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Autore: aoimotion    27/10/2016    0 recensioni
1 - Sapevo anche, con altrettanta naturalezza, che non sarebbe durata a lungo; ma mille volte avrei scelto di morire per te, piuttosto che vivere in solitudine. Questa era la forza della mia risolutezza, e credetti che fosse abbastanza. Evidentemente… non lo era.
2 - I morti non sanno di essere tali, perciò non soffrono. Ma i vivi, che hanno consapevolezza della morte altrui, piangono e si disperano.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Non ti capita mai?»
«Di far cosa?»
Giuseppe si sedette accanto a me. «Di chiederti perché.»
Alzai lentamente lo sguardo e mi ritrovai a fissare gli occhi di un Cristo sofferente.
«Semmai» replicai io, «dovresti chiedermi se mi capita di non chiedermelo, qualche volta. E, in ogni caso, la risposta sarebbe no.»
Il silenzio della chiesa, che pure non avrebbe dovuto avere alcuna consistenza, pesava sui nostri cuori e li inaridiva; mi rendeva difficile continuare a parlare, persino a pensare.
Era tutto, semplicemente… sbagliato, inadeguato, soffocante.
«Vorrei solo che finisse» disse Giuseppe, dopo un tempo che parve lunghissimo. «Vorrei solo che queste sensazioni scomparissero per sempre.»
«Non succederà» risposi io. «È il prezzo da pagare, dopotutto.»
«Pagare?» chiese lui, confuso. «Pagare per cosa?»
«Per essere vivi.» Il Cristo sofferente, dall’alto della sua croce, sembrò rivolgermi uno sguardo particolarmente triste. «Chi vive vedrà gli altri morire. È una semplice conclusione logica… e terribilmente crudele.»
In quel preciso istante, un’immagine comparve dentro la mia testa. Durò solo qualche attimo, ma abbastanza per far affiorare le lacrime. Le ricacciai indietro, perché sapevo che non sarei stata in grado di controllarle.
«Chiara…»
Mi alzai in piedi. «Tu sai, Giuseppe…» continuai, incedendo verso l’altare. «In questi anni, la malattia di papà ha camminato. Ha camminato tanto, fino a renderlo irriconoscibile; ha distrutto quello che era, lasciando nient’altro che un’ombra di sé.
Ogni tanto, tra i deliri, poteva capitarmi di riconoscere un frammento dell’uomo che era stato… ma non era che un istante, e scompariva così in fretta da chiedermi se l’avessi visto davvero. Se in quel guscio vuoto era rimasta una traccia di mio padre, o se non fossi solo una figlia che si rifiutava di accettare la realtà.»
Alle mie spalle, Giuseppe taceva. Un’altra immagine riaffiorò alla memoria, stavolta più nitida, più forte, più violenta. Non riuscii a scacciarla, e prima che potessi rendermene conto… stavo già piangendo.
«Non riconosceva più se stesso. La sua anima era stata divorata dalla malattia… eppure, lui non soffriva. Stava morendo, ma non ne era consapevole. E quando non delirava, non strillava o non dormiva… lui mi sorrideva. Sorrideva come se tutto andasse bene, come se non fosse mai stato assente, come se potesse riconoscermi. E io ci credevo, volevo crederci. Volevo credere che mio padre fosse tornato, e che non se ne sarebbe più andato. E allora gli stringevo la mano, come per impedirgli di andarsene via. Ma puntualmente lui se ne andava, e puntualmente mi ritrovavo ad inzuppare il cuscino delle mie lacrime.»
Come guidato dalla provvidenza divina, il mio sguardo incontrò di nuovo quello del Gesù crocifisso… lo stesso Gesù che mio padre aveva tanto amato quando era in vita e che, alla fine, non era stato in grado di salvarlo.
«I morti non sanno di essere tali, perciò non soffrono. Ma i vivi, che hanno consapevolezza della morte altrui, piangono e si disperano. E non c’è modo di sfuggire a questo destino, se non morendo.»
Nonostante le lacrime scendessero copiose lungo le guance, la mia voce era stranamente ferma.
Nonostante il dolore mi stesse consumando dall’interno, la mia mente era straordinariamente limpida.
… E nonostante fosse morto, la figura di mio padre poteva essere scorta accanto alla bara che ne conteneva il corpo. “Non piangere, bambina mia.”
E improvvisamente eravamo lì, solo io e lui, quando mi aiutava ad incollare le figurine nell’album delle principesse. Quando mi veniva a prendere dopo la scuola. Quando giocavamo a pallone nel giardino di casa.
Eravamo lì… e non lo saremmo più stati. Questa certezza crudele mi assalì improvvisamente, e il mio pianto silenzioso divenne un grido disperato.
 
Un grido che neppure le braccia di Giuseppe, improvvisamente strette intorno alle mie spalle, poterono contenere.
Un grido che avrebbe continuato a propagarsi finché fossi rimasta su questa terra, perché era il grido concesso solo ai vivi.
Il grido che non può raggiungere i morti.
 
 
   
 
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