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Autore: _Blanca_    25/10/2016    1 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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17.





XVII. L'ultimo tassello




«Svegliati, Anna. Svegliati...»
Anna sollevò la guancia dal cuscino. Vide Lily, nell’abituccio azzurro, in piedi accanto al letto. Reggeva un vassoio: tè e scaglie di cioccolato, burro per il pane abbrustolito e marmellata per gli ultimi scones della dispensa. Lily era cosciente della predilezione di Anna per i dolci a colazione, ma quella mattina lo stomaco di Anna doveva esser stato sostituito da una palla di cuoio: non si sentiva in grado di mandar giù mezza briciola. «Che ore sono?» bofonchiò. Era giorno, ma un giorno senza sole.
«Quasi le otto e un quarto.»
Ad Anna sfuggì un rantolo.
«La vecchia sarà su tutte le furie...»
«Ti crede in cucina» rassicurò Lily, adagiando la colazione sullo scrittoio.
«Perché non mi hai chiamato, quando ti sei svegliata?»
Lily sospirò. «Pensi che non sappia che questa notte non hai chiuso occhio?» La voce era arrochita da una pazienza amareggiata, vicina alla rassegnazione.
La testa di Anna ricadde di peso sul cuscino: le doleva la fronte e le pizzicavano le palpebre. Non ricordava quando si fosse addormentata, né cosa avesse sognato, ma suppose di essere crollata poco prima dell’alba. Espirò contro il cuscino.
«È arrivata posta?»
«No. Non ancora, almeno.»
‘Bene.’ Anna era risoluta a intercettare la posta per prima.
E ci riuscì.
Un'ora più tardi, mentre Lily era al mercato di East Farleigh, un corriere si presentò a Bon Fleur con due lettere e un pacchetto; le prime erano indirizzate alla signora Woodhams, il terzo alla signorina Hawkins. Richiusa la porta e stretta la corrispondenza al petto, lesta e guardinga come un gatto che ha saccheggiato la cesta di un pescatore, Anna salì di corsa in camera e girò la chiave nella toppa. Strappò il pacchetto. Conteneva una decina di pagine di giornale.
Anna spiegò la prima: Maidstone Journal and Kentish Advertiser annunciavano i caratteri ― neri, grossi, acuminati come quelli di un manoscritto medievale ― la data era il 18 maggio 1873 e il titolo, al centro del foglio, gridava: Orrore in Gabriel’s Hill. L’illustrazione sottostante grondava pathos: una stanza piena di balocchi; sul letto, tre piccoli corpi celati da un lenzuolo, dal quale spuntava una manina stretta al braccio di una bambola; a terra, una donna in ginocchio, con il viso affondato tra le mani; sull’uscio due uomini, di cui uno in abiti da poliziotto, dalle espressioni grottescamente distorte per lo sgomento.
Anna non volle sfidare la sorte e insospettire la zia Woodhams: avrebbe atteso la sera per setacciare gli articoli. Nascose tutto sotto il cuscino, raccattò le lettere e tornò al piano inferiore.
Bussò alla porta del boudoir.
«Entra.»
Anna obbedì.
Milton sonnecchiava sulla dormeuse. La zia Woodhams era allo scrittoio. «Hanno suonato quasi cinque minuti fa» disse la zia. Picchiettò il pennino contro la boccetta di vetro, per liberarsi dell’inchiostro in eccesso. «Ti sei attardata in chiacchiere?»
«Era il corriere a voler chiacchierare» mentì Anna, prontamente. Mise le lettere sullo scrittoio. «Mi sembrava sgarbato chiudergli la porta in faccia.» Si ritrasse di un passo.
La signora abbassò il pennino e raccolse le lettere. «Lieta che tu stia iniziando a comprendere il concetto di maleducazione, ma non devi incoraggiare gli uomini a parlarti.»
Anna non ribatté. Piuttosto, se ne restò a osservare le magre mani della zia, attendendo di veder aprire le lettere e scoprirne i mittenti. Sebbene non credesse di aver riconosciuto la calligrafia di William, aveva ottimi motivi per volersi accertare che non giungessero messaggi da Ellsworth House.
La zia spezzò un sigillo ma, invece di spiegare il foglio, alzò lo sguardo contro la nipote. «Che cosa fai ancora qui? Non hai oziato abbastanza ieri?»
Anna schiacciò la guancia tra i denti. Poi, chinò il capo e si mosse verso la porta.
«No. Aspetta. Torna qui. Fatti guardare meglio.»
E Anna, come un burattino, agì di conseguenza.
La fronte livida della zia Woodhms venne intaccata da una ruga, che assunse alla svelta la forma di un cruccio di rimprovero. «Hai un aspetto terribile. Non ti sarai presa un malanno, a furia d’andare a zonzo?»
«Io non ho dormito... molto bene. Tutto qui.»
«Mi domando se non sia il caso di chiamare il dottor Easton.»
«Non mi servono dottori. Sono stanca. Non malata.»
«Quand’è così, ti consiglierei di andare a riposare, ma non possiamo alterare ulteriormente il programma dei lavori domestici. Condurre una casa richiede costanza e fermezza. ‘Le mansioni di una padrona di casa somigliano a quelle di un generale dell’esercito.’ Naturalmente, se ieri non avessi saltato il lavoro, oggi potremmo permetterci una pausa―»
«Allora» interruppe Anna, «col vostro permesso, torno ai miei doveri.» Avrebbe voluto chiedere perché continuare a usare il ‘noi’ se a lavorare era ‘lei.’ E avrebbe voluto dire molte altre cose; cose che dovette inghiottire, come un boccone amaro, mordendosi le labbra, mentre lasciava il boudoir.

*

Undici rintocchi ruppero il silenzio dell’atrio. Lily non era ancora tornata. Anna, in cucina, lavava le verdure per il pranzo in una tinozza; l’acqua era talmente fredda che, nell’udire l’improvviso scampanellio dal tinello accanto, una parte di lei esultò per il sollievo. Abbandonò immediatamente le verdure, sfregando le mani, rosse come pomodori, in uno strofinaccio. Il campanello continuava a dondolare. «Arrivo... arrivo...» Anna gettò lo strofinaccio.
Pochi secondi dopo fu sulla soglia del boudoir. La zia Woodhams aveva momentaneamente lasciato lo scrittoio per godere del caminetto: se ne stava semidistesa sulla dormeuse; il cesto del ricamo, in fondo al divanetto, era aperto. Venne comunicata l’urgenza: la signora voleva del tè, e che venisse dal barattolo del darjeeling; ma prima voleva che Anna andasse a prenderle il telaio.
«L’ho dimenticato nella mia stanza. Fa’ in fretta e bada a non toccare nulla.»
Così Anna mise piede, per la prima volta, nella stanza della zia Woodhams. E la scoprì tutt’altro che peculiare: alle pareti tappezzeria color pulce, ovunque la medesima opulenza che appestava il resto della villa e, nell’aria, il profumo di fiori secchi che era un tutt’uno con la pelle e gli abiti della vedova. Era la camera di una signora, nulla di più e nulla di meno.
Anna individuò il telaio, sullo sgabello della toletta, e avanzò verso il tavolo. Nel muoversi, però, scorse la parete dietro il paravento cinese.
E vide una porta. Chiusa.
Era la porta della nursery.
Le gambe di Anna si bloccarono. La curiosità era tale che le parve di avere una corda attorno al polso. All’altro capo della corda, l’elegante pomello di bronzo intarsiato sembrava strattonarla con una dolcissima insistenza.
Non fu la forza di volontà a farla desistere. Fu un sussulto di timore ― nell’istante in cui qualcosa di leggero e freddo, come un fiocco di neve, lambì il retro del collo.
Anna si voltò di scatto, coprendo il collo con la mano.
Ma niente niente, e nessuno, poteva averla sfiorata. Era sola. Eppure, la sensazione di essere spiata divenne d'un tratto così violenta, così reale, che Anna dovette prendere tre lunghi respiri prima di sentire il cuore rallentare un poco la corsa.
Si precipitò alla toletta e agguantò il telaio, mentre gli occhi andavano al ripiano dinanzi a sé: era assediato da un’ordinata distesa di spazzole e pettini, forcine e spilloni, flaconcini di vetro colorato e scatoline di ceramica dipinta; nel mezzo, un portagioie di malachite. A catturare lo sguardo di Anna, però, fu un dagherrotipo in un cofanetto di pelle nere. L’immagine dietro al vetrino, scura e un poco sfocata, ritraeva i mezzibusti di un uomo e una donna; piuttosto giovane lei, vicino alla mezz’età lui, si tenevano sotto braccio. Il dagherrotipo doveva risalire almeno a vent’anni prima: era palese. Non solo perché il supporto era antiquato, ma sopratutto perché la donna dell’immagine era la zia Vivian. Indossava abiti chiari, una mantellina di pizzo e un cappellino a capote. In quanto all’uomo: non era lo zio Woodhams, ma un biondo gentiluomo dalla mascella quadrata, la fronte bassa e le sopracciglia diritte, catturate in un’espressione di distacco. Anche lui era abbigliato di chiaro e sfoggiava una vistosa cravatta attorno al colletto, alto fin quasi a sfiorargli il mento.
Chiunque egli fosse, se la zia ne teneva l’immagine lì, sul tavolo dove sedeva ogni mattina e ogni sera, doveva trattarsi di un uomo importante. Anna era già fuori dalla camera, mentre concludeva il pensiero, e scendendo la scala a chiocciola soppesò l’idea di domandare apertamente alla zia l’identità dell’uomo.
Ma il pensiero venne scalzato via quando Anna si rese conto di cosa aveva per le mani.
Si arrestò sull’ultimo gradino e fissò il telaio. I due cerchi tenevano fermo il fazzoletto nero che la zia stava ricamando la sera precedente; e il ricamo, incompleto, era una fantasia di fiori rossi. Anna toccò con i polpastrelli la stoffa tesa. Che una vedova preparasse per sé accessori a lutto non era sospetto, tuttavia lei non poté non ricordare i resti che aveva trovato tra la cenere del parlour, insieme al fazzoletto di Mary.
‘Stoffa nera e filo rosso.’
Quando Anna tornò nel boudoir, la zia era ancora sulla dormeuse. Le porse il telaio e la signora se ne appropriò senza smuovere lo sguardo dal fuoco.
«Posso farvi una domanda?»
Nessuna risposta.
«Ho visto che tenete un dagherrotipo sulla toletta...»
A quel punto, la signora Woodhams posò gli occhi scuri sulla nipote: uno sguardo talmente serio da risultare indecifrabile.
«Era lì. Davanti a me. Non ho potuto non vederlo» si giustificò Anna.
«E dunque?»
«L’uomo è mio zio? Intendo: l’altro mio zio. Vostro fratello minore.»
«No, sciocca. Andrew morì giovanissimo.»
«Oh, è vero. Allora, di chi si tratta?»
La signora Woodhams sistemò il telaio in grembo e prese a frugare nel cesto. «È un monito»  dichiarò, con indifferenza. Tirò via una gugliata di filo dal rocchetto. «Risale a molto, molto tempo fa.» Tacque. E poi, con un tono lievemente diverso, infuso di una fredda ponderatezza, disse: «E forse non sarà male condividerne il contenuto con te, nipote.» Un altra pausa. «Posai per quella fotografia in occasione del mio fidanzamento, ma in capo a pochi mesi il promesso sposo ebbe la sua privata epifania. Come conseguenza, io scoprii che i sentimenti molli e le passioni romantiche sono, per il matrimonio, fondamenta d’argilla. Non ho mai amato tuo zio Walter ― è vero ― né sono mai stata ignara dei suoi difetti, ma è stata una scelta saggia, la mia. Ho ottenuto una sicurezza economica che non avrei mai potuto sperare di guadagnare, percorrendo altre strade.» Tagliò il filo con le forbici della chatelaine. Lo infilò nella cruna dell’ago. «Ricorda, Anna: vivere moderatamente appagati in una comoda casa, con la dispensa piena e un camino acceso, è un’aspirazione ragionevole. L’amore è volubile, inaffidabile, passeggero. Non resiste al tempo e, sopratutto, non paga le tasse e non assicura una vecchiaia dignitosa.»
Anna fece spallucce. «Be’. Io potrò anche essere incline ai sentimenti violenti ― come dite voi. Però, il romanticismo non m’appartiene proprio.»
«Buon per te.»
«Qual è il nome del gentiluomo che vi ha insegnato tanto?»
«Era un dottore» disse la zia. «Si chiamava Joseph.» E l’ago trapassò la stoffa.
Anna nascose la sorpresa voltando il capo di lato. ‘Mallory.’ Dunque, la zia Woodhams non era stata soltanto l’assistente del dottore. Erano stati fidanzati.

*

La giornata trascorse. Lenta, quieta e sempre più fredda. Nel pomeriggio, mentre puliva le finestre del salottino del disegno, frequentato tanto di rado da aver preso un gran puzzo di polvere, Anna notò quanto fosse lugubre, quel giorno, la campagna. La terra era ingrigita dalla brina e il cielo somigliava a un oceano di nebbia. Il mondo aveva perduto colore e gli animali la voce; non un belato, non un uggiolio; solo le cornacchie, che abitavano il tetto della villa, di tanto in tanto facevano sentire il loro sgradevole vociare.
Per Anna, persino la desolazione della natura appariva invitante, se messa al confronto con le vuote stanze di Bon Fleur Place: neppure per un attimo riuscì a liberarsi della sensazione di esser spiata da occhi invisibili e, non avesse saputo ciò che effettivamente sapeva, avrebbe iniziato a credere di star perdendo il senno.
Scese la sera e dopo cena, terminate le ultime faccende, Anna e Lily si separarono sulle scale di servizio, ognuna col suo mozzicone di candela.
«Buonanotte, Lily.»
«Buonanotte, Anna. Seriamente: cerca di dormire, questa notte.»
Lily le baciò la guancia e Anna forzò un sorriso. Poi, rimase a guardare l’esile figura della cameriera che spariva nel buio dell’attico, con addosso una spossatezza fisica seconda soltanto al crescendo di angoscia annidata nel suo stomaco.
In camera, chiuse la porta a chiave, accese la lampada a olio e recuperò le copie dell’Advertiser. China sullo scrittoio, una pagina alla volta, Anna mise assieme i dettagli dell’omicidio di Gabriel’s Hill. Era avvenuto nella notte a cavallo tra il diciassette e il diciotto maggio del 1873, tra le mura di una bella villetta. Quel che al tempo aveva stupito polizia, giornalisti e opinione pubblica ― stando ai toni usati negli articoli ― fu che Alice Mallory, in trentadue anni di vita, non aveva mai dato segni di disturbi mentali. Proveniva da una famiglia sanissima ed era descritta come una donna rispettata in società, affettuosa con lo sposo e con la prole, mai tiranna con i domestici; un modello di virtù, di modestia e di temperanza. Cene e ricevimenti, pianoforte e ricamo, beneficenza e opere pie erano stati i suoi interessi. Dunque, cosa avesse innescato la follia, e l’omicidio, nell’arco di una notte restava un enigma.
L’unico cambiamento che sia il dottor Mallory, sia la governante ― miss Angela Kinney ― avevano dichiarato di aver potuto individuare fu un ‘insolito languore’ durante la settimana precedente.  L’Advertiser aveva raccolto la testimonianza di miss Kinney:

‘Si svegliava stanca. E lo trovai un poco strano, La signora Mallory è sempre stata una donna attiva. A tratti, io notai che riprendeva colore ed energie, ma mai per più di una o due ore. La maggior parte del tempo lo trascorreva quasi come una convalescente, a letto o in poltrona.’

E uno degli articoli stampati nelle settimane successive riportava le dichiarazioni della polizia:

‘In merito alle presunte visite notturne da parte del marito, la signora Mallory nella sua cieca follia ha dichiarato: «È venuto per sette notti, quando la pendola batteva le tre. Ogni notte, al terzo rintocco lui era lì, in piedi accanto al letto, e i suoi occhi erano come carboni infuocati. È sempre stata mia abitudine tenere la porta della camera bloccata dal chiavistello, eppure lui riusciva a entrare, perché era il Diavolo a dargliene il potere. Si chinava su di me. Chiamava il mio nome. Sussurrava che io dovevo lavare via la sua colpa con il sangue dei nostri bambini. E io chiudevo gli occhi. E mi tappavo le orecchie. E lo supplicavo di andare via. Ma lui restava. E io dicevo di no. Ma a ogni visita diventava più difficile oppormi, perché le mie forze diminuivano, la mia volontà si indeboliva e i miei ricordi si annebbiavano. Giuro che durante quei sette giorni, al risveglio, non ho mai avuto memoria delle sue visite. Solo adesso ricordo. E solo adesso ricordo, l’ottava notte, di essermi levata dal letto, di aver preso il coltello dalla cucina e di esser entrata nella stanza dei bambini! I miei bambini! I miei angeli! Le mie creature innocenti! Li ho uccisi io, sì, ma ero una sonnambula. Ed era lui a controllare la mia mano.»’

La penna che aveva scritto l’articolo non si era trattenuta dal concluderlo facendo elegantemente notare l’ironia della situazione: il dottor Mallory era stato rovinato dalla stessa razza d’uomini sulla quale aveva costruito la propria fortuna: i matti, i lunatici, gli alienati.
Anna si passò le mani sul volto e poi rimase a reggersi la fronte, immersa in uno sconforto dal sapore di bile. Alice Mallory aveva detto la verità. Ne era certa almeno quanto era lo era del collegamento tra l’omicidio di Gabriel’s Hill, il suicidio di Mary Tilley e la morte dello zio.
Dovette alzarsi, in fretta, e prendere a camminare, perché si sentiva vicina alla nausea; e il cuore le batteva nelle orecchie. Ora che non aveva più dubbi sull’arma del delitto, poteva puntare il dito anche contro l’assassino.








   
 
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