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Autore: monalisasmile    27/10/2016    0 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 24

 

Rumiko aveva paura. E nessuno avrebbe potuto biasimarla per aver desiderato fuggire, lasciar perdere tutto: aveva lottato contro un mostro infernale, l’aveva sconfitto a costo di sacrificare involontariamente molte vite, tra cui quella della sua amata madre. Era fuggita nel tentativo di mettere più distanza possibile tra lei e i ricordi dolorosi. Aveva cominciato una nuova vita, accanto a nuove persone.

E per tutto quel tempo aveva portato un grande peso dentro di sé, senza farne parola con nessuno, con l’unica consolazione che quel incubo era ormai finito e che un giorno le ferite nel suo cuore si sarebbero rimarginate.

Ma così non era stato.

Quel brutto sogno era tornato a farle visita, più reale che mai, piombandole addosso all’improvviso. Aveva scoperto ciò che i suoi amici le tenevano nascosto: erano dei Prescelti, esattamente come lo era stata lei.

Se a New York si era sentita abbandonata da coloro che avrebbero dovuto essere suoi compagni in battaglia, a Tokyo, a un anno di distanza, si era sentita tradita da coloro che ormai considerava dei cari amici.

Una vocina nella sua testa le suggerì che proprio perché li conosceva, poteva facilmente intuire che il motivo per cui non erano accorsi ad aiutarla in America era che non fossero a conoscenza della situazione.

Ma lei mise a tacere quel sussurro interiore. Poco importava del perché non fossero venuti in suo soccorso. Erano i risultati a contare e le conseguenze di quella notte erano state raccapriccianti.

“ Non è che stai solo cercando un capro espiatorio?” tornò a farsi sentire quella voce saccente.

“ Perché mai dovrei?!” le ringhiò contro rabbiosamente.

“ Perché hai paura. Hai paura di ammettere a te stessa che quanto è successo era inevitabile, date le circostanze.”

“ Niente è inevitabile.”

La vocina parve sospirare in un’anticamera del suo cervello.

“ Purtroppo alle volte anche la più grande forza di volontà risulta impotente di fronte al Destino…e non è colpa di nessuno. È troppo semplice scaricare accuse su chi non può far altro che accusare il colpo. E non mi riferisco solo ai Prescelti.”

“ Che vuoi dire?”

“ Scaricare la colpa anche su se stessi è un buon modo per mettersi al riparo dalla verità quando non si è in grado di accettarla.”

Piano piano, il corpo di Rumiko si stava rilassando e quella voce stava cominciando ad assumere un tono e un volto familiare.

“ Rumiko” riprese la voce “non sempre c’è un perché nelle cose che accadono, o almeno non una motivazione a noi comprensibile. Anzi, spesso le disgrazie più grandi hanno la causa più misera: il caso. Ma non ha importanza. Perché così è la vita: fatta di imprevisti, belli o brutti che siano. Una persona non può farsi carico di colpe che non ha, soprattutto non di colpe tanto pesanti.”

Lei avrebbe voluto piangere di gioia, ma nessuna lacrima sgorgò dai suoi occhi. Le anime, si sa, non piangono.

“ Hai lottato con coraggio fino ad ora, durante e fuori dalla battaglia: non arrenderti proprio adesso. Non caricarti di fardelli non tuoi. Non disperare più per una tragedia che hai fatto di tutto per evitare. Non incolpare i tuoi amici di crimini che non hanno commesso. Liberati da queste zavorre e ti sentirai più leggera e forte.”

La donna che aveva preso forma nella sua mente le sorrise.

“ Io non ho mai smesso di essere immensamente fiera di te.”

“ Mamma…”

Avrebbe voluto abbracciarla, ma sapeva che anche questo le era precluso: sua madre non era realmente di fronte a lei, si trattava solo di un’immagine fugace, forse un’allucinazione. Abbassò lo sguardo, delusa e amareggiata.

“ Torna nel Mondo Reale, Rumiko” le disse dolcemente “ Torna da tuo padre, dai tuoi amici…e da Yamato.”

“ Yamato?” la guardò sbigottita.

La madre le strizzò un occhio.

“ Persino quaggiù è facile accorgersi che quel ragazzo tiene molto a te.”

 

Nell’Oblivion World l’infrangersi di alcune bollicine sulla superficie dello Specchio destò la curiosità di Kitsunemon.

Rumiko doveva aver esalato un sospiro e la sua espressione era cambiata. Aveva forse avvertito qualcosa di nuovo dal Mondo Reale?

Il Digimon studiò la sua espressione e notò che qualcosa in lei era cambiato: il volto contratto dalla paura e le mani quasi artigliate alle gambe strette al petto avevano lasciato spazio a un atteggiamento affranto. Gli angoli della bocca erano leggermente piegati all’ingiù, i muscoli più rilassati, le braccia sottili avvolte alle gambe non in un gesto spasmodico ma in un semplice abbraccio sconsolato, come a volersi cullare.

Kitsunemon fremette: quella era senza dubbio una novità nello Specchio del Limbo, in cui gli unici sentimenti ammessi erano l’odio, la paura, la vendetta e quanto di più corruttibile potesse risiedere nel cuore di una creatura. Quella che vedeva riflessa nel volto della sua Prescelta era piuttosto la solitudine e l’amaro senso di nostalgia verso qualcosa o qualcuno cui teneva e che – Kitsunemon ne era certa – la stava richiamando a sé a gran voce.

 

“ Dal posto in cui ti trovi…” le sussurrò Rumiko, pensierosa “puoi vedere cosa accade nel Mondo Reale?”

Ricordava perfettamente in quali circostanze avesse perso la vita: Alptraumon era tornato e non dubitava che fosse intenzionato a portare a termine quanto non era riuscito a fare un anno prima. Ricordava come Sandmannmon avesse posseduto il corpo di quella ragazza che aveva fatto irruzione in casa sua. Ma poi…che era accaduto?

Corrugò la fronte, nel tentativo di mettere a fuoco i ricordi, annaspando in un groviglio di pensieri confusi.

Emi le sorrise gentilmente.

“ Perché non ci provi tu?”

“ Io?”

La donna annuì tranquillamente.

Erano poche le cose su cui Rumiko poteva essere sicura riguardo la sua attuale situazione: innanzitutto che non si trovava nel Mondo Reale, ma nemmeno nell’Aldilà, poiché avvertiva una grande distanza tra lei e sua madre. Ma oltre allo spazio fisico, era sicura vi fosse qualcos’altro che le separava: erano diverse.

“ Mamma…io non sono morta…vero?”

Emi scosse il capo, continuando a sorriderle con serenità.

Non percepiva il suo corpo e lo spazio attorno a lei era vuoto. Non lo percepiva né ostile né piacevole. Semplicemente un ambiente neutro.

Tuttavia ricordava di esser stata attaccata da Sandmannmon e di aver risvegliato Angstmon, rinchiuso dentro di lei. Fremette di rabbia e frustrazione all’idea di aver dato involontariamente asilo a quel mostro per un anno intero.

“ Ma come Diavolo ha fatto a…”

Scosse il capo con decisione. Una cosa alla volta: innanzitutto doveva capire dove si trovava e in che stato.

Aveva sentito il suo cuore spezzarsi sotto il peso delle parole di Sandmannmon. Ma non l’aveva ferita fisicamente e le parole non avevano mai ucciso nessuno… Allora perché si trovava lì? Perché sentiva di essersi separata dal suo corpo?

Che fosse tutta un’illusione del digimon? Che bastasse aprire gli occhi per ritrovarsi sul pavimento della sua cucina?

Aveva la sensazione di conoscere la risposta a questi interrogativi, eppure ogni volta che credeva di scorgerla questa le sfuggiva.

 

Altre bollicine e un’altra espressione sul viso, questa volta corrucciata. Kitsunemon avrebbe voluto fare i salti di gioia: Rumiko stava cominciando a reagire.

 

“ Mamma, tu sai dove mi trovo?”

La donna annuì.

“ Allora dimmelo, ti prego!”

Emi scosse tristemente il capo.

“ Non posso, cara…”

“ Perché? Perché non puoi, mamma?!” le chiese disperatamente.

“ Perché non mi è concesso…”

Rumiko serrò le labbra, frustrata.

Aveva bisogno di aiuto. Doveva capire. Doveva sapere.

A chi poteva chiedere? Chi avrebbe saputo consigliarla? Ma soprattutto…chi l’avrebbe sentita?  

 

“…to…”

Mimi si fermò. Tese le orecchie. Nulla. Eppure le pareva di aver udito una voce, simile a un eco lontano.

-      Tutto bene, Mimi? –

Lei si voltò a guardare il sacerdote.

Erano da poco arrivati al Tempio e subito erano stati accolti da un anziano monaco, che si era presentato loro col nome di Hisashi. Yamato si era comportato in maniera piuttosto strana, ghignando e rivolgendosi all’uomo come se lo conoscesse già, ma mostrandosi ugualmente rispettoso nei suoi confronti. Con grande sollievo di Mimi, l’uomo aveva riso dei modi del biondo, rivolgendosi al ragazzo come se pure lui lo conoscesse già.

Poi si era rivolto agli altri, apparentemente indifferente al fatto di trovarsi di fronte due digimon e apostrofando tutti per nome senza che si fossero presentati. Una cosa che aveva lasciato a bocca aperta la compagnia e allargato il sorriso sul volto costellato di rughe. Il sacerdote si era poi portato un dito sulla fronte con fare significativo. Il cuore di Mimi aveva perso un battito per l’emozione e l’uomo le aveva ammiccato: anche lui poteva leggere i pensieri delle persone.

Ora stavano camminando per i corridoi del Tempio, preceduti da Hisashi.

-      Sì, tutto bene, signore… -

-      Hisashi – la corresse gentilmente lui.

-      Hisashi… - ripeté lei.

Lui annuì e si rimise in testa al gruppo.

-      Questo Tempio… - spezzò il silenzio Masahiro – A quale divinità è dedicato? –

-      Al dio Inari –

Masahiro annuì.

-      Il kami della fertilità, dell’agricoltura, dell’industria e del successo terreno…-

-      L’avevi intuito, non è vero amico mio? –

Non era una domanda, ma palesemente un’affermazione. Ciò nonostante il camionista annuì.

-      Avevo notato le kitsune a guardia dell’ingresso… -

Yamato rizzò impercettibilmente la schiena: il digimon di Rumiko aveva l’aspetto delle kitsune, le leggendarie volpi messaggere di Inari. E si era dimostrato altrettanto enigmatico. Prese appunto mentalmente di quella constatazione.

Voltandosi incontrò la fronte corrugata di Hisashi: ipotizzò che il sacerdote fosse di nuovo riuscito a carpire solo frammenti dei suoi pensieri riguardanti Rumiko. Ghignò soddisfatto.

L’anziano tornò a rivolgersi a Masahiro.

-      Le kitsune, mio caro Masahiro, si dice che abbiano protetto il Tempio in periodo di guerra. E non mi riferisco a quelle riproduzioni in pietra… -

-      Che significa? – domandò Gabumon – Credevo che le kitsune fossero volpi leggendarie, fantasticherie… -

-      Fantasticherie? – gli sorrise l’anziano – Curioso che sia proprio tu a fare quest’osservazione. Non sei forse tu stesso, in quanto abitante di un’altra dimensione parallela alla nostra, una creatura chimerica per la maggior parte degli Umani? Eppure sei qua, in carne e ossa di fronte a me. – gli accarezzò gentilmente il capo – Nel giro di diversi secoli le storie tramandate oralmente sono state storpiate e hanno perso i contorni, portando fino a noi solo pallide immagini di ciò che è stato. Ma tutte queste storie concordano sul fatto che le kitsune siano creature misteriose, che agiscono in maniera spesso oscura. Sovente ingannano le persone tramite illusioni, si dice che possano entrare nei sogni e persino… piegare il tempo e lo spazio… -

Si rivolse a Palmon, che li fissava colma di meraviglia.

-      Non mi stupirei troppo se fossero in grado di viaggiare attraverso i mondi. Voi vi servite di portali, spesso aperti tramite computer, giusto? Beh loro non hanno bisogno di altri mezzi se non il loro immenso potere –

-      Sembri conoscerle bene, Hisashi… - lo punzecchiò Yamato.

-      Ammetto che l’argomento mi ha sempre affascinato molto. – si rizzò il sacerdote, guardando con occhio compiaciuto il ragazzo – Dunque ogni volta che ne ho avuto occasione mi sono informato di più sull’argomento. –

-      Immagino non si riferisca solo ai libri ammuffiti di una biblioteca. –

-      Yamato! – lo rimproverò Mimi.

-      Yamato ha ragione, Mimi – le sorrise cordialmente Hisashi – I libri sono nulla in confronto a un’esperienza dal vivo, direttamente a contatto con l’oggetto dei tuoi studi –

-      E immagino che tale “contatto” sia avvenuto a New York, diciamo…un anno fa? –

Il sacerdote rimase un attimo basito e Yamato se ne accorse.

-      Molto bene, Hisashi – sorrise trionfante, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans neri e poggiandosi a una parete – Credo che venire fino qua sia stata un’ottima idea –

L’uomo sospirò sconfitto: nei pensieri del giovane c’erano troppi buchi neri perché potesse decifrarli. Evidentemente il motivo per cui era venuto al Tempio aveva a che fare con gli eventi accaduti in America un anno addietro. Ma che correlazione poteva avere tutto ciò con le kitsune, cui il biondo sembrava stranamente interessato?

-      Ammetto che hai stuzzicato la mia curiosità, Yamato. Ma ogni cosa a suo tempo. – si rivolse a tutta la compagnia – Vi devo pregare di attendere in questa sala fino al mio ritorno. –

Mimi parve turbata, forse all’idea di poter perdere il “maestro” che l’avrebbe istruita sul suo potere.

-      Tornerai presto, vero Hisashi? –

Lui rise gentilmente della sua preoccupazione.

-      Tranquilla Mimi, mi assento il tempo di portarvi una bevanda da me appositamente preparata affinché i tuoi amici rimangano svegli. Poi potremo parlare del tuo nuovo potere e delle voci che senti…anche di quella debole che hai udito pochi minuti fa. –

Lei arrossì, imbarazzata per non esser stata onesta.

-      Ma… - esitò – sarà stato il pensiero di qualche donna nel Tempio… -

L’anziano scosse il capo.

-      L’unico sveglio nel Tempio sono io… - e si allontanò, lasciandoli soli.

Mimi corrugò la fronte: non aveva nemmeno capito cosa avesse detto. Tentò di concentrarsi, tentando di ricordare quella voce fievole.

-      Mimi, cosa…? –

-      Silenzio, Palmon, ho bisogno di concentrarmi… - le disse gentilmente ma in tono fermo.

Chiuse gli occhi, tentando di isolarsi da tutto ciò che la circondava. Eppure le sue orecchie captavano ogni più debole suono: il respiro dei presenti, il fischio del vento all’esterno, l’armeggiare di Hisashi con tazze e tegami della stanza accanto… Avrebbe dovuto tapparsi le orecchie per non sentire nulla di tutto ciò e permettere alla mente di afferrare quello che i suoi sensi non potevano.

Non aveva mai dovuto sforzarsi di “sentire” qualcosa, i pensieri delle persone le erano sempre giunti automaticamente, senza che lei li cercasse. Per di più non sapeva a chi appartenesse quella voce, dunque come l’avrebbe trovata? Era come lanciare un arpione tra le onde del mare sperando che là sotto vi fosse un pesce.

La similitudine le fece venire in mente un’idea: se arpionarlo era difficile, quasi impossibile, allora avrebbe teso una rete, attendendo che il pesce vi rimanesse impigliato. Non aveva idea di come applicare questo piano strampalato, dunque fece l’unica cosa che le venne in mente: immaginò veramente di stendere una grande rete tutto attorno a lei, diramando il suo pensiero in tutta la stanza, dilatando il più possibile la sua percezione. Tenne gli occhi chiusi, timorosa che se li avesse aperti quella maglia si sarebbe dissolta.

“…to…”

Eccola.

“…uto…”

Si concentrò maggiormente, stringendo la rete attorno a quelle parole fluttuanti.

“…aiuto…”

Ora riusciva a captarla con più facilità. Era senza dubbio una donna…e a Mimi sovvenne una strana sensazione di dejà vu. Dove l’aveva già sentita? Ma soprattutto, a chi apparteneva?

Anche se più chiara, sembrava sempre provenire da un luogo molto lontano. Ma quanto? Che provenisse dalla città sottostante? O dall’ospedale? Eppure fino a quel momento era stata in grado di percepire i pensieri solo delle persone nelle immediate vicinanze. Che le sue capacità si fossero sviluppate fino a quel punto?

Non aveva mai provato a comunicare mentalmente con qualcuno, ma decise di tentare.

“ Dove sei?”

Silenzio. Nessuna risposta. Poi…

“…non lo so…”

Mimi sobbalzò per la sorpresa e quasi aprì gli occhi. S’impose di mantenere la calma e non perdere la concentrazione.

“ Perché hai bisogno di aiuto?”

“…perché non so dove mi trovo…”

“ Chi sei?”

Nessuna risposta. Mimi ipotizzò che la donna fosse indecisa se dirle o meno il suo nome. Non poteva darle tutti i torti, in effetti: se già si trovava in difficoltà, sarebbe stato imprudente fidarsi di una completa estranea.

“ Ascolta…posso capire che non ti fidi di me, dato che non sai chi sono. Forse quello che sto per dirti per te non avrà alcun significato, ma mi chiamo Mimi Tachigawa e sono una digiprescelta”

Di nuovo silenzio.

“ Ancora non ci capisco nulla in questa storia, lo ammetto, ma se me lo concederai farò di tutto per aiutarti. Fidati di me!”

“…mi chiamo Rumiko Kitamura…”

 

Mimi svenne.

 

Riaprì gli occhi, lentamente. Si trovava ancora nella stanza di prima, stesa sul pavimento.

Le ci vollero alcuni secondi per fare mente locale, poi si lasciò sfuggire un urlo per la sorpresa, portandosi entrambe le mani a tappare la bocca.

Di fronte a lei, i compagni la guardavano sconvolti e preoccupati. Hisashi era inginocchiato davanti a lei, attento e pensieroso.

-      Mimi, che è successo? – le accarezzò una gamba Palmon, in apprensione.

Ma la ragazza non rispose, gli occhi sgranati e colmi di lacrime che esitavano a scendere, lo sguardo perso nel vuoto.

-      Mimi… -

I richiami ansiosi del digimon la riportarono alla realtà e abbassò le palpebre, lasciando che le lacrime rigassero le guance.

Trasse un profondo respiro, poi riaprì gli occhi, voltandosi verso Yamato.

-      Yamato… Ho udito una voce, una voce lontana, simile a un eco… -

Lui l’ascoltava senza battere ciglio.

-      Invocava aiuto…le ho chiesto perché…mi ha detto che non sa dove si trova…le ho chiesto come si chiama… -

Mimi trasse un profondo respiro.

-      Rumiko Kitamura –

 

Yamato non si mosse. Assaporò quel momento di silenzio, in cui nulla si udiva, fuorché il sibilare del vento all’esterno.

Il vento… Immaginò i lunghi capelli color caramello di Rumiko ondeggiare nella brezza, leggeri e fluidi come onde calde. Immaginò di catturarne una ciocca per farla scorrere tra le dita, morbida al tatto. Immaginò le sue esili spalle tremare impercettibilmente per la corrente fredda e il suo volto corrucciato: di sicuro quel luogo ventoso era una trovata di Yamato, che per farle una sorpresa non le aveva detto di vestirsi più pensante. Immaginò di trovarsi in cima a una scogliera: di fronte a loro il mare blu, dietro di loro il bosco verde. Immaginò di sorriderle e stringerla tra le sue braccia: lei dapprima avrebbe protestato un po’, poi di sarebbe lasciata andare, accoccolandosi contro il suo petto caldo. Immaginò la testa di lei poggiata comodamente sulla sua spalla e la sua reclinata sul capo di lei: i suoi capelli profumavano di lavanda. Immaginò di sfiorarle il collo candido con le labbra, procurandole un leggero brivido di piacere, per poi risalire più su, accarezzandole il mento e giungendo infine alle sue labbra rosee. Immaginò di perdersi in quel attimo di pace solo per loro, inebriandosi del suo profumo e traendo piacere dal suo corpo esile abbandonato al suo.

L’avrebbe protetta, sempre. A qualunque costo. Per tutto ciò che era, per le sensazioni uniche e meravigliose che sapeva regalargli, per i momenti di lite e per quelli di serenità. Perché una volta vista la luce, non poteva più accontentarsi di vivere nella penombra. Perché con lei tutto aveva un senso e senza di lei niente più ne aveva. Perché la amava.

Riemerse dai suoi pensieri e tornò a rivolgere la sua attenzione a Mimi, che lo fissava in attesa di una reazione.

Le sorrise rassicurante e sereno come non lo era da diversi giorni.

-      Lo sapevo – le disse in tono calmo.

-      Come?! –

-      Lo sapevo, Mimi –

-      Ho capito cos’hai detto, non sono sorda! – rispose la ragazza, cui la compostezza dell’amico di fronte a una tale sconvolgente rivelazione stava facendo perdere quella poca calma che aveva mantenuto fino ad allora – Ma come facevi a sapere che non era morta?! –

-      Me l’ha detto la sua kitsune – ammiccò a un esterrefatto Hisashi.

Mimi scosse tragicamente il capo.

-      Tu sei tutto matto…seriamente, Yamato, credo che quel incidente in moto ti abbia mandato fuori di testa… -

-      Pensala come vuoi – alzò le spalle il biondo, con fare indifferente – ma io non ho mai creduto che lei fosse morta…non del tutto se non altro…e a quanto pare avevo ragione –

-      E cosa c’entra la kitsune? –

-      È il suo digimon, Mimi…ha le sembianze di una kitsune ed è stata lei a dirmi di avere fiducia. –

-      Questa è bella, il cinico Yamato Ishida che ha fiducia…non ci credo nemmeno se lo vedo! – replicò lei, tagliente.

Lui la trafisse con uno sguardo glaciale, zittendo sul nascere ogni battutina.

-      Io ho fiducia in lei. Non credo che tornerà in questo mondo, ne sono sicuro. E, dati i precedenti – aggiunse, in tono velenoso – direi che tu sei l’ultima persona a potersi permettere un commento al riguardo, non trovi? –

Mimi deglutì nervosamente.

-      N-non p-potevo fare n-nulla… - balbettò.

-      Lo so, Mimi, lo so…la prima volta avresti dovuto avvertirci di quanto stava accadendo a New York ma non hai potuto…la seconda hai tentato di ucciderla per risvegliare Angstmon e non hai potuto opporti… - le sollevò il mento con un dito, per costringerla a guardarlo negli occhi – Dopo tutto quello che è successo, lei è ancora viva, da qualche parte, e chiede aiuto per tornare qua. Come si suol dire, non c’è due senza tre, giusto? Il Destino sembra abbia voluto metterti alla prova, cara Mimi…ma la domanda ora è: questa volta, potrai aiutarla? E bada: lei sa chi è la Prescelta che un anno fa non è corsa in suo aiuto a New York. Se le hai detto il tuo nome e lei ha comunque deciso di fidarsi di te, fossi in te non l’abbandonerei…un’altra volta. –

E detto questo s’alzò, lasciando una piangente Mimi seduta a terra.

 

-      Yamato! –

Il biondo sedeva ai piedi di un salice nel cortile del Tempio. Si voltò verso il suo digimon.

-      Dimmi, Gabumon. –

-      Non ti pare di aver esagerato? – lo rimproverò.

Il biondo scosse il capo.

-      No, non credo proprio. Anzi, un giorno me ne sarà grata. –

Il digimon lo guardò perplesso e Yamato lo invitò a sedersi accanto a sé.

-      Vedi, Gabumon, per quanto teoricamente quanto è successo non sia colpa sua, sta di fatto che lei si trova coinvolta in questo grande pasticcio. Non ho detto che sia tutta opera sua, ma è innegabile che non può chiamarsene fuori semplicemente dicendo che non poteva fare altrimenti. Soprattutto non di fronte a Rumiko, che prima ha dovuto cavarsela da sola senza il suo aiuto, poi ha addirittura dovuto difendersi dai suoi attacchi. –

Sospirò.

-      Rumiko ci odia, sai, Gabumon? Odia me e tutti gli altri Prescelti. Ma più di tutti credo che odi Mimi, perché si trovava a New York e avrebbe potuto correre in suo soccorso per prima. Ovunque si trovi adesso, sono sicuro che sta cominciando a capire come sono andate realmente le cose, del perché Mimi non si sia comportata come avrebbe dovuto. Ma se io fossi in lei, non potrei comunque fidarmi di persone che mi hanno già abbandonata una volta, lasciandomi da solo ad affrontare un nemico tanto potente, a sobbarcarmi il peso del dolore per la morte di tante persone, persino di mia madre…in particolare, non potrei fidarmi di Mimi. –

Gabumon annuì tristemente.

-      Eppure lei le ha rivelato il suo nome…ha voluto fidarsi di Mimi, dunque lei dovrà aiutarla, non esistono “non posso” questa volta. Ed è bene che se lo metta bene in testa, che si assuma le sue responsabilità per quello che è successo e faccia tutto il possibile per porvi rimedio. –

-      E tu, Yamato? Che farai? –

-      Io? – gli sorrise il biondo – Io farò anche l’impossibile per riaverla. –

 

 

 

Continua…

 

 

 

N.d.a:

I “kami” sono le “divinità” in giapponese.

 

Chiedo scusa per le imprecisioni, esagerazioni ed errori, che sicuramente saranno molti.

Per quanto riguarda i contenuti, come avrete intuito siamo entrati nel vivo della storia: l’intreccio è arrivato al culmine, i protagonisti stanno per mettere le mani nella matassa degli avvenimenti, pronti a snodarla e trovarne il capo. È solo questione di giorni.

 

Spero continuerete a leggere e commentare, nonostante le LUNGHE pause tra una pubblicazione e l’altra.

Buon proseguimento di lettura.

Monalisasmile

 

 

 

  
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