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Autore: maartsp    28/10/2016    0 recensioni
[Emilia Clarke ]
[Rome Flynn]
[Nick Robinson]
Lui è come una rondine, è libero e nessuno può ingabbiarlo.
Tutti dicono che lui è irraggiungibile, incomprensibile, come se non volesse aprirsi con nessuno.
Sembra simpatico, intelligente e davvero educato, ma qual è la sua vera identità? Cosa nasconde dietro quegli occhi marroni tanto magnetici?
E' il suo obbiettivo scoprirlo, ma dovrebbe fare attenzione: scoprire la verità ha un prezzo, e potrebbe soffrirne.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III.
Tempesta


 

Quando cominci a parlare con quella persona che per tanto tempo sei stata a guardare da lontano ti sembra come se non fosse vero, come se tutto fosse ancora un bellissimo sogno. Il giorno prima eri lì ad immaginare nella tua testa come potesse avvenire la prima conversazione e il giorno dopo avviene, anche se non esattamente come te l'eri immaginata; ma va bene lo stesso, perché invece le sensazioni sono esattamente quelle: ti tremano le gambe, le farfalle nello stomaco e balbettii improvvisi. Nonostante l'imbarazzo, vorresti essere in grado di poter congelare il tempo e godere di quel momento all'infinito, perché in fin dei conti non sei sicura che potrebbe riaccadere. Ne conosci appena il nome, ma sei consapevole che riconosceresti quella voce e quel particolare accento tra centinaia di persone, perché è sempre lì, pronto a tormentare le tue notti e non lasciare mai che i tuoi sonni scorrano tranquilli.


« Hey » il suo sorriso fu la prima cosa che vidi in quella uggiosa mattina di ottobre. I giorni erano passati veloci, ma le mie emozioni ogni qualvolta che parlavo con lui sembravano essere sempre le stesse. Non potei iniziare meglio la giornata. Osservai attentamente ogni suo minimo movimento, come se lo stessi studiando: si portò una mano dietro al collo accarezzandosi quel punto, i suoi occhi erano fissi su di me come se anche lui stesse facendo il mio stesso gioco. Distolsi lo sguardo portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Come va? »
Il fatto che fosse interessato a sapere come io stessi mi faceva sentire al settimo cielo, come se finalmente contassi davvero qualcosa per qualcuno. Ogni volta che ci rivolgevamo la parola e c'erano persone nei paraggi, queste ultime davano l'impressione di star borbottando qualcosa su di noi, ma lui sembrava non farci caso ed io mi comportavo allo stesso modo, anche se ogni tanto avrei voluto capire cosa passasse per le loro menti. Lui sembrò accorgersi del mio disagio, ma nessuno dei due sapeva come gestire la situazione.
« Bene, anche se il tempo mi mette un po' di cattivo umore » ammisi, rivolgendo il mio sguardo verso il cielo. Eravamo sotto il porticato appena prima dell'ingresso della scuola, per ripararci dalla pioggia. « Tu come stai? »
Fece spallucce senza rispondere, ritenendo probabilmente che non fosse importante. Oppure, semplicemente, voleva farmi capire che la sua vita andava avanti senza troppo entusiasmo.
Dopo qualche minuto di silenzio, finalmente i nostri occhi si incrociarono di nuovo. Scorsi un lampo colpire prepotentemente tra le nuvole, e immediatamente dopo il cielo tuonò. Quella era sicuramente la perfetta rappresentazione fisica dell'elettricità che io percepii tra di noi. I suoi occhi erano scuri, talmente profondi che sembrava non avessero né un inizio né una fine, ed io mi ci persi. Mi domandavo piuttosto spesso lui cosa pensasse di me, cosa sentisse quando gli rivolgevo la parola e cosa provasse dentro quando stabilivamo un contatto visivo; lui non era come tutti gli altri ragazzi che mi circondavano, lui era semplicemente diverso.
Un giorno era fuoco, un mare in tempesta, e il giorno dopo cenere, brezza marina. A volte i suoi occhi sembrava gridassero voglia di guerra, ed altre volte invece sembravano solo bisognosi di un posto sicuro dove abitare. Ed il mio desiderio, l'unico, era di soddisfare entrambe le sue voglie. Di fargli la guerra, di incasinargli la vita come un uragano, un fiume in piena; e poi di prenderlo tra le braccia, per permettergli di sapere che sarebbero state pronte in qualsiasi momento ad accoglierlo e prendersi cura di lui.
« Qual è la tua prima lezione oggi? » chiesi per rompere il silenzio formatosi tra di noi in quel momento.
« Psicologia. Prima interrogazione della giornata, meglio che non ci pensi » Rispose ruotando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto. « Mi dispiace che tu non possa essere seduta dietro di me anche stavolta » mi punzecchiò.
« Hey! » mi lamentai. « Solo perché ti ho aiutato una volta, non vuol dire che lo farei ancora » falso. La campanella suonò, ed io la maledissi perché significava che avrei dovuto lasciarlo.
« E' ora di entrare. Ci si vede, Clarke » andò via anche quella volta senza aspettare una mia risposta. Come faceva sempre, nel modo più irritante e allo stesso tempo intrigante possibile. Certe volte lo detestavo ma, allo stesso modo, lo desideravo. Non sapevo praticamente niente di lui, ma avrei tanto voluto. Sospirai e mi avviai verso la mia classe, dove sapevo che avrei incontrato il mio caro Frank. Avevo tanta voglia di parlare con lui, perché Juana era con la febbre da un paio di giorni e non si era presentata a scuola, ed io mi sentivo come se mi mancasse qualcosa. Mi sedetti al banco proprio accanto a Frank e lo salutai con un bacio sulla guancia, come al solito.
« Ciao » mi salutò, ma non entusiasta come al solito. Lo sentii diverso, e sperai non fosse tornata quella “questione Marie”. Mi portai una mano alla fronte sospirando. « No, non è ciò che pensi, Swami » usò il mio nome, cosa che non faceva mai. Questo mi sembrò davvero strano. Il professore entrò in classe e non mi diede il tempo di chiedere delle spiegazioni sul suo stato d'animo quella mattina.
« Ne parliamo dopo » gli dissi, tirando fuori il mio libro ed il quaderno dallo zaino.

Non ci fu nessun dopo. Quando la campanella suonò annunciando la fine della lezione, Frank si dileguò scusandosi perché doveva correre al bagno. Una scusa banale, ma feci finta di cascarci nonostante stessi morendo dalla voglia di sapere cosa gli fosse accaduto. Pensai che fosse triste e che non volesse dirmelo per non procurarmi preoccupazioni, ma non riuscivo a capacitarmi del fatto che mi avesse evitata tutta la giornata.
Decisi allora di chiamarlo non appena tornai a casa da scuola. Il cellulare squillava, ma senza risposte. Ci riprovai ancora per almeno una decina di volte fino a quando, evidentemente scocciato, non rispose.
« Non credi che io meriti spiegazioni?! » chiesi adirata alla persona all'altro capo del telefono, senza aspettare che dicesse nemmeno “pronto”.
« Swami, io... » sentii un sospiro. Decisi di portare pazienza ed aspettare che finisse di parlare. « Sto male. Sto tanto male, e non so come affrontarlo » ammise. La sua voce suonò incrinata.
« Parlamene, Frank. Parlami di tutto ciò che ti sta passando per la testa... E per il cuore »
Così lui iniziò a sfogarsi. Mi disse che, in primis, la sua situazione in famiglia non era delle migliori, perché i genitori non facevano altro che litigare. Mi confessò che sospettava di un tradimento da parte di uno dei due, e che il solo pensiero gli faceva venire la nausea; Frank credeva molto nel vincolo del matrimonio, e per lui l'adulterio era semplicemente imperdonabile.
Il suo fratellino quindicenne aveva cominciato a frequentare cattive amicizie, personaggi del paese che non portavano con sé una buona reputazione e, quasi sicuramente, nemmeno una fedina penale tanto limpida. Nonostante gli innumerevoli rimproveri da parte di Frank, suo fratello non sembrava volesse ascoltarlo e continuava per la sua strada. Dopo mi parlò della sua situazione con Marie, la sua tanto amata Marie, la rappresentazione vivente di ciò che lui definiva la sua donna-angelo. Mi disse che con lei le cose si erano totalmente sfasciate; dopo aver saputo del suo fidanzamento, era corso da lei e le aveva confessato tutto riguardo il suo amore e la risposta è stata un semplice “mi dispiace Frank, io amo Jonathan”. Le pianse davanti, e lei gli voltò definitivamente le spalle, dimostrandogli che lui davvero non contava niente.
Dopo quel giorno, non si rivolsero più la parola e Marie tolse a Frank persino il saluto; lui, educatamente, la salutava ogni qualvolta si vedessero e lei distoglieva lo sguardo immediatamente.
« Questo è quanto, Swami. Grazie per avermi ascoltato, sei un'amica vera... Mi dispiace di averti ignorata stamattina, ma stavo davvero male e se avessi provato a rivolgerti la parola, avrei cominciato a frignare come un bamboccione » tentò di scherzare ma sapevo che, anche quella volta, stava fingendo.
« Frank io per te ci sono sempre. Tutto ciò che ti sta accadendo non lo posso comprendere, e di conseguenza non saprei nemmeno cosa consigliarti di fare a riguardo, ma sentiti libero di comporre questo numero ogni volta che hai bisogno di qualcuno con cui parlare, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per me sei un fratello ed il bene che ti voglio è inimmaginabile, voglio che tu lo sappia. Non lasciare che qualcuno abbia il potere di smorzare la tua adorabile follia e di spegnere il tuo sorriso » fu l'unica cosa che mi sentii di dirgli in quel momento; qualsiasi altro commento sarebbe stato futile e non lo avrebbe aiutato a star meglio. Se fosse stato lì con me lo avrei abbracciato, ma sperai che le mie parole potessero risollevargli anche un tantino il morale. Tutto ciò che stava passando non lo meritava e l'impotenza di non poterci fare nulla mi faceva sentire tanto male.
« Ti voglio bene, ciambellina. Sei speciale »


Quel giorno stesso mio padre sarebbe tornato dal servizio militare. In casa mia si respirava un'aria di tensione, mista a felicità ed entusiasmo; mia madre non stava nella pelle, e nemmeno io. Mio fratello batteva nervosamente le dita sul tavolo, con una finta espressione impassibile: non gli piaceva darlo a vedere, ma sapevo che anche lui stava morendo dalla voglia di riabbracciare papà. L'unica a non essere travolta da quel turbine di emozioni era Sophie, che continuava a scuotere il suo povero orsacchiotto su e giù.
« Mamma, potresti per favore stare ferma un secondo e respirare? » le dissi sull'orlo di una crisi di nervi. Stava cominciando ad essere davvero esasperante il suo comportamento. Continuava a camminare avanti ed indietro per la cucina, guardando l'orologio esattamente ad ogni minuto che passava e mangiandosi le unghie. Lei sembrò non aver nemmeno lontanamente ascoltato le mie parole, ed alle 17 in punto aprì la porta di casa e ci invitò ad uscire per avviarci in macchina. Presi tra le braccia la mia sorellina, il biberon, il ciuccio e, ovviamente, l'orsacchiotto, altrimenti avrebbe cominciato a piangere disperata per la sua assenza.

Il viaggio da casa all'aeroporto fu più tranquillo di quanto avevo immaginato. Mio fratello guidava a velocità sostenuta, nonostante mamma continuasse ad esortarlo ad accelerare per non arrivare in ritardo, e Sophie parlava in lingua incomprensibile.
« Baba bi » balbettò indicandomi e guardandomi con i suoi grandi occhioni azzurri. Avvicinai il viso al suo ditino paffuto e le diedi un bacio, facendola sorridere. Il suo sorriso sdentato mi fece scoppiare in una fragorosa risata e, anche se non capendone il motivo, rise anche lei con me.
« S W A M I » le dissi, scandendo bene ogni lettera. Il suo viso si corrucciò, in un'espressione di concentrazione.
« BA BA BI » ripetè nuovamente.
Continuammo così per il resto del viaggio, fin quando lei non decise di arrendersi e smettere di indicarmi per non dover subire l'umiliazione di essere derisa al causa suo modo buffo di parlare.
Arrivati all'aeroporto, la tensione crebbe così tanto che persino Sophie smise di giocare. Appoggiò semplicemente la sua testolina sulla mia spalla ed aspettò insieme a noi che papà ci venisse incontro. Quando finalmente, dopo quasi un quarto d'ora d'attesa, vedemmo una tenuta mimetica spuntare da lontano, ci alzammo dalle sedie e corremmo. Mia madre non disse una parola, gli buttò semplicemente le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio, tenendolo stretto a sé. Quando lo liberò, fu il turno di mio fratello; si scambiarono qualche pacca amorevole dietro la schiena. Mio padre aveva gli occhi lucidi.
« Mi sei mancato, orgoglio di papà » gli sussurrò all'orecchio. A quel punto, non potei trattenere più le lacrime, che cominciarono a segnare le mie guance rosee.
Quando fu il mio turno, non esitai un secondo a porgli Sophie tra le braccia: lei aveva bisogno del suo affetto più di quanto non facessi io. La strinse tra le sue possenti e muscolose braccia e le diede un bacio sulla guancia paffuta, poi puntò i suoi occhi azzurri nei miei, lacrimanti. Con la sua mano libera avvicinò il mio capo a sé e mi lasciò un dolce bacio sulla fronte; appoggiai la mia testa sulla sua spalla e mi godetti quel momento. Non lo espressi a parole, ma la mia felicità nel rivederlo era immensa ed ero davvero fiera di poter dire che quell'uomo, quel forte e al tempo stesso dolce militare, era mio padre.

 


 

 


 

 

 

 

 



 

   
 
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