Capitolo
24
Rumiko
aveva paura. E nessuno avrebbe potuto biasimarla per aver desiderato
fuggire,
lasciar perdere tutto: aveva lottato contro un mostro infernale,
l’aveva
sconfitto a costo di sacrificare involontariamente molte vite, tra cui
quella
della sua amata madre. Era fuggita nel tentativo di mettere
più distanza
possibile tra lei e i ricordi dolorosi. Aveva cominciato una nuova
vita,
accanto a nuove persone.
E per
tutto quel tempo aveva portato un grande peso dentro di sé,
senza farne parola
con nessuno, con l’unica consolazione che quel incubo era
ormai finito e che un
giorno le ferite nel suo cuore si sarebbero rimarginate.
Ma
così
non era stato.
Quel
brutto sogno era tornato a farle visita, più reale che mai,
piombandole addosso
all’improvviso. Aveva scoperto ciò che i suoi
amici le tenevano nascosto: erano
dei Prescelti, esattamente come lo era stata lei.
Se a New
York si era sentita abbandonata da coloro che avrebbero dovuto essere
suoi
compagni in battaglia, a Tokyo, a un anno di distanza, si era sentita
tradita
da coloro che ormai considerava dei cari amici.
Una vocina
nella sua testa le suggerì che proprio perché li
conosceva, poteva facilmente
intuire che il motivo per cui non erano accorsi ad aiutarla in America
era che
non fossero a conoscenza della situazione.
Ma lei mise
a tacere quel sussurro interiore. Poco importava del perché
non fossero venuti
in suo soccorso. Erano i risultati a contare e le conseguenze di quella
notte
erano state raccapriccianti.
“ Non
è
che stai solo cercando un capro espiatorio?” tornò
a farsi sentire quella voce
saccente.
“
Perché
mai dovrei?!” le ringhiò contro rabbiosamente.
“
Perché
hai paura. Hai paura di ammettere a te stessa che quanto è
successo era inevitabile, date le
circostanze.”
“
Niente è
inevitabile.”
La vocina
parve sospirare in un’anticamera del suo cervello.
“
Purtroppo alle volte anche la più grande forza di
volontà risulta impotente di
fronte al Destino…e non è colpa di nessuno.
È troppo semplice scaricare accuse
su chi non può far altro che accusare il colpo. E non mi
riferisco solo ai
Prescelti.”
“ Che
vuoi
dire?”
“
Scaricare
la colpa anche su se stessi è un buon modo per mettersi al
riparo dalla verità
quando non si è in grado di accettarla.”
Piano
piano, il corpo di Rumiko si stava rilassando e quella voce stava
cominciando
ad assumere un tono e un volto familiare.
“
Rumiko”
riprese la voce “non sempre c’è un
perché nelle cose che accadono, o almeno non
una motivazione a noi comprensibile. Anzi, spesso le disgrazie
più grandi hanno
la causa più misera: il caso. Ma non ha importanza.
Perché così è la vita:
fatta di imprevisti, belli o brutti che siano. Una persona non
può farsi carico
di colpe che non ha, soprattutto non di colpe tanto pesanti.”
Lei
avrebbe voluto piangere di gioia, ma nessuna lacrima sgorgò
dai suoi occhi. Le
anime, si sa, non piangono.
“ Hai
lottato con coraggio fino ad ora, durante e fuori dalla battaglia: non
arrenderti proprio adesso. Non caricarti di fardelli non tuoi. Non
disperare
più per una tragedia che hai fatto di tutto per evitare. Non
incolpare i tuoi
amici di crimini che non hanno commesso. Liberati da queste zavorre e
ti
sentirai più leggera e forte.”
La donna
che aveva preso forma nella sua mente le sorrise.
“ Io
non
ho mai smesso di essere immensamente fiera di te.”
“
Mamma…”
Avrebbe
voluto abbracciarla, ma sapeva che anche questo le era precluso: sua
madre non
era realmente di fronte a lei, si trattava solo di
un’immagine fugace, forse
un’allucinazione. Abbassò lo sguardo, delusa e
amareggiata.
“
Torna
nel Mondo Reale, Rumiko” le disse dolcemente “
Torna da tuo padre, dai tuoi
amici…e da Yamato.”
“
Yamato?”
la guardò sbigottita.
La madre
le strizzò un occhio.
“
Persino
quaggiù è facile accorgersi che quel ragazzo
tiene molto a te.”
Nell’Oblivion
World l’infrangersi di alcune bollicine sulla superficie
dello Specchio destò
la curiosità di Kitsunemon.
Rumiko
doveva aver esalato un sospiro e la sua espressione era cambiata. Aveva
forse
avvertito qualcosa di nuovo dal Mondo Reale?
Il Digimon
studiò la sua espressione e notò che qualcosa in
lei era cambiato: il volto
contratto dalla paura e le mani quasi artigliate alle gambe strette al
petto
avevano lasciato spazio a un atteggiamento affranto. Gli angoli della
bocca
erano leggermente piegati all’ingiù, i muscoli
più rilassati, le braccia
sottili avvolte alle gambe non in un gesto spasmodico ma in un semplice
abbraccio sconsolato, come a volersi cullare.
Kitsunemon
fremette: quella era senza dubbio una novità nello Specchio
del Limbo, in cui
gli unici sentimenti ammessi erano l’odio, la paura, la
vendetta e quanto di
più corruttibile potesse risiedere nel cuore di una
creatura. Quella che vedeva
riflessa nel volto della sua Prescelta era piuttosto la solitudine e
l’amaro
senso di nostalgia verso qualcosa o qualcuno cui teneva e che
– Kitsunemon ne
era certa – la stava richiamando a sé a gran voce.
“ Dal
posto in cui ti trovi…” le sussurrò
Rumiko, pensierosa “puoi vedere cosa accade
nel Mondo Reale?”
Ricordava
perfettamente in quali circostanze avesse perso la vita: Alptraumon era
tornato
e non dubitava che fosse intenzionato a portare a termine quanto non
era
riuscito a fare un anno prima. Ricordava come Sandmannmon avesse
posseduto il
corpo di quella ragazza che aveva fatto irruzione in casa sua. Ma
poi…che era
accaduto?
Corrugò
la
fronte, nel tentativo di mettere a fuoco i ricordi, annaspando in un
groviglio
di pensieri confusi.
Emi le
sorrise gentilmente.
“
Perché
non ci provi tu?”
“
Io?”
La donna
annuì tranquillamente.
Erano
poche le cose su cui Rumiko poteva essere sicura riguardo la sua
attuale
situazione: innanzitutto che non si trovava nel Mondo Reale, ma nemmeno
nell’Aldilà, poiché avvertiva una
grande distanza tra lei e sua madre. Ma oltre
allo spazio fisico, era sicura vi fosse qualcos’altro che le
separava: erano diverse.
“
Mamma…io
non sono morta…vero?”
Emi scosse
il capo, continuando a sorriderle con serenità.
Non
percepiva il suo corpo e lo spazio attorno a lei era vuoto. Non lo
percepiva né
ostile né piacevole. Semplicemente un ambiente neutro.
Tuttavia
ricordava di esser stata attaccata da Sandmannmon e di aver risvegliato
Angstmon, rinchiuso dentro di lei. Fremette di rabbia e frustrazione
all’idea
di aver dato involontariamente asilo a quel mostro per un anno intero.
“ Ma
come
Diavolo ha fatto a…”
Scosse il
capo con decisione. Una cosa alla volta: innanzitutto doveva capire
dove si
trovava e in che stato.
Aveva
sentito il suo cuore spezzarsi sotto il peso delle parole di
Sandmannmon. Ma
non l’aveva ferita fisicamente e le parole non avevano mai
ucciso nessuno…
Allora perché si trovava lì? Perché
sentiva di essersi separata dal suo corpo?
Che fosse
tutta un’illusione del digimon? Che bastasse aprire gli occhi
per ritrovarsi
sul pavimento della sua cucina?
Aveva la
sensazione di conoscere la risposta a questi interrogativi, eppure ogni
volta
che credeva di scorgerla questa le sfuggiva.
Altre
bollicine e un’altra espressione sul viso, questa volta
corrucciata. Kitsunemon
avrebbe voluto fare i salti di gioia: Rumiko stava cominciando a
reagire.
“
Mamma,
tu sai dove mi trovo?”
La donna
annuì.
“
Allora
dimmelo, ti prego!”
Emi scosse
tristemente il capo.
“ Non
posso, cara…”
“
Perché?
Perché non puoi, mamma?!” le chiese
disperatamente.
“
Perché
non mi è concesso…”
Rumiko
serrò le labbra, frustrata.
Aveva
bisogno di aiuto. Doveva capire. Doveva sapere.
A chi
poteva chiedere? Chi avrebbe saputo consigliarla? Ma
soprattutto…chi l’avrebbe
sentita?
“…to…”
Mimi si
fermò. Tese le orecchie. Nulla. Eppure le pareva di aver
udito una voce, simile
a un eco lontano.
-
Tutto bene,
Mimi? –
Lei si
voltò a guardare il sacerdote.
Erano da
poco arrivati al Tempio e subito erano stati accolti da un anziano
monaco, che
si era presentato loro col nome di Hisashi. Yamato si era comportato in
maniera
piuttosto strana, ghignando e rivolgendosi all’uomo come se
lo conoscesse già,
ma mostrandosi ugualmente rispettoso nei suoi confronti. Con grande
sollievo di
Mimi, l’uomo aveva riso dei modi del biondo, rivolgendosi al
ragazzo come se
pure lui lo conoscesse già.
Poi si era
rivolto agli altri, apparentemente indifferente al fatto di trovarsi di
fronte
due digimon e apostrofando tutti per nome senza che si fossero
presentati. Una
cosa che aveva lasciato a bocca aperta la compagnia e allargato il
sorriso sul
volto costellato di rughe. Il sacerdote si era poi portato un dito
sulla fronte
con fare significativo. Il cuore di Mimi aveva perso un battito per
l’emozione
e l’uomo le aveva ammiccato: anche lui poteva leggere i
pensieri delle persone.
Ora
stavano camminando per i corridoi del Tempio, preceduti da Hisashi.
-
Sì,
tutto bene, signore… -
-
Hisashi
– la corresse gentilmente
lui.
-
Hisashi…
- ripeté lei.
Lui
annuì
e si rimise in testa al gruppo.
-
Questo
Tempio… - spezzò il silenzio
Masahiro – A quale divinità è dedicato?
–
-
Al dio Inari
–
Masahiro
annuì.
-
Il kami della
fertilità,
dell’agricoltura, dell’industria e del successo
terreno…-
-
L’avevi
intuito, non è vero amico
mio? –
Non era
una domanda, ma palesemente un’affermazione. Ciò
nonostante il camionista
annuì.
-
Avevo notato le
kitsune a guardia
dell’ingresso… -
Yamato
rizzò impercettibilmente la schiena: il digimon di Rumiko
aveva l’aspetto delle
kitsune, le leggendarie volpi messaggere di Inari. E si era dimostrato
altrettanto enigmatico. Prese appunto mentalmente di quella
constatazione.
Voltandosi
incontrò la fronte corrugata di Hisashi: ipotizzò
che il sacerdote fosse di
nuovo riuscito a carpire solo frammenti dei suoi pensieri riguardanti
Rumiko.
Ghignò soddisfatto.
L’anziano
tornò a rivolgersi a Masahiro.
-
Le kitsune, mio
caro Masahiro, si
dice che abbiano protetto il Tempio in periodo di guerra. E non mi
riferisco a
quelle riproduzioni in pietra… -
-
Che significa?
– domandò Gabumon –
Credevo che le kitsune fossero volpi leggendarie,
fantasticherie… -
-
Fantasticherie?
– gli sorrise l’anziano
– Curioso che sia proprio tu a fare
quest’osservazione. Non sei forse tu
stesso, in quanto abitante di un’altra dimensione parallela
alla nostra, una
creatura chimerica per la maggior parte degli Umani? Eppure sei qua, in
carne e
ossa di fronte a me. – gli accarezzò gentilmente
il capo – Nel giro di diversi
secoli le storie tramandate oralmente sono state storpiate e hanno
perso i
contorni, portando fino a noi solo pallide immagini di ciò
che è stato. Ma
tutte queste storie concordano sul fatto che le kitsune siano creature
misteriose, che agiscono in maniera spesso oscura. Sovente ingannano le
persone
tramite illusioni, si dice che possano entrare nei sogni e
persino… piegare il
tempo e lo spazio… -
Si rivolse
a Palmon, che li fissava colma di meraviglia.
-
Non mi stupirei
troppo se fossero in
grado di viaggiare attraverso i mondi. Voi vi servite di portali,
spesso aperti
tramite computer, giusto? Beh loro non hanno bisogno di altri mezzi se
non il
loro immenso potere –
-
Sembri
conoscerle bene, Hisashi… - lo
punzecchiò Yamato.
-
Ammetto che
l’argomento mi ha sempre
affascinato molto. – si rizzò il sacerdote,
guardando con occhio compiaciuto il
ragazzo – Dunque ogni volta che ne ho avuto occasione mi sono
informato di più
sull’argomento. –
-
Immagino non si
riferisca solo ai
libri ammuffiti di una biblioteca. –
-
Yamato!
– lo rimproverò Mimi.
-
Yamato ha
ragione, Mimi – le sorrise
cordialmente Hisashi – I libri sono nulla in confronto a
un’esperienza dal
vivo, direttamente a contatto con l’oggetto dei tuoi studi
–
-
E immagino che
tale “contatto” sia
avvenuto a New York, diciamo…un anno fa? –
Il
sacerdote rimase un attimo basito e Yamato se ne accorse.
-
Molto bene,
Hisashi – sorrise
trionfante, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans neri e
poggiandosi a una
parete – Credo che venire fino qua sia stata
un’ottima idea –
L’uomo
sospirò sconfitto: nei pensieri del giovane
c’erano troppi buchi neri perché
potesse decifrarli. Evidentemente il motivo per cui era venuto al
Tempio aveva
a che fare con gli eventi accaduti in America un anno addietro. Ma che
correlazione poteva avere tutto ciò con le kitsune, cui il
biondo sembrava
stranamente interessato?
-
Ammetto che hai
stuzzicato la mia
curiosità, Yamato. Ma ogni cosa a suo tempo. – si
rivolse a tutta la compagnia
– Vi devo pregare di attendere in questa sala fino al mio
ritorno. –
Mimi parve
turbata, forse all’idea di poter perdere il
“maestro” che l’avrebbe istruita
sul suo potere.
-
Tornerai presto,
vero Hisashi? –
Lui rise
gentilmente della sua preoccupazione.
-
Tranquilla Mimi,
mi assento il tempo
di portarvi una bevanda da me appositamente preparata
affinché i tuoi amici
rimangano svegli. Poi potremo parlare del tuo nuovo potere e delle voci
che
senti…anche di quella debole che hai udito pochi minuti fa.
–
Lei
arrossì, imbarazzata per non esser stata onesta.
-
Ma… -
esitò – sarà stato il pensiero
di qualche donna nel Tempio… -
L’anziano
scosse il capo.
-
L’unico
sveglio nel Tempio sono io… -
e si allontanò, lasciandoli soli.
Mimi
corrugò la fronte: non aveva nemmeno capito cosa avesse
detto. Tentò di
concentrarsi, tentando di ricordare quella voce fievole.
-
Mimi,
cosa…? –
-
Silenzio,
Palmon, ho bisogno di
concentrarmi… - le disse gentilmente ma in tono fermo.
Chiuse gli
occhi, tentando di isolarsi da tutto ciò che la circondava.
Eppure le sue
orecchie captavano ogni più debole suono: il respiro dei
presenti, il fischio
del vento all’esterno, l’armeggiare di Hisashi con
tazze e tegami della stanza
accanto… Avrebbe dovuto tapparsi le orecchie per non sentire
nulla di tutto ciò
e permettere alla mente di afferrare quello che i suoi sensi non
potevano.
Non aveva
mai dovuto sforzarsi di “sentire” qualcosa, i
pensieri delle persone le erano
sempre giunti automaticamente, senza che lei li cercasse. Per di
più non sapeva
a chi appartenesse quella voce, dunque come l’avrebbe
trovata? Era come
lanciare un arpione tra le onde del mare sperando che là
sotto vi fosse un
pesce.
La
similitudine le fece venire in mente un’idea: se arpionarlo
era difficile,
quasi impossibile, allora avrebbe teso una rete, attendendo che il
pesce vi
rimanesse impigliato. Non aveva idea di come applicare questo piano
strampalato, dunque fece l’unica cosa che le venne in mente:
immaginò veramente
di stendere una grande rete tutto attorno a lei, diramando il suo
pensiero in
tutta la stanza, dilatando il più possibile la sua
percezione. Tenne gli occhi
chiusi, timorosa che se li avesse aperti quella maglia si sarebbe
dissolta.
“…to…”
Eccola.
“…uto…”
Si
concentrò maggiormente, stringendo la rete attorno a quelle
parole fluttuanti.
“…aiuto…”
Ora
riusciva a captarla con più facilità. Era senza
dubbio una donna…e a Mimi
sovvenne una strana sensazione di dejà vu. Dove
l’aveva già sentita? Ma
soprattutto, a chi apparteneva?
Anche se
più chiara, sembrava sempre provenire da un luogo molto
lontano. Ma quanto? Che
provenisse dalla città sottostante? O
dall’ospedale? Eppure fino a quel momento
era stata in grado di percepire i pensieri solo delle persone nelle
immediate
vicinanze. Che le sue capacità si fossero sviluppate fino a
quel punto?
Non aveva
mai provato a comunicare mentalmente con qualcuno, ma decise di
tentare.
“ Dove
sei?”
Silenzio.
Nessuna risposta. Poi…
“…non
lo
so…”
Mimi
sobbalzò per la sorpresa e quasi aprì gli occhi.
S’impose di mantenere la calma
e non perdere la concentrazione.
“
Perché
hai bisogno di aiuto?”
“…perché
non so dove mi trovo…”
“ Chi
sei?”
Nessuna
risposta. Mimi ipotizzò che la donna fosse indecisa se dirle
o meno il suo
nome. Non poteva darle tutti i torti, in effetti: se già si
trovava in difficoltà,
sarebbe stato imprudente fidarsi di una completa estranea.
“
Ascolta…posso capire che non ti fidi di me, dato che non sai
chi sono. Forse
quello che sto per dirti per te non avrà alcun significato,
ma mi chiamo Mimi
Tachigawa e sono una digiprescelta”
Di nuovo
silenzio.
“
Ancora
non ci capisco nulla in questa storia, lo ammetto, ma se me lo
concederai farò
di tutto per aiutarti. Fidati di me!”
“…mi
chiamo Rumiko Kitamura…”
Mimi
svenne.
Riaprì
gli
occhi, lentamente. Si trovava ancora nella stanza di prima, stesa sul
pavimento.
Le ci
vollero alcuni secondi per fare mente locale, poi si lasciò
sfuggire un urlo
per la sorpresa, portandosi entrambe le mani a tappare la bocca.
Di fronte
a lei, i compagni la guardavano sconvolti e preoccupati. Hisashi era
inginocchiato
davanti a lei, attento e pensieroso.
-
Mimi, che
è successo? – le accarezzò
una gamba Palmon, in apprensione.
Ma la
ragazza non rispose, gli occhi sgranati e colmi di lacrime che
esitavano a
scendere, lo sguardo perso nel vuoto.
-
Mimi…
-
I richiami
ansiosi del digimon la riportarono alla realtà e
abbassò le palpebre, lasciando
che le lacrime rigassero le guance.
Trasse un
profondo respiro, poi riaprì gli occhi, voltandosi verso
Yamato.
-
Yamato…
Ho udito una voce, una voce
lontana, simile a un eco… -
Lui
l’ascoltava senza battere ciglio.
-
Invocava
aiuto…le ho chiesto perché…mi
ha detto che non sa dove si trova…le ho chiesto come si
chiama… -
Mimi
trasse un profondo respiro.
-
Rumiko Kitamura
–
Yamato non
si mosse. Assaporò quel momento di silenzio, in cui nulla si
udiva, fuorché il
sibilare del vento all’esterno.
Il
vento…
Immaginò i lunghi capelli color caramello di Rumiko
ondeggiare nella brezza,
leggeri e fluidi come onde calde. Immaginò di catturarne una
ciocca per farla
scorrere tra le dita, morbida al tatto. Immaginò le sue
esili spalle tremare
impercettibilmente per la corrente fredda e il suo volto corrucciato:
di sicuro
quel luogo ventoso era una trovata di Yamato, che per farle una
sorpresa non le
aveva detto di vestirsi più pensante. Immaginò di
trovarsi in cima a una
scogliera: di fronte a loro il mare blu, dietro di loro il bosco verde.
Immaginò di sorriderle e stringerla tra le sue braccia: lei
dapprima avrebbe
protestato un po’, poi di sarebbe lasciata andare,
accoccolandosi contro il suo
petto caldo. Immaginò la testa di lei poggiata comodamente
sulla sua spalla e
la sua reclinata sul capo di lei: i suoi capelli profumavano di
lavanda. Immaginò
di sfiorarle il collo candido con le labbra, procurandole un leggero
brivido di
piacere, per poi risalire più su, accarezzandole il mento e
giungendo infine
alle sue labbra rosee. Immaginò di perdersi in quel attimo
di pace solo per
loro, inebriandosi del suo profumo e traendo piacere dal suo corpo
esile
abbandonato al suo.
L’avrebbe
protetta, sempre. A qualunque costo. Per tutto ciò che era,
per le sensazioni
uniche e meravigliose che sapeva regalargli, per i momenti di lite e
per quelli
di serenità. Perché una volta vista la luce, non
poteva più accontentarsi di
vivere nella penombra. Perché con lei tutto aveva un senso e
senza di lei
niente più ne aveva. Perché la amava.
Riemerse
dai suoi pensieri e tornò a rivolgere la sua attenzione a
Mimi, che lo fissava
in attesa di una reazione.
Le sorrise
rassicurante e sereno come non lo era da diversi giorni.
-
Lo sapevo
– le disse in tono calmo.
-
Come?!
–
-
Lo sapevo, Mimi
–
-
Ho capito
cos’hai detto, non sono
sorda! – rispose la ragazza, cui la compostezza
dell’amico di fronte a una tale
sconvolgente rivelazione stava facendo perdere quella poca calma che
aveva
mantenuto fino ad allora – Ma come facevi a sapere che non
era morta?! –
-
Me
l’ha detto la sua kitsune –
ammiccò a un esterrefatto Hisashi.
Mimi
scosse tragicamente il capo.
-
Tu sei tutto
matto…seriamente,
Yamato, credo che quel incidente in moto ti abbia mandato fuori di
testa… -
-
Pensala come
vuoi – alzò le spalle il
biondo, con fare indifferente – ma io non ho mai creduto che
lei fosse morta…non
del tutto se non altro…e a quanto pare avevo ragione
–
-
E cosa
c’entra la kitsune? –
-
È il
suo digimon, Mimi…ha le
sembianze di una kitsune ed è stata lei a dirmi di avere
fiducia. –
-
Questa
è bella, il cinico Yamato
Ishida che ha fiducia…non
ci credo
nemmeno se lo vedo! – replicò lei, tagliente.
Lui la
trafisse con uno sguardo glaciale, zittendo sul nascere ogni battutina.
-
Io ho fiducia in lei.
Non credo
che tornerà in questo mondo, ne sono sicuro.
E, dati i precedenti – aggiunse, in tono velenoso –
direi che tu sei l’ultima
persona a potersi permettere un commento al riguardo, non trovi?
–
Mimi
deglutì nervosamente.
-
N-non p-potevo
fare n-nulla… -
balbettò.
-
Lo so, Mimi, lo
so…la prima volta
avresti dovuto avvertirci di quanto stava accadendo a New York ma non
hai potuto…la seconda
hai tentato di
ucciderla per risvegliare Angstmon e non hai potuto
opporti… - le sollevò il mento con un dito, per
costringerla
a guardarlo negli occhi – Dopo tutto quello che è
successo, lei è ancora viva,
da qualche parte, e chiede aiuto per tornare qua. Come si suol dire,
non c’è
due senza tre, giusto? Il Destino sembra abbia voluto metterti alla
prova, cara
Mimi…ma la domanda ora è: questa volta, potrai
aiutarla? E bada: lei sa chi è
E detto
questo s’alzò, lasciando una piangente Mimi seduta
a terra.
-
Yamato!
–
Il biondo
sedeva ai piedi di un salice nel cortile del Tempio. Si
voltò verso il suo
digimon.
-
Dimmi, Gabumon.
–
-
Non ti pare di
aver esagerato? – lo
rimproverò.
Il biondo
scosse il capo.
-
No, non credo
proprio. Anzi, un
giorno me ne sarà grata. –
Il digimon
lo guardò perplesso e Yamato lo invitò a sedersi
accanto a sé.
-
Vedi, Gabumon,
per quanto
teoricamente quanto è successo non sia colpa sua, sta di
fatto che lei si trova
coinvolta in questo grande pasticcio. Non ho detto che sia tutta opera
sua, ma
è innegabile che non può chiamarsene fuori
semplicemente dicendo che non poteva
fare altrimenti. Soprattutto non
di fronte a Rumiko, che prima ha dovuto cavarsela da sola senza il suo
aiuto,
poi ha addirittura dovuto difendersi dai suoi attacchi. –
Sospirò.
-
Rumiko ci odia,
sai, Gabumon? Odia me
e tutti gli altri Prescelti. Ma più di tutti credo che odi
Mimi, perché si
trovava a New York e avrebbe potuto correre in suo soccorso per prima.
Ovunque
si trovi adesso, sono sicuro che sta cominciando a capire come sono
andate
realmente le cose, del perché Mimi non si sia comportata
come avrebbe dovuto.
Ma se io fossi in lei, non potrei comunque fidarmi di persone che mi
hanno già
abbandonata una volta, lasciandomi da solo ad affrontare un nemico
tanto
potente, a sobbarcarmi il peso del dolore per la morte di tante
persone,
persino di mia madre…in particolare, non potrei fidarmi di
Mimi. –
Gabumon
annuì tristemente.
-
Eppure lei le ha
rivelato il suo
nome…ha voluto fidarsi
di Mimi,
dunque lei dovrà
aiutarla, non
esistono “non posso” questa volta. Ed è
bene che se lo metta bene in testa, che
si assuma le sue responsabilità per quello che è
successo e faccia tutto il
possibile per porvi rimedio. –
-
E tu, Yamato?
Che farai? –
-
Io? –
gli sorrise il biondo – Io farò
anche l’impossibile per
riaverla. –
Continua…
N.d.a:
I
“kami”
sono le “divinità” in giapponese.
Chiedo
scusa per le imprecisioni, esagerazioni ed errori, che sicuramente
saranno
molti.
Per quanto
riguarda i contenuti, come avrete intuito siamo entrati nel vivo della
storia:
l’intreccio è arrivato al culmine, i protagonisti
stanno per mettere le mani
nella matassa degli avvenimenti, pronti a snodarla e trovarne il capo.
È solo
questione di giorni.
Spero
continuerete a leggere e commentare, nonostante le LUNGHE pause tra una
pubblicazione e l’altra.
Buon
proseguimento di lettura.
Monalisasmile