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Autore: Rohhh    28/10/2016    1 recensioni
A chi non è mai capitato di sentirsi troppo diverso da qualcuno e non provare ad andare oltre quelle apparenze? Ashley ha 21 anni, è una studentessa universitaria seria e posata, ha due sorellastre e una madre che sente troppo diversa da lei. In vacanza dal padre conosce Matt, il figlio della sua nuova compagna, ribelle e criptico, lui con la propria madre ci parla appena. Quell'incontro cambierà il modo di vedere le cose di entrambi e farà capire loro che non è mai troppo tardi per recuperare un rapporto o per stringerne di nuovi con chi non ci aspettavamo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 34

 

Tyler sbuffò deluso e sferrò con stizza un calcio a un sasso che intralciava il suo cammino, mentre allontanava il cellulare dall'orecchio e con lui l'insistente suono degli squilli, ai quali non era seguita la voce che sperava.

Sophia, al suo fianco, osservò imperterrita quel sassolino innocente rotolare verso il bordo del marciapiede e poi si voltò impercettibilmente, per lanciare un'occhiata furtiva all'amico ed evitare che lui se ne accorgesse.

Le bastò un attimo per capire che, in ogni caso, anche se in quel momento gli avesse sventolato una mano davanti alla faccia, Tyler non ci avrebbe minimamente fatto caso.

Camminava con la testa china sul suo telefono, talmente assorto da sembrare immerso in un'altra dimensione, le sue sopracciglia erano contratte e gli conferivano un'aria fin troppo seria e drammatica, eccessiva per la situazione, e le labbra, serrate, si erano assottigliate in un'espressione tesa.

Con un rapido gesto delle dita, mise fine a quella chiamata infruttuosa, il nome di Ashley scomparve in fretta dal display e solo allora si rassegnò a mettere via il cellulare e infilarlo in tasca. Sophia sapeva che non ci sarebbe rimasto dentro troppo a lungo, comunque, di sicuro nel giro di dieci minuti o giù di lì, l'avrebbe di nuovo tirato fuori per riprovare.

Con lui, quando si trattava di Ashley, la parola rassegnazione non esisteva e purtroppo non solo per una banale telefonata.

«Non capisco, è la terza volta che chiamo ma non risponde! – esordì finalmente, ristabilendo un contatto col mondo intorno a lui – è strano!» aggiunse, scompigliandosi i capelli castani con una mano e mantenendo uno sguardo piuttosto pensieroso ma che almeno adesso degnava di attenzione la strada che stava percorrendo.

Sophia non si scompose di una virgola, al contrario continuò il suo incedere aggraziato.

«Non dovresti perdere così tanto tempo al cellulare quando cammini, ne va della tua incolumità, ho letto delle statistiche interessanti sull'aumento del numero degli incidenti a causa dell'utilizzo eccessivo dei telefoni per strada.» si limitò a informarlo, glissando abilmente l'argomento principale della precedente affermazione di Tyler.

«Solo tu puoi leggere delle idiozie simili! – le ribattè infastidito, piantandole addosso i suoi occhi accigliati e anche piuttosto offesi, visto che l'amica continuava a ignorare la sua preoccupazione – e poi vedo benissimo dove vado, stai tranquilla!»

«Buon per te, allora!» cinguettò Sophia con voce allegra e sorridendo luminosa, senza degnarlo di uno sguardo.

Tyler cominciava a essere stufo del suo atteggiamento troppo spensierato e apparentemente disinteressato alla faccenda, la osservò proseguire la sua andatura perfetta, col quel cipiglio sicuro, la testa alta e il profilo altezzoso su cui spiccava il suo nasino alla francese, sul quale poggiavano degli occhiali definiti dallo stesso Tyler 'ridicolmente grandi', ma che lei si ostinava a non voler cambiare perchè, diceva, le davano quel tocco da intellettuale. I suoi capelli ondulati e lunghi, che il sole aveva illuminato di riflessi castano-dorato, molleggiavano morbidamente a ogni passo che faceva, senza spettinarsi e persino le pieghe del suo vestito volteggiavano con garbo, conferendo alla sua figura una certa leggiadria.

L'appellativo di 'miss perfezione', che gli amici le avevano affibbiato affettuosamente, le calzava davvero a pennello.

Teneva stretti sotto braccio dei libri universitari troppo grandi per entrare nella sua borsetta a tracolla e il ragazzo si chiese perchè diamine si accontentasse di portarli così scomodamente invece di munirsi di una borsa più capiente ma meno alla moda.

Forse era lui che non ne capiva nulla o forse era troppo abituato a usare come metro di paragone Ashley, che com'era noto a chi la conosceva bene, non badava a quei dettagli o alle ultime tendenze modaiole. E lui la amava anche per quello, perchè non le piaceva apparire o stare al centro dell'attenzione e non si vergognava della sua semplicità, che al contrario la rendeva ancora più affascinante e irresistibile.

Il pensiero che a breve l'avrebbe rivista lo riempiva di gioia ed euforia, ma anche di una tremenda ansia.

Aveva deciso di rivelarle i suoi sentimenti, ci aveva riflettuto a lungo ed era arrivato alla conclusione che non era più possibile rimandare, non ce la faceva a rimanere suo amico, a passare ore ed ore al suo fianco, ascoltando la sua risata cristallina, respirando il suo profumo e osservando le linee delicate del suo viso, col ricordo dei vecchi tempi che lo tormentava e la voglia di abbracciarla e baciarla che non riusciva più a reprimere.

Le avrebbe aperto il suo cuore per la seconda volta anche a costo di perderla e quel momento stava arrivando.

La sua mente era così annebbiata da quelle preoccupazioni che non si rendeva conto di risultare esagerato agli occhi degli altri, Sophia compresa.

«Sembra quasi che non ti importi che Ashley stia tornando!» sbottò dopo un po', incapace di contenersi.

Sophia rallentò per un attimo il passo a quell'affermazione e si voltò a guardarlo, la sua espressione si indurì.

Conosceva Ashley da una vita, da prima di lui, e di certo non poteva incassare un colpo così senza reagire, perchè anche se la loro amicizia poteva risultare fredda all'apparenza, in realtà nascondeva un equilibrio perfetto e una comprensione tra le due ragazze così profonda da non avere bisogno di manifestazioni esagerate di affetto o di intromissioni indiscrete nella vita l'una dell'altra.

A loro spesso bastava anche solo un silenzio per capirsi o un semplice scambio di sguardi.

«Ma che cavolo dici? Ovvio che mi interessa, solo che non credo che stressarla con un sacco di telefonate proprio nel momento in cui sarà occupata a prepararsi, a fare gli ultimi saluti e a non dimenticare nulla, sia una mossa molto intelligente! Magari avrà il cellulare sepolto in fondo a chissà quale borsa e nemmeno lo sente! Secondo me dovremmo aspettare almeno domani prima di farci sentire, oggi arriverà stanca, avrà da disfare le valigie e risistemare le sue cose e suppongo vorrà stare un po' con la sua famiglia, visto che è più di un mese che manca, non credi?» gli domandò, sperando di infondere almeno un grammo di sale in zucca a quel testone di Tyler, troppo preso dai suoi sentimenti per ragionare con lucidità.

«Beh, io vorrei comunque sentirla solo un attimo, per sapere a che punto è, niente di più» si ostinò l'amico, lo vide infilare la mano in tasca per afferrare ancora una volta il cellulare, come previsto, ma stavolta non riuscì più a rimanere indifferente al suo comportamento testardo e impaziente.

«Senti Tyler, tu sei ancora innamorato di Ashley, non è così?»

Sophia si bloccò dopo aver pronunciato quelle parole, Tyler compì qualche passo in avanti, superandola ma, non appena realizzò appieno il significato di ciò che aveva appena udito, anche le sue gambe si arrestarono.

Si voltò verso la riccia, i suoi occhi nocciola lo fissavano seri da dietro quelle lenti enormi e sembravano far risuonare quella domanda quasi come un'accusa nei suoi confronti.

Non rispose, ma si fece scuro in viso, colpito nel profondo in un segreto che, ingenuamente, aveva creduto non potesse trapelare all'esterno.

Si chiese se anche Ashley si fosse accorta di ciò che provava di nuovo per lei, o per meglio dire, di ciò che non aveva mai smesso di provare, per quanto ci avesse tentato con tutto sé stesso in quegli anni, e se si limitasse a fare l'amica gentile perchè non ricambiava o per non ferirlo con una delusione netta.

No, lui non voleva la sua compassione o la sua semplice amicizia e stavolta non sarebbe tornato indietro nei suoi passi.

O avrebbe ottenuto il suo amore, o l'avrebbe persa anche come amica.

Non c'erano altre alternative fattibili.

«Devo parlarle» rispose deciso, senza affermare o negare la domanda di Sophia, ma suggerendo così quale fosse la verità in modo indiretto.

Sophia rabbrividì, non aveva mai visto Tyler così determinato ed ebbe la triste consapevolezza che il loro trio non sarebbe sopravvissuto più di una settimana al massimo.

Una folata di vento improvviso le scombinò dei riccioli e le fece entrare della polvere negli occhi, costringendola a chiuderli per il bruciore.

Quando li riaprì Tyler aveva già ripreso a camminare e Sophia dovette fare qualche saltello veloce per raggiungerlo ed affiancarlo.

Si strinse i libri al petto, aveva perduto la sua aria spavalda e sicura, lo sguardo era basso e cupo e l' andatura si era fatta trascinata e pesante e anche Tyler si accorse di quell'improvviso cambiamento in lei.

Poteva immaginare cosa le stesse frullando in testa, la realtà era dura da accettare anche per lui.

Nessuno dei due aprì più bocca durante quell'ultima parte di tragitto.

«Sono arrivata alla fermata, ci sentiamo allora» lo informò Sophia qualche decina di metri più avanti, fermandosi sotto una tettoia, in attesa dell'autobus che l'avrebbe portata all'università, dove doveva parlare con un professore.

Un po' fu sollevata di essere arrivata a destinazione, era calato un gelo imbarazzante dopo quella breve discussione e non era riuscita più a recuperare il suo buonumore né a spiccicare parola con Tyler, facendo finta di niente.

L'amico annuì, poi sollevò un braccio per salutarla e Sophia rispose con un lieve cenno della mano.

Lo guardò allontanarsi e proseguire lungo il viale finchè si confuse con le altre persone e non riuscì più a distinguerlo. Da dietro la visione della sua schiena robusta e ampia, tipica di chi era avvezzo ad allenare il fisico come lui, non riuscì comunque ad annullare in Sophia l'impressione di fragilità e vulnerabilità che sembrava emanare la sua figura.

Sospirò e prese posto su una panchina, in attesa, con i libri poggiati sulle ginocchia, concentrata sulla copertina rossa del suo manuale di letteratura, ma con i pensieri già proiettati oltre, molto oltre.

 

La vibrazione del cellulare, proveniente dall'interno della borsa, solleticò il palmo della mano di Ashley, appoggiato mollemente su di essa.

La ragazza si riscosse dal torpore in cui era piombata nell'auto che la stava conducendo a casa, staccò la fronte dal finestrino giusto quanto le bastò per aprire la zip, frugare due secondi fra le poche cose presenti e stringere il telefono.

Lesse il nome di Tyler e ripetè gli stessi gesti effettuati per le sue precedenti chiamate ovvero ignorarlo e gettare il cellulare di nuovo in fondo alla borsa per poi richiuderla.

Non aveva la forza di sentire nessuno in quel momento, in particolar modo lui.

Scivolò qualche centimetro più giù sul sedile, inclinandosi leggermente di lato per appoggiare la guancia al finestrino e osservare con sguardo totalmente assente il panorama esterno, che scorreva come una saetta.

Non faceva altro da quando si era messa in viaggio con suo padre, circa un'ora prima e niente faceva intendere che avesse voglia di cambiare passatempo.

Il vento che filtrava e rumoreggiava dal vetro, abbassato di qualche centimetro, le scompigliava violentemente qualche ciuffo di capelli, spargendoglielo in viso, ma lei non si prendeva nemmeno la briga di spostarseli, completamente annullata da quello stato di catalessi.

Stava lì a fissare ipnotizzata la linea bianca dell'autostrada che scorreva sotto le ruote veloci dell' auto, che metro dopo metro la stavano allontanando sempre di più dal ragazzo che amava, inesorabili e senza pietà.

Il paesaggio cominciava a mutare intorno a lei e sempre più prendeva le sembianze di quello tipico delle sue zone. Il mare era ormai un dolce ricordo, l'avevano lasciato indietro già da una mezz'ora piena e la lacrima che Ashley si era asciugata quando non l'aveva scorto più era stata di sicuro dovuta a qualche moscerino trasportato dal vento, non di certo alla sua stupida tristezza.

Il cielo sopra di lei era terso e di un azzurro abbagliante che le ricordava in maniera insopportabile quello degli occhi di Matt.

'Perchè dovevano essere proprio di quel colore?' si chiese, quando realizzò che adesso, anche un gesto rilassante e bello come contemplare un meraviglioso cielo sereno, le avrebbe riaperto una ferita troppo dolorosa. Si domandò per chissà quanto tempo non avrebbe più potuto sollevare lo sguardo per fissarlo senza che quell'azzurro sconfinato glielo facesse ritornare in mente più vivido che mai.

In molti l'avrebbero di certo presa per pazza, ma si augurò ardentemente che quell'autunno avrebbe portato tante giornate grigie e nuvolose, così da farla soffrire un po' di meno.

Al posto di guida Gregory distoglieva spesso per una frazione di secondo lo sguardo dalla strada per controllare l'atteggiamento della figlia, senza purtroppo scorgere mai dei segnali di ripresa.

Tra di loro era calato un silenzio surreale e lui non aveva avuto la forza di spezzarlo perchè qualsiasi argomento le sembrava fuori luogo e inadatto paragonato allo stato d'animo grigio di Ashley e si sentì impotente e inadeguato a gestire quella situazione così delicata.

Il suo viso era teso e le dita delle mani contratte attorno alla plastica del volante, quasi volessero stritolarlo.

«Manca poco più di un'ora all'arrivo – disse d'un tratto in un goffo tentativo di strapparla all'isolamento nel quale si era chiusa – hai avvertito tua madre che stai per arrivare?» le chiese, con non poco imbarazzo nella voce.

Ashley non aprì bocca, si limitò a emettere un mugolio di assenso e a fare oscillare lievemente il viso per annuire. Aveva mandato un messaggio a sua madre poco prima, incapace persino di parlarle per telefono.

Si odiò per come si stava comportando, stava tornando da lei e dalle sue sorelle che non vedeva da più di un mese, sarebbe dovuta essere felice, le immaginava in quel momento tutte riunite ed euforiche ad aspettarla, sua madre magari le aveva preparato un pranzo coi fiocchi per farla sentire di nuovo a casa, Phoebe l'avrebbe stritolata con uno dei suoi soliti abbracci troppo espansivi per i suoi gusti e le avrebbe urlato nell'orecchio, facendola diventare sorda per qualche minuto, July avrebbe cominciato a parlare senza sosta per raccontarle tutto ciò che aveva combinato e chiederle della vacanza. Poteva già immaginarsi l'atmosfera gioiosa che l'aspettava e lei ci stava andando incontro con una faccia degna al massimo di un funerale.

Non poteva essere così egoista e abbandonarsi alla sua tristezza, sarebbe stato più opportuno fingere e nascondere la vera sé stessa, come era sempre stata abituata a fare in passato ma le riusciva così difficile da quando Matt aveva abbattuto tutte le sue difese e i suoi muri, da quando le aveva fatto scoprire quanto era inutile farlo e quanto invece era liberatorio esprimere ciò che si provava, anche se faceva male.

Gregory parve leggerle nel pensiero «Tua madre sarà dispiaciuta di vederti con quel visino triste» disse, accennando una risata per sdrammatizzare.

«Lo so» mormorò Ashley, senza distogliere lo sguardo dal panorama fuori dal finestrino e rimanendo rannicchiata di fianco, con le braccia incrociate sulla borsa che teneva stretta sul grembo. «Pensi davvero a... a lui?» domandò timidamente Gregory, balbettando e non avendo il coraggio di pronunciare quel nome perchè non era abituato e un po' si rifiutava di associarlo alla vita sentimentale di sua figlia, nella sua testa era ancora fortemente convinto che l'avesse sedotta e abbandonata e per quanto mettesse le migliori intenzioni nel provare a credere alle parole di Monica, che invece difendevano a spada tratta il figlio, gli ultimi comportamenti del ragazzo gli suggerivano il contrario.

Ashley, comunque, non rispose né produsse alcun movimento.

«É solo un ragazzo – provò a sminuire la cosa suo padre – fuori è pieno di ragazzi e tu sei così speciale che scommetto non farai fatica a trovare qualcun altro che ti faccia battere il cuore».

Gregory parlava in buona fede, lo faceva solo per consolarla, per cercare di alleviare il suo dolore, da padre non poteva certo dirle di consumarsi di pianto o di tormentarsi nel ricordo di lui, sarebbe stato innaturale ed Ashley aveva capito le sue intenzioni, tuttavia quelle parole sortirono l'effetto contrario in lei.

Trovare qualcun altro. Qualcun altro.

Non c'era nessun 'altro' possibile nel suo cuore, nessuna alternativa a cui avrebbe voluto pensare, semplicemente non voleva e non poteva farlo e non le importava nulla di stare da schifo come in quel momento ma questo non poteva dirglielo o l'avrebbe fatto preoccupare e stare in pensiero a causa sua.

Con uno sforzo sovrumano piegò le labbra verso l'alto per accennare un sorriso, poi si voltò verso suo padre. Lo vide agitato e nervoso e si convinse che doveva farlo per lui.

«Certo papà, stai tranquillo – disse con un soffio di voce – solo non prendertela con lui, non ha colpe» si premurò di specificare, aveva intuito dal tono del padre e dai suoi atteggiamenti che avesse cambiato opinione su Matt e lo credesse unico responsabile della sua sofferenza, ma di certo non era così e Ashley lo sapeva bene e non voleva che a farne le spese dovesse essere lui, per niente al mondo.

Gregory spalancò gli occhi meravigliato e si sentì come smascherato perchè non si aspettava che sua figlia potesse leggere così chiaramente i suoi pensieri, le sembrò così matura e adulta forse per la prima volta. Ritornò serio e annuì debolmente.

Sinceramente non sapeva se avrebbe potuto mantenere quella promessa.

 

«Allora, quando arriva Ashley?» chiese per la milionesima volta July, facendo capolino in cucina.

Phoebe emise un verso di fastidio e lanciò un'occhiata minatoria alla sorella minore che non lasciava presagire nulla di buono.

«Non ti sopporto più July, sono tre ore che continui a fare la stessa domanda, guarda che Ashley non usa il teletrasporto, dalle il tempo del viaggio, e che cavolo!» esclamò stremata Phoebe, mentre aiutava sua madre a pelare delle patate in cucina.

July fece una linguaccia alla sorella, poi con una faccia delusa e mezza imbronciata scivolò verso il tavolo e si accomodò su una sedia, incrociando le braccia e poggiandoci sopra la testa.

«É che non vedo l'ora che torni, chissà quante cosa avrà da raccontare e poi devo spiegarle tutti i preparativi per il mio compleanno fra dieci giorni e non sto più nella pelle!» si lamentò la ragazzina,se con Phoebe aveva un rapporto abbastanza movimentato e le due spesso non facevano altro che stuzzicarsi a vicenda, Ashley era per lei la sorella comprensiva, quella che la difendeva e che la ascoltava, un po' il suo rifugio e le era davvero mancata la sua presenza durante quel periodo. Nancy le si avvicinò e le fece una carezza sui capelli castani.

«Anche noi la aspettiamo con ansia tesoro, abbi pazienza, ormai sarà quasi arrivata, è questione di qualche minuto, ne sono sicura!» le sorrise, rassicurandola. Riusciva a nasconderlo perfettamente, ma anche lei era preda di una certa ansia, Ashley non la convinceva al telefono, le sembrava spenta e apatica e non capiva perchè. Aveva giurato di averla sentita entusiasta e felice le prime settimane di permanenza e non poteva di certo dimenticare quel 'mi manchi anche tu' che le aveva regalato qualche tempo prima. Aveva paura che sua figlia non fosse più contenta di tornare, che forse si fosse trovata così bene da suo padre e con la sua nuova compagna, un tipo di classe e raffinata da come le era stato raccontato e più nelle corde di Ashley, da non essere contenta di riabbracciarla e quel pensiero la terrorizzava.

«Mamma, tu sei sempre troppo accondiscendente con quella marmocchietta!» borbottò Phoebe, impegnata a controllare di non avere rovinato nessuna delle sue unghie perfette in mezzo a una montagna di bucce.

«Guarda che sto per compiere dodici anni, hai capito?» ribattè offesa July, per la quale quel traguardo pareva davvero significare molto.

Phoebe non ebbe nemmeno il tempo di controbattere che un rumore di auto che si fermava lì vicino attirò l'attenzione delle tre. July si catapultò giù dalla sedia, mentre Phoebe gettava sul tavolo il grembiule da cucina e la seguiva a ruota, le due si accalcarono alla finestra per sbirciare all'esterno e finalmente si resero conto di non essersi sbagliate, fuori c'era la macchina del padre di Ashley, era arrivata.

«Mamma, mamma, c'è Ashley!» urlò July, per poi precipitarsi alla porta e socchiuderla, in attesa che sua madre andasse ad accogliere la sorella.

Nancy raggiunse le figlie, poi si affacciò fuori e vide il suo ex uscire dall'auto e dirigersi nel retro per aprire il portabagagli ed estrarre la valigia di Ashley.

E poi vide anche lei, da lontano riconobbe i suoi capelli rossi, forse un po' più lunghi di quando era partita ma non riuscì a vederla bene in viso.

Uscì e andò incontro ai due e fu a quel punto che Ashley sollevò lo sguardo e incontrò quello della madre.

Il suo cuore sussultò, rivedere il suo viso dopo tutti quegli eventi per un attimo fu un'oasi di pace in mezzo a quella desolazione. I suoi occhi dolcissimi la fissavano emozionati e le sue labbra formavano un meraviglioso sorriso.

Ashley non potè più frenare la sua parte emotiva, che mai come allora era venuta fuori e che non pensava di poter possedere. Abbandonò sul marciapiede il suo borsone e trattenendo le lacrime si fiondò verso la madre, che l'accolse a braccia aperte e la strinse al petto.

Quante volte aveva dato per scontati quegli abbracci, li aveva accettati con freddezza, come un rituale inutile e invece adesso furono come linfa vitale per la sua anima.

«Mamma – sussurrò mentre ancora si beava di quel suo dolce profumo familiare – mi sei mancata» disse senza pensarci due volte.

Nancy non controllò una lacrima che sfuggì e venne assorbita dalla maglietta di Ashley, che ancora nascondeva la testa sulla su spalla.

Ashley non era scontenta di vederla, anzi al contrario era stata più espansiva che mai, anche più di quanto potesse mai aspettarsi.

«Amore mio, bentornata» le disse, cercando di occultare i suoi occhi lucidi.

La sua preoccupazione però non svanì quando, dopo aver sciolto l'abbraccio, sollevò il mento della figlia per guardarla bene in viso dopo tutto quel tempo e ciò che vide non le piacque affatto.

Provò subito una morsa al cuore, Ashley era pallida, sembrava dimagrita e aveva due profonde occhiaie come se non riposasse da giorni, anche il suo corpo sembrava più esile e i suoi grandi occhi castano chiaro sembravano tristi e smarriti, senza luce.

Che diavolo era successo a sua figlia?

«Ehi, ma stai mangiando Ashhley? - le chiese preoccupata, facendo scorrere i suoi occhi attenti su tutta la sua figura per cercare di capire cosa ci fosse che non andava – ti senti male, per caso?»

Ashley scosse la testa «Sono solo un po' stanca, tutto qua» la tranquillizzò.

Nancy rimase immobile con un'espressione di angoscia in viso che non se ne andò nemmeno dopo quella sua rassicurazione, poi i suoi occhi si spostarono oltre le spalle della ragazza e intravidero arrivare Gregory con il bagaglio.

«Beh, tu vai a salutare le tue sorelle, non sai quanto sono eccitate di rivederti, qua ci penso io, sù» la convinse, dandole un buffetto sulla guancia, Ashley fece un cenno affermativo col capo, diede un ultimo abbraccio al padre e poi sparì dietro Nancy.

«Buongiorno» salutò Gregory, cordialmente, mentre si abbassava sulle ginocchia per sistemare la valigia ai suoi piedi senza farla ribaltare per il peso delle cose al suo interno.

Non si aspettava di certo un abbraccio o un gesto di affetto, fuori luogo ormai tra i due, ma nemmeno di essere afferrato per il colletto dalle mani della ex moglie con così tanta irruenza da fargli quasi perdere l'equilibrio. Adesso era veramente curioso di sapere il motivo di quella sua aggressione.

«Si può sapere cose succede a mia figlia? - ringhiò, cercando comunque di non alzare troppo il tono della voce per evitare di farsi sentire dalle ragazze – ha qualcosa che non va? Sta male? Ma l'hai vista com'è ridotta, non te l'ho consegnata in queste condizioni!» continuò, non era mai stata il tipo da lanciare accuse o da rivolgersi in modi poco gentili al suo ex, con il quale aveva sempre mantenuto degli ottimi rapporti, ma il viso sconvolto di Ashley le aveva fatto perdere la testa, non si ricordava di averla mai vista ridotta in uno stato così pietoso e si rifiutava di credere che lui non si fosse accorto di nulla.

Gregory sospirò, poi con calma prese la mano di Nancy e la scostò delicatamente dalla sua camicia, si sistemò gli occhiali sul naso, fatti traballare dalla presa energica della donna e fissò i suoi occhi scuri e rabbiosi.

«Nancy, calmati, Ashley fisicamente non ha nulla, è sana, se è di questo che ti preoccupi» la informò serio, aggiustandosi il colletto malandato.

Gli occhi di Nancy si assottigliarono di più, di certo non si accontentava di una simile scialba spiegazione.

«Quindi tu vuoi dirmi che la vedi in forma, che non ti sembra strana? Ma come puoi dirmi che sta bene?» prese a tempestarlo di domande.

«Ascolta, ciò che ha Ashley non è un problema fisico, ma non posso essere io a dirtelo, deve essere lei a decidere se farlo, spero che tu mi capisca. Non preoccuparti, sono cose che capitano a quell'età» le spiegò, continuando con quel tono pacato e serafico.

Nancy aggrottò le sopracciglia, senza comprendere appieno, ma si fidò del suo ex, sapeva quanto fosse legato ad Ashley e che sarebbe stato il primo ad allarmarsi se avesse avuto qualcosa di grave. Il suo atteggiamento controllato, che all'inizio le aveva dato i nervi, dopo la aiutò a calmarsi.

Ashley aveva qualcosa che non andava ma evidentemente lui non voleva tradire la figlia confessando qualcosa che le apparteneva nel profondo.

«Scusami, ma mi ero preoccupata, non la vedo da tanto e mi manca» ammise, mortificata per quel suo gesto impulsivo e affrettato.

«Va tutto bene, ti capisco. Stalle vicina, allora, è ora che io vada, sono già in ritardo» disse Gregory, poi le diede un abbracciò.

«Certo, lo farò, grazie di averla riportata» lo tranquillizzò lei, prima di salutarlo con la mano e guardarlo rientrare in auto.

In casa Ashley era stata letteralmente travolta dalle sorelle, che le si erano lanciate addosso, sommergendola e stritolandola con baci e abbracci. Nonostante stesse a pezzi, non potè fare a meno di sorridere spontaneamente alla loro affettuosa impetuosità, mentre le sue orecchie venivano invase da migliaia di informazioni tutte in una volta.

Phoebe cominciò a raccontare della sua casa e del trasloco, July del suo compleanno e di tutte le gite che aveva fatto quell'estate, ben presto la sua testa, già abbastanza provata da quei giorni, cominciò a entrare in confusione a girarle sempre più.

Si sedette sul divano, con gli occhi che vagavano da una sorella all'altra, sentendo una sorta di mal di mare farsi strada in lei.

«Ashley ma che hai? Tutto bene?» le chiese finalmente Phoebe, che adesso che che quel fiume di euforia era fluito stava cominciando a notare qualcosa di strano nella sorella.

Le carezzò una guancia e poi scrutò bene il suo viso, quasi inespressivo, spento. La sua espressione si contrasse, ora che la osservava bene non le sembrava neanche lei quella ragazza che si trovava di fronte. D'istinto le portò una mano sulla fronte per controllare che non scottasse, si avvicinò così tanto che i suoi occhi azzurri, troppo vicini e troppo simili a quelli di Matt, le provocarono un tonfo al cuore. Rapidamente portò via la mano di Phoebe dalla sua fronte e si allontanò d'istinto da lei, alzandosi come una molla.

«Sto bene, tranquilla» disse, ma Phoebe non riuscì a crederle.

«Però non hai una bella cera sorellina, dovresti mangiare un po', per fortuna ci ha pensato la mamma» la informò July sorridendo. Ashley ricambiò quel sorriso debolmente, poi osservò sua madre rientrare e parve scorgere in lei un'aria diversa rispetto a prima, le sembrò preoccupata e si chiese se suo padre non le avesse rivelato qualcosa.

Sperò vivamente di no, non era pronta per parlare di lui, non ancora.

«Ehi ragazze, lasciate stare Ashley, è stanca per il viaggio, fatela respirare ok?» venne in suo soccorso, riprendendo le figlie, mentre si dirigeva in cucina ad apparecchiare la tavola per il pranzo.

July, troppo piccola per sospettare qualcosa, trotterellò in cucina con sua madre, continuando a vociare animatamente, mentre Phoebe rimase ferma a osservare sua sorella con apprensione. Era assente, fisicamente si trovava in quella stanza, con loro, ma con la mente, col pensiero, sembrava lontana miglia, persa in chissà quale angoscia.

Conosceva troppo bene Ashley per non accorgersi che qualcosa in lei fosse sbagliato e fu sicura che anche sua madre l'avesse fatto, ma che stesse fingendo indifferenza per non pressare la figlia e farla sentire sotto scacco, cosa che lei odiava e che sapeva l'avrebbe fatta chiudere a riccio.

A tavola Ashley conversò come niente fosse, raccontò qualche episodio successo al mare, provò a essere simpatica, a sorridere e a dimostrarsi interessata alle cose attorno a lei.

Era a casa sua, circondata dalle persone che più le volevano bene al mondo, eppure si sentiva staccata dal contesto, come se non vi appartenesse. Una parte consistente di lei, il suo cuore, era rimasto insieme a quel ragazzo e non poteva farci niente, finse finchè potè, ma lentamente gli occhi le si annebbiarono e l'appetito si spense sempre più mentre le veniva quasi da vomitare, costringendola a interrompere di pranzare.

Il rumore delle sue posate, che violentemente impattarono contro il piatto di ceramica, rimbombò più del dovuto in quella stanza, costringendo tutti al silenzio.

«Mamma, io ho finito, era tutto buonissimo non mi va più» affermò a testa bassa, pulendosi le labbra con un tovagliolo e poggiando le mani sulle sue gambe.

Gli occhi di Phoebe e di Nancy si incrociarono per un nanosecondo con complicità.

«Ma ne hai preso pochissimo, come fai a non avere fame a quest'ora?» domandò ingenuamente July, per lei sua sorella era strana ma non poteva certo capire il reale peso di quella situazione.

«Sono solo stanca, ecco tutto. Stamattina mi sono alzata presto e poi c'è stato il viaggio in macchina, mi sento solo scombussolata e ho un po' di nausea. Ho bisogno di farmi una bella dormita e sarà tutto passato vedrete!» si rivolse alle tre, che la fissavano poco convinte.

«Allora vai in camera, tesoro, è un po' cambiata sai, Phoebe sta cominciando a portar via le sue cose, ma il tuo letto è sistemato come si deve e puoi usarlo.

«Grazie» mormorò Ashley, poi spostò la sedia, e si alzò, scomparendo su per le scale.

Phoebe guardò sua madre perplessa e vide che anche lei aveva un'espressione turbata, avrebbe voluto chiederle cosa fosse successo ad Ashley, ma non voleva farlo davanti a July. Temeva che la ragazzina avrebbe potuto riferire qualcosa senza riflettere e loro volevano evitarlo.

Nancy ricambiò l'occhiata di Phoebe e le fece un impercettibile cenno di assenso, poi riprese a mangiare e a conversare tranquillamente, fingendo che fosse tutto a posto.

 

Ashley fece ingresso in camera sua e provò una strana sensazione al petto.

Tutto era cambiato, la stanza appariva più vuota e spoglia e la maggior parte delle cose di Phoebe non c'erano più o giacevano dentro degli anonimi scatoli beige di cartone sul pavimento.

Quasi non la riconobbe e il suo stato emotivo già abbastanza provato, vacillò ulteriormente.

Un bisogno di piangere premeva ma lei si ostinò a ignorarlo.

Si buttò di peso sul suo letto, la diversa consistenza del materasso e del cuscino le dava la consapevolezza di non essere più a casa di suo padre, di non essere più con lui.

La stanchezza ebbe comunque il sopravvento e Ashley cadde in un sonno profondo per alcune ore.

Il suono del suo telefono la risvegliò di soprassalto, Ashley ancora mezza stordita lo afferrò, decisa a ignorare la chiamata, immaginando dovesse essere per l'ennesima volta Tyler, ma il nome che lesse le fece perdere più di un battito.

'Non può essere' si ripetè, mentre le mani cominciarono a tremarle e il cuore le saltò in gola, impedendole di respirare con facilità.

Eppure quel nome continuava a lampeggiare e nonostante si strofinasse più volte gli occhi non cambiava.

Era Matt.

Ma non aveva detto che non dovevano mai più sentirsi?

Cercando di contenere i battiti forsennati del suo cuore, rispose alla chiamata.

«Pronto» pronunciò con incertezza e con la voce roca a tremolante.

«Ehi, sono io» la voce di Matt arrivò al suo orecchio, ma era strana al telefono, era la prima volta che lo usavano per parlarsi, prima di quel momento non ne avevano mai avuto bisogno, avevano condiviso lo stesso tetto e persino lo stesso letto nell'ultimo periodo e non era stato necessario comunicare a quel modo, tutto ciò che avevano dovuto dirsi l'avevano fatto sempre di presenza, occhi negli occhi.

Quasi non lo riconobbe, e le sembrò tutto così bizzarro e triste allo stesso tempo. Rimase in silenzio, incapace di dire alcuna parola, in attesa che continuasse.

«Scusa se ti disturbo, ma volevo solo sapere se fossi arrivata a casa e se stessi bene, sai tuo padre non è ancora rientrato» proseguì, la sua voce non era sicura e irriverente come al suo solito, le sembrò giù, quasi a disagio nel sentirla.

Ashley tremava ma dovette rispondere «Sì, sono a casa adesso. Tutto ok» sussurrò lievemente, sentire la voce di Matt provenire dal cellulare, senza vederlo accanto a sé come facevano fino al giorno prima, senza poterlo stringere o sentire il calore del suo respiro, del suo corpo, o guardarlo negli occhi, come se non esistesse più per lei le fece malissimo, perchè le riconfermò l'amara realtà, quella che doveva accettare ma che in fondo si rifiutava di fare.

Lui non c'era più, era solo una lontana voce metallica, non apparteneva più alla sua vita, era lontano chilometri e così sarebbe rimasto.

Sussultò mentre realizzava ancora una volta il loro destino, quando era partita l'aveva lasciato dietro di sé con la consapevolezza di non doverlo sentire più, eppure quella telefonata le aveva fatto riesplodere quei sentimenti di colpo, come una flebile speranza condannata a morte, le aveva ricordato che lui esisteva da qualche parte lì fuori, ma non per lei.

«Va bene - continuò lui dopo quei secondi di silenzio, poi richiamò la sua attenzione – ah Ashley – la chiamò, la ragazza trasalì nel sentire pronunciare il suo nome come tante volte aveva visto fare direttamente dalle sue labbra – non ti incolpare più, per favore, non ce n'è bisogno»

Ed Ashley capì che Matt aveva trovato il suo messaggio e forse per quello aveva sentito di doverla chiamare, per avvertirla che non doveva stare lì a torturarsi per lui, che doveva andare avanti e dimenticarlo, quella era davvero la loro ultima occasione per sentirsi, poi il nulla.

Si sentì morire ancor più di prima, un nodo in gola talmente stretto le impedì di rispondergli ancora, restò in silenzio col respiro affannato finchè d'istinto chiuse la chiamata, totalmente distrutta e senza la forza di salutarlo.

Il cellulare le cadde dalla mano, rimbalzando sul letto e finendo per terra, Ashley lo ignorò e non lo raccolse, il buio del tardo pomeriggio aveva invaso la sua camera ma non voleva accendere la luce, non voleva alzarsi, si gettò sul letto, piegata su sé stessa e senza che potesse impedirlo dei singhiozzi violenti cominciarono a scuoterla, si abbandonò ad un pianto disperato e che esplose come risultato della somma delle emozioni di tutta l'intera giornata che inutilmente aveva provato a reprimere.

Affondò la faccia nel cuscino, inzuppandolo di lacrime, senza riuscire a fermarsi e così coinvolta da non sentire nemmeno il rumore della porta che si apriva e i passi di sua sorella Phoebe.

La ragazza accese la luce e si trovò davanti a quella scena sconvolgente.

Spalancò gli occhi e terrorizzata si precipitò dalla sorella, preoccupata che si sentisse male.

La scosse fortemente chiamandola per nome più volte ma lei sembrava sorda, continuava a piangere disperata.

«Ti prego Ashley, dimmi che hai, mi stai facendo morire dall'ansia» gridò, riuscendo a ruotarla e a scoprirle il viso, rosso e bagnato dalle inarrestabili lacrime.

Continuò imperterrita a scuoterla, decisa a ottenere una risposta, non poteva vederla ridotta così, doveva sapere per aiutarla.

«Sù tesoro, vuoi dirmi cosa c'è che non va, sono tua sorella, a me puoi dirlo lo sai» cercò di convincerla e parve riuscirci perchè la testa rossa di Ashley si sollevò, la fissò per poi stringerla in un abbraccio.

«Mi manca – disse tra i singhiozzi – sto cercando di fare finta di niente, ma non ce la faccio!»

Phoebe si chiese chi le mancava, poteva essere chiunque, suo padre, un'amica, anche se quella reazione troppo violenta glielo faceva dubitare.

«Chi ti manca Ashley?» le chiese dolcemente, cullandola tra le braccia e accarezzandole i capelli.

«Lui» rispose semplicemente.

«Lui chi?» insistette Phoebe, sempre più confusa.

«Io lo amo, Phoebe!» gridò alla fine, stremata, senza sollevare lo sguardo o staccare il viso dal suo petto, gemendo ancora.

Phoebe sbarrò gli occhi per la sorpresa, ma subito dopo li addolcì perchè aveva capito di che tipo di male si trattava.

Sua sorella era innamorata di qualcuno, e adesso ci avrebbe pensato lei a prendersene cura, per quanto avrebbe potuto.

«Va tutto bene Ashley, ci sono qui io adesso» la tranquillizzò, senza abbandonarla un secondo e lentamente anche i suoi singhiozzi diminuirono.

  
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