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Autore: Nirvana_04    25/10/2016    6 recensioni
"La vita è piena di fatiche, spesso ha il sapore del sale e del ferro. Assapora attentamente i momenti dolci."
Suo padre glielo disse quando ancora era un bambino, ma quella frase ha accompagnato l'intera vita di Kira; e lo fa anche quando, ferro alla mano, conquista Svea.
Il suo passato è sofferenza, il suo futuro è rosso come il sangue e bianco come la roccia che serpeggia nel cratere, al centro di Menrva. Sono i colori della vendetta e del dolore, e non troveranno ragione né riscatto se non negli occhi smeraldo della fanciulla con i capelli in fiamme e gli echi della Dea nel nome.
A volte, però, questo non basta...
Prima classificata a pari merito e vincitrice del premio "Stella d'oriente", per il miglior stile, al contest "Stelle d'Oriente" indetto da Dollarbaby e valutato da missredlights sul forum di Efp
Prima classificata al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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CAPITOLO 4
Schegge di mesolite
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il buio è il padrone della sua mente, ma il suo cuore brucia tra le fiamme dell’inferno.
Il suono di passi scalzi risuona sotto la cupola, le figure di due donne si stagliano ai margini del suo campo visivo. Kira è preda del dolore e non si preoccupa di scoprire chi siano. Le loro voci sibilano, raschiano contro la fredda pietra. Nonostante i bracieri accesi, la sala è sempre più oscura e gelida. Può sentire il fiato della morte sul collo. Per un attimo chiude gli occhi e attende che ghermisca anche lui.
La morte, però, ride, facendosi beffe del suo desiderio. I passi risuonano metallici e duri alle sue spalle. «Condottiero» lo deride, lasciva.
Kira spalanca gli occhi, riconosce la voce: è la sua, o meglio quella con cui ha conversato durante le notti di tormento ed esitazione.
«Già, dubbi che hanno saziato la mia fame, per un po’.»
Nonostante la voce risponda ancora ai suoi pensieri, essa risuona vivida tra le pareti rocciose. La fronte di Kira si riempie di rughe: pensa di essere preda della pazzia.
«Oh, che cosa insulsa, la pazzia» la voce si fa acuta e teatrale. «È sopravvalutata.» Una mano cianotica gli passa davanti agli occhi e cattura la sua chioma, costringendolo a fissare lo sguardo verso la voce. La morte e la follia hanno un volto, finalmente. L’aria minaccia di strozzarlo mentre i suoi occhi si fissano su quelli bianchi del demone. «Perché tremi, condottiero? Hai riso con me per anni, ti sei rafforzato con il mio potere, hai brandito le mie armi e hai guidato il mio esercito. E lo hai fatto con me al tuo fianco, a consigliarti.» Si picchietta la mente con un dito, allusivo.
Lo guarda ridere: una risata acuta e senza intonazione, un’unica nota che l’eco delle pareti prolunga nel silenzio delle tenebre. L’essere guarda il volto della fanciulla dai capelli del fuoco e ne segue il pallore del viso esangue.
«Un così bel fiore, difficile appassirne il ricordo. La sua figura era imbastita degli ultimi poteri della dea, una forza fastidiosa da scacciare.» Fa sporgere il labbro inferiore e si mostra dispiaciuto: quell’espressione non potrebbe essere più canzonatoria. Sibila ancora, suadente: «Nonostante i miei sforzi, la tua mente si aggrappava alla sua ombra, che tu ne fossi consapevole o no.» La levigata pelle bluastra del viso si lascia solcare da una sola ruga, mentre il bianco degli occhi rifulge di una sinistra luce. «A volte, ho temuto che ella riuscisse a sottrarti al mio controllo. E per un attimo c’è riuscita, pochi attimi fa. Ma… nel mezzo dell’inverno ho scoperto che c’era, dentro di me, un’estate invincibile.» Kira riconosce questa frase: è la stessa scolpita sul tempio di Ur. Loro – lui e il demone – l’avevano letta insieme il giorno della conquista della città. «E sei stato tu a farmela scoprire. Lei era giovane e innocente» lo ascolta parlare, «ha creduto di poterti salvare. Non sapeva che ormai mi appartieni.» E muove incurante una mano.
Stavolta Kira si accorge di ciò che sta accadendo, lo vede: la lama bianca, che fino a poco prima reggeva in equilibrio la magia della mesolite, affonda nel corpo senza vita della sua amata, ancora e ancora, il suo braccio che infierisce sulle sue spoglie mentre, incapace di fermarsi, egli urla angosciato dall’orrore di cui ormai è vittima e carnefice.
«Basta, ti prego» supplica, sconfitto e umiliato.
«Basta?» Ride. «Il Carhnokat è giunto e tu hai promesso che dilagherà su questa terra, purificandola dal male.» L’ultima parola echeggia minacciosa.
La risata del suo aguzzino è seguita da quelle stridule delle due figure femminili, che le fanno eco, l’amplificano e la innalzano lungo le verticalità della pietra.
Kira è confuso e disorientato. Ciò che credeva solo una leggenda si è palesato dinanzi ai suoi occhi: i demoni sono reali e adesso, grazie a lui, liberi di calcare di nuovo la terra illuminata dal sole. E Demera è morta, colpita a tradimento dal suo amore perverso.
«Uccidimi…» Kira trova la forza per adagiare il corpo di Demera sulla pietra e prostrarsi dinanzi alla creatura. «Uccidimi!»
Le risa si spengono di botto. «Ucciderti?» Il demone spalanca gli occhi, allibito. «E perché mai dovrei farlo?» Allarga le braccia, la bocca per un attimo aperta nel silenzio. «Sei il condottiero» esclama. «La tua gente si aspetta che tu la guidi verso la vittoria e la libertà. Libertà di vivere» e alza la voce, «libertà di razziare, libertà di saziare la fame degli oppressi, maltrattati e bisognosi di… potere.» Ogni sua parola è scandita da un gesto, ogni suo passo è arricchito da un sorriso spietato: è irriverente, stravagante, e fa paura. Con uno scatto, si volta nuovamente verso di lui e s’inchina leggermente verso la sua figura avvizzita al suolo. «Ucciderti farebbe andare a male il nostro cibo! Tu hai riempito il loro animo di rabbia, d’odio, di rivalsa, e questo li rende così gustosi. E sai cosa li renderà irresistibili?» striscia la domanda tra i denti. «La disperazione del tuo tradimento.»
«Non li condurrò tra le tue braccia!» ringhia, sbavando di collera.
Il volto del demone si fa tutt’a un tratto serio, rigido, e la sua figura si drizza, severa e maestosa. «Non hai mai condotto nessuno da alcuna parte, ragazzino. Sono io che ho mosso le fila fin dal primo istante. La tua rabbia, la tua debolezza hanno scalfito la spirale, mi hanno destato e dato la forza di aggrapparmi alle tue spoglie. Saresti dovuto morire, per il dolore della malattia prima e la fame dopo, ma io ti ho tenuto in vita fino a Vilant, io ti ho buttato tra le braccia di quel sentimentale di un vanyis. Chi credi ti abbia suggerito di goderti le gioie della vita tra le braccia di quell’assahrì, di sfruttarla? Chi ti ha sussurrato alle orecchie le paroline magiche con cui hai abbindolato quelli stolti a seguirti?» agita le dita. «Chi ha mosso la tua mano, mentre azzittivi per sempre la voce di quell’odioso uomo? Chi…» Ammutolisce, mettendo un freno alla sua ira. «Pss» sbuffa, sibilando, «milleduecento anni intrappolato nella fredda roccia, padrone della solitudine, e alla prima occasione di sgranchirmi le gambe che faccio? Inveisco contro il mio salvatore?! Perdonami, condottiero.» Lo raggiunge con due energetiche falcate e si piega verso di lui, passando un lungo braccio sulle sue spalle. «Alla fine sei stato tu e la tua umanità a salvare il mio popolo dal gelo e dal vuoto. Ed è per questo che manterrò la parola data. Il Carhnokat si sazierà di ogni infedele che ha osato marciare contro di noi, ma risparmierà coloro che hanno combattuto per la nostra causa. Vivranno per servirci e divertirci» gli mormora a un orecchio.
Kira vorrebbe muoversi, ma scopre di non poterlo fare. La sua mano stringe ancora il pugnale bianco, quello che secondo la leggenda è stato investito dei poteri della dea per confinare i demoni sotto la roccia; ma non può brandirlo contro di lui, il suo corpo si rifiuta di rispondere al suo comando.
Il demone ride e con un cenno lo costringe ad alzarsi. Un movimento del capo, e le dita di Kira aizzano la lama contro il suo stesso braccio, disegnando un taglio superficiale sul palmo della mano libera.
«Adesso è più chiaro, salvatore?» lo deride con un ghigno che monta sempre più largo sulla linea sottile delle labbra violacee.
Kira sostiene per un lungo istante quello sguardo: il viso è cianotico, un ovale incavato da cui è possibile scorgere gli aguzzi zigomi perforare la pelle diafana sulle guance; la testa è calva e ricoperta da sottili placche cornee di un grigio slavato, due più arcuate sopra le tempie. La sua epidermide sembra quella di un serpente, il corpo rivestito di pelle nera. Una coda, del medesimo colore del corpo, è ritta di aculei per tutta la sua lunghezza e si attorciglia intorno alla vita. Non ha denti, ma quattro zanne che gli conferiscono una strana pronuncia; ma la voce è quella che lo ha condotto fino a lì, a fare scempio della sua umanità.
Finalmente Kira torna padrone dei suoi sensi. Come se qualcuno avesse tolto un tappo, i suoni smorzati diventato chiari e sovrastano il sibilo che striscia sulle pareti. Passi risuonano giù dalle rampe di scale, mentre tutto intorno a lui scricchiola e va in frantumi. La spirale bianca, che tanto gli ricordava l’ammonite di sua madre, si scheggia e si frattura, le crepe si rincorrono sulla sua superficie fino a farla scoppiare in una pioggia di cristallo.
Il demone getta un urlo acuto e saltella via; e Kira scopre di potersi muovere e, spinto dall’istinto di sopravvivenza, si lancia sulla dura pietra prima di sprofondare negli abissi dell’inferno. La luce della mesolite riempie di brillio le tenebre, avvolgendo in un surreale velo il corpo della donna che ha amato lungo la sua caduta, le fiamme dei capelli spenti dall’oblio del sottosuolo.
Kira sente il dolore, è una cosa tangibile che gli sta perforando la pelle; e questo lo rinfranca. Se il dolore è concreto, anche l’oggetto che la procura lo è. Egli tasta il terreno sotto le sue ginocchia fino a stringere tra le mani una scheggia di mesolite. Con lo sguardo spiritato, ringhia e alza la debole arma contro la creatura in movimento dinanzi a lui. La scheggia si conficca tra le scapole della figura femminile, la pelle violacea solcata da zanne ricurve che fuoriescono dal dorso. Lo stridore disumano lo fa indietreggiare. Si tappa le orecchie, ma tiene gli occhi spalancati: l’essere sembra cristallizzarsi, il veleno della pietra che si dipana sulla sua pelle, fin quando l’intero corpo non ne è ricoperto. La gemella della creatura si lancia ai piedi dell’essere e si prostra, sofferente alla sua perdita.
Kira sposta lo sguardo vittorioso verso il suo vessatore e agghiaccia nel vederlo sogghignare, fiero. Il demone si avvicina alla creatura e, sfiorandola leggermente, la manda in frantumi, senza pietà. Poi sganascia, frivolo e divertito.
«Oh, Kira, me lo sentivo che saresti stato il mio diletto» prorompe come uno squillo di tromba, ticchettando le dita tra loro. «Smettila, tu. I tuoi pianti sono amari e non mi saziano affatto.» Afferra la lancia, che l’altro aveva abbandonato al suolo, e la scaglia contro il demone femmina, passandole di parte in parte il collo.
Kira sobbalza.
«Che c’è? Ti sorprende che io l’abbia uccisa? E perché? Perché era un demone come me?» Sbuffa in una risatina. «Uh, quanti uomini come te hai ucciso, condottiero?» Gli occhi nivei si spostano su un punto alle sue spalle e aggiunge, sovrappensiero: «E quanti ancora ne ucciderai…»
Un rumore involontario fa voltare Kira. Vede Roban indietreggiare, gli occhi spalancati che scattano dall’essere a lui senza sosta, senza riuscire a darsi una spiegazione.
«Ba’al…»
«Scappa!» arriva a urlargli.
«Sì, scappa Roban. Renderà la caccia più divertente.»
Ba’al avanza di un passo, ma Kira è libero dalle sue catene e balza in piedi, frapponendosi tra il demone e la fuga dell’uomo del nord.
«Oh, pensi che lo inseguirò? No» fa la faccia offesa. Con uno strattone, libera la lancia dal corpo della donna. «Sarai tu a dargli la caccia…»
«Mai!»
«… e a ucciderlo» conclude la frase, mentre con un gesto lo priva della parola. Poi sorride: «Se vuoi però, puoi continuare a dirgli di scappare mentre gli squarci le budella.»
E con un ultimo cenno del polso lo costringe a inseguire il suo vecchio alleato.
Kira si ritrova come in un sogno, cosciente ma incapace di controllare i propri movimenti o decidere la direzione da prendere. Con lentezza esasperante, risale l’alta torre e ritorna alla vita. Fuori la battaglia si è conclusa, gli uomini sono tutti radunati ai piedi del tempio, in sua attesa. Stanno già festeggiando, dandosi pacche e inneggiando alla libertà. Il sole bagna i loro visi e le loro voci rispondono al nuovo giorno con vigore. Tutti ignorano i feriti e i morti, i fumi che si alzano dalle mura e i detriti delle statue crollate al suolo.
Roban ha già raggiunto i suoi uomini, e lo sente gridare: «I demoni, i demoni…» cerca di metterli in guardia Roban. «Ha liberato i demoni.» I più vicini si azzittiscono, lo ascoltano vaneggiare: tra loro c’è Narsek, giunto dai portoni a ovest della città.
«Ma guarda un po’» sussurra Ba’al nella sua mente, imbavagliandolo di nuovo. «Narsek non ama molto il nordista, vero?» gli suggerisce con una risatina.
«Uomini» urla la sua voce, fuori dal suo controllo. «Il nord ci ha tradito e lo ha fatto cercando di mirare al cuore del nostro potere.» Mostra il palmo insanguinato. «È ora che i nostri nemici capiscano che non esiste modo per annientarci. Noi siamo il Carhnokat!»
Gli uomini rispondono al suo appello, e Roban e i suoi commilitoni si trovano d’un tratto a fronteggiare le maglie strette dei fedeli dell’ovest. Il kesh avanza e l’uomo del nord si vede costretto a incrociare le armi con l’occidentale. Kira rimane a guardare l’uomo inveire e lottare per la sua sopravvivenza.
«Maledetti!» vocia, obbligato a proteggersi dagli attacchi di altri due soldati.
«L’ovest» se la ride Ba’al, il demone nella sua testa, «non trovi divertente che coloro che ci hanno combattuto sono quelli che lottano per liberarci?»
«Non esiste alcun noi!» biascica tra i denti.
Kira freme di rabbia, intrappolato in quelle fasce di potere che lo avvolgono e lo muovono come una marionetta. E quando un soldato di Ur trancia in due parti il corpo di Roban alle spalle, egli inneggia alla loro vittoria, il suo urlo che contagia e tira dietro di sé la gioia venerante dei suoi uomini.
«Adesso torna da me, Kira.»
Esortando gli uomini a radere le case e a impadronirsi dell’intera città, il condottiero dell’est ritorna all’ombra della torre d’avorio e questa volta inizia a salire le scalinate verso l’alto della costruzione. Non ci sono porte o corridoi secondari lungo il suo cammino. Abbarbicata sulla sommità del minareto, esposta ai venti che tutto l’anno soffiano nel cratere e sormontata da una tettoia spianata, vi è solo la loggia, lo studio e il punto di riunione dei Ban’gh.
Ba’al è lì, accerchiato da due dozzine di demoni di ogni sorta, i volti mefistofelici rivolti verso gli uomini denudati, stretti a ridosso del lato occidentale della terrazza coperta.
«Ah, eccoti qui, condottiero. Ti stavamo aspettando!» esordisce l’essere, accogliendolo a braccia aperte. «Ecco qui i tuoi nemici. Sono un po’ malconci perché i miei amici hanno giocato con loro, giusto per ammazzare l’attesa. Ma che vuoi che importi? Nessuno si ricorda mai dei dettagli» fa spallucce. «Ciò che conta è che l’eroe uccida il mostro! Rammenti cosa ti dissi una volta? La storia si ricorda dei re, non dei soldati. Ed essa si ricorderà di te, del grande condottiero che ha liberato il mondo dal giogo dei saggi Ban'gh» ghigna. Poi si arresta bruscamente, la faccia falsamente sorpresa. «O forse no.»
I demoni, scappati dalle crepe della spirale, ridono e sghignazzano disinibiti, accennando movimenti osceni e derisori. Kira osserva disgustato i saggi di Svea tenersi vicini gli uni agli altri, i volti angosciati contriti in espressioni di costernazione e vergogna. Può leggere sopra di essi l’amaro fallimento del loro compito, così onorevolmente perseguito nei secoli. Su di loro grava la colpa di aver distrutto tutto ciò che chi li ha preceduti ha faticosamente costruito. I loro volti emaciati, ricoperti di lividi e da diversi turbazioni meschine, sono colpiti dagli alti raggi del sole che, ormai quasi allo zenit, rifulge nel pieno della sua luminescenza.
«Il tempo è giunto, Kira. Il Carhnokat è arrivato. Distruggi il nostro ultimo nemico!»
Con le labbra leggermente dischiuse in una smorfia d’impotenza, Kira avanza inesorabilmente verso gli ultimi protettori degli uomini e li trucida, crogiolandosi nelle loro urla di dolore e imbevendosi della soddisfazione del demone che, attraverso la sua mente, gode appieno della morte inflitta.
 
 
La minuscola crepa, l’invisibile scheggia che l’ammonite scagliata da Kira aveva creato anni prima, è la prima che lacera la bianca spirale di pietra davanti agli occhi degli eserciti. All’improvviso l’antica magia, posta a baluardo della loro sopravvivenza milleduecento anni prima, si frantuma in una pioggia di diamanti, lacrime bianche che piovono nelle profondità del cratere del Carhkaan, sporcate dal sangue dei loro fratelli e intrise del sudore dei loro antenati. La città di Svea, retta dallo scheletro di ferro e ossidiana e unita alle pareti a strapiombo del cratere, si regge sopra l’abisso oscuro come un ragno con le zampe dilagate verso ogni punto e appiglio possibile, tremolante e incerta sulle sue sorti.
Gli uomini smettono di combattere e si voltano all’unisono verso la bocca del Carhkaan: non esiste più confine, alleato o nemico. C’è la gente di Menrva, riunita dal condottiero dell’est, intrappolata nella città dorata, sospesa al centro del cratere. Ci sono le donne, che hanno seguito i loro figli e mariti, che scappano a cercare un riparo o le braccia dei loro cari; ci sono i bambini che guardano la pioggia di cristalli e sgranano gli occhi, meravigliati, ancora innocenti.
E ci sono i demoni che risalgono come piccoli e grandi insetti lungo le propaggini della terra, si arrampicano in superfice come un’orda oscura rigettata dal cratere e investono come un mare di tenebra la capitale degli uomini.
E mentre Kira il Traditore avanza tra le sue genti, lo sguardo vuoto perso nei suoi ricordi ritrovati e una mano del demone adagiata amichevolmente sulla sua spalla, gli uomini crollano sconfitti, le armi insanguinate risuonano sorde contro la strada, l’eco acuto del metallo fischia tra i venti.
E i demoni inneggiano tripudianti al loro salvatore. «Ba’al Zebul! Ba’al Zebul!»
Kira vorrebbe morire, prega le sabbie di portarlo con sé, a casa o nel nulla, se serve. Ne sarebbe grato. Ma Ba’al ha ancora qualcosa in mente per lui: lo costringe a tenere la testa alzata, fiera. I suoi uomini sibilano davanti a tanta ostentazione, serpi del deserto che lo minacciato di odio e disgusto. E lui guarda il suo esercito crollare al suolo, il sangue mischiarsi alla sabbia e attaccarsi alla pelle; le assahrì, sempre forti e belle, piangere e stringere le loro vesti, gettare a terra i pugnali. Il demone guida il suo sguardo verso Serah: non l’ha mai amata, questo lo sa. E lo sa lei, che forse più di tutti può intuire quale tipo di catena lo costringe ad avanzare; ma non resterà per gridarlo agli altri, non lo salverà. La lama che ella ha in mano non cade a terra ma viaggia verso la sua gola: un taglio netto, e il corpo scivola tra le mani di chi apprezza le sue carni anche da morte.
È libera, si ritrova a pensare Kira, ma non capisce più se è un suo pensiero o un’altra beffa del suo aguzzino.
Il principe dei demoni raggiunge il cuore di Svea, l’anima di Menrva, e lì si volta verso gli astanti. Il sole ormai è calato sull’ovest, una palla di fuoco che annuncia l’arrivo dei nuovi tempi. La spirale ha compiuto il suo ultimo giro e infine ha capovolto il destino del mondo. La grande aquila nera sorvola la piazza e si appollaia sulla spalla destra di Kira, fedele al volto conosciuto del suo padrone o forse solo per farsi beffe del suo burattino.
«Il Carhnokat è sorto! La nuova era è iniziata! E voi, piccoli omuncoli, la vedrete nel pieno del suo splendore» annuncia, il sorriso estasiato rivolto agli ultimi uomini vivi. «Vi è stata promessa la vita, vi è stata promessa la libertà!» Lancia uno sguardo adorante verso l’involucro ormai vuoto che è il corpo di Kira al suo fianco. «Io ve la dono. Godete del nuovo mondo al nostro fianco, iniziate a correre dove volete! La caccia è iniziata» urla, facendo tremare la terra.
«Ba’al Zebul! Ba’al Zebul!» urlano i demoni, deliranti della loro libertà.
Kira ha gli occhi persi nel vuoto. Vorrebbe strapparsi le orecchie e il cuore dal petto, per non sentire il dolore degli altri e il suo. Ha ancora le mani sporche del sangue di Demera e la volontà del demone gliele fa sollevare, in modo che l’aquila possa assaporarlo. Lo becca, lo ferisce, e il suo sangue si mischia a quello della sua amata.
«E voi, fratelli, godete del calore del sole, dissetatevi con il sangue dei morti.» Allarga le braccia e assapora l'aria sul volto. Poi torna a sorridere alla folla, sadico. «E non temete! C’è cibo per tutti!»
Ci sono urla e gemiti: le urla inneggianti dei demoni, quelle di orrore degli uomini; i gemiti di piacere dei mostri, quelli di dolore delle donne. E ci sono gli strilli dei bambini, perché adesso hanno capito, hanno visto.
La mente di Ba’al è ancora ancorata alla sua, e attraverso di essa una nuova visione si affaccia davanti agli occhi di Kira: Vilant divorata dal deserto, i vanyis ormai mendicanti o giocolieri che i demoni barattano durante i loro banchetti; Ur svuota della sua forza, il vento che ulula tra le intercapedini della pietra e i moribondi che vengono costretti a strisciare su per la Via Perpetua, con i demoni che fustigano, e lacerano, e bruciano la loro pelle; Lirth saccheggiata e derisa, Narsek incatenato nello stesso tempo che lui gli ha ordinato di depredare. Vede l’est, la sua casa: i frutteti dati alle fiamme e i tronchi inscuriti, donne impiccate, bambini che mangiano vermi; pecore dagli occhi gialli e staccionate usate per impalare. Vede la gente azzannarsi per un osso, bambini bastonare i cani per salvare le loro, di ossa.
«Vedi, condottiero? Manterrò la mia promessa. Vilant potrà giocare con le sue lame, il kesh bearsi nel tempio del suo dio. E gli uomini e le donne avranno ciò che vogliono. Basterà che se lo prendano.» Ride, e ride. Allarga le braccia e ride.
Kira alza lo sguardo. Non ha più voce, non ha più ragione di vivere; eppure respira e pensa e capisce che l’avvento della nuova alba promessa è infine giunto, e lui la vedrà sorgere ancora e ancora, mentre il vento sarà solcato dalle urla dei moribondi e i suoni della vita saranno i lamenti della sua gente e il sangue che, silenzioso, scorrerà mortalmente dalla sua anima dannata.




 
N.B.

Se siete curiosi di tenere d'occhio le novità su tutti i deliri originali che sforna questo account, vi informo che è finalmente disponibile la mia pagina d'autore su fb, potete trovarla cliccando sul bottoncino apposito nella mia pagina autore di EFP. Vi aspetto!^.^
   
 
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