalla sua idiozia.
 
-Sappi una cosa: non me ne importa assolutamente nulla di ciò che fai, dove vai o cosa vuoi. Per me puoi benissimo restartene qui dentro a vagare e inciampare al buio alla ricerca di quello stupido gatto, l’importante è che tu mi stia alla larga.- misi in chiaro, peccato che non potesse vedere il mio sguardo in quel momento.
 
-Ma io..- possibile che ogni mia parola le entrasse da un orecchio e le uscisse dall’altro? Era sorda? Scema forse? Probabilmente sì.
 
-Smettila di parlare, cazzo.- l’azzittii io, già pronta a incamminarmi per andare il più lontano possibile da lei. Proprio quando feci il primo passo, tuttavia, avvertii un rumore: era stato lieve, effimero, innocuo, praticamente inesistente, ma c’era stato. A esso, seguì il suono delle note del telefono che cambiavano. Mi bloccai, guardandomi lentamente attorno alla ricerca della fonte di quel suono: se avessi guardato le note in quell’istante, avrei finito per distrarmi e farmi prendere di sorpresa da chiunque fosse nascosto in quella stanza. Era stato simile a quello del lieve fruscio di una porta, ed ero più che sicura di non essermi sbagliata. L’idiota lì accanto mi guardava con aria interrogativa, ma non avevo motivo di spiegarle nulla, quindi proseguii con la mia ricerca. Scansandomi dal muro per evitare quel pericoloso abbraccio, però, avevo perso quella copertura e sicurezza del muro alle spalle: ora ero totalmente scoperta, e il resto della stanza dietro di me era l’unico punto in cui non avevo ancora guardato. Il silenzio regnava sovrano nella stanza, e fu proprio quello che mi permise di percepire un ulteriore rumore, questa volta dal pavimento in legno, alle mie spalle. Senza pensarci due volte, mi voltai di scatto. La prima cosa che vidi fu un tubo di metallo, una spranga di ferro, pronta a colpirmi in pieno volto, così mi abbassai sulle ginocchia, evitandolo prontamente. Approfittai di quella mia posizione accovacciata per cercare un qualche oggetto a terra che potesse aiutarmi in quella lotta, mentre la ragazzina alle mie spalle lanciava un urletto acuto e irritante. Non avevo tempo per esaminare ogni singola cianfrusaglia lì presente, e a prima vista non mi pareva di vedere niente di utile. Tuttavia, in quel frangente in cui il tempo sembrava essere rallentato, l’aria essersi fermata e i miei sensi svegliati come accadeva ogni volta che l’adrenalina della lotta mi saliva in corpo, avvistai un tavolo con una sedia malandata accanto. Non era troppo lontano, a circa tre metri di distanza alla mia sinistra: non sapevo quanto quel tipo fosse abituato a quel genere di oscurità, ma io ero senz’altro avvantaggiata con quegli occhiali. Senza pensarci due volte, mi diedi lo slancio giusto con le gambe per lanciarmi verso quel tavolo, prima che il tipo si accorgesse di ciò che stava accadendo. Era di legno, leggera e decisamente sporca, ma non esitai minimamente ad afferrarla e nel fiondarmi con essa contro l’uomo che ora tentava di parare disperatamente il colpo con la spranga. Non fece però in tempo a sollevarla per coprirsi che lo avevo già tramortito con un colpo in testa, per poi dargli un forte calcio alla rotula che cedette, facendo accasciare l’uomo a terra. Era ancora vivo, ovviamente. Dopo avergli dato un paio di calci sul fianco, per poi finire in bellezza con una violenta taccata in mezzo alle scapole, sferrai con tutta la forza che avevo le gambe della sedia sulla sua schifosa testa, fino a quando il legno marcio non si spezzò. Dal liquido scuro che ora si allargava sul pavimento intorno al suo capo semicalvo, compresi che ormai doveva essere finito.
 
Per conferma, mi accasciai accanto a lui, dopo aver mollato quella sudicia sedia. Gli tastai le tasche della giacca e dei pantaloni, fino a quando non trovai il suo cellulare in una tasca interna del cappotto scuro. Il display segnava a caratteri cubitali la scritta “DEAD END”. Mi lasciai sfuggire un lieve sorrisetto di soddisfazione, per poi alzarmi e schiacciate sotto la scarpa il telefono, fino a quando lo schermo ormai crepato non si spense definitivamente. Il corpo dell’uomo si contorse orribilmente, piegandosi e arrotolandosi su se stesso, fino a quando non scomparve, come risucchiato da un buco nero. Due in meno. Mi volta in direzione di Fujiko, dall’espressione decisamente sconvolta, lo sguardo spiritato ancora diretto verso la macchia di sangue sul pavimento, dove fino a pochi secondi prima si trovava il corpo inerte dell’uomo. Nulla mi vietava di fare immediatamente la terza vittima, in quel preciso istante. Le circostanze me lo permettevano, erano più che perfette.. ma non ci sarebbe stato alcun divertimento.
 
L’idiota alzò il suo sguardo scioccato e tremante, ancora appannato dalle lacrime, in mia direzione. Adoravo quel terrore nei suoi occhi: mi faceva sentire ancora più potente di ciò che fossi già. Io, in risposta a quella silenziosa accusa, risposi ponendomi l’indice sulle labbra, in segno di silenzio. Una chiara ammonizione per non azzardarsi a parlare di ciò a nessuno, di crogiolarsi nel suo dolore, nel suo shock, fin quando il peso del silenzio non l’avesse portata alla pazzia.
   
 
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