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Autore: AlchiMimesIstantanea    23/10/2016    0 recensioni
Lo vidi per caso, voltando distrattamente lo sguardo verso le mansuete acque di un canale addormentato.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riuscivo a sentirla,tutta quell’acqua. Captavo ogni singola lacrima di un cielo baciato dall’ombra d’una fresca notte primaverile. Da sopra il mio letto di morbido tessuto contavo le ombre proiettate su quelle grezze pareti da cui ero cinto, sembrava quasi che quelle “macchie scure” ,malformate dalla luce, mi stessero osservando, dall’alto della loro imperfezione.
Intanto il mio orecchio ospitava nuovamente il suono dei diversi scrosci.
Quelle schegge d’acqua picchiettavano contro il vetro della mia finestra con l’intento d’essere notate.
Mi alzai per poi accostarmi  alle tende,buttai uno sguardo oltre la vetrata.
Nessun mantello,nessuno strascico roseo. Solo pioggia.
Erano da poco passate le undici ,un ottimo orario per un’ umida passeggiata a San Marco.
Tricorno, tabarro e ,cosa fondamentale ,guanti. Non che io mi stessi dilettando a fare il nobile ma in quel momento era un accessorio indispensabile per nascondere a dovere la preziosa e dorata causa dei miei problemi,ormai sapete a cosa mi riferisco.
Soffiai lievemente sulle poche candele presenti ,permettendo a stoffe e pareti di inalarne il fumo, mi chiusi la porta alle spalle e percorsi la fredda rampa di scale fino a giungere fuori, sull’umido pianerottolo d’ingresso.
Scesi i pochi gradini che mi separavano dal marciapiede, mi diressi immediatamente verso San Marco.
Notai che il livello dell’acqua imprigionata nel canale era salito di una decina di centimetri circa,se la pioggia non avesse cessato avrei avuto serie difficoltà a tornare alla pensione. Potevo solamente sperare nella magnanimità della marea.
Ponte,vicolo ed i miei occhi poterono vedere la guglia del campanile,grondante di cielo.
Mi bastò avanzare di qualche passo ed il luogo del mio “appuntamento invisibile” era dinnanzi a me.
Nonostante l’ora tarda, le mura del Caffè Florian ospitavano ogni tipo di brusio, da acuti gridolini muliebri  a  virili risa. Attraversai l’arco a tutto sesto del portico ed entrai.

Ad attendermi vi era una sala dal pavimento marmoreo, tempestata , lungo le pareti, di canapè color porpora e diversi tavoli in legno pregiato con sedie imbottite, il tutto dava vita ad un corridoio adiacente alle altre stanze.
Superato il primo salottino varcai la soglia di un secondo, questa volta leggermente più ampio del precedente.
Non vi era sofà privo di mantelli e ventagli, il locale straripava di gente, e presto non sarebbe stato l’unico, data l’infinita quantità d’acqua intenta ad inghiottire San Marco.
Aromi d’ogni tipo aleggiavano nella sala, l’odore acre del fumo proveniente dalle pipe, l’inteso profumo sul collo di frivole fanciulle d’aspetto tutt’altro che casto, l’essenza di vino ed altre bevande presenti nell’aria.
Ed ecco che la mia caccia poteva aver inizio.
In verità ,ad agevolarmi la ricerca pensò un bicchiere o meglio,la frantumazione d’un bicchiere.
Ero lì ,ad esaminare ogni tavolo nella speranza di trovare il mio “orator del vero”che distrattamente ,urtai un nobile, in piedi alle miei spalle, facendogli scivolare dalle dita il calice vitreo colmo del“nettare degli Dei”.
Era calato un imbarazzante silenzio.
Con il panciotto macchiato di vino ,visibilmente irritato e completamente ciucco, masticando parole incomprensibili a causa della sbronza,quel tale afferrò una forchetta dal tavolino puntandola verso di me .
Quasi fosse un fioretto, iniziò ad agitare la posata alla cieca squarciando l’aria con l’intento d’infliggermi il “fendente mortale”.
La sua ebbrezza ed i miei riflessi pronti stavano trasformando quell’incidente in uno scontro impari, e francamente parlando lo svantaggiato non ero io.
Si rifiutava di demordere, nonostante fosse ormai una marionetta di Dioniso quel pazzo continuava a minacciarmi con quell’innocuo tridente in miniatura. Per evitare i  suoi colpi fui costretto ad indietreggiare fino ad essere frenato da un tavolino imbandito alle mie spalle.
Violento si avventò di colpo su di me ottenendo in cambio solamente delle tovaglie lacerate, coperti frantumati ed un bel bernoccolo. Cosa credevate, che non mi sarei scansato?

Con la fronte arrossata e gli abiti ancora più unti a causa di tutte le cibarie rovesciatosi addosso, il mio contendente ,per l’ormai mancata forza ,rimase accasciato sul pavimento della sala riuscendo ugualmente ad  emettere qualche lamento indecifrabile.
Affannato per la dura “lotta” spostai lo sguardo dal mio ormai inoffensivo avversario al resto dei presenti.
Gli improvvisati spettatori di quel duello non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso,lievi sussurri si dispersero per il salone.

Poi, improvvisamente, un suono. Un rumore netto il quale eco si era già ramificato lungo tutto il pavimento.
Come tutti gli altri, mi voltai in direzione di quella nota strozzata alla ricerca della sua origine.
Forse la mia caccia poteva considerarsi terminata.
Sulla soglia d’ingresso, a pochi metri dai tavoli, un mantello nero stava graffiando il marmo della sala ,già precedentemente trafitto dalla plumbea punta d’ un bastone da passeggio , causa di quel suono morto.
Un corpo baciato dalle tenebre ed un volto occultato da una candida maschera, sovrastata da un copricapo contornato da nastri cremisi.
 -Avrei giurato che sull’insegna vi fosse scritto “Caffè” non “Letamaio”.-

Disse, osservando le unte conseguenze di quanto avvenuto poco prima. Uno dei proprietari del locale,un tale Valentino Francesconi, nipote dell’ormai defunto Sior Florian, accorse immediatamente, tentando di giustificarsi. Dovevano conoscersi abbastanza bene.

- Sono mortificato Eccellenza. Dovete considerare che alcuni dei nostri clienti certe volte peccano d’imprudenza nel bere..-

-Qui l’incauto siete  voi, Signor Francesconi.Dovreste prestare più attenzione a chi mette piede in un luogo situato a pochi metri da Palazzo Ducale. Il Serenissimo Principe non tollera disordini ed io nemmeno. Fate in modo che non vi siano repliche di questo spettacolo, altrimenti il vostro “teatro” potrebbe anche chiudere i battenti.-
 
Come un viscido serpente assonagli quell’ombra stava strisciando lungo il corpo dell’uomo formulando  frasi velenose.
-Ce..certo.-

 Quel poveruomo aveva quasi le lacrime agl’occhi.
Voltatosi in direzione dell’ebro disastro, soffermandosi unicamente sul povero aristocratico inerme e rivolgendosi ad alcuni addetti, “l’uomo ombra” riprese la parola.

-Accompagnate il signore fuori…ed assicuratevi che non finisca in qualche canale.-

Due camerieri  si diressero verso di noi ed alzarono lo sfortunato nobile,ancora incosciente, per poi trascinarlo oltre la soglia del salone.
Dopo pochi secondi di tensione il vocio della sala stava pina piano rinascendo, aristocratici e non ripresero le loro chiacchierate quasi come se nulla fosse successo.

A fare eccezione ero io che, vispo, continuavo a contemplare ed udire i discorsi tra il proprietario e quell’oscura figura.

-Sappiate che questa sera ho fatto un’eccezione. Fatti come questi non posso considerarli degni di supplizio.-

-Vi ringrazio Eccellenza. Ricambierò il favore -

-Naturale che lo farete. Un tavolo, nella sala est.-

Quella serpe non tardò un secondo per approfittarsi della generosità e sopratutto della paura del Sior Francesconi, il quale provvide immediatamente.

-Subito. Preparate la sala est per Sua Eccellenza il Marchese Pesaro.-

Bingo!Quel miasma di un’anima putrefatta non poteva appartenere a nessun’altro.
Lo vidi scrutarmi per qualche secondo per poi ritirarsi nella sala che lo attendeva.
 Si ricordava di me? Può darsi ma non era il mio interesse primario.
In quel momento necessitavo della sua “voce”.

Abbandonai il salone del mio “duello” e mi diressi verso la sala est.
Ad ogni passo le mie emozioni continuavano a confondermi. Era la cosa giusta da fare oppure l’incoscienza d’Anastasio aveva preso il sopravvento su di me? Qualunque fosse stata la risposta la mia impulsività bramava le parole proibite di quel cadavere ancora in vita.
Giunsi all’ingresso della sala, forse la più elegante e raffinata del “Florian”. A differenze delle altre  in questa non regnavano che miseri sussurri, era quasi vuota.

Prima che potessi varcare la soglia due uomini “ostruirono” l’entrata con i loro corpi impedendomi l’accesso.
Erano entrambi avvolti da un mantello scarlatto con tricorno nero privo di ricami. Un abbigliamento adottato unicamente da determinati “servi” della Serenissima, gli Avogador de Comun.
Una carica prestigiosa ma non quanto esser parte dei “Dieci”.
Senza dubbio erano stati ingaggiati dal Marchese Pesaro per una ronda notturna e a quanto potei notare si comportavano già come cagnolini ben addestrati.

-Perdonate Signore ma non potete entrare, questa sala è riservata esclusivamente ai Servi del Serenissimo Principe. Ordini del Marchese Pesaro. - disse subito uno dei due

 Non potevo crederci, quel vigliacco si era addirittura impadronito del locale. “Riservata esclusivamente ai Servi del Serenissimo Principe” ,che sciocchezza. Non mi sarei affatto stupito se avessero concesso l’adito ad una dama di facili costumi per rendere la serata meno tediosa.
 Non avrei desistito così facilmente, dovevo vedere il Marchese e lo avrei fatto.
Perciò, evitando di passare alle maniere forti, volli giocare la mia unica carta.

-Sono un conoscente del Conte Da Riva-


Dopotutto anche Filippo era un membro del "Consiglio dei Dieci" e nella mia testa ero convinto che pronunciare il suo nome sarebbe bastato per varcare la soglia.

I due erano sul punto d’eccepire quando inaspettatamente l’echeggiare d’una voce precedette le loro parole.
-Da Riva?...Filippo Da Riva?-

-Sì- confermai impulsivamente non riuscendo a vedere il mio interlocutore ma riconoscendo comunque le sue sillabe
rauche.

-Lasciatelo passare -

Gli Avogadori si scostarono liberando il passaggio. Iniziai ad ispezionare la sala, l’intonaco delle pareti era costellato di dipinti e specchi, la luce soffusa di candele ormai esauste e prossime ad affogare nella loro stessa cera donava al luogo un’atmosfera rilassante ma al contempo mesta. I diversi divanetti vellutati ed  imbottiti  si presentavano intatti e privi di pieghe,solamente pochi facevano eccezione compreso quello su cui era adagiato  un macabro confidente oppure un mio probabile nemico.

Avanzai verso di lui, non provavo paura ,sinceramente in quell’istante mi consideravo incapace di decifrare emozioni.
Ero a pochi metri dal suo tavolo,sul quale oltre ad una bottiglia di vino ed un calice, vi era anche una scacchiera in legno, una di quelle pregiate,antiche ma ancora perfettamente levigate,per niente consumate dal tempo. Lui era lì,con la bauta adagiata sul volto consumato, seduto sull’imbottitura  in velluto rosso intento a posizionare ogni singolo componente del gioco su quella tavola da sessantaquattro caselle.
Convinto che non avesse percepito la mia presenza fui quasi sul punto di aprir bocca,privilegio che, per la tempestività del marchese, non riuscii ad’usufruire.

-Il Sior Mainardi. Dico bene?-

Pronunciò quelle parole a capo chino e bauta ancora in volto. Nonostante quella stessa mattina, il nostro primo incontro si fosse basato su rapidi sguardi il mio nome era comunque riuscito a raggiungere il suo udito.

-Esatto. Sinceramente non mi aspettavo che la mia comune persona fosse già impressa in una così illustre memoria. -

Sapete,a volte adottare un po’ di ruffianeria può dare i suoi vantaggi.

-Come dimenticare chi è stato graziato nel ricevere il medesimo nome del Serenissimo Principe.-

A quanto potei notare vi era qualcuno più abile di me nel generare false lusinghe.
Con lo sguardo incollato su alfieri ,pedoni e torri , con un lieve movimento del polso,il marchese mi fece cenno d’accomodarmi.

Qualche secondo di silenzio e quella “maschera”,dopo aver allineato ogni singolo componente su quella piazza bianca e nera, riprese la parola.

-Vi prego, concedetemi il piacere di questa partita. La solitudine non è mai stata una brava sfidante,lascia sempre vincere chiunque.-

Era un invito per ammazzare il tempo o soltanto un’occasione per dimostrare la propria bravura attraverso quattro pezzi di legno?
Sicuramente non era noto per la sua modestia e ad ogni caso non avevo scelta se non d’accettare la sfida.
Prima di dar il via al “mio secondo duello” il marchese immerse una mano nel mantello la quale dopo qualche secondo riaffiorò con una moneta al suo interno.
Era uno zecchino raffigurante San Marco ed il Doge da un lato ed il Redentor benedicente dall’altro.

-Bianco o Nero?-

-Bianco-

-La sorte farà da giudice. Se la parte che ci si prostrerà davanti sarà quella raffigurante “San Marco” la prima mossa è vostra, se così non fosse questo privilegio spetterà a me.-

Dopo queste parole ,gettò in aria quel pezzo di metallo facendolo roteare per qualche millesimo di secondo.
Atterrò ,questa volta adagiato sul dorso del suo proprietario che con il palmo opposto occultava la risposta. Il marchese sollevò lentamente la mano e sfortunatamente sulle sue labbra iniziò a nascere un sorrisetto irritante.

-Desolato Signor Mainardi. A quanto pare dovrete accontentarvi dello schieramento opposto per questa volta. Non si può sempre godere del “Vantaggio Bianco”.-

Masticava quelle frasi iniettando ad ogni movimento delle labbra un’abbondante dose d’impudenza.
Quella faccia di bronzo mi stava dando dello sconfitto prima ancora di muovere il primo pedone.
Ogni pezzo era nella sua giusta collocazione ,la battaglia lignea poteva avere iniziò.

Pedone bianco avanti, medesimo passo da parte del pedone nero. Mossa dopo mossa quel campo quadrettato ospitava già le sue prime vittime, cinque pedoni bianchi  fuori gioco , un Cavallo nero divorato, due torri di entrambe le fazioni crollate.

-Ditemi, che cosa volevate da me? Immagino che non siate venuto qui per che io potessi godere della vostra compagnia.-

-In effetti non posso dire che una partita a scacchi fosse nei miei progetti. La motivazione del mio disturbo ha un nome ed un cognome.-

-Ed un titolo. Il Conte Da Riva eh. Incrociando le nostre vite il destino fece un grosso errore. Sua madre, lei era una donna di spudorata bellezza,talmente incantevole che persino la morte stessa ,baciandola avidamente,la strappò dalle braccia del mondo terreno. La desideravo,la bramavo con tutto me stesso. Lisa,così si chiamava. Contessa Lisa Elena Giulia Da Riva. Labbra perfette, un corpo sinuoso, morbidi e profumati boccoli castani.-

Durante quel suo discorso non potei non  notare un prezioso dettaglio. Il Marchese Pesaro stava rimembrando la madre di Filippo esclusivamente tramite una descrizione fisica. Ciò che allora provò  per quella donna fu semplice e sfacciata voluttà, nient’altro. Ciò fece  nascere in me  rabbia e ribrezzo, stava palesemente considerando un essere umano ricco di sentimenti, e per giunta del mio stesso sangue, solamente come  un bel corpo da accarezzare e possedere. Nonostante il mio disgusto feci finta di niente e lo lasciai continuare.

- Davvero una creatura meravigliosa. Frequentava spesso Palazzo Ducale, passava intere giornate lì e ciò faceva crescere in me un forte desiderio, io la contemplavo, la studiavo, avrei voluto sfiorare le sue vesti. Un vero peccato che una rosa simile sia sfiorita prima del tempo, l’inverno ha preceduto l’autunno per lei.-
 
Pronunciò quell’ultima frase con strana aria cinica, strappando le parole dal sentimento,quasi fosse indolente dinnanzi alla morte di una persona. Dopodiché ,con voce sprezzante ,resa ancor più aspra dal “becco” della bauta ,quell’essere continuò.

-La  nascita del suo rampollo si rivelò  sintesi di numerosi problemi ,alcuni dei quali ancora parzialmente irrisolti ed indelebili.-

-indelebili?-

-Come macchie d’inchiostro.- pedone nero mangiato,i bianchi attendono la prossima mossa.
-Non mi sorprende affatto che vorreste saperne di più sul Conte Da Riva. A Venezia tutti lo considerano un uomo abbastanza misterioso,si formulano persino delle leggende sulla sua persona,sapete. Il fatto di alloggiare in una misera pensione piuttosto che nella residenza di famiglia ,fa sospettare non poco. Per alcuni ha acquisito l’appellativo di “uomo senz’anima”, smarrita durante un duello o magari affogata nella laguna.
Ognuno inventa ciò che vuole. -

 -Anche voi?- dissi spavaldo.

-Per quanto ne so è impossibile inventare la verità,nonostante la si possa sempre occultare-

-Questa affermazione mette in evidenza il vostro egoismo, Marchese.-

Torre nera mangia Alfiere bianco. Un punto a mio favore  
Il Marchese emise una breve e rauca risata, muovendo un altro componente del suo esercito

-Siete un uomo di spirito. Mi piacete.
Sapete,io ho un debole per gli indovinelli e se volete potremmo fare un piccolo esperimento.-

Se lui andava matto per i misteri io non ero dello stesso avviso ma dovevo ugualmente sfruttare tutte le possibilità che mi si prostravano davanti, e questa rientrava nella lista.

Uno spazio libero, Cavallo bianco scoperto, Alfiere nero avanza in diagonale stroncando quel candido nitrito.
Da fedel cavaliere l’ Alfiere bianco divora subito il suo riflesso nemico facendo da scudo alla Regina.
Stato attuale della partita :
Pedoni neri svenuti sul campo, i Reali della notte sono privi di protezione, torre bianca avanza in verticale.
Il Marchese iniziò a formulare il suo rompicapo.

-Utilizziamo come contesto proprio l’universo di quest’affascinate svago.
C’è una piazza,una Torre,un Cavallo,un Re, una Regina ,un Alfiere ed un Pedone.
 La Torre inizia con l’attraversare la piazza occupando una postazione  vuota. Trovandosi a poche caselle di distanza dalla Regina nemica, quello scacco diventa una vera e propria minaccia. A questo punto la Sovrana per evitare d’esser divorata dalla “nuova arrivata” è spinta a “mangiare per prima”, così , slittando verso la Torre avversaria la scaraventa fuori dal gioco.
Dalla piena soddisfazione la Regina è costretta a pentirsi amaramente della mossa appena fatta.
Perché esattamente in quell’istante, percorrendo le diverse caselle,un Alfiere nemico travolge senza pietà la Donna, privandola d’ogni potere.
Una trappola davvero ben riuscita
Eliminando la Torre la Regina non solo abbandonò la propria postazione ma di conseguenza lasciò solo il Re.
Per evitare il peggio Il Cavallo si  posiziona davanti al proprio Sovrano tentando di proteggerlo,ma in vano.
In quattro e quattr’otto l’Alfiere lo aveva già divorato.
Un misero pedone orfano di Sovrana , l’unico ad aver mantenuto la posizione originale, avanza trasformandosi nel pasto dell’affamato Alfiere, sacrificandosi per difendere ,anche se per poco, il suo Re,che nel frattempo fece il suo primo passo.
Ora ,Signor Mainardi, la domanda che il mio indovinello vi pone è la seguente.
Secondo voi chi sarà il prossimo ad essere eliminato ?
Se necessitate di un ausilio vi consiglio d’ osservare la scacchiera..-

Abbassai lo sguardo. Sgranai gli occhi per l’orrore e stupore.
L’Alfiere Bianco stava per ultimare il suo tragitto verso il mio Re Nero. Quell’animo putrefatto era riuscito a giostrare le mie mani e la mia mente solamente per aver la soddisfazione di pronunciare la frase bramata da ogni fanatico di questa battaglia tra eserciti muti.

-Scacco Matto, Signor Mainardi.-

Ero ancora attonito, sembrava quasi mi fossi svegliato da un sogno. Quell’uomo iniziava ad inquietarmi sul serio. Volevo andarmene.
Con quattro frasi inventai un pretesto per abbandonare il Florian e sfortunatamente il Marchese lesse la mia paura. Si sollevò la candida maschera dal volto, naturalmente incipriato, permettendo alle numerose rughe di uscire allo scoperto. Riuscivo a captare il lezzo della sua cute fuoriuscire dal tricorno impregnato di sudore.   Uno spettacolo degno d’un camposanto.

- Spero di rivedervi presto Signor Mainardi.Vi consiglio di migliorare le vostre tattiche di gioco, troppe distrazioni,come avrete notato su questo campo bicolore, potrebbero essere fatali.-

-Servo Vostro Eccellenza.-

Senza perdere troppo tempo feci un lieve inchino ed uscii immediatamente  dal Florian. Fortunatamente la pioggia era diminuita ed anche se l’acqua mi arrivava alle caviglie si poteva ugualmente camminare.
Mezzanotte doveva essere passata da un pezzo. Riflettendoci l’incontro non era andato male,avevo ottenuto nuove informazioni riguardo alla madre di Filippo, nonché mia progenitrice. Lisa ,che bel nome…
 E poi quella partita infernale ..davvero troppi capogiri in una sola serata. Quindi, per evitare che le mie scarpe si trasformassero in una città portuale, dovevo smetterla di pensare ed aumentare il passo,con la speranza di non bussare al portone d’ingresso della pensione in stato d’apnea.

 
   
 
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